Capitolo 39 || "Una precisa consapevolezza"
Harry aveva l'impressione di star fluttuando nel vuoto universale come un pesce. Di nuotare nel cosmo della leggerezza e sul punto di svenire di fronte al suo professore di Difesa contro le Arti Oscure. Fece male, molto più male di quello che si sarebbe aspettato. I sospetti su Raptor v'erano stati e anche molti a dirla tutta, ma era stato come un mentore per lui, in pratica.
L'aveva corretto nelle posture, nella pronuncia e nella tattica. L'aveva istruito, l'aveva visto giocare a Quidditch e probabilmente, anzi sicuramente, aveva tentato di farlo sfracellare al suolo.
Era Raptor. Era sempre stato lui, e la consapevolezza colpiva Harry peggio delle maledizioni che presto avrebbe ricevuto.
Si era congratulato con lui per le partite, le vittorie di Grifondoro, per i suoi voti e risultati, gli aveva augurato tutta la fortuna del mondo, quando invece avrebbe voluto tagliargli la gola nel sonno.
Lo aveva allenato per mesi e mesi, forse ricavando un sadico piacere nel vedere la sua futura vittima migliorare e migliorare, per poi tarparle, strapparle le ali dopo un po' di tempo.
Perché? Sete di potere? Forse. Ma lui cosa c'entrava? Raptor e Voldemort non avevano nulla a che fare con l'altro, fino a prova contraria. E lui poteva essersi sbagliato, Raptor poteva essere davvero lo scaltro Corvonero di cui aveva sentito parlare, di cui aveva letto. Il promettente ragazzo timido ma pieno di audacia, di voglia di mettersi in mostra e dimostrare il suo valore poteva davvero essere tanto senza cuore da uccidere, o anche pensare o tentare, un ragazzino di undici anni, nel pieno della fanciullezza?
Sì.
Harry lo sapeva, non c'erano scuse, capri espiatori. Nulla.
Raptor l'aveva praticamente allevato come un animale pronto per il macello. L'aveva accolto, aiutato e accudito, lo aveva ascoltato e lo aveva visto ogni giorno, ogni mattina, ogni pomeriggio ed ogni sera.
E poi aveva intenzione di farlo fuori, di far fuori tutta la scuola, forse, pur di ottenere gloria.
La Pietra Filosofale e Voldemort? Non ne aveva idea, quell'individuo con il turbante sospetto non aveva mai raccontato nulla di vero. Poteva avere intenzione di rubarla per venderla, diventare ricco, oppure resuscitare un Signore Oscuro pronto ad uccidere neonati per puro "divertimento".
Non sapeva nemmeno se Voldemort ne provasse, di emozioni, se ne avesse mai provate. Ma lui non era umano, quello che aveva fatto non lo rendeva nemmeno paragonabile ad un essere umano, né a un dio, ma un essere simile ad uno psicopatico e senza un'ombra di cuore.
Non gl'importava, non gli poteva importare assolutamente nulla in quel momento, di Voldemort e della sua malata visione del mondo.
Sarebbe morto.
Non sapeva nemmeno il motivo per cui si era dato ad una caccia talmente ossessiva alla sua famiglia. Poteva averlo fatto per puro sadismo, per passatempo, o per qualcosa di più. Qualcosa di più profondo, più losco e buio. Qualcosa che lui aveva temuto.
Non l'avrebbe mai saputo, lui sarebbe morto a breve.
Perché aveva ucciso anche i suoi genitori, allora? Se lui era il suo obbiettivo, perchè prendere loro?
"Si erano messi di mezzo" realizzò in quel momento, schivando uno schiantesimo e gettandosi dietro una colonna. "Semplicemente erano di troppo. Più facile eliminarli subito, delle possibili ripercussioni pericolose del calibro di James Potter e Lily Evans, piuttosto che affrontarli con l'ira ed il dolore dalla loro parte".
Vendetta.
Loro l'avrebbero voluta, fatta ed ottenuta per lui. O forse sarebbero periti ugualmente. Ma lui era vivo, e loro morti.
Si era chiesto tante volte quella piccola domanda: perché?
Non aveva mai trovato una risposta soddisfacente, e non l'avrebbe trovata mai, si era messo in testa che stava per morire.
Sentiva Voldemort ridere, o quella parvenza di risata fuoriuscire dalle sue apparenti labbra, posizionato nella nuca del professore.
Sentiva Raptor ridere, distruggere i suoi nascondigli, sentiva il dolore delle ferite sul suo corpo, sentiva il suo sangue cadere a gocce per terra.
Sentiva la morte chiamarlo a sé, dolce, calda, invitante, lontano da tutto quel dolore, dalla sofferenza, dai silenzi e dalla solitudine. Dalla reclusione, dalla tristezza e dall'ignoranza e portarlo dalla sua famiglia, nel mondo in cui lui apparteneva, al quale era destinato ad appartenere fin dalla sua nascita. O prima, forse.
Ma non l'avrebbe saputo mai, lui stava per raggiungere il regno dei morti, e chissà, forse avrebbe trovati Fuffi ad aspettarlo, in una versione meno propensa all'ascolto della musica.
«Povero Harry, povero piccolo angelo così tristemente strappato dai suoi cari» lo chiamò Raptor, facendo esplodere il resto della colonna a cui il ragazzo era prima stato appoggiato «cos'è questo, sangue? Oh, stai soffrendo».
Harry trattenne un insulto, e ne aveva davvero molti che desiderava tirar fuori, ma aveva bisogno di una strategia.
Strategia... buffo, no?
Ad undici anni le uniche strategie che si dovrebbe architettare dovrebbe essere per fare uno scherzo a degli amici, per mentire o copiare a qualche compito, non per far perdere tempo ad un pazzo assassino ed al suo allegro, balbuziente complice senz'anima.
Non sapeva come, ma Voldemort non era riuscito ad entrargli nella testa, e non aveva idea che avesse la Pietra Filosofale nella sua tasca, quasi al sicuro.
Ma aveva sicuramente una mezza idea di ciò. Come avrebbe fatto ad ingannarlo? Avevano una leggerissima differenza d'esperienza ed età, maturità mentale ed allenamento dopotutto.
Avrebbe dovuto optare per le cose più inaspettate, più semplici, più babbane.
Il Signore Oscuro del ventesimo secolo non si sarebbe mai abbassato a certi pensieri, non era forse così? Uno dei difetti fatali di Voldemort non era sottovalutare gli avversari e le complicazioni insolite?
Harry respirò a fondo, e scagliò un «Glacius!» diretto verso le gambe di Raptor. Egli rise, scostandosi all'indietro con un balzo.
«Hai intenzione di pattinare come con quel Weasley con gli occhiali?» lo prese in giro, ma non aveva capito il suo gioco.
«Aguamenti!».
L'acqua ricoprì il pavimento in un attimo ed assieme al ghiaccio magico contribuì a creare una sottile nebbiolina alta sino al bacino del ragazzo, che era riuscito a creare una sottospecie di confine con il suo avversario.
Non era molto, nè estremamente efficace, a dirla tutta, con un dannato genio del male come sfidante. Ma un genio del male confuso e fermo sul posto per anche un paio di secondi era ottimo.
«IDIOTA! PRENDI QUEL RAGAZZINO!» strillò la voce di Voldemort, affievolendosi man mano che continuava a parlare. Ma Harry era già sparito con la nebbia come alleata, e si era affrettato a nascondersi dietro una grossa colonna ancora intera.
«POTTER!».
Un grosso brivido di freddo gli attraversò la spina dorsale, la temperatura della piccola saletta immediatamente abbassatasi ad un livello preoccupante.
Harry in un momento normale o qualsiasi si sarebbe messo a saltare dalla gioia per l'efficienza e l'efficacia del suo incantesimo, delle sue intenzioni perfettamente avverate e superate in meglio. Ma non quel giorno. Forse non domani, forse mai. Dopotutto lui sarebbe morto, sarebbe finito trenta metri sottoterra o forse in un canale, nel fondo di un lago, con le pietre nelle tasche affinché il suo corpo non venisse mai ritrovato.
Harry si sfilò velocemente il maglione di lana che indossava, rimanendo con la sua pratica maglietta - puntualmente 'rubata' a Sirius - verde menta pastello, la scritta "Coffee" in Old London Script¹, poco evidente, in ambra adibita a pigiama. Aveva freddo, davvero molto freddo, e sapere che sarebbe deceduto con qualcosa del genere addosso gli faceva salire sia la voglia di urlare che mettersi a ridere dalla disperazione.
Ma non lo fece.
Puntò la sua bacchetta al suo indumento e senza ragionarvi troppo fece il movimento necessario per produrre l'incantesimo di trasfigurazione Duro.
Il maglione divenne pietra rossa fra le sue mani e lo poggiò con la massima attenzione dove si era nascosto.
«Ho una precisa consapevolezza del mio nome, grazie».
«PER DI LÀ, IDIOTA!».
Harry gattonò silenziosamente come Mrs Purr faceva di notte per non farsi notare da nessuno, in modo da prendere di sorpresa gli studenti fuori dal dormitorio.
In quel momento lui era come Gazza, mentre Voldemort e Raptor una sorta di gemelli Weasley nel bel mezzo di un litigio.
"Non finirà bene" pensò il ragazzo, aguzzando la vista per scorgere le sue prede "non finirà bene per nulla al mondo".
Vide la veste violacea del professore svolazzare come una variopinta farfalla estiva verso le colonne, scartando quelle distrutte.
«C'È SANGUE QUI, IDIOTA! DEVE ESSERE VICINO!».
Sempre con la testa bassa, Harry arrivò alle quasi spalle dei due, lontano e praticamente inindividuabile dallo sguardo del gran Bastardo Oscuro grazie alla nebbia gelida.
Non gli importava del freddo, gli importava solamente della sicurezza di Sirius, di Hermione, di Ron, della scuola.
«IMPEDIMENTA!» strillò con voce chiara, tentando un incantesimo che sostava ben oltre il suo livello da studente del primo anno.
Ma fu graziato dai Cieli e la fattura difensiva andò a buon segno, lasciando sconcertati i suoi avversari.
Voldemort non riuscì nemmeno a gridare per la sorpresa e si ritrovò muso, privo di naso, a terra, con un Raptor parecchio in difficoltà.
«Expelliarmus!» e la bacchetta del suo, ormai ex, professore gli volò fra le dita congelate, ancora seminascosto fra la bianca nebbia, fitta e fredda.
Con un gesto secco, gustandosi il momento con un sorrisone di scherno, spezzò la bacchetta magica con un sonoro "crack!" e la lasciò cadere a terra ai suoi piedi.
«Fine dei giochi, professor Raptor» cinguettò con garbo, saltellando verso la sua preda «oh, povero grande Signore Oscuro, sua Brillante Magnificenza, Maestro delle Arti Oscure, quanto sono dispiaciuto».
Ricavò un piacere personale pronunciando quelle frasi, una sensazione come al sottosopra investì il suo stomaco, facendolo sorridere ancora maggiormente.
E tetramente, forse. Quella era una cosa che gradiva di meno. Non aveva davvero idea di cosa lo stesse possedendo, si sentiva sorridere, eppure non stava sorridendo... gli faceva male la testa, la cicatrice pulsava ed i suoi occhi bruciavano.
«Ragazzo... perché non ragioni? Dammi quella Pietra Filosofale, e vedrai, ti lascerò vivere» tentò Voldemort da sotto i suoi piedi, la voce ridotta ad un sibilo serpentesco.
«Non giocare a questo gioco con me, bastardo» parlò lui con una voce tanto fredda che non riconobbe come la sua, schiacciando col calcagno la metà spaccata della bacchetta di Raptor «sono in vita adesso non per un colpo di fortuna, non perché qualcuno si è sacrificato per me, ma per un tuo errore e per il mio ragionamento».
Voldemort, letteralmente, ringhiò alle sue parole, mormorando qualcosa che Harry non udì, ma istintivamente si gettò all'indietro come un gatto selvatico.
Indovinò.
Raptor aveva fatto avanzare la sua mano con lentezza, ancora sotto l'effetto della fattura del suo alunno ed aveva sfiorato la sua caviglia, cercando di farlo cadere a terra con lui.
Harry non aveva nessuna voglia di cadere con lui, non ora che forse la sua vita poteva avere uno spiraglio di salvezza, e calciò con forza la mano del professore. Era stanco e si sentiva sempre più soprattutto da qualcosa, qualcosa che lo stava spingendo a fare azioni di cui si sarebbe pentito.
Egli e Voldemort urlarono dal dolore improvviso che sembrava averli colpiti assieme all'impatto della gamba del ragazzo.
Improvvisamente, il Grifondoro si inginocchiò a terra, la testa sanguinante e sul probabile punto di lacerarsi, spaccarsi in una metà netta. Quasi sentiva dei sussurri affluirgli alle orecchie, chiamandolo, invogliandolo a usare quella bacchetta per porre fine a tutto, ed anche in fretta.
Harry la strinse allora con forza, come a tentare d'attingervi un qualche sostegno.
«Protego...» mormorò, immaginandosi un probabile attacco dai suoi avversari.
Naturalmente, i due infami eseguirono come un teatrino l'esatta speculazione teorizzata dal ragazzo.
Raptor, stranamente come sotto l'effetto di una trasfigurazione fatta malamente o di una pozione Polisucco da incubo, lasciò andare Voldemort, libero come un fumogeno, fuori dal suo petto. La nebbia nera circondò Harry, spingendo, sbattendo contro le flebili protezioni alzate in fretta e furia.
Rinunciò quando il Grifondoro lo ebbe sfiorato con un Pietrificus Totalus fin troppo potente - e minaccioso, avrebbe aggiunto -, bloccò la visuale completa oltre la linea delle restanti rovine delle colonne e scappò.
"Codardo!" sembrava strillargli una voce simile a quella del suo vecchio professore Albus Silente "Torna indietro e combatti, Tom!".
Ma non l'avrebbe fatto.
Lui, Lord Voldemort, dopotutto faceva parte degli scaltri Serpeverde, la nobile Casa di Salazar il Fondatore, suo erede, suo immagine centinaia di volte migliore.
Non aveva bisogno di uccidere quella bestia di un bimbetto adesso, o in quel momento, ed avrebbe potuto riconquistare la sua forma precedente, il suo corpo, la sua potenza, il suo massimo splendore.
"Dopo" lo prese in giro il cielo estivo, fitto ed oscuro, che spezzava il confine fra terra ed atmosfera, ed ancora più in su, sempre più in su, fin laddove lui, Lord Voldemort, aveva mandato centinaia, no, migliaia di maghi, streghe e Sanguemarcio e Babbani, impuri, indegni della sola vita, del solo ardore di respirare.
Come si permettevano loro, quei comunissimi mortali senza talento nè ambizioni, potere, arrogarsi del diritto di contrastarlo? O contraddirlo?
Quel ragazzino aveva fin troppo talento, troppa determinazione, troppa ambizione, troppa... voglia di vivere. Silente avrebbe applaudito se solo l'avesse udito e lui l'avrebbe ucciso in un sol colpo, dal buon mago e Signore Oscuro che era, per la sua arroganza, per la sua cieca illusione.
"Dopo" ripeté la mezzaluna, nella perfetta metà del suo ciclo mensile.
Brillava, lo specchio degli stolti, la culla dei romantici, il rifugio dei disperati, il nido dei pazzi, la stalla dei falliti, brillava come se lo stesse fissando dritto negli occhi.
Come osava? Nessuno, nessuno, si sarebbe mai dovuto permetter l'ardire, la rovente stoltezza di guardarlo in faccia senza preavviso, senza essere un avversario alla sua altezza.
"Sei tu l'avversario inferiore" sembrava sibilargli nelle orecchie di fumo di carbone "io sono immortale, tu no; guardati, Lord Oscuro, guarda il tuo fallimento".
E Lord Voldemort tacque, scappò, lasciandosi alle spalle il suo nemico mortale, vivo e vegeto, il suo servitore indegno, morto tra i dolori, la scuola di Hogwarts, sua vecchia casa che l'aveva rinnegato, che sembrava averlo gettato fuori a calci.
E Lord Voldemort tacque e scappò, scappò e scappò finchè non si sentì senza forze.
Intanto Harry Potter respirava a fatica, ragionando e gattonando alla cieca fra fumo nero e soffocante ed il freddo bruciante ed accecante.
La sua bacchetta ben nel suo palmo spettrale, pallido come uno zucchero raffinato, luccicante di sudore gelido e crudele, che gli faceva scendere brividi lungo tutto il suo corpo.
Il suo Lumos non era di molto aiuto, né tantomeno lo era il Lumos Maxima utilizzato come sostituto.
Quasi inciampò su Raptor, e sempre quasi si sentì in colpa per la sua incapacità ad aiutarlo.
«Hai provato ad uccidermi» disse fra i fumogeni soffocanti, scottanti ed incandescenti nella sua gola lattea «e sarebbe più umano ucciderti adesso, piuttosto che lasciarti qui, a soffocare».
Quella non era la sua voce, non riusciva più a sentire quello che stava dicendo, pensò che avrebbe dimenticato ogni parola dopo che l'avrebbe pronunciata, ma le ricordava tutte alla perfezione nonostante la stanchezza.
Si chinò sul suo ex professore, come a chiedere un muto permesso.
«Ti p-prego...» balbattò Quirinus Raptor, indicandosi la gola in un gesto implorante.
«Lei è uno sciocco, professore» sospirò a bassa voce «se le taglio la gola soffrirà per un paio di... secondi. Sarebbe meglio trafiggerle il cuore».
Con quale tranquillità stesse discutendo di uccidere un insegnante, da dove l'avesse pescata e come la stesse utilizzando, Harry non ne aveva la benché più pallida idea.
Stava cominciando a sentirsi sempre peggio, stava perdendo il controllo, ma la pietà era pur sempre la pietà, e lasciar morire fra sofferenze atroci un uomo, o un essere umano, o vivente già condannato era un'azione degna di un individuo senza cuore.
«N-no. È me-meglio così, f-fallo...».
Harry si inginocchiò davanti a Raptor, tenendogli la testa alzata per le spalle.
«Addio, professore» non aveva null'altro da dire. Non poteva dire che gli sarebbe mancato, o che era una brava persona, o che avrebbe desiderato rivederlo presto.
«Conterò fino a tre, e poi userò Diffindo, è pronto?».
Raptor annuì.
«Uno...».
«Mi dispiace... ma non p-perdonarmi».
Harry lo guardò negli occhi, e vide un luccichio di pentimento in essi. Sorrise, dopotutto, poteva almeno ricordarsi che, beh, non tutti i cerchi muoiono tondi.
«Sei un bravo ragazzo, H-Harry».
«La ringrazio, professore» lo fissò dritto e senza esitazione, le iridi di smeraldo brillanti e tristi.
All'improvviso, risparmiando all'insegnante l'agonia dell'attesa, saltò al finale. Anzi, non lo disse proprio, il numero finale.
«DIFFINDO!».
E la luce nei pozzi azzurro sporco² di Raptor si spense per sempre, il sangue nelle mani del suo assassino e salvatore al contempo, che sentiva gli occhi pesanti, pizzicanti come se fossero stati punti da centinaia di vespe.
«Politio...» disse e tutto il liquido vermiglio e ferroso scomparve.
Si sentiva strano, stranissimo, come la sensazione di momenti che parevano secoli prima, il vuoto e cosmo sotto i suoi piedi instabili.
Toccò la Pietra Filosofale nella sua tasca, sospirò di sollievo quando la sentì rispondere al tatto e si sentì svenire.
Per vari, ovvi fattori. Harry non credeva avrebbe mai dimenticato quello che era successo a Raptor, ma non lo vide diventare cenere, disintegrarsi come una statua di sale solo alle sue spalle.
«Lumos!» disse, illuminando leggermente lo Specchio delle Emarb.
Non vide nulla di nulla, fumo e nebbia a fare il loro sporco spettacolo e dovere.
Sentì dei passi indistinti, delle urla e delle frasi sconnesse, affrettate, preoccupate prima di cadere nel buio, sprofondando nelle tenebre del nulla ancor prima di toccar terra con la sua schiena indebolita.
~●•°•~
Revisionato [✔]
Questo capitolo è stato una sofferenza, ma il risultato mi soddisfa un sacco.
Mi piace anche la svolta che sto provando a dare ad un Harry sconvolto e travolto dalle emozioni, che odia e non odia il gesto che ha compiuto. L'avrebbe fatto anche in completa sanità mentale? Probabilmente sì, essendo una persona misericordiosa e consapevole che certe cose, purtroppo, non possono essere cambiate, come l'inevitabile morte di Raptor.
Mi dispiace e non mi dispiace per Raptor, in piena sincerità, ma ho voluto dargli una piccola redenzione.
~♡♡
¹ Old London Script è una tipologia di scrittura proveniente da, sorpresa sorpresa, una Londra molto ma molto antica.
² Non è mai stato confermato che Raptor avesse degli occhi azzurro sporco.