Dear Diary - The Vampire Diar...

De Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... Mais

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 1)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
So, diary, I'll confide in you (parte 4)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 1)
And I thought my heart could fly (parte 2)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)
...or would that scare him away? (Parte 1)

One touch of his hand (parte 5)

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De Dottie93

Poco meno di un'ora dopo, erano appiccicati contro la porta di ingresso dell'appartamento di Damon, che cercava inutilmente le chiavi di casa. Con Elena che faceva quelle cose sul suo collo con la bocca, non aveva lucidità abbastanza per muovere le mani in un altro posto che non fosse il corpo di lei, figurarsi trovare degli stupidi pezzi di metallo nelle tasche dei pantaloni ora maledettamente scomodi.

«Elena...» mugugnò, mentre le sue stesse dita si intrufolavano sotto la maglietta della ragazza, invece che nelle sue tasche. «Chiavi.»

Quella parola fu tutto ciò che riuscì ad articolare, prima di essere zittito dall'ennesimo bacio, sentendola rabbrividire sotto le sue mani fredde, mentre quelle di lei erano incastrate tra i suoi capelli ancora bagnati, facendogli cadere delle gocce gelide sulla camicia ancora zuppa.

Il freddo però non lo sentiva, aveva solo la percezione del calore dell'abbraccio della sua ragazzina.

Con un brevissimo sbuffo seccato, Elena lo spinse un po' per farsi spazio tra lui e la porta e scavare nella borsetta. Quasi gli lanciò il suo porcellino con le chiavi che le aveva regalato il giorno di Miss Mystic Falls.

«Non perdiamo altro tempo.» avrebbe dovuto essere una proposta ma sembrava più un ordine perentorio.

Ci volle un po' prima di beccare la serratura, non solo per la scarsa luminosità, soprattutto perché era troppo agitato per fare le cose per bene: il sangue era affluito tutto sotto la cintura, e l'unica cosa che voleva era spogliare quella piccola tentatrice.

Era un pensiero che rischiava di far sbiadire tutti gli altri, ma ci riuscì: due giri e la porta fu aperta. La tirò dentro senza darle il tempo di respirare e fu di nuovo addosso a lei, la schiacciava di nuovo, contro uno stipite, ma stavolta dall'altro lato.

«Oh, Damon...» sospirò lei, in un attimo di tregua che non desiderava.

Ma se c'era qualcosa che al ragazzo interessava più del sesso, era la sua salute, per questo si costrinse ad allontanarsi.

«Questo non va d'accordo con il proposito dei vestiti asciutti.» aveva il fiatone, e da una parte c'era anche lo sforzo di tenersi a distanza.

Elena, di nuovo, non vide alcun problema, con quello: la pragmatica, quella sera era proprio lei. «Allora dovremmo toglierli.»

Detto questo, si sfilò la maglia senza troppi complimenti, e la gettò sul pavimento senza alcun rimorso. In macchina non erano andati tanto per il sottile, quando si era trattato di rivestirsi, non c'era stato tempo per indossare indumenti superflui, per questo sotto non c'era assolutamente niente.

Il singulto di Damon fu netto, e non perché la vedesse per la prima volta, ma perché non aveva spesso occasione di osservarla così sicura di sé a luci accese. Era la cosa più eccitante su cui avesse mai posato lo sguardo: le fu di nuovo addosso, mentre lei gli slacciava i bottoni con la sua solita foga, ma si permise di non curarsene, anzi, la tirò fuori dai pantaloni come se non potesse vivere un attimo di più diversamente.

Avrebbe davvero perso la testa, in caso contrario.

«Stavolta so dove le metto.» commentò, strappandole di dosso anche la biancheria intima, con un sorriso ironico che lei non vedeva l'ora di far sparire dalla sua faccia.

«Sta' zitto.» gli impose, tirandolo per i lembi della camicia aperta verso di sé: e fece in modo che lo facesse davvero, tappandogli la bocca con la propria.

Scalciare via le scarpe e i calzini bagnati, a quel punto, sembrava l'unica altra opzione disponibile mentre le dita di lei cercavano la cintura.

«Doccia.» fu tutto ciò che Damon fu in grado di mettere insieme, perché almeno si sarebbero tenuti al caldo e avrebbero unito l'utile al dilettevole.

Elena lo trattenne per le spalle, decisa. «No, qui.»

Non aveva intenzione di attendere un altro secondo, tutto il resto avrebbe benissimo potuto andare al diavolo, e forse l'avrebbe pagata con una bronchite, come lui aveva predetto, ma non le importava assolutamente niente, in quel momento, sarebbe potuto crollare il palazzo, o il mondo.

Tornò ad occuparsi della fibbia dei pantaloni, mentre la slacciava spazientita, in un'unica mossa – ed eccolo lì, proprio come piaceva a lei, favolosamente nudo – sotto al suo sguardo appannato e il sorriso malizioso di chi ha bene in mente cosa vuole.

Infatti, dopo averle lasciato spazio abbastanza per liberarsi di tutti gli indumenti tra i piedi, Damon la intrappolò di nuovo contro la porta, impaziente come se non l'avesse avuta meno di un'ora prima. Si passò una delle sue gambe intorno alla vita e, senza ulteriori indugi, si insinuò nel suo corpo, la bocca ritrovò la sua, ed Elena fu sopraffatta dall'emozione. Perfino il crampo nel suo stomaco le ricordò quanto lo amasse.

Quanto amasse tutto quello.

Appoggiò i gomiti sopra le sue spalle per riuscire a tirare su anche l'altra gamba, e farsi sostenere, cosa che lui fece senza pensare, come se fosse stata leggera come una piuma.

Si amarono nell'unico modo che conoscevano: intensamente, stretti l'uno all'altra, completamente inconsapevoli e incuranti di ciò che li circondava, si preoccupavano solo di stringersi più forte per sentirsi di più, di baciarsi più profondamente.

Le mani di Damon accoglievano il corpo di Elena come se ci fosse stato disegnato sopra: si modellava sotto al suo tocco, sulle sue labbra, come se avesse dovuto completarlo.

Nemmeno se ne accorse, lei, di essere stata appoggiata sulla spalliera del divano, troppo occupata a mordergli una spalla tanto forte da farlo ringhiare in quel modo animalesco che le piaceva tanto in quei momenti.

Inarcò la schiena per sentirlo più a fondo, mentre lui faceva pressione sui suoi fianchi per farla inclinare e poterle baciare liberamente ogni porzione di pelle in vista.

Stava per impazzire, Elena ne era certa: mugolò il suo nome in un miscuglio di suoni incoerenti, poi si lasciò andare, con un sospiro più pesante e rumoroso degli altri, trascinandosi dietro il ragazzo, più che compiacente.

Caddero dall'altro lato, esausti, sui cuscini, l'uno sopra l'altra, intenti a baciarsi, finché non gli fosse passata l'euforia.

«Dobbiamo uscire più spesso se finisce così.» ansimò Elena, stringendolo in un abbraccio pigro.

Damon rise, contro la sua scapola. «Come se servisse uscire.»

A lui bastava che ci fosse un posto abbastanza usabile per quello scopo, il che implicava, nella maggior parte dei casi, che non uscissero affatto, e andava bene così. Parlare con Elena era bello, stare con lei era bello, il sesso era fantastico.

Non avrebbe potuto chiedere di più.

«Giusto.» concordò la ragazza, sospirando sognante. «Allora dobbiamo vederci più spesso.»

Il ragazzo tirò su la testa col suo sorriso speciale, quello che riservava soltanto a lei. «Oh, ne ho tutta l'intenzione.»

Non si erano concessi poi così tanto tempo da dedicare alla conoscenza dei rispettivi corpi, avevano avuto sì e no, tre notti, quella compresa, ed erano stati davvero troppo famelici per fare le cose con calma, e quella volta non stava facendo eccezione.

Ma forse era perché Elena era fatta così, era in quell'età in cui gli istinti vanno soddisfatti subito, non che la cosa non gli piacesse, ma non si era mai preso del tempo per apprezzare la ragazza con cui stava, con Elena gli sarebbe terribilmente piaciuto.

Era una cosa che non gli era mai sembrata indispensabile, ma lei gli faceva desiderare cose che non aveva mai ritenuto giuste per se stesso.

Come una relazione normale, un appuntamento normale, una vita normale.

Non si era mai visto adatto a nessuna di quelle cose, forse perché la gente non aveva fatto altro che ripetergli che non era materiale da storia, che fosse seria o meno, lui andava bene solo per l'avventura di una notte.

La sua ragazzina, invece, quelle cose gliele aveva rese all'ordine del giorno, ormai erano praticamente indispensabili.

Era stato via per venti giorni, ed erano stati una tortura: era abituato a non sentirsi a casa da nessuna parte, perciò non gli era parso strano, almeno all'inizio, di non riuscire a ritrovarsi, in Francia, poi la sensazione era continuata per giorni, e quando sua cugina rideva a crepapelle per la frequenza con cui controllava il telefono, chiamandolo "piccioncino innamorato", aveva cominciato a sospettare che non fosse l'aria a non andare.

Non c'era Elena.

E sì, l'aveva turbato il pensiero, perché si era sentito lo stesso, sciocco quattordicenne che era stato. Poi l'aveva sentita piangere per telefono e vaffanculo al passato.

«Oh...» commentò la ragazza, mordendosi un labbro, invitante. «Quindi, finalmente, mi darai prova della tua fama.»

Lo stava prendendo in giro perché di prove gliene aveva date almeno due, e in quella sola sera. Non le era mai successo di avere voglia per due volte di fila, ma nemmeno di essere soddisfatta tanto spesso.

Damon mise su un'espressione consapevole di stupore: aveva capito perfettamente. «Questa me la paghi, ragazzina infame e ninfomane.»

Lo disse solo per metterla in imbarazzo, infatti lei non rispose, poté solo strillare leggermente, quando le mani del suo ragazzo andarono a pizzicarle i fianchi, facendola sobbalzare. Rise, girandosi su uno di essi, in modo che le sue mani la smettessero di raggiungerle la pelle e farle ancora il solletico, ma uno dei due fianchi restava sempre scoperto, e a quanto pareva, Damon non aveva intenzione di darle tregua.

«Ti prego...» sussurrò, tra le risate e le lacrime che minacciavano di bagnarle le guance da un momento all'altro. «Basta, non lo sopporto più.»

Si asciugò distrattamente un angolo di un occhio, portandosi via lo spetto di una lacrima, e Damon, inaspettatamente, acconsentì, con un sorriso tenero a increspargli la bocca.

Fu quasi una cosa nuova, per lei, tornare a respirare normalmente, prima di perdere aria di nuovo, non appena incrociò i suoi occhi blu, che non avevano smesso di avere quella luce strana, diversa, serena.

Le ci volle ancora un attimo per riprendere fiato. «Sei davvero un bastardo.»

Il sorriso di Damon non poté che allargarsi, mentre, di nuovo, faceva scorrere le sue mani sul profilo del suo corpo. «Allora, vuoi che ricominci?»

Elena si voltò, tornando con la schiena sulle sedute del divano, e si ritrovò il suo ragazzo piegato sopra di lei, con i capelli del tutto scompigliati sulla fronte, alcune ciocche troppo lunghe arrivavano addirittura a coprirgli gli occhi.

Le scostò.

Avrebbe voluto che ricominciasse ben altro.

«Devi smetterla di guardarmi così.» la avvisò, con dolcezza.

«Così come?» lo provocò, stupendosi di quanto maliziosa potesse suonare una domanda apparentemente così innocente.

Ma Elena aveva smesso di esserlo ancora prima di varcare la soglia, e di sicuro aveva smesso di volerglielo sembrare: aveva deciso di seguire il consiglio di Caroline e buttarsi su tutta la linea, nessuna vergogna. Era il suo ragazzo sexy e completamente disinibito, era davvero l'ultima persona che poteva giudicarla, o che si sarebbe mai sognato di farlo.

«Secondo te perché non riusciamo a smettere?» gli chiese, distrattamente.

Damon si abbassò su di lei, schiacciandola contro il divano. «Perché sono completamente pazzo di te.» e questo decretò la fine di ogni possibile dialogo.

Dopotutto, non poteva pretendere che, detta una cosa del genere, lei sarebbe riuscita a tenere le mani al loro posto. Che poi... quale diamine poteva essere il loro posto se non addosso a lui? Ci stavano perfettamente, come se ad ogni passaggio lo riscoprissero daccapo, come se non aspettasse altro.

Era fatto apposta per lei, ne era certa.

Le piaceva da impazzire quando si accarezzavano così, dopo il sesso, la faceva sentire ancora più desiderata, e poi era un bel po' che non si concedevano dolcezze come quella. Inaspettatamente, quando aveva chiesto a Damon di essere un po' meno delicato, lui le aveva mostrato da subito l'altra faccia della medaglia.

E adesso doveva ammettere che la parte più tenera le mancava. Certo, non l'avrebbe ammesso mai, perché dargli quella soddisfazione sarebbe stato troppo imbarazzante, chissà che commenti avrebbe potuto suscitare da parte sua.

Nemmeno avesse fatto voto di contraddire i suoi pensieri, proprio mentre Elena si stava godendo appieno tutte quelle attenzioni, Damon le passò di nuovo le mani sui fianchi, ma ora in quel classico modo che ormai lei aveva identificato come l'inizio del round successivo.

Ancora doveva abituarsi ai suoi tempi di ripresa disumani.

«Aspetta...» lo fermò, bloccandogli le mani. Lui non lo fece, pensando volesse parlare. O forse voleva dargli una scusa per comportarsi da cavernicolo, cosa che sembrava piacerle parecchio nei momenti di intimità. «Damon, dai...»

Ma dato che si era fatta più insistente, il suo istinto prevalse.

«Che succede?» le chiese, un po' preoccupato di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Lei tirò fuori il labbro inferiore, e lui, a quel punto, inarcò un sopracciglio, perplesso. «Coccoline.» gli disse, con quella sua vocina che usava sempre quando voleva convincerlo a fare qualcosa. «Facciamoci le coccoline...»

Sbatté gli occhioni per sembrare più allettante, ma Damon non sembrava convinto.

«Ma se ti lamenti sempre che...» iniziò, disorientato.

Non aveva detto quella stessa mattina di non perdere tempo in coccole? Cos'era, bipolare?

Elena non si scompose. «Non avevamo detto che è prerogativa femminile cambiare idea ogni cinque secondi?» gli chiese, giocosa. «Perciò è inutile discutere.»

Damon scosse la testa, tirando su un angolo della bocca. Niente da fare, era l'ennesima conferma che non avrebbe mai capito la donne in generale, ed Elena specialmente. Se ce n'era una che poteva farlo definitivamente impazzire, era proprio lei.

«Ogni tre.» la corresse, saputo.

Lei si ritrovò a roteare gli occhi per istinto: riusciva a fare il saputello su qualunque cosa, era impossibile. «Il bello di quando dici queste cose in questi momenti...» si allungò verso di lui, intrecciando le braccia oltre il suo collo. «...è che non mi spiace tapparti la bocca.»

«Solo perché ho sempre ragione e a te dà fastidio.» ribatté il ragazzo, più per il piacere di darle torto – quindi dimostrare di non averlo lui – che per reale intenzione di fare conversazione.

Fu per questo che non la mandò avanti – avevano parlato pure troppo, per i suoi gusti – e le lasciò il piacere di credere di starlo zittendo proprio come aveva detto che avrebbe fatto, quando in realtà stava succedendo l'esatto contrario.

Scese con le labbra lungo il suo corpo, passando per lo sterno, stuzzicandole i punti sensibili con le dita, mentre si avvicinava all'ombelico con l'idea diabolica di non concedere assolutamente nulla finché lei non l'avesse pregato.

O finché fosse riuscito a resistere, e sarebbe stato difficile se quella ragazza continuava a offrirsi alla sua bocca con quell'abbandono e quei sospiri che erano letteralmente musica per le sue orecchie.

Nascose il sorriso soddisfatto contro la sua pelle, mentre si godeva le carezze della sua ragazzina.

«Sei morbida.» commentò, con la voce interrotta dai baci.

Elena tirò fuori un sorriso birichino che lo spiazzò totalmente. Si aspettava di essere perlomeno preso a manate, ora che aveva occasione di rifletterci su, avrebbe potuto voler insinuare che era grassa – niente di più falso, nonostante non capisse dove diavolo andava a finire tutta la roba che mangiava.

Eppure niente.

«Tu invece no.» osservò lei, con una tale malizia che non le avrebbe mai attribuito, così come non le avrebbe mai attribuito la sfacciataggine con cui fece scivolare le dita verso i fianchi ad accarezzarlo, giusto per sottolineare il concetto.

Damon abbassò lo sguardo, per poi risollevarlo complice. «Così però non vale...» fu un mormorio strozzato dal movimento deciso e studiato della mano di lei.

In realtà, Elena pensò che non valesse che si divertisse solo lui. Quindi, sfruttando il fatto che l'aveva in pugno sotto tutti i punti di vista, riuscì a conquistare la posizione che voleva: sopra di lui. Il fatto che avesse dovuto spingerlo giù dal divano per raggiungere lo scopo sembrò sfuggire ad entrambi.

E, in fondo, non era che un dettaglio trascurabile, dato che si erano ripromessi di battezzare ogni singola superficie di quella casa: il pavimento era soltanto una di quelle.

«Quindi...» ansimò il ragazzo, senza fiato. «...le coccole erano tutte una scusa per questo

«In realtà mi è venuta quest'idea in itinere.» replicò lei, in tono estremamente vago, lanciando uno sguardo disinteressato in basso, dove la sua mano tentatrice lo stava stuzzicando al punto da farlo suonare come un quindicenne.

Sorrise soddisfatta, mentre disseminava baci sul suo collo, continuando ad accarezzarlo, ma piano, sapeva che prima o poi sarebbe stato lui quello a pregare lei di fare qualcosa.

L'aveva visto dalla sua faccia che aveva qualcosa in mente, quando gli aveva chiesto le coccole, così aveva deciso di giocare d'anticipo. Stavolta toccava a lei decidere se, come e quando dargli cosa voleva.

Damon reclinò la testa all'indietro, sulla seduta di quel divano ad angolo che mai avrebbe pensato potesse essere comodo per posizioni del genere. Non rimase fermo a lungo, però, con gli occhi chiusi appoggiato al cuscino dietro di sé: la bocca di Elena stava disegnando un percorso sul suo corpo, e lui sapeva benissimo dove l'avrebbe portata.

La sola idea lo aveva eccitato definitivamente.

Si sollevò quindi per guardarla e scoprì che stava ricambiando lo sguardo. Santo Dio, avrebbe potuto davvero impazzire se l'avesse guardato in quel modo sempre, la seguì, anche se non nei movimenti perché la stava guardando negli occhi e ne sembrava rapito.

Quando fu certa di averlo completamente per sé, Elena spostò la bocca lì dove aveva le mani, e fu costretta a trattenere il sorriso che le venne spontaneo quando lo sentì gemere. Si sforzò di non interrompere il contatto visivo, e così fece lui, che ancora la guardava dritto negli occhi, lo fece tutto il tempo, anche quando si fece, come sempre, più coraggiosa e consapevole, soprattutto grazie alla sua espressione persa.

Lo riempì di baci e di carezze, cercando di essere insieme dolce e passionale, anche se in momenti diversi, e la cosa sembrava essere di suo gradimento, e per qualche ragione questo la riempì di orgoglio. Forse era la consapevolezza che era lei, era proprio lei a fargli quell'effetto.

Non che non ne fosse a conoscenza, ma avere conferme così concrete non le dispiaceva affatto.

Damon la avvisò con un mormorio incerto del suo nome che non sarebbe durato molto più a lungo, ma lei indugiò, incurante, ancora con le labbra attorno a lui, non diede cenno di volersi allontanare, e non lo fece: guidò il suo piacere proprio come voleva, successe esattamente quando e come aveva deciso lei.

Fu solo dopo che il ragazzo si concesse di chiudere gli occhi, col respiro affannato e la sensazione di essere stato completamente svuotato da ogni forza.

«Adoro la tua idea di coccole.» commentò, mentre riprendeva fiato.

Elena ridacchiò, prima di rintanarsi tra le sue braccia, non era una cosa che faceva spesso, le capitava di volerlo quanto desiderasse lui soltanto in occasioni particolari, un po' come quella, ma doveva ammettere che guardarlo le aveva dato una particolare soddisfazione.

La strinse, Damon, che avrebbe voluto farle più di una carezza, ma era troppo spossato per permettersi altro. Erano abbracciati, nudi, e adesso che non stavano facendo altro, il freddo di una casa che era stata disabitata fino a poco più di mezz'ora prima cominciava a farsi sentire.

Nessuno dei due sembrava intenzionato ad alzarsi, men che meno per accendere il riscaldamento, anche se ne sentivano entrambi bisogno.

«Non riesco ancora a credere a tutto quello che hai fatto stasera per me.» mormorò lei, contro al suo collo. In quel piccolo momento di pausa aveva avuto occasione di ripercorrere tutta la giornata, fin da quando lo aveva riavuto tra le braccia dopo così tanto tempo.

Non sembrava ancora quasi vero.

Damon le baciò la fronte. «Lo sai che mi piace esagerare.»

E poi non gli piaceva fare le cose in nessun modo che fosse meno di quello che riteneva adatto, perciò era esattamente quello che avrebbe fatto.

«Ti amo.» confessò la ragazza, sognante.

La presa sul suo fianco aumentò, a quelle parole che, per quanto prima avrebbe spergiurato di non avere il desiderio di sentirle, ogni volta che le uscivano dalle labbra era quasi come una rassicurante conferma che non si sarebbe mai stancato di ascoltare.

«Anch'io, piccola.»

Sarebbe arrivato anche il momento in cui fosse stato in grado di ripeterle a sua volta. Per adesso quella risposta sembrava bastarle, sapeva che l'ultima cosa che Elena voleva – quella che le bugie non voleva nemmeno raccontarle ai suoi genitori, figurarsi tra loro due – era che si sentisse forzato, e forse era per questo che non lo pressava mai.

Anzi, sembrava contenta che fosse riuscito a fare quel piccolo passo, e in effetti era così: a lei non interessava davvero se diceva quelle parole esatte, anche se le sarebbe piaciuto sentirle per il solo fatto che sarebbe stata anche la prima ad ascoltarle, quello che le importava era che fosse riuscito, finalmente, ad ammettere a se stesso che si era innamorato di nuovo e che non era poi così male.

Era felice che avesse smesso di demonizzare quel sentimento e, invece, coltivarlo. Era una delle poche occasioni che capitavano per essere felici, e loro sì che ne avevano bisogno.

Più tardi, quando riuscirono a raccogliere abbastanza forse sia per alzarsi che per accendere i riscaldamenti, stavano già discutendo se rivestirsi o meno: secondo Damon, era saggio – almeno per il momento, ma Elena non sembrava dello stesso avviso, dato che, conoscendosi e conoscendo lui, sapeva che non avrebbe tenuto addosso per molto nessun capo di abbigliamento.

«Su, non fare storie.» le disse, passandole una felpa. «È presto, sono quasi le undici, abbiamo ancora più o meno quattro ore per stare insieme. Posso togliertela quando voglio.»

E non dovevano per forza rotolarsi l'uno addosso all'altra per tutto quel tempo. Lui ne sarebbe stato felice, senza dubbio, ma non era certo di non poter incontrare le – alte, a quel punto era evidente – aspettative di Elena, a un certo punto.

«Almeno questa è asciutta, tanto ora la casa è abbastanza calda. Comunque, se hai freddo ti prendo qualcos'altro... anche se non ho niente della tua taglia.» concluse, prima di schioccarle un bacio stanco sulla bocca.

Lei la prese, sorridendo. «Va bene, ma se ti addormenti ti picchio.»

Cosa non si sarebbe fatto fare, da quella ragazza, supponeva di non saperlo nemmeno lui. Gli sarebbe piaciuto schiacciare un pisolino, dopo una notte passata completamente in bianco e il pomeriggio precedente a guidare, e sebbene l'appuntamento fosse finito in modo orribilmente diverso da quanto aveva programmato, colpa della pioggia, riposarsi due minuti non sarebbe stato male.

Aveva scoperto che Elena era una tipa abbastanza esigente, per quanto riguardava spendere energie, anche se non denaro.

E passava lui per il disumano.

«D'accordo.» concesse, suo malgrado. «Se questo può risollevare il gradimento sul finale di serata.»

Non aveva avuto granché modo di pensarci, il viaggio in auto era stato abbastanza silenzioso, tranne per il battere dei denti della ragazzina che si stringeva in quei vestiti che le aveva dato, e poi c'era lui che sgocciolava dovunque e che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, stava letteralmente morendo di freddo.

E poi lei gli aveva fatto perdere la testa in altri modi.

Si rendeva conto che la serata non era andata malissimo, ma la conclusione poteva essere rilevante, lui che ne sapeva?

Di appuntamenti non si era mai preoccupato, o se l'aveva fatto, la ragazza l'aveva scaricato ben prima di conoscerne le tappe.

«Perché è così importante?» gli chiese Elena, ammiccante. «Stai pensando che potrei rifiutare il secondo appuntamento?»

Non le interessava davvero che si fosse messo a piovere, per lei la serata era stata già perfetta così, contava solo stare con lui, in fondo. E avevano passato del tempo di qualità, il pre serata, la serata in sé, e anche il dopo serata che non era ancora finito, prometteva molto bene.

Aveva scoperto altre cose su di lui, sul suo passato, sulle donne che diceva di non aver amato. Chissà se, in materia, era solo cieco oppure sciocco.

Non lo sapeva, ma le faceva comunque una tenerezza incredibile. Lui che le aveva detto che aveva smesso di amare per undici anni, ma non era altro che un illuso.

Se avessero smesso di credere nell'amore, perché mai avrebbero avuto il desiderio di vivere?

«O non uscire più con me da qui al nostro quinto anniversario.» offrì lui, come se avesse potuto davvero essere una possibilità.

Lei rise. «Il quinto? Non esagerare, forse solo il terzo.» scherzò.

A quel punto, dato che non aveva davvero bisogno che parlasse, per capirla in quel modo profondo, intimo che aveva solo lui, Damon si chinò a baciarla, ma stavolta come si deve.

«Scaldati.» sussurrò, una volta che si fu allontanato, anche se di poco, dove ancora poteva sentire l'odore dei suoi capelli, della sua pelle.

«Voglio fare la doccia...» mormorò, timidamente, lei, in risposta.

Se c'era una cosa di cui era sicura, era che fino alle tre non voleva distanziarsi troppo da lui, il che implicava che non dovevano solo essere nella stessa stanza, ma appiccicati come se fossero improvvisamente diventati gemelli siamesi.

Si stava sforzando tanto per essere più esplicita anche in quel tipo di momenti, ma la sua indole tornava a farsi sentire quando il sangue le affluiva alle guance. Se erano persi nella loro intimità, Elena non sentiva il bisogno di doverci pensare, agiva d'istinto, non c'era posto per la vergogna, si sentiva così libera da non averne bisogno, ma quando il momento non era scottante, non era così facile abbandonare le inibizioni.

Si era aspettata qualche battuta, o almeno un sorrisino dei suoi, invece Damon aveva l'aria di chi si è appena ricordato qualcosa di importante.

«Sì, ottima idea.» si complimentò, e le fece cenno di seguirlo. «Le asciugamani sono...»

La ragazza sbuffò. «Ehi... ehi!» lo fermò, proprio mentre apriva la porta del bagno per mostrarle il mobile delle asciugamani. «Guarda che era un invito!»

Damon tirò su entrambe le sopracciglia, stupito più dal fatto di non averlo capito, troppo preoccupato che lei si riscaldasse, che per la proposta oscena che non sembrava tale, non da come l'aveva chiesto.

«Sai che è del tutto inutile, se entro con te. Giusto?» era più una domanda retorica. «Non dico che non mi piacerebbe, ma preferisco se non muori di freddo per causa mia... come ho detto, abbiamo un sacco di tempo prima che sia ora di portarti dalla Barbie.»

Sorpresa, Elena si sollevò sulle punte e cominciò a guardare dietro di lui, come se avesse nascosto qualcosa. «Cosa ne hai fatto di Damon?»

Finse di cercarlo, fino a fargli sbuffare una risatina.

«Mah... credo in un angolino, nella sua cabina armadio, a tracciare cerchi tutto depresso perché la serata è finita prima del previsto.» indicò vagamente la direzione da cui erano arrivati, con un gesto della mano.

A quel punto, bisognosa di convincerlo, Elena tirò fuori il labbro inferiore e sfoderò i suoi occhioni da cucciolo ferito. «Se prometto di fare la brava, fai la doccia con me?» gli chiese, sbattendo le palpebre.

Cercò di suonare più invitante anche tirando leggermente il lembo della camicia che aveva ancora in braccio, raccattata da terra dove l'aveva buttata lei.

Ma perché sprecare tempo, anche se ne avevano in abbondanza? Che poi, a lei non sarebbe mai sembrato tale.

Lui sorrise leggermente.

«Sono io che non farò il bravo, Elena.» le disse, nemmeno ci fosse stato bisogno. «Lo sappiamo tutti e due.»

Mentre corrugava la fronte, quasi offesa, la ragazza si domandò se stesse facendo il difficile di proposito. Gli strappò di mano la camicia, con malgrazia, senza più intendere aspettare.

«Chiudi il becco e muoviti, prima che ti butti sotto la doccia con le mie mani.» promise, facendolo ridacchiare.

Damon le puntò contro il suo indice sentenzioso, saputello, ma stava già camminando nella direzione del bagno, in cui lei lo stava spingendo senza ulteriori complimenti. «Non dire che non te l'avevo detto.»

E, poco dopo, per una volta, mentre la sua schiena incontrava le piastrelle della doccia di Damon, la ragazza si ritrovò a pensare che non era così male, quando aveva ragione.


Elena si ritrovò nel letto un momento dopo, minimamente impensierita dai suoi capelli leggermente umidi. Le era bastato quel «Può andare.» che il suo ragazzo le aveva sussurrato, dopo averci passato le mani con cura, per convincersi.

Non le importava niente, non quando le sue mani erano alla ricerca spasmodica del suo corpo e la spingevano a inarcarsi contro di lui per riempirle, per avere contatto fisico su ogni superficie disponibile.

Quello che non andava proprio era che lui avesse ancora addosso l'accappatoio. Forse si erano stuzzicati nella doccia un pochino, ma non le era affatto bastato, si era resa palesemente incapace di mantenere la promessa di fare la brava, ma non abbastanza da convincerlo a fare le cose per bene, come le sarebbe piaciuto che facesse.

«Maledetto... affare...» mugugnò, tentando di strappargli via dalle spalle quel pezzo di spugna fin troppo ingombrante, col risultato di farlo ridere allegro.

«Mmh...» commentò, malizioso. «Qualcuno, qui, è impaziente.»

Elena, per tutta risposta, lo liberò dell'accappatoio con stizza, sotto al suo sguardo divertito da tutta quella fretta, anche se la capiva benissimo.

Si era dovuto trattenere pur di non mancare alla parola data, e dopotutto gli ci voleva una pausa, e poi non voleva nemmeno suonare indelicato, alle orecchie di una ragazza sensibile come lei a certi argomenti, almeno non dopo un appuntamento che aveva rischiato di compromettere.

Per fortuna stavano recuperando con una parte piuttosto interessante.

«Non sei spiritoso.» gli ricordò, piccata e un po' irritata da tutta quella volontà di fare spirito. «Mi prendi sempre in giro... non ti sopporto.»

«Mmh... mmh...» mormorò lui, a mo' di assenso, e si beava di come la sua voce si fosse alzata di un'ottava non appena aveva impegnato la bocca in attività più redditizie che parlare, partendo da quel punto sensibile che aveva scoperto sopra la scapola.

«Ti odio...» sospirò Elena, sollevandosi un po' per permettere alla propria pelle di incontrare le sue labbra, mentre le mani scivolavano tra le sue ciocche scure, per spingerlo contro di sé e facilitare il lavoro di entrambi.

Non era una confessione credibile, e non solo perché Damon già sapeva che non era affatto così, dopo che gliel'aveva detto, ma il modo in cui l'aveva lasciata scivolare fuori dalle labbra era indice di tutt'altro.

Lui si tirò su nell'espressione di sfida più credibile che gli riuscisse, in un momento in cui era in grado di pensare decentemente solo a una cosa.

«Allora dimmi di smettere.» la provocò, ben sapendo - e soprattutto, sperando - che non l'avrebbe fatto mai. «Quando vuoi.»

E, tanto per esorcizzare il rischio, fece scivolare con studiata lentezza una mano tra i loro copri schiacciati l'uno sull'altro, solo per scoprire che non c'era mai stato: per quanto Elena volesse provare, a parole, di non essergli completamente succube da quel punto di vista, il suo corpo la smentiva in un modo veramente inequivocabile.

«Adoro quando sei così.» si permise di commentare, lasciando che la carezza che le riservò spegnesse tutte le rimostranze che non gli avrebbe risparmiato. Elena poté soltanto lasciar andare in un sussurro la preghiera che già lui poteva leggerle nello sguardo.

Gli si aggrappò al collo, quando Damon fece scivolare le mani sui suoi fianchi, con gli occhi fissi nei suoi, e un irritante sorriso soddisfatto sulla bocca.

Sapeva che quello era il momento in cui poteva permettersi un'affermazione del genere senza ripercussioni di genere, per lo più, fisico, specie ora che Elena aveva decisamente altro a cui pensare.

Poi, un momento dopo essersi piegato per baciarle le labbra, scivolò dentro di lei, e questa volta senza la lucidità necessaria per darle il tempo di capire che stesse succedendo, e a ricordarglielo ci pensò il grido che le suscitò.

«Ti ho fatto male?» le chiese, tra l'ansante e l'impensierito.

«No...» mormorò lei, scuotendo leggermente la testa, le labbra leggermente aperte e rosse per i continui morsi che si era data per non gemere - col risultato di produrne uno più forte degli altri e di averlo pure fatto preoccupare. «Non ti fermare...»

L'aveva solo colta un po' di sorpresa perché era solito aspettare un po': impegnava sempre del tempo nei preliminari, e a lei era venuto il dubbio che l'avesse sempre fatto per farsi pregare, non certo per essere sicuro che fosse... a suo agio.

Era snervante che riuscisse a fare consapevolmente lo stronzo anche durante il sesso, anche se era così dolce.

«Dio, quanto ti odio.» lo disse come se fosse stata la dichiarazione d'amore più sentita del pianeta.

Fu per questo che lui si permise di sorriderne, apprezzando l'assurdità di una frase del genere, quando lo stava stringendo tanto forte, quando ogni carezza, perfino, gridava l'esatto contrario. Forse era questo che rendeva fare l'amore con Elena tanto diverso, speciale.

Non si rendeva nemmeno conto se quella connessione particolare l'avevano ritrovata quella sera, c'era stata da sempre o se l'avevano costruita. Non avrebbe saputo dirlo.

«Io invece no.» le disse, quindi, e non c'era scherno nel suo tono di voce, tanto che Elena spostò le mani ai lati del suo viso per spingerlo contro il proprio.

Il bacio che si scambiarono fu dolce, non aveva nulla a che vedere con l'urgenza dei loro movimenti, di come i loro corpi si stavano cercando, era lento e carico d'emozione. Era tutto ciò che non riuscivano a comunicare in altro modo.

Fu lì, mentre le dita di lei scivolavano in quel particolare punto del retro del suo collo, sulla nuca, per avere una scusa per trattenerlo e, insieme, per fargli le coccole, che Elena si convinse che nessun altro uomo avrebbe potuto amarla come la amava Damon.

Se lo chiese solo dopo, quando ebbe lucidità sufficiente per farlo, se quella scintilla che aveva visto nei suoi occhi, quando si erano separati, se lo stesso pensiero fosse passato nella sua testa.

«Mi hai messo fuori uso.» si lamentò Damon, scherzosamente, poco più tardi. Piegò la testa verso di lei, stesa sull'altro lato del suo letto a due piazze, che rise divertita. «Dico sul serio.»

Elena gli lanciò uno sguardo perplesso, per niente convinta. «Ma come?» fece. «Non hai detto che avevamo ancora molto tempo prima di andare da Care? Credevo che volessi impiegarlo... com'è che hai detto quella volta? Ah, già: nella conoscenza del piacere

Lo scimmiottò al punto da fargli mettere un broncio che le venne improvvisamente voglia di riempire di baci. Cosa che fece rotolando su un fianco perché non aveva attualmente la forza di muovere un muscolo specie di braccia e gambe.

Si accoccolò su di lui, posando le labbra sulla sua guancia, leggere.

«Direi che per stasera possiamo considerarci soddisfatti.» osservò il ragazzo, esausto. «Non credi?»

Nel frattempo, la bocca di Elena si era già spostata verso altre porzioni di pelle, e lui aveva già capito che no, non credeva per niente.

«Mmh...» mugolò la ragazza, infatti non troppo d'accordo. «Veramente c'è ancora qualcosina che vorrei... testare

Quando era stata lì la prima volta era stato davvero motivo di disagio, ma adesso che erano soli, non vedeva perché non provare... anche se forse avrebbe davvero dovuto dargli due minuti per riprendersi. Avevano praticamente fatto un round dietro l'altro da che avevano sorpassato la soglia.

«Non riesco a tenere gli occhi aperti e tu parli di testare.» replicò lui, leggermente preoccupato. «Non so più nemmeno cosa significa.»

Certo le coccole non gli dispiacevano affatto, erano anzi un incentivo a rilassarsi. Chiuse un momento gli occhi, godendosi la sensazione della bocca di Elena sulla sua pelle, e il suo sorriso che gli accarezzava ogni angolo che riusciva a raggiungere.

«Be', uno dei due è ancora under ventuno...» commentò lei, sottile.

Si morse il labbro, allontanandosi, per trattenere una risatina: voleva disperatamente suonare seria, anche se non ci era affatto riuscita.

Damon aprì una palpebra, contrariato. «Stai dicendo che sono vecchio?» le chiese, prendendola per i fianchi. «Non ti permettere, ragazzina

Con un movimento fluido che confermò che non lo era affatto, intrappolò Elena sotto di sé e la costrinse contro il materasso pizzicandole i fianchi e facendole fare degli urletti sorpresi che si intervallavano a suppliche di finirla, singhiozzate tra le risate involontarie.

«No, di nuovo il solletico no!» lo pregò, quasi piangendo per il ridere.

Damon, impietoso, stavolta non si lasciò intenerire: lasciò che la sua ragazzina si contorcesse sotto alle sue mani, sapeva che lasciarle un minuscolo spazio avrebbe significato una rimonta da parte sua, anche solo con i suoi occhioni.

Invece, Elena non li sfoderò, riuscì ad agguantare il suo cuscino per usarlo come arma, tanto che il ragazzo dovette prendere le distanze, ma soltanto il tempo che bastò per rubarle quello che aveva sotto alla testa e iniziare una di quelle lotte di cuscini che, avrebbe giurato, succedevano solo ai pigiama party delle ragazzine nei telefilm per ad di quarta categoria per adolescenti che sicuramente Elena guardava.

Le sue risate si mischiavano con quelle di lei miste ai suoi gridolini, e lui che alternava solletico a cuscinate, oltre a quelle che usava per evitare le sue.

«Vittoria.» dichiarò il ragazzo, dopo averla intrappolata definitivamente con l'aiuto delle ginocchia e averle strappato di mano il cuscino.

Lo gettò a terra per paura che potesse recuperarlo.

Ma Elena aveva già capito che per ribaltare la situazione doveva usare un altro tipo di armi, così, piano, liberò le braccia per allacciarle dietro al suo collo e tirarsi su.

«Sbagliato.» mormorò birichina, contro le sue labbra.

Spostò le dita di una mano per accarezzargli i capelli, l'altra sul collo, passò con attenzione la punta della lingua sulle labbra del ragazzo che, con un ringhio, lasciò tutto ciò che aveva tra le mani per impegnarle sul corpo di lei.

Alla faccia della stanchezza.

Elena sorrise sopra la sua bocca. Vittoria un cavolo.

E così, come scusa per toglierlo di mezzo, prese il cuscino schiacciato tra loro, abbandonato. Si fece spazio per ribaltare le posizioni, e con un sorriso malizioso picchiettò il suo indice contro il suo naso. Senza cuscini doveva stare davvero scomodo, sul materasso, per fortuna stavano per alzarsi...

«Che intenzioni hai?» le chiese, intrigato.

La ragazza si morse un labbro per reprimere la risatina che le fece vibrare lo stomaco. «La prossima volta ricordami carta e penna per farti i disegnini.»

Intanto disegnò un percorso astratto sul suo petto, mentre lui tirava su il suo famoso angolo della bocca, invece di replicare a tono: non gli interessava tanto parlare, ma il contorno invece sì.

Però quello che aveva in mente Elena non riguardava quel letto. «Chiudi gli occhi... e cercami.» sembrava che la prospettiva la entusiasmasse.

La faccia di Damon non rispecchiava affatto il suo stato d'animo. «Cosa? Non se ne parla.»

E non era il tono da "non se ne parla" di qualcosa che lei voleva di solito, le solite cose stupide che l'avrebbe comunque costretto a farlo, quello era proprio perentorio.

«Sei un...» fece, sorpresa che non si prestasse a una cosa del genere. Le sembrava... sexy.

O forse no?

«Bue.» completò per lei, con una sorta di rassegnazione nella voce. «Ma non mi vesto da mosca cieca per rincorrerti in giro per la casa come un coglione.»

Per quella battuta, si guadagnò una botta sulla spalla, qualcosa che si era aspettato praticamente tutta la sera, ed era arrivato solo quando avrebbero dovuto dedicarsi ad altro.

Certo che quella ragazzina era proprio incapibile.

«Stavo per dire guastafeste.» lo corresse, mettendo su il suo broncio seccato. «Pazienza, se non vuoi giocare con me...»

Afferrò il cuscino e si alzò, lasciandolo letteralmente con un palmo di naso: non trovava giusto essere così palesemente provocato solo per essere lasciato lì come uno stupido, quando era stato il primo a voler dormire.

Adesso non era poi questa grande priorità.

«Ehi!» la richiamò, infatti. Abbandonò la testa sul materasso, frustrato. «Dove vai?»

Doveva sul serio inseguirla per tutta la casa facendo finta di non guardare? Non lo conosceva abbastanza da poter dire che avrebbe barato da minuto uno?

«A dormire lontano da te.» gli fece una linguaccia e si diresse verso la cabina armadio. Non avrebbe mai potuto confessare perché voleva portarlo là dentro, o l'avrebbe perseguitata come minimo per settimane con quella storia, proprio come aveva fatto la prima volta, quando gli aveva chiesto di farlo sulla sua scrivania, a casa dei suoi genitori.

Sapeva che le sarebbe andato dietro, anche solo per assicurarsi che non fosse davvero arrabbiata con lui.

«Elena...» la chiamò, con una specie di lamento.

Dopo, la seguì come da lei previsto, con la missione di riportarla a letto e chiedere perdono in quel modo che gli riusciva così bene, per il grave crimine commesso.

Più andava avanti la serata e più Damon era consapevole che Elena era un mistero che non avrebbe mai risolto, o meglio non avrebbe mai capito cosa l'avrebbe fatta arrabbiare prima di farlo.

Lei, però, era già passata oltre, ferma di fronte al pouf nero, quello che non aveva avuto il tempo di apprezzare davvero la prima volta che era stata lì e che aveva tutta l'intenzione di testare.

O l'aveva avuta.

Sul fondo della stanza, vicino al comò, c'era qualcosa che il giorno di Miss Mystic Falls non era stato lì, perché la casa, a parte i mobili, era stata completamente vuota.

«Ma hai una chitarra!» si girò verso di lui, per niente stupita di trovarlo sulla soglia della porta scorrevole. «Suoni?»

Non le aveva mai detto che sapeva farlo. Non che l'argomento fosse mai venuto fuori.

«No, è lì perché mi piace fare il figo mentre mi fingo un barbone.» scherzò lui, braccia conserte e una spalla appoggiata allo stipite. Si stava godendo una visuale abbastanza ampia del fondoschiena scoperto della sua ragazza. «Non mi hai riconosciuto fuori dal supermercato, l'altro giorno, scusa?»

Elena roteò gli occhi, ignorando la provocazione: era più interessata a un altro aspetto. «Mi fai sentire qualcosa?» chiese, dolcemente.

La richiesta sembrò spiazzarlo.

«Non credevo mi avessi portato qui per suonare.» osservò.

E in effetti aveva ragione, solo che adesso le priorità di Elena erano un pochino cambiate. C'erano stati più momenti in cui si era resa conto di sapere davvero poco su di lui, lungo la serata e, per quanto adorasse il sesso con lui, aveva bisogno di colmare anche quei vuoti.

«Be', prima non sapevo che sapessi farlo.» si strinse leggermente nelle spalle, poi tirò fuori il labbro inferiore, leggermente. «E dai... per favore

Sconfitto, Damon tirò su le mani in segno di resa. «Okay, okay.» acconsentì, ma a una condizione: «Niente Taylor Swift, però!»

Lei si affrettò ad annuire, già solo contenta di averlo convinto. Non avrebbe mai detto che era un tipo da chitarra, anzi, non lo vedeva proprio come un musicista... chissà se anche lui, a diciassette anni, aveva avuto il suo periodo dei capelli lunghi.

«Quello che vuoi tu.» gli disse, cercando di immaginarselo con quelle ciocche scure che gli arrivavano almeno alle spalle.

Ma no. Molto meglio così.

«Lo so che è una tua fantasia farmi suonare nudo.» le rinfacciò, con uno sguardo per niente timido.

L'affermazione, che dopotutto non era poi così falsa, le fece mordere l'interno della guancia, per evitare di confermarla con qualche espressione, anche se lui naturalmente, non aveva bisogno di nessuna comprova.

«Credevo fosse la fantasia di ogni ragazza sulla faccia della Terra.» commentò lei, quindi.

Lui rise. «Stai tentando di adularmi?»

Come se ci fosse stato bisogno.

«Ci sto riuscendo?» ribatté la ragazza, fingendosi più innocente di quanto non fosse.

Si accomodò sul pouf, col cuscino tra le braccia, sentendo una strana agitazione in fondo allo stomaco: Damon – senza vestiti – con in braccio la chitarra era una visuale che non aveva prezzo. Aveva un modo elegante di sorreggerla, e un ché di affascinante in quello in cui osservava la paletta mentre sistemava i piroli.

Era una di quelle classiche, di colore chiaro.

Chissà quante altre volte l'aveva suonata... o per chi. Magari per la sua amica Rose – una di quelle amiche che, all'inizio, aveva spergiurato di non aver mai avuto.

«Decisamente sì.» le confermò, poi, distogliendola dall'analisi dei suoi movimenti. «Sappi che sono un fan del country, quindi se non ti piace dillo subito.»

«Non ho mai ascoltato il country.» confessò la ragazza.

Eccezion fatta per le prime canzoni di Taylor Swift, ma avevano già stabilito che era oltre le richieste.

«Ma che razza di americana sei?» scosse la testa pieno di disapprovazione, prima di sussurrare: «Incredibile!» come se davvero non potesse crederci.

Ma che c'era di male? La Virginia non era esattamente un posto country.

«È un po' di tempo, quindi se fa schifo...» la avvisò, prima di prendere un plettro blu da uno dei cassetti del comò. «...be', è per quello.»

Il sorriso di Elena si distese, a quella aperta confessione. Sembrava quasi timido, come se temesse il suo giudizio.

Dolce.

Sembrava addirittura quasi indifeso, forse le stava esponendo una parte di se stesso che, o non intendeva condividere – almeno non quella sera – con lei, o che non aveva mai condiviso con nessuno.

«Chi ti ha insegnato?» gli chiese, proprio quando stava per passare le dita sulle corde.

Lo sguardo di Damon sembrava perso in un qualche ricordo di chissà quanto tempo prima. «È stato Enzo.» le raccontò, con una strana nostalgia. «Ha giurato che il suo compagno di malefatte non poteva non sapere com'era fatta una chitarra, e così mi ha praticamente costretto.»

Elena non disse nulla, sapeva che non era tutta la verità, perché non ce lo vedeva proprio Damon che si faceva costringere da qualcuno a fare qualcosa contro la sua volontà, ma decise di non fare domande, se era una cosa che voleva tenere per sé.

Abbracciò il cuscino che aveva ancora con sé, sistemandosi più comodamente. Lui era appoggiato contro il mobile alle sue spalle, e non sembrava nemmeno un po' a disagio per la mancanza di vestiti.

Un momento dopo, le sue dita, delicate, andarono a pizzicare le corde, diffondendo nella cabina armadio una melodia che Elena era sicura di non aver mai sentito: non le aveva detto nemmeno il nome del pezzo, o se aveva un significato particolare.

Non ebbe bisogno di aspettare molto di più: la sua voce profonda cominciò ad accompagnare le note, facendole strozzare il respiro in gola. Era bravo, ma questo avrebbe già dovuto saperlo, visto che lo era in tutto il resto, ma era l'emozione che ci stava mettendo, dentro quelle parole, a spezzarle il cuore.

Non ci mise molto a capire dove frasi come "I just gotta let you know what it is that won't let me go" voleva andare a parare.

Devo solo farti sapere cos'è che mi trattiene.

It's your love.

È il tuo amore.

Strinse il cuscino come se avesse dovuto strozzarlo, mentre le saliva il magone, le graffiava la gola come se avesse avuto gli artigli e la stesse pregando di farlo uscire. Ma non voleva interromperlo, perciò si teneva la commozione incastrata negli occhi lucidi, mentre lo ascoltava confessarle il suo amore, quello che non era mai riuscito a dirle, finora, nonostante gli sforzi.

Non la stava guardando, Damon, aveva gli occhi puntati sulla parete al suo fianco, conscio che, invece, Elena lo stava fissando come si fissa un cane abbandonato.

I can't get enough and if you wonder about the spell I'm under it's your love.

Sarebbe sembrata una frase sdolcinata per chiunque, ma era la verità: non poteva averne abbastanza e davvero il suo amore sembrava un incantesimo.

Better than I was more than I am and all of this happened by takin' your hand.

Migliore di quanto ero, più di quello che sono, e tutto questo è successo prendendoti la mano.

Sembrava che quelle parole gli fossero state cucite addosso perché, dopotutto, non c'era niente di più vero. La metaforica mano era stata una birra, condivisa su degli spalti scomodi, sporchi e bui, mentre avevano la loro prima, vera conversazione.

And who I am now is who I wanted to be and now that we're together I'm stronger than ever I'm happy and free.

E chi sono adesso è chi volevo essere e ora che siamo insieme, sono più forte di sempre, sono felice e libero.

Elena non riuscì nemmeno ad aspettare la fine della canzone che già piangeva come una bambina, le lacrime che venivano assorbite dalla federa, cercava di trattenere i singhiozzi per non interromperlo.

Ci nascose la testa dentro, nel caso lui avesse dovuto guardarla, non voleva farlo restare male, ma un attimo dopo sentì il suo braccio sfiorarle la spalla.

La canzone doveva averla finita.

«Come si chiama?» gli chiese, anche per impedirgli di fare domande.

«It's your love.» sussurrò lui, abbandonando il plettro per asciugarle una guancia. «Tim McGraw, andava parecchio tra i musicisti quando frequentavo il College.»

Tentò di sdrammatizzare così, e la bocca di Elena si piegò in un sorriso leggero.

«Non so nemmeno chi sia.» confessò, con la voce un po' impastata dal pianto silenzioso. «Però so che Taylor Swift lo ha nominato in una delle sue canzoni. Non sei andato molto lontano.»

Damon scosse la testa. «Gioventù sprecata.» fu il suo scherzoso commento.

Ma il momento di scherzare era finito: Elena si asciugò definitivamente le lacrime e lo aiutò a liberarsi della chitarra per poterlo abbracciare forte, dopo aver lanciato il cuscino per terra.

«Ti amo davvero tanto, Damon.» mormorò gettandogli le braccia al collo, un attimo prima di tappargli la bocca con un bacio che lo lasciò senza fiato.

Lei non aveva canzoni, gesti eclatanti, o cose da ricordare come quelle che faceva lui per farle capire quanto a lei ci tenesse, lei poteva solo dirlo, non aveva altro modo di comunicarglielo.

E sembrava strano, impossibile, folle che dopo così poco tempo fossero entrambi così coinvolti, così incapaci di pensarsi, al momento, senza l'altro. Damon aveva avuto ragione, quando le aveva detto che sarebbe stata una difficile dipendenza, ma aveva avuto torto su un'altra: non faceva schifo.

Affatto.

Perché quella sensazione di formicolio allo stomaco quando la toccava era la cosa più bella che avesse mai provato, il tocco delle sue labbra, delle sue mani, la libertà più vera che avesse mai assaggiato.

Mormorò di nuovo il suo nome, quando finirono stesi sul pouf, con le labbra incollate, a dare conferme, piuttosto che piacere.

Non lo sentiva solo Elena, stavolta non era semplicemente lo sfogo di un bisogno. Era solo un altro modo per dichiararsi, a Damon pareva di aver fatto altro tutta la sera, continuamente, iniziando dal Topolino, con la cena, con il dolce e poi anche con la canzone, eppure non gli sembrava che fosse abbastanza.

Si avventò famelico sulle labbra della sua ragazzina, per quanto entrambi fossero arrivati al limite delle forze disponibili, era come essere sazi ma avere davanti il proprio piatto preferito: sarebbe stato meglio sentirsi scoppiare piuttosto che lasciarlo lì, e per loro era lo stesso.

Elena non poteva non stupirsi di quanto fosse ogni volta diverso, l'aspettativa era sempre la stessa, il bisogno del suo corpo anche, ma le sue emozioni non lo erano mai, come in questa, quando era tutto basato sul dare piuttosto che sul ricevere.

Piano, piano iniziava a capire perché avesse avuto tanta paura, prima, di andare a letto con uno come Damon. Non era la paura di soffrire – o non solo – era quella di non poter dimenticare, anche se ciò che avevano condiviso prima era andato già troppo in là per poterlo fare.

Ma non avrebbe mai saputo cos'era quel bisogno consumante che coinvolgeva ogni singolo centimetro del suo corpo, finché non ci era stata a letto poteva pensare che sarebbe stato come in passato, e invece era troppo di più per poter anche solo sperare, in futuro, di farsi andare bene qualunque altra cosa che fosse da meno.

Damon aveva avuto ragione, quando l'aveva presa in giro sul fatto che l'avrebbe rovinata per qualunque altro uomo fosse venuto dopo, e lei era arrivata a sperare che non ce ne sarebbe stato uno.

Erano così perfetti, insieme, che Elena non riusciva a immaginare di poter amare un altro al posto suo, di stare in quel modo con un altro che non fosse lui. Avrebbe dovuto sentirsi patetica se provava quello dopo solo un paio di mesi? Lei era solo felice.

E anche lui lo era, lo sapeva dal sorriso che stava baciando, era uno di quelli che Damon si concedeva poco spesso. Non ebbe più, però, modo di continuare a ragionare quando quel sorriso scese dalla sua bocca verso il collo, e lei si ricordò improvvisamente perché aveva tanto insistito per portarlo lì dentro: sentiva le sue mani e poteva vederle.

Lo specchio sul soffitto le offriva una visuale completa di ciò che stava succedendo su quel pouf.

Vedeva e sentiva tutto, non aveva più bisogno di immaginarsi, tramite la sensazione sotto le dita, ogni singolo movimento del suo compagno, o il modo in cui le sue gambe gli cingevano la vita.

Fece scorrere la mano dal suo collo alle sue spalle, quasi che non potesse credere di stare guardando se stessa, anche se era troppo lontano per notare le labbra rosse, semiaperte, le guance in fiamme.

Finché non sentì più – e non vide più – il suo ragazzo baciare ogni centimetro di pelle disponibile.

«Sei distratta.» la rimproverò, forse ferito da tale mancanza, dato che non aveva mai dato modo a nessuna ragazza di distrarsi mentre lui si dedicava a certe attività.

Men che meno la sua.

Elena sorrise. «Sto guardando noi.» rivelò, senza vergogna. In effetti, loro due erano una bella cosa. «Te l'ha mai detto nessuno che hai la schiena più sexy del pianeta? Credevo che la perfezione si fermasse solo al fondoschiena, e invece...»

«Siamo tornati alle lusinghe?» le chiese, di rimando. «Non credevo ti avrei scoperta una guardona.»

La punzecchiò così, mentre lei cercava di ribattere che 'guardona' non era esattamente il termine da usare in una situazione del genere. Non poteva spiare se stessa, no?

Non le diede il tempo di dire una parola, perché le sue labbra furono coperte da quelle di lui.

«E, soprattutto, c'è un modo migliore.» le disse, con voce roca, proprio vicino al suo orecchio. Di nuovo, non le lasciò che il tempo di un gridolino sorpreso, mentre la prendeva per il retro delle ginocchia e la spostava sul pouf. «Così.»

Le inclinò la testa per farle capire, e adesso c'erano due specchi: uno sopra di loro, l'altro in linea con le loro teste, sul muro, quello che era alto quasi fino al tetto.

«L'hai scelto tu questo, vero?» gli chiese, con la voce sporcata di un tono pregante, mentre tornava a stuzzicarla con le mani e i denti. «È proprio da te.»

La risata di Damon si perse sopra il suo sterno. «Senti chi parla.» dopo, le spostò di nuovo il viso, ed Elena, finalmente, riuscì a capire cosa vedeva la gente da fuori quando Damon la guardava. «Ora guarda.»

Il respiro le si mozzò in gola, quando incontrò gli occhi di lui sulla superficie riflettente, erano così vicini che non poteva non cogliere ogni dettaglio della sua espressione... e della propria.

Non si era mai davvero soffermata a pensare a come doveva apparire lei, durante un rapporto. Non si era mai preoccupata di potergli sembrare poco attraente, forse perché mai l'aveva fatta sentire tale, e in effetti, anche se era tutta spettinata, con nemmeno un filo di trucco, aveva il viso acceso dall'emozione e gli occhi pieni di desiderio per lui.

La sorpresa che le coprì il volto e la vampata di calore che la sconvolse, quando, senza preavviso, si unì a lei, fu chiara come il sole, sullo specchio. Ansimò, combattendo lo sforzo di chiudere gli occhi per il piacere.

Lui sembrava esageratamente soddisfatto dalla sua reazione, e le sorrise beffardo da lì, nel suo riflesso, facendola arrossire come un peperone.

Scese a baciarle la spalla, ma sempre tenendo gli occhi ben fissi in quelli di lei. Lei che riusciva a vedere il modo quasi spasmodico in cui gli era avvinghiata, del movimento dei loro fianchi completamente sincronizzati, come se parlassero una lingua che potevano capire solo i loro corpi.

Tornarono a guardarsi, occhi negli occhi, senza più nessun tramite, e così vicini, gli occhi di Damon erano tanto belli che le portavano via il poco fiato rimasto.

Elena gli prese il volto tra le mani per baciargli la bocca.

Lui non avrebbe mai potuto crederla una guardona – e non lo era! –, lei invece non avrebbe mai creduto di potersi eccitare più di quanto già non fosse solo guardando se stessa e lui insieme.

Fu lì che pensò di osare: strinse un po' di più le gambe intorno ai suoi fianchi e lo costrinse a girarsi sulla schiena. Si fermarono un momento, un po' per riprendere fiato, un po' per aggiustarsi sul cambio di posizione.

«Ora tocca a te.» fece la ragazza, senza fiato, spostandosi i capelli un po' sudati dalla faccia, con fare seccato.

Damon portò di nuovo le mani sui suoi fianchi, un po' intrigato. «Sono tutto tuo, ragazzina.»

Delle tante cose che aveva provato nella vita, doveva ammettere che guardarsi mentre faceva sesso non era mai stata una di quelle. Non gli era mai nemmeno passato per la testa, se doveva essere sincero, doveva ammettere però che guardare entrambi aveva il suo appeal.

Reclinò quindi la testa, proprio come gli aveva chiesto, e fece scorrere le mani sul suo corpo, fino al seno, e fu strano sentire la sua pelle sotto le dita e guardare come se fosse un altro a farlo, era insieme disturbante ed eccitante.

Elena, nel frattempo, fece leva sul suo petto con le mani per aiutarsi a muoversi e avere, insieme, una scusa per toccarlo.

«Lo vedi?» le chiese, rauco, guadagnandosi, uno sguardo perplesso nello specchio. «Sei...» si interruppe per soffocare un gemito «...perfetta.»

Si beò ancora un po' della sua sorpresa, nel sentirgli dire quelle parole, poi decise che ne aveva abbastanza di aspettare, di essere torturato da quell'estenuante ritmo che aveva scelto per entrambi, così si tirò su a sedere e le afferrò il fondoschiena. La strinse così forte che quasi sembrava un morso.

Elena tirò indietro il collo, gemendo il suo apprezzamento. Non c'era nessuno specchio in cui guardare sull'altra parete, ma non per questo fu meno intenso.

Il ritmo si fece insostenibilmente estenuante, e il piacere travolse entrambi come un'onda inaspettata, insieme. Perfino i loro respiri avevano lo stesso ritmo spezzato, tanto che Damon non riuscì a mantenere entrambi in quella posizione e si accasciò di nuovo contro il pouf, senza lasciarla andare.

Non parlò per un po', e non lo fece nemmeno lei, che l'unica cosa che aveva fatto era restare aggrappata alle sue spalle, con la sensazione che non sarebbe più tornata a respirare normalmente.

Era distrutta al punto che le si chiudevano gli occhi come armati di volontà propria, colpa forse anche delle carezzine di Damon sulla sua schiena.

«Stanca?» le chiese, piano, sapendo di essere il primo a trovarsi in quelle condizioni.

Lei mugolò un assenso parzialmente incoerente, già per metà nel mondo dei sogni, era troppo debilitata anche solo per pensare. Damon lo prese come un invito a riportarla da dov'erano venuti, quella parentesi nell'armadio proprio non l'aveva capita anche se, alla fine, aveva avuto i suoi risolti positivi e divertenti.

Certo non avrebbe mai ammesso di essersi sentito un completo coglione mentre cantava una canzone d'amore – cioè, lui, Damon Salvatore, che faceva una specie di serenata a una ragazza? –, ma sembrava piuttosto ragionevole per un appuntamento.

Ma, di nuovo, lui che ne sapeva? Comunque Elena sembrava esserne rimasta contenta, perciò chi era lui per giudicare? Soprattutto a quell'ora, che non aveva idea di quale fosse.

In ogni caso doveva essere ancora presto, non era passato poi molto da che erano arrivati, perciò potevano anche permettersi un pisolino, anche se era sicuro non avrebbe dormito granché con Elena nello stesso letto: si muoveva più di un'anguilla.

La posò dolcemente tra le coperte e lei mugugnò un: «Cuscino.» solo vagamente comprensibile.

Così, lui lo raccolse da terra, anche se l'altro era rimasto vicino al pouf. Supponeva che avrebbero dovuto condividerlo, ergo davvero poco sonno per lui.

Le donne!

«Vieni qui.» biascicò la ragazza, allungò le braccia, afferrandogli i capelli e lo costrinse ad appoggiare la testa sul suo seno. «Sei il mio orsacchiottone abbraccioso

Damon rise. «Credo che tu sia di nuovo ubriaca, Elena.» commentò, prima di darle un bacio sullo sterno. Chi l'avrebbe mai detto, pensò, che, in fondo, in fondo – molto in fondo –, avesse ragione.

Chiuse gli occhi, davvero esausto e con troppo sonno arretrato, anche solo per accorgersi delle assonnate e distratte coccole con cui Elena lo stava aiutando inconsapevolmente a prendere sonno.

Nessuno dei due, quando riaprirono gli occhi più tardi, aveva ancora voglia di alzarsi da quel materasso, per questo restarono pigramente a stuzzicarsi tra le lenzuola, tra baci e qualche pizzico sui fianchi che faceva sobbalzare Elena come se avesse preso la scossa elettrica.

In quelle occasioni, Damon si beccava un'occhiataccia che spariva quando decideva di impersonare il suddetto orsacchiottone.

E tutto questo restando l'uno sopra l'altra, finché non ci fu un rumore particolarmente familiare a spezzare il silenzio rilassato che si era creato a un certo punto.

Elena rise, mentre gli accarezzava piano la nuca. «Ho una fame da lupi.»

Le sembrava di non mangiare da mezza giornata, e invece doveva essere solo qualche ora, quello era certamente il prezzo da pagare per passare del tempo con Damon.

«Che strano...» commentò ironico il ragazzo, ancora assonnato ma divertito. «Dammi solo due minuti.»

«Spuntino di mezzanotte?» chiese lei, già pregustandosi uno dei suoi manicaretti. In casa, magari, non aveva granché, visto che ci aveva messo piede per la prima volta dopo Miss Mystic Falls, ma tanto sapeva che avrebbe potuto rendere appetitosa qualunque cosa.

Damon corrugò la fronte. «Non so nemmeno che ore sono.» in effetti, non aveva nemmeno idea se avessero sforato o meno l'orario.

Le persiane erano tutte abbassate – non c'era stato tempo per andare ad aprire, da che era tornato, quindi aveva lasciato tutto chiuso come quando era andato via – e non filtrava nemmeno un raggio di luce. Ancora non c'era la sveglia sul comodino, né un orologio in cucina, perciò gli unici funzionanti erano in bagno, oppure quelli dei cellulari... dove diavolo erano i loro cellulari?

«Ho il telefono in sala, da qualche parte.» rifletté Elena, accorgendosi della stessa cosa.

Non sembrava, però, che nessuno dei due avesse gran voglia di controllare. Le coccole di Elena tra i capelli non lo invogliavano a muoversi, e lei stava troppo comoda per pensare di farlo, anche con lui addosso. Era così stanca – piacevolmente stanca – che stava anche considerando l'idea di dire a Caroline di coprirla sul serio, per il giorno dopo.

Ma il telefono era troppo lontano, davvero troppo.

«È ancora presto.» sentenziò lui, perché era più comodo pensarla così. «Aspetta ancora un po'.»

Fosse stato per lui si sarebbero anche fatte le sette del mattino, proprio non la capiva tutta quella riluttanza a chiamare la sua amica Barbie anche prima, piuttosto che scapicollarsi per fare tutto in una sera sola. Ma gli era ben chiaro che Elena non era contenta, tante volte, se non riusciva a complicarsi la vita, perciò non si preoccupò nemmeno di proporlo.

Sapeva che avrebbe fatto qualunque cosa lei gli avesse chiesto, anche se fosse stata la più ridicola del repertorio, dopotutto si era scaricato un'app di messaggistica con una foto profilo che si sarebbe vergognato di far vedere a chiunque, pur di stare in contatto con lei il più possibile.

Si sforzò di non trovarsi ridicolo per il desiderio di sentirsi quel ragazzino che, in fondo, non era mai stato. Con Elena era così straordinariamente semplice da sembrare banale.

«Dovremmo farlo più spesso.» le uscì detto, distrattamente, mentre ancora gli accarezzava i capelli, persa nel suo personalissimo mondo.

Damon spostò la testa solo per guardarla perplesso. «Più spesso di così?» non avrebbe potuto reggere il ritmo, nemmeno con un miracolo. «Davvero mi verrebbe un infarto ogni finesettimana.»

Una spinta sulla spalla gli fece capire che non si stava riferendo alla loro attività fisica. «Intendevo un appuntamento, stupido!» precisò, infatti, lei, corrucciata. «Il sesso è molto più di quanto possa sopportare.»

Non che le dispiacesse, e in effetti non le dispiaceva nemmeno sentirsi spossata in quel modo, se era per il sesso, la fortuna di quella sera era che avevano già fatto tutto il resto prima. Non voleva che fosse in alcun modo limitante per le altre cose, ma avrebbe anche volentieri evitato i leggeri dolori muscolari che ne seguivano.

«Infatti lo so, è un supplizio.» la prese in giro: erano entrambi ben consapevoli che era più lei ad iniziare, che lui, l'aveva da poco dimostrato. Poi le accarezzò un fianco. «Scherzi a parte, tutto okay?»

«Sì, ho solo tanta fame!» ripeté lei, indicandosi lo stomaco ancora brontolante. «Potrei trangugiare te, ma poi addio al nostro fantastico sesso.»

Con un sospiro a metà tra il rassegnato e l'incredulo, Damon si tirò su. «Sei una cicciona!» la accusò, offeso che le coccole fossero improvvisamente finite per colpa della sua incapacità di tenere qualcosa nello stomaco per più di dieci secondi.

Scavò in uno degli scatoloni sotto la scrivania per tirare fuori un paio di pantaloni di una tuta.

«Sono perfetta!» lo scimmiottò, facendogli la linguaccia.

«Dai, muoviti, signorina perfezione.» le lanciò una sua vecchia felpa del College, visto che non c'era traccia dei suoi vestiti nei dintorni. «Pancake?»

Non fece in tempo a passare davanti al letto che Elena, presa dell'euforia, gli si aggrappò al collo con le braccia e alla vita con le gambe, proprio come il koala che Damon la accusò di essere un momento più tardi, mentre scuoteva la testa.

«Con lo sciroppo al cioccolato?» gli chiese, invece di ribattere che non era per niente un koala. Aveva troppa fame e troppa voglia di cioccolato per poterci anche solo provare.

«Vediamo se ce l'ho nella dispensa, okay?» le diede un piccolo bacio sulle labbra. «Anche se ho voglia di fare tutt'altro che cucinare.»

Per sottolineare il concetto, sulla strada, la schiacciò sulla soglia della camera da letto, contro lo stipite, accendendo lo sguardo di lei di una malizia che difficilmente si sarebbe stancato di guardare. Elena gli rivolse un sorriso consapevole, abbassando gli occhi sulla prova fisica di ciò che diceva.

«Dopo.» gli assicurò, premendosi contro di lui più che poteva. «Prima si mangia.»

Damon tirò fuori lo sguardo da cucciolo: se funzionava su di lui doveva funzionare su di lei. Quello che non aveva contato, era che le donne sanno essere più insensibili a simili trucchetti, o almeno, lo era Elena, che si limitò a schioccargli sulla bocca un bacio di consolazione.

«Su, su, signor bellezza.» lo incitò, per niente intenzionata a scendere e andare in cucina sulle proprie gambe. «Dobbiamo anche guardare che ore sono.»

Corrucciato, Damon la portò in cucina. «Se è tardi, niente spuntino.» era una minaccia a vuoto: se anche fossero state le sei del mattino, tanto la Barbie, sospettava, avrebbe coperto la sua migliore amica senza fare domande.

Per questo, forse sapendolo, nessuno dei due si preoccupò di farlo davvero, e Damon appoggiò la ragazza sul ripiano accanto ai fornelli, ma prima che potesse pensare di prendere la padella, Elena l'aveva già coinvolto in un bacio che non gli faceva certo mettere da parte le precedenti intenzioni.

«Ragazzaccia...» mormorò, contro la sua bocca. «Smettila, o i pancake verranno tutti bruciati... ammesso che tu riesca a mangiare nei prossimi quaranta minuti.»

Sembrava un'idea parecchio allettante, ma poi cominciò a brontolare anche lo stomaco di Damon, e spezzò un po' quell'atmosfera tesa che si era creata, il genere di teso che si forma quando non sai se aprire lo sportello delle pentole o strappare la felpa di dosso alla tua ragazza.

Non senza un pizzico di amarezza, optò per la prima delle due.

«Dopo.» ripeté Elena, cercando di tranquillizzarlo con una carezza dolce sul collo. «Sciroppo?»

Lui respirò a fondo, rimettendole a posto la mano, per non cadere in tentazione. «Ah, sì... giusto.» l'aveva anche dimenticato.

Fortunatamente, aprì uno sportello sulla sua testa e lo sciroppo era là, nemmeno avesse voluto farsi trovare. La spesa l'aveva fatta sua madre, gli aveva comprato delle cose non deperibili, così che quando si fosse finalmente trasferito, avrebbe portato il resto da sé.

E lui, di sciroppo al cioccolato, davvero non ne mangiava. Quella donna ne sapeva una più del diavolo.

«Sì!» trillò lei, battendo le mani per l'eccitazione e la contentezza, non appena lo vide. Glielo strappò quasi di mano, per stringerselo al petto nemmeno fosse stato un regalo da diecimila dollari, ma forse per lei era più importante riempirsi la pancia, rifletté lui, che l'ego.

Strana ragazza. Lo pensò sempre di più quando, mentre mescolava le uova al burro, e lei si spremeva il cioccolato sulle dita per poi mangiarlo.

«Che c'è?» gli chiese, quando lo beccò a guardarla strano.

Lui fece un lieve cenno di diniego con la testa. «No, niente.» meglio non farle sapere che la trovava carina anche quando chiunque altro gli sarebbe sembrato disgustoso.

O chissà che aggettivo poco virile avrebbe affiancato ad abbraccioso la prossima volta. Non era tanto sicuro di volerlo scoprire.

Senza capire, e pensando che volesse favorire, Elena gli allungò il barattolo.

«Non ci posso credere, ragazzina.» la ammonì, scherzoso, mentre lei era sempre più confusa. «Stai davvero proponendo di giocare con il cioccolato, dopo

Dubbiosa, Elena alternò lo sguardo tra lui e la boccetta. «Solo se posso metterlo anche sui pancake!»

Damon scoppiò a ridere pensando che, sì, era proprio perfetta.

Fu preoccupante pensarlo anche dieci minuti dopo, quando la osservò, con la bocca piena di pancake che avrebbero dovuto condividere perché l'unica padella che aveva in casa era enorme ed erano la taglia doppia rispetto a quelli normali - e invece aveva dovuto finire per prepararne due razioni comunque – e tutta sporca di cioccolata che lui si sbrigò a toglierle dall'angolo della bocca con un pollice.

«Sono squisiti!» si complimentò lei, addentandone un'altra enorme forchettata. «Prima o poi devi insegnarmi davvero come si fa!»

Mancò poco che il ragazzo si strozzasse con una parte della sua porzione. «Non avevamo già stabilito che non mi fido della commestibilità di ciò che cucineresti?»

Pensava di essersi messo al sicuro dalla possibilità a cena, e invece lei tornava alla carica con quella proposta pericolosa. Dove avrebbe dovuto insegnarle, poi? Alla caserma dei vigili del fuoco?

Perfino Stefan l'aveva messo in guardia, riguardo lasciare Elena da sola in una cucina, a quanto pareva il suo storico non andava a suo favore.

«Be', qualcosa devo pur fare, San Valentino non è poi così lontano.» rifletté la ragazza, per poi incontrare il suo sguardo, come di chi si è perso un pezzo della conversazione, cosa che in effetti era successa davvero, solo nella testa di Elena. «Devo prepararti la cioccolata!»

Damon si limitò a sbattere le palpebre, perplesso. «Eh?»

Il grugnito frustrato che le suscitò, gli fece intuire di aver sbagliato domanda, forse avrebbe solo dovuto annuire e fingere di sapere di che diamine stesse parlando.

«Non lo sai che si regala la cioccolata alla persona che ami, il giorno di San Valentino?» gli chiese, contrariata.

Era impossibile che non lo sapesse. Erano cose che si iniziavano a fare alle elementari.

Ovviamente, lui ne era al corrente. C'era un solo problema: «Ci credi davvero a queste scemenze? È solo una festa commerciale!»

Non c'era certo bisogno, a suo modesto parere, di una festa comandata per fare cose che si potevano fare benissimo qualsiasi altro giorno.

«È una cosa carina.» ribatté lei, grattando l'eccesso di sciroppo sul piatto per gettarlo sopra un pancake, nemmeno avesse dovuto rimproverare lui per la mancanza di Damon.

Il ragazzo sbuffò una risata. «Per te sono tutte cose carine...»

«Sei una bestia insensibile.» e con lo stesso atteggiamento di quella bestia, si piazzò in bocca un intero disco di dolce, offesa.

Per una volta che era lei a proporre qualcosa di sdolcinato, lui doveva per forza smontare tutto. L'avesse fatto lei, sì, si sarebbe di sicuro offeso, e non avrebbero più avuto momenti del genere, perché lui le cose se le legava al dito.

Consenziente o meno, decise che la cioccolata l'avrebbe avuta.

«Grazie, tesoro.» la prese in giro, allungando una mano per darle un pizzico sulla gamba. «Sto cominciando a considerarli nomignoli affettuosi.»

E, dopotutto, non erano altro che la versione di Elena, che adesso aveva il piatto vuoto e l'aria di chi vorrebbe mangiarne almeno altri sei.

Ottima occasione per recuperare punti.

«Se lascio che mi aiuti a finire i miei pancake, mi perdoni?» non ebbe nemmeno bisogno di chiedere perché il sorriso felice della sua ragazzina tornò a coprirle le labbra e colorarle il viso.

Era fin troppo facile da comprare.

Contenta, Elena gli baciò una guancia prima di sedersi sulla sedia accanto alla sua e immergere la forchetta in quella che avrebbe dovuto essere la sua alternativa colazione, nel bel mezzo della notte. Damon, invece, immerse le mani sotto la sua felpa, e la faccia nell'incavo del suo collo per assaggiare lei, invece di quei cosi inutili al cioccolato.

«Sei un...» rantolò la ragazza, quasi strozzandosi con quello che era riuscita a mettere sotto ai denti. «...bastardo traditore.»

Il bastardo traditore sorrise contro la sua pelle, prima di ridere leggermente. «Non tanto mi piacciono col cioccolato...» disse, in sua difesa. «E avevamo un accordo.»

Sollevò la testa solo per lanciare un'occhiata verso il contenitore dello sciroppo, con fare allettante, così Elena si sbrigò a ripulire il suo piatto – non sia mai che lasciasse lì tutto quel ben di Dio –, e prima di spalmarle altro cioccolato in punti più interessanti, il ragazzo le girò la testa per toglierle quello che aveva in eccesso sulla bocca.

Tirò su lei e il barattolo, solo per finire di nuovo sul ripiano della cucina, tra i fornelli e il frigo. Stava per chiedere suggerimenti, in merito alla parte del corpo da cui cominciare, già motivato dalle mani di lei che cercavano di tirargli giù i pantaloni.

Lui tirò su un angolo della bocca. «Mi piace come ragioni, ragazzina.» e le avrebbe volentieri strappato di dosso quella stupida felpa.

Molto, molto volentieri.

Ma qualcuno suonò alla porta, impedendo a Damon di muovere un altro muscolo.

«Oh, no!» Elena si voltò verso il rumore che non accennava a smettere, con aria al limite del terrore, rendendosi conto di avere addosso solo una felpa che non era nemmeno sua. Poco lasciava all'immaginazione su cosa c'era sotto e cosa era successo fino ad allora. «Potevi dirmelo che aspettavi visite!»

Si abbassò l'orlo, che così tornava a coprirla fino a metà coscia e scese dal ripiano, spostandosi i capelli per tentare di aggiustarli alla bell'e meglio.

«Infatti non ne aspetto.» precisò lui, seccato dall'interruzione.

Si alzò e andò ad aprire, nelle condizioni in cui si trovava: petto nudo e pantaloni di casa abbassati un po' di più di quanto sarebbe stato normale se non ci avesse pensato la ragazzina.

Elena lo trovò solo vergognosamente sexy, ma non le aveva mai aperto la porta in quel modo. Che razza di reazione avrebbe potuto suscitare in un inquilino del palazzo? Si affrettò a scomparire, anche se restò mezza nascosta dalla porta col vetro opaco, che separava la zona giorno da quella notte dell'appartamento, così da potersi sporgere un po' per riuscire a vedere il suo ragazzo e chiunque avesse deciso di interrompere il loro nuovo esperimento, giusto per assicurarsi che non fosse un'altra ragazza.

Damon la aprì con uno sbuffo, ma rimase impalato sulla soglia per qualche secondo, come se dovesse realizzare chi si trovava davvero di fronte.

«Cosa fai qui?» aveva un'espressione confusa, peccato che Elena, mentre sgusciava via, tentando di non essere vista, non riuscisse a vedere chi diamine avesse bucato la loro bolla di sapone, grazie alla quale si erano esclusi dal mondo, perlomeno per quelle poche ore a disposizione. «È successo qualcosa?»

Il suo ragazzo fece spazio, spostandosi verso lo stipite, proprio mentre lei si chiudeva alle spalle la porta, mentre Damon accoglieva in casa, perplesso, la loro ospite inattesa.

«Elena è scomparsa.» la donna era visibilmente preoccupata, e sembrava anche stanca. Mise piede in casa portandosi dietro la luce del giorno.

Oh, merda.

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