Dear Diary - The Vampire Diar...

By Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... More

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 5)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
So, diary, I'll confide in you (parte 4)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 1)
And I thought my heart could fly (parte 2)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)
...or would that scare him away? (Parte 1)

I thought he smiled at me (parte 1)

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By Dottie93

Seduto per terra su una coperta di lana bianca scrivo queste righe. Sono felice. Mi pare davvero di aver fatto il primo passo di un grande viaggio, di avere la chance di una nuova, bella avventura. Il silenzio attorno a me è immenso e la possibilità di ascoltare la propria voce la più grande che ho mai avuto.

Tiziano Terzani - Un'idea di destino

20 Dicembre

Caro diario,

proprio stasera non riesco a decidermi ad andare a dormire. Indovina? Domani è il giorno del concorso, e io ho il vestito migliore che potessi sognare, e anche l'accompagnatore più bello che potessi desiderare.

Ci frequentiamo da quasi due mesi e io sono già completamente pazza di lui. Mi sto anche muovendo per procurarmi un regalo di Natale per lui - in realtà, stiamo cercando qualcosa insieme io e il mio migliore amico, che gli ha comprato un libro, lasciandomi senza speranza, e poi non mi va di fargli qualcosa di scontato -, e solo oggi ho saputo che quel giorno non lo vedrò perché i suoi hanno deciso di andare a trovare i parenti, e Damon non se l'è sentita di dire di no, perché Stefan l'ha pregato di unirsi a loro, visto che non vuole annoiarsi come tutti gli anni o, peggio, costringersi a farsi piacere il nuovo fidanzato di Lexi.

A volte mi sento in colpa, a pensare che, anche dopo tutti questi anni, io e Stefan ancora ci "litighiamo" le attenzioni di suo fratello, proprio come quando ci tiravamo i capelli per farci leggere le fiabe, cose come dodici o tredici anni fa.

Niente sembra essere cambiato, eppure è cambiato tutto tranne, a quanto pare, i miei sentimenti per lui: Damon è convinto che fossi innamorata di lui anche allora, anche se ancora non sa che lo sono anche ora, e questo perché non gliel'ho ancora detto, non trovo il coraggio, ed è passato un po' di tempo da quando stiamo ufficialmente insieme.

La cosa buffa è che tutti pensano che io sia nervosa per il fatto che domani potrei non essere la più bella di Mystic Falls. La verità? Non me ne importa assolutamente niente: partecipo solo perché mia madre ci tiene come se dovesse gareggiare lei.

In sincerità spero che vinca Caroline, lei sì che ne ha fatto un punto d'onore, come se fosse la cosa più importante del mondo e so che se vincesse un'altra - specie se lo facesse Rebekah - per lei sarebbe uno smacco troppo grande da sopportare, e in questo periodo non se la passa granché bene, coi problemi di cuore, quello stronzo di Klaus a quanto pare non l'ha più richiamata dopo averle, praticamente, rovinato i piani per le vacanze di Natale.

Domani, per me, è il giorno in cui io e Damon ufficalizzeremo il nostro rapporto praticamente davanti a tutta la città, anche se le uniche persone di cui mi preoccupo sono i miei genitori. Ovviamente, non ho cambiato assolutamente idea su ciò che abbiamo stabilito ormai un mese fa, ma abbiamo aspettato fino ad oggi un po' per tranquillizzarci - o tranquillizzare me - sul fatto che se ha funzionato per questo lasso di tempo allora funzionerà per tanto tempo, un po' per darci un po' di respiro per sapere cosa dire ai miei, e devo ammettere che ancora non lo so. A questo punto, penso proprio che andrò a sentimento.

Insomma, devono capire: più conosco Damon e più mi piace. Sembra folle, dato che la prima volta che ci ho parlato lo volevo strozzare, mentre adesso è il mio cavaliere per il ballo, e tra poco ufficialmente riconosciuto - o almeno spero - come il mio ragazzo.

Mi fa stranissimo pensarlo così, che un ragazzo del genere sia proprio il mio.

Credo che sia strano anche per lui, ma è talmente bravo a non darlo a vedere che non saprei veramente quale sia la verità. Certo è che, riguardo questa storia, è molto più entusiasta di me, perfino per il concorso.

Ci siamo dovuti sorbire lezioni in più - io più di lui, a dire la verità - e non perché quelle ufficiali non fossero già sufficienti per imparare la coreografia che è sempre la solita, ma perché Caroline insiste perché debba essere tutto perfetto, e così, praticamente tutte le sere prima o dopo cena, o vado io a casa sua o viene lei da me, per provare il ballo. Solo oggi ha deciso di continuare dopo le prove a scuola perché stasera avevamo entrambe impegni, solo che del suo non so niente perché ha accuratamente evitato di spiegarsi.

Quello che succede realmente, comunque, è che io assisto a lei che prova fino allo sfinimento, mentre io sto comodamente seduta sul letto a mangiare patatine o a messaggiare con Damon - o anche a fare entrambe le cose insieme -, che ha deciso di darmi supporto morale in quelle che ha chiamato "situazioni di panico".

Care lo dice sempre: Miss Mystic Falls ha delle responsabilità, per questo dev'essere perfetta, e lei prende il suo stesso avvertimento molto sul serio. Trova strano il fatto che io non sia abbastanza impegnata per raggiungere lo scopo.

"Se non ti impegni" mi ha detto, giusto qualche ora fa, prima di andare via. "Penserò che non ti importa niente! Non voglio vincere solo perché non hai spirito combattivo."

Ma che ci posso fare se il mio sogno nel cassetto non è diventare una Miss? Per risponderle, ho scosso le spalle e le ho detto: "Spirito combattivo o meno, chi vuoi che mi voti vicino a te?" tra l'altro, tutti conoscono Caroline Forbes, viene notata anche quando non vorrebbe, mentre io... di solito sono quella che passa inosservata.

"Devi smetterla di sminuirti in questo modo assurdo, Elena." ha replicato lei, col suo solito indice ammonitore davanti alla mia faccia. Dopodiché, mi ha salutata per tornare a casa, comunicandomi che doveva fare il suo sonno di bellezza di almeno dieci ore, per arrivare al meglio domani.

Come se tutto questo non fosse già abbastanza deprimente, quest'anno le cose saranno anche meno fastose rispetto agli anni scorsi. Proprio oggi, ho sentito la madre di Tyler dire a quella di Caroline che hanno dovuto fare così per forza a causa della mancanza di fondi. Suo figlio ha di nuovo litigato con la famiglia di Klaus - ha rotto il naso a Kol nel dopo partita scorso, di qualche giorno fa, perché secondo lui è stata colpa sua se abbiamo perso di nuovo - e quest'anno non hanno stanziato i soldi praticamente per niente, così abbiamo dovuto rinunciare a qualcosina.

Non sono preoccupata per il concorso perché si terrà lo stesso, e non vedo l'ora di ballare con Damon, il quale si è dimostrato veramente portato per farlo durante le prove, ma non credo che farebbe alcuna differenza, anche se avesse ballato come un pollo ubriaco, per quant'è bello.

Ovviamente, tra le sue tante qualità, è anche aggraziato. Anzi, devo ammettere che è una qualità della famiglia Salvatore, anche Stefan sembra nato solo per quello, e Caroline è perfetta insieme a lui, il che probabilmente significa che sembro io il pollo ubriaco, tra tutti e quattro.

Mi domando solo se io e Damon sembriamo perfetti allo stesso modo, ma credo di sì.

Spero di sì, almeno.

Me lo sono chiesto giusto oggi pomeriggio, durante le ultime prove per il ballo - e proprio per questo motivo, dovevamo essere perfetti. Non dovevamo andare vestiti come saremo domani - e per fortuna -, non voglio che Damon veda il vestito prima di quando lo indosserò per il concorso: voglio che resti senza parole, come quasi sicuramente lo farò io quando lo vedrò in smoking. Sarà anche il colore che ha di più nell'armadio, ma il nero gli sta da Dio, e non vedo l'ora di vederlo vestito elegante, credo che mi manderà completamente il cervello in pappa, specialmente ora che ho gli ormoni che ragionano per conto loro e nessuna possibilità di sfogare la frustrazione accumulata da quando ho posato gli occhi su di lui per la prima volta.

Comunque sia, Damon è passato a prendermi dopo pranzo, per portarmi a scuola, e mi ha sorriso come sa fare solo lui, prima di dirmi "Ciao." con quel tono che ha sempre una spruzzatina di sarcasmo e malizia, e che io ho imparato ad amare.

Gli ho dato un bacio sulla guancia, per salutarlo e insieme ringraziarlo di essermi venuto a prendere, e prima di mettere in moto mi ha fatto il suo classico occhiolino sexy.

Non sapevo se dirgli che mi era mancato: erano un paio di giorni che trovava il tempo di scrivermi solo due o tre messaggi il pomeriggio, perché lavora più del solito, in questo periodo, a causa di non so che contratti da autenticare. In ogni caso, non l'ho fatto, perché ha prevalso la vergogna, come sempre.

"Questa è l'ultima prova, vero?" l'ha detto in tono un po' scocciato, e ho pensato che non gli facesse piacere essere lì con me, anzi, per me.

"Sì. Miss Mystic Falls è domani." mi sono sentita stupida per averlo invitato, e in imbarazzo perché domani scade il termine del nostro piccolo accordo. In fondo, lui è uno che lavora e io gli ho praticamente rubato dei pomeriggi per una cosa così, solo per un mio capriccio. "Scusa se ti faccio perdere un sacco di tempo. Lo so che devi lavorare..."

"Sta' tranquilla." mi ha guardata per un attimo con un sorrisetto, prima di tornare a fissare la strada. "È solo che questo ballo lo so a memoria, ormai."

"Ti direi di svignarcela." e avevo davvero voglia di fare una follia del genere, ma... il problema sarebbe rimasto: la mamma e quello che avrebbe detto, senza contare che perdere una prova era un'ammissione di scarso interesse e non avremmo nemmeno potuto danzare insieme perché non sarei ''più stata qualificata'' o chissà che, come minimo. "Ma credo che durerà anche meno delle altre."

"In realtà è divertente guardare Barbie e Stef che ballano. Lui che è rigido come un blocco di cemento perché teme di non farle fare bella figura, dato che non ama ballare, e lei che gli dice di sciogliersi." l'ho visto scuotere la testa, non so se più divertito o più rassegnato. "Dici che sembriamo così ridicoli anche noi?"

"Forse. Dovresti chiedere a Stefan." ho proposto io, ma lo stavo prendendo in giro, sapevo che il mio migliore amico era troppo impegnato a fare in modo che filasse tutto liscio per preoccuparsi di qualunque altra cosa non fosse Caroline. La trovo una cosa estremamente tenera. Damon ha solo sorriso sornione, mentre parcheggiava la macchina nel cortile della scuola.

"Mademoiselle." mi ha detto, prima di farmi cenno di scendere dalla sua adorata Camaro azzurra. "Siamo arrivati a destinazione." così, sono scesa dalla macchina e me lo sono ritrovato vicino qualche secondo più tardi. "Non vuoi darmi un indizio sul vestito che avrai domani?"

"Ti interessa davvero?" ho chiesto, sorpresa, prima di seguirlo dentro la mia scuola. Lui ha semplicemente scosso le spalle, senza rispondermi. "Pensi che truccata come sarò domani non potrai riconoscermi?"

"Be', sai... non vorrei sbagliare dama. Avvicinarmi troppo presto alle scale, cose del genere." ha ammesso lui, grattandosi una tempia. Mi ha suscitato un sorriso sapere che si preoccupa che sia tutto impeccabile per me. "Immagino che tu tenga a che sia tutto perfetto."

"Andrà tutto bene." gli ho assicurato. "Tanto ci chiamano, prima di scendere. Tutti e due." era carino che fosse nervoso. L'avrei spupazzato come un orsacchiotto di peluche, se solo avessi potuto, ma eravamo così vicini alla palestra che ci avrebbero visti tutti, e di dare spettacolo proprio non mi andava.

Damon, chiaramente non dello stesso parere, mi ha passato un braccio intorno alla vita e mi ha spinta contro di sé, e improvvisamente è cambiato anche il mio: volevo dare spettacolo eccome.

"Piano a prova di bomba, allora." è stato il suo commento, prima di baciarmi. Mi ha sostenuto la testa con l'altra mano, credo, perché ho perso davvero il controllo su ogni muscolo che possiedo, e sarei di sicuro caduta a terra se non mi avesse tenuta lui.

Lo so che se n'è accorto, perché l'ho sentito sorridere sulla mia bocca. Credo che gli piaccia da morire farmi quest'effetto, ma non so come evitare di sentirmi così, proprio come ha detto lui la prima volta che mi ha baciata: come se mi mancasse il respiro. Devo sempre ricordarmi che ho un naso, e che posso respirare tranquillamente con quello, anche se con le ginocchia, la consapevolezza di averle non funziona ugualmente: sembrano lo stesso incapaci di reggermi, non importa quanto io cerchi di convincermi che servono a quello.

"Elena!" mi ha richiamata Caroline, spingendomi a separarmi da lui. "Muovetevi, invece di stare lì a pomiciare!" lei ha sempre quella sorta di... come dire? Delicatezza nel dire le cose che non so descrivere. Damon ha alzato entrambe le sopracciglia - ma per fortuna non ha detto niente - prima di prendermi per mano e trascinarmi in palestra, dove nessuno ha perso tempo in chiacchiere e, non appena siamo stati in posizione, abbiamo cominciato a ballare.

Devo dire che la parte della danza in cui dobbiamo fare di tutto per non toccarci, mi mette addosso una strana agitazione, perché siamo sempre sul punto di farlo, e poi sappiamo di non doverlo fare, e un po' mi intriga. Le prime volte siamo stati i più rimproverati, ma devo dire che anche Damon ci metteva del suo per far irritare la nostra insegnante, solo per il gusto di farlo.

Ma è il modo in cui mi mette la mano sul fianco quando la musica cambia che mi fa impazzire, o come stringe la mia nella sua, o il modo in cui mi guarda. Mi fa fremere fin dentro l'anima quello sguardo, non so dove nascondermi, non so nemmeno se lo voglio. So solo che tutto quello che posso fare è ricambiare lo sguardo, come se non esistesse nient'altro, e per un po', finché la musica non finisce del tutto è così: non esiste altro oltre Damon.

E avevo anche programmi abbastanza interessanti per noi due, questa sera, dato che è quasi un mese ormai che provo a fargli capire che sono pronta per stare con lui nel senso meno poetico che esista, ma sembra che i ruoli si siano ribaltati. Eppure, credevo che ci fossimo capiti la sera del Ringraziamento, ma a quanto pare no. Ora è lui quello che, almeno apparentemente, vuole aspettare ancora - e questo, quando l'ho raccontato a Caroline, ha portato a una discussione sulla sua eterosessualità, ma lasciamo perdere che forse è meglio.

I miei sapevano che dovevamo vedere un film insieme, stasera, per quel compito di Letteratura che devo riportare dopo le vacanze, così li ho convinti ad andare a cena fuori, tanto ci sarebbero stati anche Jer e Bonnie, ma la cosa che li ha veramente tranquillizzati è stata che i miei tempi biologici fanno veramente - ma veramente - schifo: ovviamente mi sono arrivate con una settimana di anticipo, e ho passato la serata a lamentarmi per il dolore, invece che a godermi le coccole di Damon, che non ha potuto trattenere le risate non appena l'ha saputo.

Quando è arrivato io stavo già agonizzando sul divano, e avevo notato il suo sorrisetto ironico, ancora prima che mi chiedesse che cos'avevo, che poi nemmeno gliel'ho spiegato io, l'ha fatto papà con l'aria di chi ti ha appena dato il ben servito.

È stato allora che quello che dovrebbe essere il mio ragazzo si è messo a ridere sotto ai baffi, e si è pure beccato un cuscino in faccia. Chiaramente, la cosa non ha scalfito minimamente il suo buonumore, anzi, direi proprio tutto il contrario.

Non appena mamma e papà sono usciti dalla porta, Bonnie e Jeremy si sono volatilizzati sotto il mio sguardo confuso e quello malizioso di Damon che è venuto da me per darmi un bacio sulla fronte.

"Stai tanto male, piccola?" mi ha chiesto, e mi sto ancora domandando se non mi stesse prendendo in giro. A volte non capisco quando è divertito e preoccupato insieme o quando si vuole semplicemente fare due risate alle mie spalle.

In pieno stile damigella educata, ho risposto con una specie di grugnito, ma a mia discolpa posso dire che non ce l'avrei mai fatta a parlare, con quei crampi dolorosissimi.

"Scusa..." ho farfugliato dopo un minuto. "Avrei dovuto dirtelo."

In effetti, credo che sarebbe stato carino fargli sapere che stavo malissimo e che non sarei stata di grande compagnia, ma avevo paura che non sarebbe venuto, e io stavo morendo dalla voglia di vederlo. Mi sento ancora un po' in colpa - anche se lui non sembra essersela presa affatto - per avergli fatto fare un viaggio a vuoto, ma non ho davvero potuto farne a meno.

Quando sto male in genere, non solo per il ciclo, divento sempre più coccolona di quanto io già non sia, così mi sono praticamente attaccata a lui, giusto il tempo di farlo piegare sulle ginocchia per arrivare a un'altezza che mi facesse comodo, e lui mi ha stretta forte.

Mi piace sempre quando mi abbraccia, perché mi fa sentire al sicuro e anche come se fossi un elemento essenziale del suo mondo, e ho sempre l'impressione che gli ci voglia un po' per lasciarmi andare, è una cosa che adoro.

Poi, quando capisce che non mi sento bene per davvero, diventa sempre incredibilmente premuroso: stasera mi ha perfino preparato la cena, perché gli ho detto che non mi andava di mangiare quello che mi aveva lasciato mia madre - visto che so bene come cucina, nemmeno se fossi stata in forma l'avrei fatto -, Damon non si è scomposto minimamente.

Mi ha solo detto: "Se hai farina, latte e uova lascia fare a me."

Due minuti dopo, avevo un piatto di crepes salate sotto al naso, il film già nel lettore DVD, e noi due eravamo abbracciati sul divano, sotto una coperta, davanti alla TV: lui era sotto di me, e mi massaggiava la schiena per riscaldarmi di più, in modo da farmi sentire meno il dolore, e ogni tanto, quando le lacrime che spendevo per via del film mi facevano singhiozzare, mi lasciava un bacio sul collo per tranquillizzarmi.

Se devo proprio dire la verità non ho mai pianto guardando un film, a meno che non fosse estremamente drammatico, ma in questo periodo del mese riesce a farmi piangere qualunque cosa, e almeno il Moulin Rouge è un buon motivo per farlo.

Adesso Damon è là, nel mio letto - con Gus sopra la pancia, ci ha giocato finora... e poi chi è che dovrebbe essere l'adulto tra noi due? - che dorme, ed è così carino che gli ho fatto una foto con cui lo ricatterò sicuramente domani mattina, sperando che i miei non lo becchino nel mio letto, o saremo tutti spacciati, altro che concorso di bellezza.

Quasi, quasi, lo raggiungo e me ne frego delle conseguenze.

Miranda Gilbert si aggirava per la cucina cercando di dare un almeno vago ordine a tutte le cose che doveva fare: prima doveva tirare fuori il chili dal frigo, svegliare sua figlia, buttare giù dal letto Jeremy e prepararsi all'arrivo - gli arrivi, in realtà - in arrivo sia psicologicamente che fisicamente, come anche alla conseguente guerra che si sarebbe scatenata quando tutti i parenti sarebbero stati riuniti nel suo salotto.

Si concesse un sospiro sconsolato, strofinandosi leggermente la fronte.

Suo marito le aveva giocato un brutto tiro - decidendo di informarla l'ultimo minuto dell'Apocalisse e per essersene andato a fare chissà cosa di così importante -, e giurò a se stessa che avrebbe trovato il modo di restituirgli il favore, prima o poi.

Sobbalzò fino a tetto, quasi, quando suonò il campanello, pensando che il capolinea fosse giunto, così si avvicinò alla porta con circospezione, e ci mise un po' a trovare la giusta disposizione d'animo per affrontare il peggio che si era già materializzato nella sua mente e a preparare il sorriso di plastica che più si addiceva meglio a quel disastro annunciato.

Finalmente, aprì la porta, con un'espressione degna della migliore delle padrone di casa.

«Oh, menomale!» Mary Salvatore entrò in casa come un uragano, senza nemmeno notarlo, l'aria preoccupata e la faccia di chi non ha dormito granché, o non benissimo. «Non riesco a trovare Damon.»

Anche Miranda sbiancò a quelle parole: aveva già abbastanza preoccupazioni, e ora anche questo? Ma poi perché doveva succedere tutto nello stesso, maledettissimo giorno?

Doveva essere una data speciale, per Elena, e le convergenze dell'Universo, o la sfiga, o quello che era - e tutti, compreso quello che avrebbe dovuto essere il suo ragazzo - stavano mandando tutto in malora.

«Non me lo dire.» la pregò, portando una mano ai capelli già completamente spettinati per l'ansia. «Perché mai non dovrebbe essere a casa? È uno stupido ballo, non un matrimonio!»

Avrebbe potuto capire - anzi, forse no, specialmente se la sposa fosse stata sua figlia, e pregò il cielo che non accadesse mai - la paura dell'ultimo minuto per impegnarsi una vita, ma per un concorso di bellezza? Proprio quel giorno aveva deciso di sparire di nuovo?

Mary era smarrita quanto lei. «So solo che quando sono andata a svegliare i miei figli ho trovato solo Stefan, nel suo letto. Quello di Damon era perfettamente a posto, quasi che non ci avesse nemmeno dormito.» spiegò, preoccupata. «Ho chiamato Liz, poco fa, dice che non c'è stato nessun incidente, stanotte, e anche all'ospedale mi hanno detto che è stata una nottata tranquilla. Ma la macchina di Damon nel tuo vialetto non c'è. Sono molto in pensiero... non so dove sia, e Dio solo sa quanto è famoso per i suoi colpi di testa!»

«Adesso andiamo a svegliare Elena, vediamo se lei sa qualcosa.» propose Miranda, nel tentativo di confortare entrambe, anche se aveva solo il dubbio che stessero andando a dare un tracollo alla tranquillità della sua bambina. «Cosa facciamo se non si presenta e non si fa sentire?»

Doveva ammettere - e senza nessun rimorso - che era più preoccupata per il suo stato d'animo di madre - aveva una vaga idea, di com'era preoccuparsi per la sorte di un figlio - e per come l'avrebbe presa Elena, visto quanto ci teneva, che per Damon in sé.

«Lo deciderò quando saprò che sta bene.» fu la risposta di Mary, che la seguì su per le scale.

Quello che nessuna delle due si aspettava, quando varcarono la soglia della stanza di Elena, in silenzio, era di trovare entrambi i loro figli addormentati e insieme: Elena addosso a Damon, una mano sul suo petto che lui stava stringendo, e le labbra di lui appoggiate alla fronte di lei, l'altro braccio ad avvolgerle le spalle in un abbraccio.

Non si erano minimamente accorti di niente.

Mary non riuscì a non mostrarsi commossa. «Sono così carini.» lanciò uno sguardo dolce alla sua amica, per poi tornare a guardare i ragazzi, portandosi una mano alla bocca, toccata.

Sorprendentemente, erano entrambi coi loro vestiti addosso, e per Mary fu l'ennesima ragione di commozione, dato che Damon era famoso per essere uno che non va tanto per il sottile, con le ragazze.

Miranda si limitò a indirizzarle un'occhiata piuttosto storta. «Lo sai, vero, che si meritano una bella sgridata?»

Non solo perché le avevano fatte preoccupare per niente, ma anche perché Elena aveva dimenticato di dirle che avrebbero avuto un ospite per la notte, e anche perché lui si era trattenuto, quando sapeva perfettamente di non essere nella top ten delle loro persone preferite, anche se doveva ammettere che quella scena aveva il potere di intenerire anche lei.

«Mio figlio è adulto e vaccinato e, soprattutto, indipendente economicamente. Con cosa diamine pensi che potrei minacciarlo? Al massimo posso bruciargli le pantofole, e non mi sembra granché.» fece l'altra, bisbigliando per non disturbarli, sempre guardandoli con amorevolezza. «E poi lascia stare, siamo state giovani anche noi, Miranda... non te lo ricordi com'era? Sgattaiolare fuori la notte per vedersi di nascosto dai nostri genitori? Certe cose non cambiano mai.»

Lei e suo marito, da che Damon era tornato, avevano finito col nascondersi anche ai loro figli perché lui non riusciva a trattenersi nei commenti, e piuttosto che non scatenare una guerra in casa tra lui e suo padre, aveva ben pensato di dedicarsi ai momenti di intimità quando era da sola con Giuseppe o dove poteva esserlo senza rischiare di essere interrotti o visti.

Miranda sorrise, al ricordo di cos'avevano dovuto fare lei e Grayson, i primi mesi, ma poi lo sguardo le cadde sulla sveglia sul comodino di Elena, e improvvisamente non fu più il momento dei bei vecchi tempi.

«Oh, no!» si coprì la bocca subito dopo essersi resa conto di aver parlato a voce troppo alta, anche se l'intento era proprio quello di farli alzare. «È tardissimo.»

Avrebbe voluto che succedesse con più dolcezza, ma Elena si mosse nel letto, disturbata da quei rumori, e mugolò di fastidio, prima di stringersi un po' di più al suo ragazzo. Non aprì gli occhi, però, continuò a godersi il calore, tra lui e le coperte, ancora nel dormiveglia.

«Ehi, tesoro?» la chiamò Miranda, con più gentilezza, scuotendola leggermente. «È ora di alzarsi, piccola mia.»

Tra le altre cose, Jenna sarebbe arrivata a momenti, ed era il caso di preparare le borse col vestito, i trucchi, gli abiti di ricambio, e tutto l'occorrente per acconciare i capelli di Elena, sua sorella aveva già detto di avere qualcosa in mente, e aveva deciso di non fare domande, purché non ci si mettesse di mezzo la loro madre con le sue idee strampalate.

Un altro mugolio da parte della ragazza, che immerse il visto contro Damon, ora che la luce che filtrava dalle tende che Mary aveva scostato cominciava a darle fastidio. Il sonno di lui, invece, non sembrava affatto turbato dalla presenta di ospiti in quella stanza o dalla troppa luminosità.

Miranda la scosse di nuovo, e questa volta Elena aprì gli occhi, infastidita.

«Cosa c'è?» domandò, suonando a metà tra l'assonnato e il seccato. Solo dopo, quando si rese conto che quella era veramente sua madre e che stava veramente dormendo sul suo ragazzo - che non avrebbe dovuto essere là -, strillò spaventata, portandosi le coperte fino al collo, anche se era del tutto vestita: «Mamma!»

Questo sì che ebbe il potere di svegliare Damon, il quale si era beccato anche un calcio di riflesso nello stinco e una gomitata nelle costole, dovuto tutto alla pessima coordinazione che Elena possedeva appena sveglia, condito dall'agitazione dovuta alla paura di essere stata beccata proprio quando aveva sperato che non sarebbe successo.

"Quasi, quasi me ne frego delle conseguenze." aveva scritto non più tardi di qualche ora prima, ed era la cosa che rimpiangeva di più negli ultimi tre mesi.

«Finalmente.» commentò la donna, in tono ora piatto. «Forza, fuori dal letto. Abbiamo un sacco di cose da fare, noi due.»

Stranita, Elena si tirò su sui gomiti, prima di lanciare un'occhiata preoccupata al suo compagno, il quale aveva solo gli occhi pieni di sonno, e i capelli completamente all'aria.

Maledettamente sexy e tenero.

«Che diamine succede?» chiese lui, confuso e assonnato.

«Succede, tesoro mio...» fece Mary, sedendosi loro di fianco per sistemare un ciuffo particolarmente ribelle sulla testa di suo figlio. «...che è ora di alzarsi, e che ti meriteresti di essere preso a calci per il colpo che mi hai fatto prendere. Ti rendi conto che mi devi avvisare se non dormi a casa, sì?»

Damon soffocò un lamento, mentre scostava la mano di sua madre quasi con fastidio, e commentava debolmente con un: «Non ho tre anni, chissà dove potevo essere, poi!» prima di tirarsi su a sua volta.

«Non vorrei suonare scortese.» riprese Miranda, seria. «Ma davvero siamo a corto di tempo, per questo mi risparmierò sulla ramanzina, ma stasera, Elena, sappi che non sarai altrettanto fortunata.»

La chiamata in causa si grattò la testa, ridendo nervosamente: in effetti, non aveva una buona scusa da usare per rabbonire la padrona di casa. 'Damon si è addormentato e non volevo svegliarlo?' così sarebbe sembrata colpa sua, e invece era stata lei a chiedergli di fermarsi, perché bisognosa di tutte le coccole di questo mondo, anche se alla fine lui si era addormentato per davvero, aspettando lei che finiva di scrivere il diario.

«Ho capito, ho capito...» mugolò, scornata, prima di scostare le coperte e allontanarsi da lui, mentre Miranda spariva oltre la porta, forse diretta in camera del suo figlio più piccolo.

Elena avrebbe voluto almeno avere un minuto con il suo ragazzo, anche solo per augurarsi il buongiorno come si deve, ma Mary era ancora lì, e non sembrava intenzionata a lasciarli soli.

Con un piccolo sbuffo, a quella consapevolezza, tirò giù i piedi dal letto.

«Fai il presepe, mamma?» fu la domanda caustica di Damon, e la ragazza dovette sforzarsi al massimo per trattenere una risatina divertita, per non offendere Mary, la quale alzò gli occhi al cielo, capendo subito l'antifona.

«Alzati e scendi, ragazzaccio, perché siamo in ritardo e tu hai il vestito a casa.» gli rifilò una piccola ma ben assestata pacca sulla spalla, che lo costrinse a piegarsi di nuovo sul materasso. «Intanto che tu vai, io passo da Caroline, per darle... questo.» tirò fuori dalla borsa un piccolo pacchettino verde. «Ne ho uno anche per te, cara. È tradizione.»

Porse ad Elena una scatola delle stesse dimensioni, solo blu, e lei sorrise. «Grazie.» non aveva idea che si dovesse portare qualcosa del genere, ma non fece commenti a riguardo, soprattutto perché con questo non c'era motivo che rimanesse lì, e avevano un po' - ben poco, se conosceva bene sua madre - tempo solo per loro due.

«Mi dispiace.» fece, subito, non appena Mary si chiuse la porta alle spalle, dopo averle fatto una delle sue solite carezze materne. «Non è il risveglio che avevo immaginato...»

Per niente.

Non che avesse programmato qualcosa in particolare, ma di certo non si era aspettata che la loro prima notte spassionata insieme, da quella del Ringraziamento - e nemmeno quella in cui era andato a chiederle scusa non contava, perché era un evento particolare -, potesse terminare con il risveglio peggiore della sua intera esistenza.

Non una, ma ben due mamme.

Si pregustava dalla sera prima una discreta quantità di effusioni nel suo letto, e invece niente. Sbuffò, contrariata, mentre apriva il cassetto delle mutande per afferrare qualcosa da mettersi.

Damon arricciò le labbra. «Nemmeno io, in effetti.» concordò, ma sorrise malizioso, alla vista della biancheria che aveva scelto. «Mmh... sexy. Vedo che intendi abolire il reggiseno anche per oggi...»

Lei rise, prima di lanciargli uno dei cuscini che teneva sopra al letto, spostati momentaneamente sulla scrivania. «Scemo.» gli rinfacciò, le guance un po' rosse per l'imbarazzo.

Ma il tempo di muoversi per andare al bagno - ora sì che non avrebbe mai potuto sbaciucchiarlo, non con un paio di mutande in mano! - che lui si spostò sull'altro lato del letto per afferrarla e farla cadere di nuovo tra le coperte, sotto di lui.

«Ciao.» le disse, sornione.

Elena allungò le braccia per portarle oltre il suo collo, e sorrise maliziosa, dimentica della biancheria tra le sue dita. «Ciao.» gli sussurrò contro la bocca, prima che fossero entrambi incapaci di parlare, almeno fino a che lui non intrufolò le mani sotto la sua maglietta, solo per scoprire che non c'erano altri ostacoli. «Damon...» lo fermò, stringendogli le braccia all'altezza dei bicipiti. «...lo sai

Ed era un 'lo sai che non posso' o possiamo, e non solo perché lei aveva il ciclo - particolare assolutamente trascurabile se si fossero spostati... nella doccia, magari, ma come la metteva con sua madre?

Ma perché Damon doveva scegliere sempre il momento peggiore per liberarsi dei freni inibitori? L'aveva praticamente snobbata per tutto il mese e adesso voleva darsi da fare?

La settimana prima gli era praticamente saltata addosso, con una spudoratezza che non sapeva nemmeno di possedere, e lui l'aveva trattenuta e baciata sulla fronte, e anche se aveva avuto sulle labbra il sorriso più dolce e bello che gli avesse mai visto, se l'era fatta anche lei una domandina o due sul suo reale orientamento sessuale: era stata tutta colpa di Caroline e dei suoi dubbi insinuanti.

Non era quello il problema, lo sapeva: perciò doveva pensare che fosse lei ad avere il sex appeal di un tubero andato a male, e se non era così proprio non riusciva a capire perché lui stesse facendo il ritroso. Non gli aveva creduto poi più di tanto, il giorno che le aveva giurato che non gli importava del sesso, se poteva stare con lei, perché non ce la faceva ad associare una simile frase a Damon Salvatore.

Evidentemente, era stata lei a sbagliarsi ed era, forse, tra i due, quella che poteva meno mettere a tacere l'impulso di strappargli i vestiti di dosso.

«Dovremmo alzarci.» gli ricordò quindi, ma senza davvero l'intenzione di farlo, specialmente se lui ignorava bellamente i suoi consigli e continuava per la sua strada.

«Mmh mmh...» mormorò Damon, a mo' di assenso, mentre scendeva con la bocca a baciarle il collo, sensuale.

«Damon...» lo richiamò la ragazza, a metà tra un rimprovero e un sospiro. Ci mise un po' a mettere insieme qualcos'altro, a ricordarsi come diamine si parlasse. «Non fare lo stronzo, ti prego...» che suonò più come un'implorazione del contrario.

«Ti sto solo augurando il buongiorno...» fece lui, falso innocente, mentre finiva di sollevarle la maglietta, scoprendola fino al collo.

Si chinò ancora a baciarle la pelle, mentre la sentiva arrendersi e stropicciargli i capelli, ed era sicuro, dal sospiro che le uscì dalle labbra, che non le dispiacesse affatto. E, in effetti, Elena aveva portato indietro la testa per lasciargli più spazio, offrirsi alla sua bocca, gli occhi chiusi, mentre un gemito le sfuggiva dalla gola, totalmente involontario.

Poi, un leggero bussare alla porta, e si bloccarono, congelati.

«Ragazzi... posso?» era la voce di Miranda, un po' esitante.

Elena si affrettò a tornare alla realtà e, un secondo dopo, erano entrambi in piedi, lei che si riabbassava la maglia del pigiama e lui che recuperava i suoi vestiti del giorno prima con una sorta di pacata rassegnazione.

Per un riflesso condizionato, lei si aggiustò i capelli, come se non fosse stato normale averli in disordine, appena alzata. «Entra, mamma.»

Lei si affacciò lentamente nella stanza, quasi che avesse temuto di doversi trovare davanti a una scena che non avrebbe voluto vedere - e già era stata fortunata che li avesse trovati addormentati ma vestiti -, e mise su un piccolo sorriso.

«La colazione è pronta.» annunciò, prima di rivolgere al loro ospite uno sguardo. «Non so se vuoi restare, Damon... ho del caffè, o quello che vuoi... non so cosa mangi di solito, purtroppo e...»

Lui accennò a sollevare gli angoli della bocca solo a beneficio di Elena e scosse la testa. «Non si preoccupi, non faccio normalmente colazione.» si schiarì la voce, per poter aggiungere: «Ma grazie lo stesso.»

Miranda annuì debolmente, mentre Elena già sentiva la pesantezza del silenzio scendere nella sua camera: capì che se non fosse stata lei a fare qualcosa, probabilmente sarebbero rimasti lì a non sapere come comportarsi per tutto il giorno.

Insomma, capiva che fosse complicato per una madre trovare nel letto di sua figlia un uomo, specialmente se quell'uomo era Damon Salvatore, ma non avrebbe potuto semplicemente fare finta di niente?

«Mamma, credo che lui debba... ehm... cambiarsi. Perché non... vai a svegliare Jer?» propose, senza sapere come fare per farle togliere il disturbo senza che dovesse sembrare tutto troppo imbarazzante, anche se - almeno per lei - lo era lo stesso.

«Oh, certo...» fece subito la donna, come se si fosse ricordata solo in quel momento che c'era anche quella cosa da fare, poi, però, fece per restare. «Elena, tu...»

Lei indicò il bagno con un gesto per niente disinvolto. «Faccio la doccia e scendo.» assicurò.

«Okay.» detto questo, sua madre veramente se ne andò, avendo cura di chiudere la porta della camera.

Se Elena avesse potuto, avrebbe aperto una voragine nel muro, a forza di sbatterci contro la testa: la giornata non era iniziata nel migliore dei modi, se poi ci si metteva di mezzo anche il fatto che i suoi genitori - e menomale che, in casa, non c'era suo padre, o proprio non aveva idea di cosa sarebbe potuto succedere, se avesse saputo che avevano diviso il letto a pochi passi da loro per tutta la notte - non vedessero Damon di buon occhio... non sembrava proprio destinata a volgere per il meglio.

«Imbarazzante.» commentò, con un sospiro sconsolato.

Quando gli aveva chiesto di restare non era proprio quello che si era immaginata. Credeva che si sarebbero svegliati un po' prima di loro, e che avrebbero avuto occasione di sistemare tutto prima che si accorgessero che era rimasto a dormire, ma anche quello sarebbe stato poco carino, insomma... cacciarlo di casa come un ospite indesiderato - che poi era esattamente quello che era, per i suoi -, o una specie di ladro, non era il modo migliore per consolidare il loro rapporto.

Gettò uno sguardo risentito verso la porta, nemmeno fosse stata la causa di tutti i suoi mali, e fu distratta solo da Damon che le mise una mano sulla nuca per farsi guardare: era vestito e nemmeno un po' impensierito.

«Io vado, piccola.» le schioccò un bacio sulla fronte. «Ci vediamo là.»

Lei annuì, con un sorriso piatto che voleva comunque essere di scuse. «Va bene... ma non farmi aspettare troppo, d'accordo?»

Era quella che ci restava sempre più male, tra i due, quando si creava quella strana tensione tra lui e sua madre, principalmente - e questo soltanto perché aveva cercato di evitare che si incrociassero con suo padre, o sarebbe stato quello il principale motivo di preoccupazione e, forse, anche di discordia.

Sarebbe stato tutto meno pesante e non ci sarebbe stato bisogno di sentirsi come se stesse facendo qualcosa di male, quando erano a casa sua insieme, se solo quei due testoni si fossero decisi a dargli una possibilità.

«Tranquilla.» fece lui, tirando su un angolo della bocca. «Sarò quello figo.»

Elena, suo malgrado, rise. «Lo so!»

Lui aprì la porta e fece per andarsene, prima che lei lo tirasse di nuovo per un lembo della sua adorata giacca di pelle - come faceva a non morire di freddo, i giorni che la indossava perché aveva deciso così, proprio non ne aveva la minima idea -, e lo attirò verso di sé, negli occhi la chiara intenzione di avere un altro bacio del buongiorno.

Damon, sorridendo, portò una mano sul suo viso, e si abbassò su di lei per concederglielo. Elena si aggrappò subito alle sue spalle, e schiuse immediatamente le labbra per lasciare che quel contatto fosse intenso e profondo, come amava che fosse, specialmente quand'era il momento dei saluti, anche se si sarebbero rivisti di lì a poco.

Nessuno dei due si accorse di Miranda che usciva dalla stanza di Jeremy, e quando si separarono se la trovarono praticamente davanti, che indirizzava ad Elena una strana occhiata - quasi che anche lei, come aveva fatto Bonnie il giorno del compleanno di Stefan, non riuscisse a credere che stava succedendo per davvero: c'era qualcosa tra sua figlia e Damon -, lui, ignorando il gesto, rivolse alla sua ragazza un occhiolino assolutamente sfacciato, prima di salutare la madre con un cenno della testa, ma senza aggiungere un'altra parola.

La donna ricambiò con un sorriso piatto, prima di tornare a guardare sua figlia, che pensò bene di giocare d'anticipo, per non inoltrarsi in uno scambio di battute che non aveva nessuna voglia di affrontare, specialmente se non c'era nemmeno una vaga possibilità di trovare un punto d'accordo.

«No, niente ramanzine fino a stasera, ricordi?» le disse, pregando che fosse davvero quello il caso, e che potesse scamparsela almeno fino all'ora di cena.

Comunque, per ogni evenienza, con l'intento di dissuaderla dal tentare, si rinchiuse in bagno senza darle nemmeno il tempo di aprire bocca.

Quando scese al piano di sotto, i capelli rinchiusi in una coda - dato che, tanto, dovevano farle chissà quale acconciatura, aveva evitato di prestarci troppa attenzione -, trovò così tanta gente che non riusciva più a raccapezzarcisi, o a credere che quello fosse davvero il salotto di casa sua.

Riusciva a distinguere Jeremy, che tentava di dileguarsi in cucina - ma anche lì non andava poi troppo meglio, c'erano ospiti davvero dovunque, perfino gente di cui Elena non ricordava nemmeno i nomi o la provenienza di preciso -, sua madre che rimetteva al loro posto i soprammobili - doveva essere passata sua nonna - e suo padre che si nascondeva dietro una tazza di caffè e il giornale, ed era l'unico isolato del gruppo.

«Grazie a Dio!» sospirò Miranda, in preda al sollievo, non appena la notò. «Sbrigati, tesoro. Su, abbiamo tante cose da fare.»

Sembrava, più che altro, che avesse fretta di andarsene di lì e lei le avesse appena fornito la scusa perfetta, solo che lei aveva una fame da lupi e doveva ancora mettere qualcosa sotto ai denti, ammesso che ci fosse rimasto anche solo un pancake, o una loro imitazione, del genere che cucinava sua madre, quando suo padre non aveva tempo per mettersi ai fornelli, la mattina.

«Elena!» fu un richiamo zuccheroso, che la distrasse dal raggiungere sua madre. Poi, un paio di mani le si posarono sulle spalle, prima di essere investita da una chioma bionda tinta, dalla consistenza piuttosto ruvida e un profumo dolciastro dall'odore fastidioso. «Come sei cresciuta! Sei davvero una splendida signorina!»

Solo a quel punto, quando la donna si allontanò per rivelare un mascherone truccato a festa, Elena si rese conto di trovarsi di fronte sua nonna Jane.

«Nonna...» constatò, sconvolta: non si aspettava certo che se ne arrivasse da Denver - praticamente dall'altra parte del Paese - per uno stupidissimo concorso di bellezza che non aveva nessuna importanza nemmeno nelle vicinanze. Senza contare che non era la sua nipote preferita, perciò non riusciva a spiegarsi quell'improvvisata. «Che... che bello vederti.»

La smorfia sulla sua faccia raccontava un'altra storia - era la donna con cui era andata meno d'accordo in tutta la sua vita, dopotutto era quella che, da bambini, faceva bei regali solo a Jeremy e poi si era trasferita definitivamente dal suo nuovo marito a migliaia di chilometri da lì, con grande sollievo di sua madre -, ma il sorriso di plastica di sua nonna non si modificò di un micron.

Anzi, arrivò addirittura ad accarezzarle i capelli: che avesse cambiato improvvisamente parere su di lei e sua madre?

Poco probabile: era evidente che c'era qualcosa sotto.

«Appena ho detto a Richard che eri una delle partecipanti a questo concorso di bellezza, abbiamo deciso di partire.» raccontò, rivolgendo un sorriso al suo compagno, che si presentò alla ragazza con un baciamano per cui lei strinse le palpebre, e si sforzò di non tirare via la mano, leggermente disgustata.

Forse, da giovane, era stato un bell'uomo, ma a lei sembrava solo avere l'aria del vecchio maniaco.

«E il nonno?» chiese la ragazza, invece, ma Jane scosse le spalle, indicando approssimativamente il resto degli occupanti della sala, come se non fosse poi di così grande importanza, il fatto che anche lui fosse là. «Oh... quindi siete qui tutti e due...»

In realtà non sapeva bene cosa dirle, non la vedeva da una vita, e lei sembrava lì con l'unico scopo di fare baldoria, così fece per andarsene, con la scusa di salutare il suo ex marito, che se ne stava seduto sul divano, con l'unica compagnia di una Jocelyn dall'aria sostenuta - Elena aveva il forte dubbio che quel fastidio fosse generato proprio dalla consuocera -, ma sua nonna non sembrava pensarla allo stesso modo.

«Hai conosciuto Jesse, il nipote di Richard?» la bloccò, mentre lei metteva su un'espressione incredula, della serie: "Chi diamine è Jesse e quando avrei mai potuto conoscerlo?", ma non ne ebbe il tempo, perché la donna praticamente lo tirò per un gomito, fino a metterglielo di fronte.

Era un ragazzo alto, carino, pelle scura, occhi verdi, un accenno di barba. Sarebbe anche stato affascinante, e aveva un sorriso simpatico, ma non le andava giù già solo per il fatto che le era stato presentato da quella donna.

«Ciao...» la salutò il ragazzo, gioviale, tendendole una mano, anche se visibilmente in imbarazzo. E chi non lo sarebbe stato dopo una presentazione così?

La ragazza si sforzò di rispondere in modo disinvolto, ma era troppo a disagio per essere credibile. «Ciao, io sono Elena.»

La impensieriva soprattutto spiegare a Damon chi fosse quel ragazzo, visto che, con ogni probabilità, sua nonna l'aveva portato con sé per combinare qualcosa tra loro - o almeno questa era l'impressione che dava, dal momento che sembrava essere lui il punto di quella discussione.

Per fortuna, sua madre - finalmente - arrivò a salvarla in calcio d'angolo.

«Jesse...» intervenne, comparendo alle spalle del ragazzo e di Jane, mentre Richard era impegnato in una discussione dall'aria molto eccitante - come una festa in un cimitero - insieme a un paio di loro vicini. «...ho fatto il caffè, ne volevi, giusto?»

Anche a sua figlia sarebbe piaciuto poter dire che ne avrebbe apprezzato un goccino, visto com'era stata buttata giù dal letto, ma non ne ebbe il tempo, perché sua madre l'afferrò per una spalla, un sorriso davvero incredibilmente soddisfatto sulle labbra, mentre il ragazzo andava a prendersi ciò che Elena riteneva suo di diritto.

«Amore, hai già parlato a tua nonna di Damon?» le domandò, lasciandola spiazzata per lo zucchero che trasudava da quelle parole e per il suo sorriso addolcito.

Confusa, la ragazza si limitò ad alzare un sopracciglio, domandandosi se il loro caffè fosse stato sostituito da qualche sostanza stupefacente e/o allucinogena.

«Damon?» chiese, curiosa, Jane, sporgendosi verso di loro, come se avessero dovuto confessarle qualche strano segreto, e questo sembrava essere proprio l'intento di sua madre, che non esitò a mascherare subito la soddisfazione.

«Oh, sì...» convenne, continuando a guardare sua figlia con una dolcezza che davvero sembrava genuina, ma che non poteva esserlo, specialmente in una discussione fatta su un ragazzo che aveva praticamente buttato fuori di casa. «Il fidanzato di Elena, l'accompagnerà al ballo, che caro ragazzo... gliel'hai detto, tesoro, che suo padre è notaio e che fa parte del Consiglio Cittadino? Sai, cara Jane... è un Salvatore

Incredula, Elena guardò sua madre come se fosse impazzita: cioè, prima le prometteva una ramanzina perché l'aveva lasciato dormire a casa, prima ancora non le aveva nascosto che non volesse che si vedessero perché non le andava a genio, e adesso era un caro ragazzo? Addirittura, il suo fidanzato?

Era ormai tristemente evidente: sua madre disprezzava sua nonna anche più di quanto potesse non piacerle Damon, il che era tutto dire.

«Grayson non mi aveva detto niente...» rifletté Jane, mettendo una mano sulla spalla libera di Elena. «Tesoro, sono fiera di te! I Salvatore sono sempre stati tra i più bei ragazzi, in città, e soprattutto, sono una famiglia rispettabile, ma questo Damon...» fece una pausa pensierosa che era piuttosto artefatta. «...se non sbaglio, ne ho già sentito parlare... sei sicura che piaccia a tuo padre?»

La presa sulla spalla della povera Elena da parte di Miranda si intensificò, ma le espressioni delle due donne non cambiarono di una virgola, e fu una cosa che ebbe il potere di terrorizzare la vittima tra loro.

«Non è che potrei andare a fare colazione?» domandò, proprio lei, sentendosi fin troppo in soprannumero, in quel gioco di sguardi al vetriolo che si stavano lanciando quelle due, e al quale non vedeva l'ora di sottrarsi per nascondersi in cucina, e magari avere il beneficio di riempirsi lo stomaco che stava gridando pietà.

Non sembrarono esserci obiezioni - o forse sia Miranda che Jane erano troppo impegnate l'una a decantare le qualità di Jesse, e l'altra a sforzarsi di parlare bene di Damon -, e lei finì per dileguarsi e sospirare di sollievo, quando scoprì che il grosso della folla si era trasferito tutto in salotto e che nella cucina c'era solo suo padre, tranquillo come se niente di tutto quel trambusto lo riguardasse.

«Cos'è appena successo?» gli chiese, sconvolta, prendendo posto vicino a lui con l'aria di chi sta raggiungendo la scialuppa di salvataggio dopo un naufragio.

Grayson si strinse nelle spalle, posando il giornale accanto alla tazza ormai vuota. «Lo sai com'è quando una suocera entra in scena.» replicò, senza particolare enfasi, come se fosse semplicemente rassegnato all'evidenza. «E devo ammettere che mia madre ha un carattere particolare. Immagino che dovrò gestirla io, insieme al resto, quando arriverà Jenna...»

E accennò ai loro ospiti, come se fosse stata una condanna per la vita.

«Potevi dirmelo che veniva la nonna!» si lamentò sua figlia, piantando la sua tazza dei Timberwolves sotto la caffettiera con più veemenza di quanta intendesse mettercene.

Non era un mistero per nessuno che non andassero d'accordo, anzi, quando si sentivano per occasioni speciali come feste e compleanni, quasi mai Elena rispettava le richieste di suo padre di parlarci al telefono, per cui avrebbe anche potuto fare la fatica di annunciare una catastrofe del genere.

Senza contare che avrebbe di sicuro detto o fatto qualcosa per far irritare Damon - cosa estremamente semplice, visto anche il suo bel caratterino che non aveva di sicuro perso, e mitigava solo con lei -, e sospettava che sarebbe iniziata una di quelle strane discussioni, vergognosamente simile a quella cui aveva appena assistito: piene di discorsi sottintesi che lei più si sforzava di capire, più le sfuggivano.

Sarebbe stata una lunga giornata.

Suo padre fece una smorfia leggera. «L'ho saputo stamattina, mi hanno chiamato dall'aeroporto, e lasciamo perdere che tua madre è ancora arrabbiata con me, come se fossi stato consultato sull'argomento.»

Elena gli mise una mano sulla spalla, con l'intento di consolarlo, perché sembrava che quella faccenda non mandasse in visibilio nemmeno lui, e un po' lo capiva, specialmente quando sai che tua madre sta arrivando con il tizio che ha sposato e te lo impone pure in casa, alla faccia tua e di tuo padre.

«Sai?» gli fece, ora più ammorbidita da quella confessione, in tono leggero. «Mi dispiace tanto per il nonno, non credo che sia piacevole dedicare la vita a una donna che se n'è rifatta una con un altro uomo.»

Lo disse perché credeva che fargli sapere che qualcuno la pensava come lui avrebbe migliorato il suo umore, ma dal modo in cui la guardò, Elena non fu del tutto certa di aver detto la cosa giusta.

«Poteva restare qui e vedervi crescere.» commentò, infatti suo padre, secco, prima di alzarsi. «Ognuno fa le sue scelte, Elena, come tutti.»

La ragazza si domandò se non fosse una sorta di rimprovero per lei che aveva deciso di frequentare un ragazzo che a lui non andava a genio, ma la salvò dall'iniziare una conversazione a riguardo il suono del campanello e la voce di sua zia Jenna, che entrava con delle buste enormi dentro casa, seguita da un Alaric piuttosto sorpreso di trovare così tante persone nel loro salotto.

Sapeva che quella era l'occasione perfetta per svignarsela, così addentò una fetta di pane tostato, ne prese un'altra per scorta e raggiunse sua madre alla porta, dopo aver bevuto il caffè d'un fiato e aver evitato come la peste la zona del salotto dove si trovava suo zio John e la sua cara mogliettina.

«Ciao, zia. Ciao, Ric.» bofonchiò, con la bocca ancora piena, ma alzò la mano libera per rendersi comprensibile. Mandò giù il boccone, mentre osservava le buste in mano a Jenna. «Quelle a che servono?»

«Ad essere caricate in macchina.» replicò Jenna, con un sospiro stanco, proprio come sembrava lei: pareva che quel concorso stesse mettendo a dura prova i nervi di tutti. «La nostra è troppo piccola per portare tutto l'occorrente con un viaggio solo.»

Non ebbero tempo di dire altro, perché arrivò Jocelyn a rapire Alaric, forse per sbandierare la sua impeccabile carriera di fronte a Jane, ed Elena colse l'occasione per andare al piano di sopra - prima che sua madre potesse spingerla fuori dalla porta e ficcarla in macchina come un pacco postale -, ricordandosi del pacchetto che le aveva lasciato Mary, perché qualunque cosa ci fosse dentro, le sarebbe piaciuto indossarlo per la gara, anche solo per farle piacere, visto che era stata così carina da portarglielo.

Una volta tornata in camera, sbirciò nella scatolina: scoprì due braccialetti di piccole pietre azzurre, dello stesso colore del suo vestito, e la trovò un'accortezza non da poco.

Avrebbe dovuto ricordarsi di ringraziarla, ma ancora non li indossò, per paura di romperli o perderli. Recuperò anche il cellulare, in cui trovò un messaggio di Damon: 'Mi sento un pinguino.'

'Non dovevi essere quello figo?' gli rispose, non riuscendo a trattenere una risata. Dopo, aggiunse: 'O intendi che sei ingrassato e che quindi il vestito ti sta stretto?'

Non era chiaramente vero, l'aveva detto solo per provocarlo un pochino, in realtà aveva un fisico anche troppo perfetto - 'troppo' solo perché le suscitava istinti particolari nei momenti più impensati, e se solo ripensava alla figuraccia che aveva fatto nel salotto di Mary giusto il pomeriggio precedente, le veniva di nuovo voglia di sotterrarsi.

Insomma, come lo spieghi a una madre fiduciosa che torna a casa prima del solito dall'ospedale che non hai sbottonato la camicia di suo figlio per aiutarla a fare il bucato? E per fortuna non era arrivata prima, o le mani gliele avrebbe trovate da tutt'altra parte.

Con le guance che scottavano al solo ricordo, Elena si affrettò a scendere di nuovo, e solo per scoprire che Jane aveva fatto in modo che Jesse finisse in macchina con loro - Alaric ci aveva provato a spiegare che non ci sarebbe stato spazio comunque, per via del vestito che non doveva stropicciarsi e del fatto che erano già in troppi in macchina, ma lei, ovviamente, non aveva sentito ragioni.

Non che se ne fosse stupito qualcuno.

«Deve pur vedere la città, non trovi? Si annoierebbe, da solo con noi.» era stata la sua ultima argomentazione, mentre Jenna e Miranda si scambiavano uno sguardo preoccupato.

«E Jeremy?» fu l'innocente domanda di Elena. «Potrebbero farsi compagnia, e arrivare dopo con papà. Jer resterà solo e si annoierà lui.»

Di nuovo, Jane la liquidò con un gesto noncurante della mano, cosa che aveva iniziato a darle incredibilmente sui nervi. «Jeremy è in famiglia!» lo disse quasi come se questa fosse stata la conferma che sarebbe stato impossibile, per lui, scocciarsi.

«In questo caso...» convenne Alaric, con un'alzata di spalle, desideroso di non mettersi a discutere, anche se Jenna gli rifilò un'occhiata assassina per quel commento.

Miranda caricò le ultime due buste nel bagagliaio dell'auto con un sospiro seccato, mentre Elena, Jesse e Jenna prendevano posto nei sedili posteriori, la ragazza che cercava di non sedersi sul suo vestito e di fare in modo che non si formasse nemmeno una piega indesiderata sull'orlo, mettendosi la parte finale sulle gambe, la gruccia attaccata alla maniglia sul tettuccio.

«Scusa...» fece Jesse, contrito. «Non voglio essere di troppo, è solo che Jane a volte... sa essere...»

«Tranquillo.» lo interruppe Elena, con un sorriso di circostanza. «Non è questo... è che adesso, praticamente, starai solo: io mi devo preparare e non so quanta gente ci possa essere già da ora a Palazzo dei Fondatori...»

Il cellulare poi le vibrò nella tasca dei jeans, e lei corse a leggere il messaggio che era sicuramente del suo ragazzo: 'Io sono già qui, con Stefan che scalpita, credo che gli cadranno i capelli per lo stress. E, per la cronaca, intendevo che posso essere figo anche vestito da pinguino, non sono per niente ingrassato.'

«Chi è?» domandò Jenna, curiosa, alla vista del suo sorriso a trentadue denti.

Elena alzò lo sguardo dal telefono, come se si fosse ricordata solo allora di non essere sola. «Eh?» chiese.

Per fortuna, col fatto che sua madre si gettò in macchina proprio in quell'attimo, nessuno ebbe occasione di fare domande - anche perché dubitava che sua zia sapesse che lei e Damon si frequentavano: ancora non c'era stata una buona occasione per dirglielo, a meno che non fosse stato Alaric a vuotare il sacco, ma non era un gran pettegolo, e peggio sua madre, che addirittura avrebbe preferito ignorare la cosa finché avesse potuto -, dopo Alaric mise in moto e l'argomento di conversazione più gettonato fu proprio Jesse.

Elena scoprì che studiava Medicina, in un College vicino casa sua, dove tornava ogni finesettimana perché era Jane ad insistere, inoltre, seppe che, a soli vent'anni, già era stato preso come assistente dal professore di Microbiologia Applicata.

«Cavolo, la vorrei fare anche io una carriera universitaria del genere...» commentò Elena, e giusto per gentilezza, perché non aveva proprio idea di come avrebbe voluto che fosse quel periodo della sua vita, non riusciva proprio ad immaginarselo e, in effetti, in quel momento, non le importava granché.

Jesse si grattò la nuca, in imbarazzo. «Be'... non è niente di che...» si costrinse a minimizzare.

Dopo questo, Elena tornò a dedicarsi al suo cellulare, che trovava incredibilmente più interessante: 'Lo so. Ogni tanto controllo, cosa credi?' voleva essere una frase piena di malizia, ma dopo averla riletta, si domandò se non fosse semplicemente suonata stupida o maniacale.

Sperò che lui non ci facesse troppo caso.

Incredibilmente, sembrò proprio che non gli importasse granché: 'Sono felice di sapere che tieni alla mia linea. Dove sei, piccola dietologa?'

«Cosa vuoi studiare al College, Elena?» le chiese Jesse, proprio mentre lei stava digitando la risposta per Damon, e finì per rivolgere a lui il sorriso deliziato che, in realtà, era tutto per il suo ragazzo: 'Sto arrivando... sei davvero così ansioso di vedermi?'

Perché sembrava proprio che lo fosse, e lei non poteva fare a meno di sentirsi la persona più felice della Terra. Non aveva nemmeno capito la domanda, e non era sicura nemmeno di ricordare il nome del tizio che le stava vicino, era già tanto se ancora riusciva a preoccuparsi del vestito, tanto era occupata a pensare agli occhi di Damon.

Capì anche meno quando le arrivò il messaggio successivo: 'Ovviamente.' ecco: adesso poteva anche fermarsi il mondo, lei sarebbe stata contenta lo stesso, anche se fosse stato ironico come sembrava.

«Ehm... Elena?» la richiamò il ragazzo, dopo un minuto di troppo di silenzio che nessuno era stato capace di colmare.

Lei sollevò gli occhi dal telefono, sorpresa. «Sì, scusami?» riavvolse la conversazione nelle orecchie e solo dopo realizzò di aver captato davvero qualcosa. «College, sì... uhm... non ci ho ancora pensato, credo. Sono indecisa.»

«Indirizzo o città?» indagò ancora Jesse, interessato.

Ma non ci fu occasione per rispondere - ed Elena fu ampiamente grata della cosa, anche perché proprio non capiva per quale strano motivo avrebbe dovuto condividere con uno sconosciuto i suoi problemi con la scelta del College, quando non ne aveva accennato nemmeno alla sua stessa madre -, perché arrivarono nel cortile della Villa e lei schizzò fuori dalla macchina come un proiettile, alla ricerca di Damon, e per scrollarsi di dosso il carico extra col vizio di fare domande scomode.

Chiamò il suo ragazzo al cellulare per non perdere altro tempo prezioso, prima che fosse trascinata senza possibilità di appello in una delle stanze al piano superiore della villa per prepararsi.

«Ehi, guarda che io sono all'entrata, quasi.» gli comunicò, non appena accettò la telefonata. «Tu?»

Per risposta, lo sentì solo sorridere, poi, improvvisamente, interruppe la chiamata, e lei si ritrovò a fissare lo schermo del suo telefono come una scema, prima di sentire un paio di braccia avvolgerle la vita, da dietro, e un paio di labbra ormai fin troppo familiari posarsi sulla sua guancia.

«Non ci speravo più.» ammise, allegro. «Credevo di dover tramortire mio fratello e nascondere il suo corpo privo di sensi tutto da solo. Per fortuna sei arrivata, così puoi darmi una mano.»

Elena alzò gli occhi al cielo, prima di rigirarsi tra le sua braccia, con un sorriso divertito. «Dillo che hai fatto di tutto per mettere altra benzina sul fuoco, invece di calmarlo.»

Ci avrebbe scommesso: a lui piaceva da matti prendere in giro Stefan senza che lui se ne rendesse conto - anche se un po', col passare del tempo, aveva iniziato anche lui a farci il callo e non si lasciava più ingannare tanto facilmente, ma Elena sospettava che in un momento come quello in cui doveva essere preda di una terribile ansia da prestazione, non fosse riuscito a farci caso -, perciò dubitava che il suo ragazzo si fosse lasciato sfuggire un'occasione tanto ghiotta.

«Sono davvero così prevedibile?» domandò il ragazzo, una strana preoccupazione che gli percorreva la voce, mentre lei gli accarezzava i capelli sulla nuca, una luce maliziosa nello sguardo, e anche lui si fece più accattivante, quando la notò: stirò le labbra nel suo classico sorriso sghembo. «Non dovresti guardarmi in pubblico così...»

Sorridendo, lei si sollevò sulle punte dei piedi, per avvicinare la bocca a quella di lui, ma senza sfiorarla. «Così come?» gli rinfacciò quella stessa domanda che aveva amato farle fin troppe volte, e stavolta anche lui non poté evitare di sorridere.

Damon si abbassò verso il suo orecchio - con grande disappunto di lei che aveva creduto che l'avrebbe finalmente baciata - e una mano alla base della sua schiena per schiacciarsela meglio contro. «Come se volessi strapparmi i vestiti di dosso...» sussurrò, sensuale. «Considerato che so cosa hai messo stamattina sotto ai tuoi, sei davvero scorretta...»

Lei si ritrovò a sorridere furba, al ricordo del fatto che aveva scelto della biancheria provocante di proposito - le uniche cose che si potessero considerare tali che aveva, tra l'altro, quindi avrebbe dovuto fare un po' di shopping su quel fronte, magari insieme a Caroline che era un'esperta nel settore -, e appoggiò il mento sulla sua spalla, a occhi chiusi, con l'intento di dirgli qualcosa per stuzzicarlo un po', ma non ne ebbe occasione, perché lui spostò la bocca per baciarle il collo, leggermente.

«Ci stanno guardando tutti.» mormorò, e aveva appena avuto il tempo di aprire gli occhi e di accorgersene, e per fortuna che sembravano solo innocentemente abbracciati.

Damon, senza nemmeno disturbarsi a sollevare gli occhi o girarsi per controllare che avesse ragione, continuò a mordicchiarle il collo, all'altezza della giugulare. «E tu lascia che guardino.» rispose, in tono ovvio, prima di spostarsi per poterla baciare sulle labbra.

Ovviamente, come ogni volta che si preparava ad essere un momento interessante, tra loro, ci fu un'interruzione indesiderata.

«Elena, tesoro, dobbiamo andare!» era la voce di Jenna, per la quale Damon borbottò qualcosa sulle scocciatrici ed Elena si fece dispiaciuta di doverlo mollare lì, in quel modo. «Rilasci la mia nipotina?»

Era, ora, rivolta a Damon, il quale le indirizzò un'occhiata poco gentile.

«Non credo di avere scelta.» commentò, con una smorfia per niente rilassata, ma senza spostare il braccio dalla vita di Elena, ancora aggrappata alla sua spalla con una mano. «Comunque, ciao anche a te, Jen.»

Lei gli rifilò una gomitata silenziosa - dovuta all'uso di quel soprannome, con ogni probabilità -, prima di tornare a rivolgere l'attenzione a sua nipote. «Forza e coraggio, prima che Jesse faccia qualche altra domanda su di te, e tua madre lo strozzi.» poi le fece l'occhiolino, mentre lei arrossiva di disagio e si preparava al commento del suo ragazzo. «A quanto pare hai fatto colpo...»

«Chi diamine è Jesse?» fu, infatti, la domanda contrariata di Damon, che strinse la presa su Elena, come se questo avesse potuto, in qualche modo, tenerla lontano da un tipo che faceva domande su di lei. «Cosa mi sono perso?»

La guardò come se fosse stata sua intenzione nascondergli qualcosa, e lei si affrettò a sfiorargli un braccio per rabbonirlo almeno un po', in fondo non era assolutamente niente di importante per cui prendersela: nemmeno si ricordava com'era fatto Jesse.

«Solo un tizio che mia nonna ha portato da Denver nella speranza di farmelo piacere.» spiegò quindi, brevemente, con totale noncuranza, prima di attaccarsi alla sua giacca e sporgersi di nuovo con l'intento di baciarlo - e stavolta, magari, riuscirci. «Ma mamma le ha spiegato che sono già felicemente impegnata, e non potresti credere a cos'è riuscita a dire su di te...»

Ed era questa, alla fine, la cosa importante. Sua nonna che se ne veniva dall'altra parte degli Stati Uniti per portarle un ragazzo come se lei fosse stata incapace di trovarselo da sola, era solo un piccolissimo dettaglio senza alcuna importanza, specialmente se Damon portava le mani a circondarle il viso e appoggiava la fronte sulla sua, e perdevano tempo a sorridersi come sciocchi innamorati.

Jenna alternò lo sguardo tra loro due ed era lei, a quel punto, quella che aveva la sensazione di essersi persa qualcosa.

«Ehi... perché voi due vi comportate da piccioncini?» volle sapere, con un sopracciglio inarcato in una controllata sorpresa.

Damon si sforzò di non sospirare seccato per quell'ennesimo promemoria appena ricevuto di non essere soli, tanto che invece di portare a termine l'azione che si era prefissato, baciò Elena sulla tempia per poi stringersela addosso, una mano sulla nuca, mentre lei gli passava le braccia intorno alla vita.

«Perché stiamo insieme... ovviamente. Credevo che Ric avesse vuotato il sacco già da un pezzo.» fece il ragazzo, con una naturalezza che lasciò tutte e due spiazzate. «Insomma, era così preoccupato che approfittassi dell'innocenza della povera Elena... mi aspettavo che avesse condiviso il peso dei suoi pensieri con la sua futura mogliettina.»

Jenna ci mise un momento a capire cosa avesse, effettivamente detto. «Alaric lo sapeva?!» sembrava che fosse riuscita ad elaborare solo quello da tutto il discorso e che fosse il particolare più scandaloso.

Rimasero entrambi stupiti perché credevano che avrebbe piuttosto notato il fatto che lui aveva detto 'stiamo insieme' che era una cosa che non doveva essere uscita dalla sua bocca tanto spesso, anzi: Damon non doveva averla detta mai nella sua vita.

Chiaramente, per una futura sposa è più grave venire a conoscenza del fatto che il suo futuro marito abbia dei segreti con lei.

«Sapevo cosa?» fu la domanda dell'interpellato, con una borsa sulla spalla in cui dentro c'erano un sacco di spazzole per i capelli, di ogni forma e dimensione, diretto all'interno della villa.

Jenna incrociò le braccia al petto, offesa. «Di Damon ed Elena!» precisò, contrariata dal fatto che fosse l'unica a non essere stata informata, né da Alaric, né dalla sua stessa famiglia.

Lui non sembrava affatto sentirsi in colpa per questo, cosa che fece indisporre Jenna anche di più, e se anche lo notò, Alaric scosse le spalle.

«Ero certo che te ne avesse già parlato lei.» assicurò, ma guardò il suo migliore amico e quella che faticava a vedere ancora come la sua ragazza con un'occhiata strana, che la ragazzina interpretò come un muto rimprovero per aver taciuto la verità con sua zia.

In realtà, Elena non l'aveva fatto di proposito, le era solo mancato il tempo di spiegarle tutto con la dovizia di particolari che di sicuro quella donna avrebbe richiesto. Non era tornata a Mystic Falls per un po', e quand'era tornata per qualche giorno era rimasta chiusa in casa col suo fidanzato, perciò non c'era stata davvero occasione.

L'avrebbe fatto per telefono, se solo le comunicazioni con lei non si fossero ridotte a delle telefonate a casa perché non aveva tempo per altro, con la fretta che aveva di finire la tesi, e non le andava di parlare di Damon quando l'orecchio di suo padre era nei dintorni.

Damon sbuffò una risatina. «Com'è possibile che tu non lo sapessi?» era rivolto all'amico.

«Scusa se non parliamo di te, quando ci vediamo!» fu la risposta di Alaric che gli rifilò un pugno scherzoso sulla spalla libera, quella non occupata dalla testa di Elena.

L'unica cosa che aveva voluto lei da che era scesa dalla macchina era stare un po' con lui, da sola, e invece erano sbucate come funghi persone che si erano messe a fare conversazione. Non che le dispiacesse essere circondata dalla sua famiglia - tralasciando Jesse -, ma avevano davanti quelle che si prospettavano ore di preparazione tra trucco, parrucco e vestiti, perciò potevano anche lasciarla due minuti col suo ragazzo, che avrebbe visto solo il tempo di una danza e poi chissà.

Gli si strinse contro, per nascondere il broncio leggero e per avere una scusa per inspirare il suo odore.

Jenna non sembrava per niente contenta della scoperta. «I tuoi lo sanno? Da quanto va avanti questa storia?»

«Lo sanno, sì.» confermò lei, con un sospiro pesante al solo pensiero di ciò che la aspettava quella sera in proposito. «Ma questo non significa che approvino, specialmente papà...»

Si scostò dal ragazzo, ma poco, giusto lo spazio che le servì per appoggiare una guancia al suo petto ed essere in grado di guardare i loro interlocutori, godendosi le carezze che lui le stava dispensando nei capelli.

«Metti una buona parola, Jenny.» la prese in giro Damon, prima di concedersi una risata sommessa.

«Chiudi quella boccaccia, Salvatore!» la donna gli puntò un dito contro, con l'intento di sembrare minacciosa, ma lui non sembrò granché impressionato. «Falla soffrire e ti giuro che...»

«Fammi indovinare.» la precedette, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione. «Me ne farai pentire!»

Come se non si fossero già fatti avanti già tutti: le sue amiche, i suoi genitori, quel santo di Stefan e quell'imbranato di Jeremy, senza contare lo stesso Alaric: c'era giusto bisogno di allungare la lista un altro po', i numeri dispari non gli erano mai piaciuti, in fondo.

Arricciò le labbra, palesemente infastidito: «Ti suggerisco di prendere il numerino e piazzarti dietro a Bonnie Bennett che, a quanto pare, era l'ultima della lista delle persone decise a farmi del male nel caso in cui io dovessi farne ad Elena.» concluse, seccato.

Perché tutti quanti avevano la certezza matematica che lui si fosse impegnato con una ragazza al solo scopo di farla soffrire? Casomai fosse stato quello lo scopo, non si sarebbe certo preso tutto quel disturbo, quando ce n'erano a mazzi, di ragazze con cui avrebbe potuto intrattenersi senza complicazioni.

E non avrebbe saputo, di preciso, dire per quale ragione aveva scelto la strada più complicata, invece che comportarsi come il solito Damon e riempirsi il letto ogni notte con una ragazza diversa: era soltanto sbucata Elena, e perdere la testa era stato più semplice di quanto si sarebbe aspettato per uno che aveva giurato di non lasciarsi più abbindolare da una donna.

Solo che non era una cosa che poteva spiegare a qualcuno senza sentirsi un patetico sentimentale - Elena sarebbe senza dubbio andata in brodo di giuggiole, se solo avesse immaginato, ma non era un prezzo che intendeva far pagare al suo orgoglio.

Nemmeno notò un ragazzino mai visto prima che si stava avvicinando a loro con una nonchalance di chi è più familiare di così. Elena si accorse di Jesse un momento dopo.

«Ehi, Alaric vuoi una mano con...» si interruppe lui, non appena posò lo sguardo sull'ennesimo estraneo. «Ehm... ciao, io sono Jesse.»

Gli tese la mano, gentile com'era stato con tutti gli altri, sotto lo sguardo di ghiaccio del ragazzo, ed erano tutti quanti certi - perlomeno ora che tutti erano a conoscenza del genere di relazione che legava Damon ed Elena - che se fosse stato in grado di fulminare fisicamente qualcuno con quelli, Jesse sarebbe stato carbonizzato sul vialetto.

«Damon.» rispose alla stretta in modo forte, e fu lapidario. «Il ragazzo di Elena.»

Che voleva essere più uno 'stalle lontano' o anche un più mite 'rivolgile ancora la parola e ti strappo la lingua', e infatti Jesse ritirò la mano un po' stranito e un po' diffidente.

Ci fu un attimo di silenzio, dopo quelle parole, in cui ogni singolo membro di quello strano cerchio che si era formato intorno ai principali argomenti di conversazione sembrò raggelare, perfino Elena.

Per fortuna, subito dopo, l'attenzione fu completamente derubata da sua madre e da Stefan, che la stava aiutando con il trasporto del vestito, infatti tutti accorsero per dare una mano, tranne loro due, perché Elena tirò il suo ragazzo per un lembo della giacca - non che avesse fatto la mossa di andare a prestare soccorso -, per attirarne l'attenzione.

«C'era bisogno di suonare così intimidatorio?» bisbigliò, con aria di tenue rimprovero. «Non voglio che vada a dire alla nonna che sei uno scorbutico, solo per darle una scusa per parlar male di te.»

Era certa che non aspettasse altro che una buona ragione per dire qualcosa di cattivo su di lui, e soltanto perché sua madre ne aveva parlato bene.

«Lo ero anche per te, cinque secondi fa.» le fece notare, piegando all'insù un angolo della bocca. «Sai che me ne importa di cosa dice tua nonna di me?»

E, probabilmente, aveva ragione, solo che lei non riusciva a non dare importanza alla cosa, come faceva lui, perché non riusciva a sopportare che sua nonna esprimesse giudizi su un ragazzo che non doveva piacerle a prescindere, anche se questo poteva - quantomeno momentaneamente - avvicinare sua madre a Damon, e avere anche i suoi risvolti positivi.

Il mistero era come trattenersi dallo zittirla in modo cordiale per non scatenare una discussione che avrebbe finito col far mangiare il fegato a suo padre.

«Per favore, trattalo bene.» lo pregò, seria, dato che preferiva non dover scatenare una guerra o dare occasione a qualcuno per farlo. «Anzi, lascialo a Stefan, che è di sicuro più affabile.»

Era la scelta più saggia, anche perché aveva già capito che Jesse non gli andava tanto a genio, e solo per questione di proprietà, anche se non era una gran bella cosa da dire.

«Grazie, eh.» commentò lui, suonando offeso, e forse per una volta lo era per davvero. «Mi domando se, prima o poi, riuscirai a dire qualcosa di carino anche su di me.»

Elena sorrise, giocosa. «Stefan è il mio migliore amico.» gli ricordò, quasi che Damon ne avesse avuto bisogno, e infatti il ragazzo fece una smorfia da "ma va'?" non del tutto sicuro di potersi considerare soddisfatto da quella spiegazione.

Poi lei nascose il viso nell'incavo del suo collo, e lui realizzò che, in fondo, non era così importante.

«E tu...» continuò la ragazza, in un sussurro. «...tu sei il mio pinguino.»

Non avrebbe potuto capire cosa intendeva - in realtà, un po' ci sperava, o l'avrebbe presa in giro a vita -, ma aveva sentito dire in un film, una delle sere precedenti, che i pinguini si sceglievano un compagno per la vita, ed era una sciocca ragazzina sentimentale accecata dai suoi sentimenti, ma era sicura di aver trovato il suo, per quanto sapesse che Damon scacciava il pensiero del matrimonio come la peste.

Non riuscì a preoccuparsene, quando lui, sebbene con le sopracciglia aggrottate per la confusione - Elena era felice che non avesse capito, ma lui pensava semplicemente che fosse un qualche riferimento al suo messaggio di neanche un'ora prima -, le prese la mano che ancora aveva sulla sua spalla per portarsela alla bocca.

«A dopo, principessa.» fece in tempo a sussurrare, prima che lei fosse trascinata via da un lato da sua madre, e dall'altro da sua zia, ma si sforzò di mantenere il contatto fisico per quanto le permetteva la lunghezza del suo braccio, e rimase a guardarlo finché non fu più in grado di distinguere il colore dei suoi occhi, il sorriso sognante che non l'aveva abbandonata un istante.

«Allora...» Jenna arricciò un'altra ciocca intorno al ferro, mentre Elena, girata di spalle rispetto allo specchio - per non rovinarle la sorpresa - cercava di alzare gli occhi per capire che diamine stesse combinando sua zia coi suoi capelli.

Miranda le aveva abbandonate in favore di una conversazione molto più redditizia per le sue associazioni, insieme a Carol Lockwood ed Esther Mikaelson, ed erano rimaste loro due da sole, il tempo che Alaric ci aveva messo a portare su tutti i bagagli.

«...non devi dirmi niente?» concluse, in tono particolarmente allusivo.

Elena abbassò lo sguardo sulle sue unghie smaltate di fresco, come per assicurarsi che fossero asciutte o che fossero perfette, in realtà stava solo cercando un modo per rispondere a quella domanda. «Vuoi sapere di Damon?» era meglio non girarci troppo intorno: strappo secco fa meno male, o almeno così si dice.

Jenna si piegò in avanti, giusto quel tanto che bastò per entrare nel suo campo visivo e per rivolgerle un'occhiata scettica. «Secondo te?» le chiese, retorica. «Certo che voglio sapere di quel disgraziato! Ti è sfuggito di dirmelo in tutto questo tempo!»

«Ehi...» cercò di difendersi lei, seppur contrita. «Ci vediamo solo da due mesi. Volevo aspettare che chiarissimo tutti i particolari, prima di dirlo a tutti... Alaric ci ha beccati a pomiciare, qualche tempo fa, per questo lo sapeva.»

Doveva essere quel giorno lì, quello in cui avrebbero dovuto 'uscire allo scoperto' davanti a tutti, perfino alle malelingue che si sarebbero di sicuro messe a sindacare sul fatto che aveva lasciato il suo ex e già un altro ragazzo era pronto per tenerle compagnia, senza contare la reazione di suo padre quando avrebbe saputo che stavano insieme seriamente e non solo per quella relazione leggera che hanno gli adolescenti normali.

Forse doveva comprare un biglietto per la Lapponia e nascondersi in un igloo, magari interrato.

Era così preoccupata della reazione dei suoi familiari che nemmeno si rese conto degli occhi sgranati di Jenna.

«Due mesi?!» era semplicemente sconvolta, tanto che le cadde perfino l'arricciacapelli. «Ho capito bene?»

«Perché?» chiese la ragazza, ora confusa.

«Perché Damon Salvatore non fa durare una relazione nemmeno due giorni!» spiegò, esterrefatta. Scosse la testa, come a riprendersi da uno shock e prese una sedia, per posizionarsi davanti a sua nipote, ora con la chiara intenzione di strapparle ogni singola informazione che fosse stata disposta a concederle. «Confessa.»

A quella richiesta, Elena rise nervosamente: confessare cosa? Come l'aveva irretito nella sua trappola da ragazzina sognatrice che vuole una relazione duratura? Non ne aveva la minima idea, anzi, non aveva proprio capito quand'era stato il momento in cui lui aveva deciso che il sesso non gli sarebbe bastato.

O meglio: il momento lo sapeva, più o meno, ma com'era successo lui non l'aveva mai rivelato.

«Oh, avanti! Non farti pregare!» proseguì sua zia, interessatissima, quasi che lei non fosse stata un pezzo di carne ma la sua personalissima fonte di gossip succulenti. «L'ultima volta che vi ho visti insieme vi conoscevate appena e lui ti lanciava le sue solite occhiatine, come siete finiti a 'Sono il ragazzo di Elena'?»

Pronunciò l'ultima parte con una sorta di imitazione di una voce da uomo, facendo ridacchiare la ragazza, che, dopo, si limitò a stringersi nelle spalle.

«Non saprei.» si decise ad ammettere. «In realtà, lui era stato piuttosto chiaro, all'inizio, sul fatto che non voleva impegni sentimentali, ma solo... fisici, ecco. Poi...» fece una piccola pausa, con un sorriso deliziato. «...qualcosa è cambiato. Non so perché, so solo che abbiamo avuto una connessione particolare, da quella sera in poi. Sai, mi ha calmata dopo un attacco di panico, e da allora ci siamo avvicinati molto.»

Jenna rimase silenziosa, dopo quella confessione: nemmeno lei sembrava avere idea che Elena fosse ancora tormentata dai suoi vecchi attacchi, e fu una grande sorpresa sapere che Damon avesse la giusta sensibilità per riuscire ad aggirarne uno.

Senza contare la faccia di Elena e i suoi sospiri sognanti: era cotta stracotta, e qualcosa le diceva che sua nipote ne era perfettamente consapevole.

Infatti, Elena proseguì: «Hai mai avuto come... l'impressione di essere così attratta da qualcuno da non riuscire a vedere nient'altro?»

Era una cosa che si riconfermava ogni giorno di più, e da una parte, lei voleva solo essere tranquillizzata sul fatto che fosse normale, e che non avesse sviluppato un qualche attaccamento morboso al suo ragazzo solo perché la faceva sentire incredibilmente al sicuro e lei non c'era più abituata.

Jenna, però, sorrise. «È il primo amore, tesoro.» commentò, con dolcezza. «Ti sentirai molto peggio di così.»

'Consolante.' rifletté Elena, senza però riuscire a dire una parola, perché davvero non avrebbe osato immaginare un modo in cui avrebbe potuto essere più coinvolta di così da quell'uomo.

«Avanti, vuota il sacco... è davvero all'altezza della sua fama?» doveva essere la domanda che più le premeva perché dalla gomitata che si guadagnò, appena sopra al fianco, leggera, e dall'occhiolino, sembrava proprio così.

Elena sgranò gli occhi, scioccata. «Cos..? Io...» balbettò, mentre le guance assumevano una colorazione scarlatta impossibile da non notare. «Jenna! Non voglio parlare con te della mia vita sessuale! È imbarazzante.»

La donna sbuffò leggermente, per via delle sue aspettative deluse, e poi roteò gli occhi. «Bastava un sì o un no, sai?» le fece notare, con un sorriso malandrino sulle labbra, prima di farle una carezza sulla testa.

«Non lo so...» si costrinse a mormorare Elena, annegata nel disagio. «Non siamo andati molto avanti su quel fronte...»

Ammetterlo era una specie di smacco: ci aveva provato parecchie volte a sedurlo senza successo, e la cosa le faceva dubitare seriamente della sua sensualità, visto che Damon non era, in genere, uno che aveva bisogno di essere convinto.

Forse era così imbranata nei tentativi di sembrargli sexy che non c'era stato modo di tirargli su il morale.

Jenna aveva appena recuperato il ferro e già rischiava di ricaderle dalle mani. «Sei seria?» le domandò, ma dallo sguardo che sua nipote le restituì, quasi demoralizzato e offeso, capì che lo era, eccome. «Elena, tu devi avere qualcosa di speciale, e intendo... davvero speciale per convertire un Casanova dipendente dal sesso a uno che va in giro a dire di essere il tuo ragazzo e che non è ancora andato al sodo, superando tutti i suoi precedenti record di attesa.»

«Caroline è arrivata a pensare che sia gay.» sospirò la ragazza, con una certa dose di sconforto, perché aveva bisogno di rassicurazioni anche su quel punto, sebbene avesse scartato a priori l'opzione perché era perfettamente conscia di non essergli indifferente dal punto di vista fisico.

Era giunta a una conclusione credibile che non aveva niente a che vedere col suo orientamento sessuale, ma non le piaceva nemmeno un po'.

E, anche qui, Jenna sembrò essere d'accordo con lei: «Io penso che si sia innamorato, finalmente, e lo spaventi a morte condividere qualcosa di più con te.»

Questa era stata la sua prima ipotesi, prima di darsi mentalmente della sciocca sognatrice romantica, e pensare un po' di più come una coi piedi per terra. Sarebbe stato stupido perfino per il più scemo degli uomini, non andare a letto con la ragazza che ami proprio perché l'ami, e Damon non era certamente uno stupido.

«Innamorato?» era strano anche solo pensarlo, in fondo. E suonava troppo bello per essere vero, e quindi chiaramente falso. «Mmh... non penso. Insomma... ci tiene tantissimo a me, ma credo che sia troppo presto per parlare di questo, almeno per lui.»

Anche per farsi inutili illusioni a riguardo. L'affetto che aveva per lei era palpabile, e glielo trovava negli occhi ogni volta che la guardava - ed era quello, spesso, il motivo per cui non riusciva a smettere di guardarlo. Le si contraeva lo stomaco di una strana emozione al solo pensare che potesse amarla quanto lo amava lei, ma non voleva essere costretta a rimanerci male di nuovo, se lui fosse stato un passo indietro rispetto a lei, perché si vedevano da poco, e le persone normali ci mettevano almeno qualche mese per dirsi innamorate di qualcuno, era stata lei quella anomala che aveva 'bruciato le tappe'.

Perciò ebbe bisogno di esporre la sua teoria, per farsi dire ciò che aveva bisogno di sentirsi dire, visto che sua zia sembrava un asso in quel campo.

«Secondo me si sta prendendo il suo tempo per capire cosa prova e per non farmi sentire sedotta e abbandonata, nel caso in cui dovesse scoprire che non vuole far durare questa storia.» pensiero più triste, ma di sicuro più realista. «Non mi ferirebbe mai, questo lo so.»

«Damon non si imbarca mai in imprese che non è sicuro di portare a termine.» fu il commento di Jenna, che le passò le mani tra i capelli per modellare i ricci. «Nel bene e nel male. Non è uno che lascia le cose a metà.»

Questo portò Elena a domandarsi se fosse un bene o un male, perché dal modo in cui quelle parole erano state dette non era per niente chiaro.

La cosa che la consolava tantissimo, era che lei non fosse partita per la crociata contro di lui, ricordandole quanto fosse stato stronzo con le donne fino a quel momento, e altre cose che aveva già sentito fin troppe volte, invece lei sembrava aver incassato la notizia senza particolari problemi, se trascurava la minaccia di fargliela pagare nel caso in cui si fosse azzardato a farla soffrire, ma doveva essere una cosa normale dei parenti protettivi.

«Alaric pensa che io stia trascurando troppo lo studio a causa sua, i miei genitori lo odiano e preferirebbero che smettessi di vederlo, Jeremy è arrivato a tirargli un pugno, un mese fa, e perfino le mie migliori amiche lo metterebbero sotto, se solo non le aspettasse la galera.» confessò, alla fine. «Mi guardano tutti come se stessi facendo l'errore più grande della mia vita.»

E non poteva essere così, visto quant'era felice al solo saperlo al piano di sotto ad aspettarla. Era sempre in trepidazione per vederlo, non si lasciava sfuggire una sola occasione, e poi lui si era dimostrato davvero perfetto, da quanto avevano definitivamente chiarito tutto.

Aveva dimostrato di voler stare con lei, l'aveva fatto benissimo, eppure nessuno si era lasciato convincere come era successo con lei, che proprio non ne capiva il motivo.

La storia era la sua: spettava a lei decidere come viverla.

«Gli altri non possono saperlo, Elena.» le ricordò sua zia. «Soltanto tu puoi valutare, sapere se puoi fidarti di lui, e tutto il resto. Ti assicuro che non ti amerà di meno nessuno di loro nel caso in cui si rivelasse una scelta azzardata. Non credo che dovresti perdere le tue occasioni perché potrebbe finire male, una persona saggia, una volta, mi disse che significa vivere.»

«Ah, sì?» domandò la ragazza, interessata. «E chi?»

«Miranda Sommers in Gilbert.» rivelò sua zia, con tono solenne. «Il giorno del suo matrimonio, quando Katherine mi ha rubato il cavaliere per il ballo perché non avevo avuto abbastanza coraggio per chiedergli di buttarsi in pista. Lei, a quanto pare, l'aveva.»

«Avevi cinque anni, Jenna.» le ricordò Elena, con un sorriso intenerito: le aveva guardate tante volte, le foto del matrimonio dei suoi. Katherine aveva nove anni, a quel tempo, e Jenna era una bambina deliziosa ma in lacrime, ora sapeva che erano di delusione. «Sono sicura che hai superato il trauma egregiamente.»

Jenna si limitò a inarcare entrambe le sopracciglia, dubbiosa. «Guardando tuo zio John e Logan Fell qualcosa mi dice che sono stata segnata per un po'.» ci ironizzò su, prima di stringerla in un abbraccio che scatenò le risatine di entrambe.

Poi il telefono di Jenna prese a squillare, e lei sospirò con l'aria di chi non può stare mai in pace. Elena, nel frattempo, tentò di darsi una sbirciatina nello specchio, perché si sentiva come se avesse avuto in testa qualche centinaio di pecorelle, ma non voleva farlo sotto lo sguardo ammonitore di sua zia che si era fatta promettere che avrebbe dato uno sguardo solo a lavoro ultimato.

«Santo Cielo!» sbottò sua zia, quando riattaccò. «Devo scendere, e credo che ci vorrà un po'. Puoi truccarti da sola? A quanto pare le tue nonne stanno dando troppo spettacolo e i tuoi genitori non riescono a gestirle da soli.»

Elena non poté trattenere un sorriso divertito, anche se sapeva che, se avesse assistito alla scena - penosa di sicuro - sarebbe morta per la vergogna. Sapeva che le stavano guardando tutti e sperò che Damon fosse a prendere in giro Jesse piuttosto che a godersi lo spettacolo.

Jenna si fiondò fuori dalla porta, mentre lei sospirava. Ma non appena si assicurò che non sarebbe tornata indietro tanto preso, si voltò di scatto verso lo specchio e il cuore le saltò in gola per lo spavento.

Sulla superficie riflettente, con gli occhi sgranati e l'aria di aver appena visto un fantasma, quella che avrebbe potuto essere Katherine Gilbert le stava restituendo lo sguardo. Eppure quando si alzò, la ragazza nello specchio si alzò con lei, con la sua stessa mano sul cuore, com'era ovvio che fosse, ma le sembrò strano lo stesso, perché quella non era lei.

«Mio Dio...» era sconvolta e inorridita, prima di sfiorare il vetro con la punta delle dita tremanti. «Mio Dio...»

Si portò la mano libera al viso giusto per assicurarsi di essere lei, quasi che fosse stato possibile avere il riflesso di un'altra persona per il proprio, ma lei non riusciva a capacitarsi di essere identica alla ragazza che aveva visto nella foto di Damon.

Poi, subito dopo, la raggiunse la consapevolezza che non poteva farsi vedere in quel modo da nessuno. Ma com'era saltato in testa a Jenna di fare quel lavoro ai suoi capelli? Sarebbe preso un colpo ai suoi genitori, ai suoi nonni e forse pure a Damon.

"Dimenticati di lei"

"Che stai facendo?

Mi libero della stronza."

Elena si sforzò di deglutire, anche se la gola era abbastanza secca e si sforzò di non piangere almeno uno di quei giorni che dovevano essere annoverati tra i più belli della sua vita.

Doveva solo trovare una soluzione.

Damon sbuffò per l'ennesima volta. Lanciò un'occhiata distratta a Stefan che pendeva dalle labbra di Mindy - o Mandy, o come cavolo era - pur di non rischiare di far fare brutta figura alla sua dama ed essere gettato nell'abisso della vergogna.

Straziante.

Doveva averlo ripetuto almeno diecimila volte. "Una volta finita la danza dovete tornare indietro, l'ultima coppia sarà la prima, vi sposterete sull'entrata per fare la foto. Ricordate di prendere il mazzolino del giusto colore, o rovinerete la foto..."

E bla, bla, bla... un sacco di inutili parole.

Di certo non lo credeva un party per disadattati ubriaconi - e doveva ammettere che, probabilmente, si sarebbe divertito di più ad un evento del genere, dopotutto lui era un disadattato ubriacone -, ma davvero non pensava che avrebbe preferito farsi investire da un tir piuttosto che essere ancora lì.

L'unica parte mezza interessante era stata quella in cui aveva potuto vedere Elena, e la metà era dovuta al fatto che si erano aggiunti dei rompiscatole di troppo, quali quel Jesse Owens dei poveri. Era rimasto intorno a lui e suo fratello tutto il tempo finché non era arrivato il piccolo Gilbert a raccattarlo, nominando quella che doveva essere la famosa nonna rompipalle, perché quel tipo era schizzato via come un proiettile, diretto proprio dove la cara nonnina voleva che lui fosse.

Gente senza spina dorsale.

«Vogliamo ripetere il percorso un'ultima volta?» propose Mandy, sorridente, come se avesse voluto incoraggiarli a fare una cosa estremamente divertente.

Damon trattenne un sospiro, ed evitò anche di alzare gli occhi al cielo e manifestarsi come l'unico accompagnatore per niente entusiasta di quella tortura. Si era dovuto ripetere troppe volte che lo stava facendo per fare contenta Elena, perché altrimenti avrebbe già mandato al diavolo tutto e si sarebbe consolato con del bourbon sulla sua comodissima poltrona di fronte al camino, nel salotto di casa sua.

La ragazzina, evidentemente, l'aveva rammollito al punto che non poteva rifiutarsi nemmeno uno strazio simile, pur di vederla sorridere. Così, cercando di mostrarsi almeno la metà interessato di quel che avrebbe dovuto essere, si costrinse a seguire gli altri, sebbene lo stesse facendo involontariamente con l'attitudine di chi spera che finisca presto.

Il telefono gli vibrò nella tasca dei pantaloni, e si domandò se potesse essere tanto sfacciato da prenderlo e controllare chi gli stesse rompendo le scatole - o salvandolo - in un momento del genere. Non ci perse molto tempo a pensarci: con la sua perfetta nonchalance, si fece scudo di Stefan per controllare il cellulare.

Aggrottò le sopracciglia quando aprì il messaggio ed era di Elena.

'Sei impegnato?' era la domanda, che lo spinse a chiedersi se non dovesse preoccuparsi, perché con Elena era quasi sempre così, a meno che non volesse flirtare un pochino, ma non gli sembrava quello il caso, anche perché non avrebbero potuto divertirsi granché, grazie ai suoi gentilissimi tempi biologici. Tra l'altro, dubitava che, anche in caso, sarebbe stata una buona idea sfogare gli istinti animali in un posto così frequentato.

'Mi stanno spiegando cosa fare di te dopo il ballo, perché? La Barbie non la smette di tediarti su quant'è agitata, vuoi ucciderla e ti serve un alibi?' pensò di buttarsi sullo scherzo, perché a seconda della risposta che avrebbe ricevuto, avrebbe intuito se c'erano problemi o meno, visto che con quella ragazzina non si poteva mai sapere.

Elena non si fece attendere molto. 'Saliresti quando hai finito? Chiamami. Ho bisogno di aiuto con una cosa. Ti prego, sbrigati...'

Le possibilità, a quel punto, erano solo due: era successa una catastrofe vera, ed era il caso di affrettarsi a salire e vedere che diamine fosse successo, oppure era un qualche problema del cazzo che le sembrava una catastrofe, e dal momento che quella era Elena e che ogni pelo le sembrava un cavallo - anche se molte volte aveva ragione a impensierirsi - era davvero il caso di affrettarsi, se non altro per tranquillizzarla sul fatto che qualunque cosa fosse, avrebbero trovato una soluzione e anche in poco tempo perché all'apertura delle danze non mancava poi molto.

Così, sospirò e diede una gomitata a Stefan per attirarne l'attenzione.

«Se dice qualcosa di nuovo avvertimi, io...» esitò, incerto se dirgli la verità o meno, ma suo fratello era troppo teso per gli affari suoi, non aveva senso dargli un altro motivo per essere agitato. «...vado al bagno.»

«Non puoi aspettare che finisca di parlare?» bisbigliò lui, in risposta.

Damon trattenne un'imprecazione tra i denti. «È urgente.» lo liquidò, prima di scomparire da dov'erano venuti senza essere visto.

Raggiunse le scale e telefonò alla sua ragazza, dubbioso e abbastanza confuso.

«Ehi...» rispose lei, senza dargli il tempo di dire una parola, e sembrava veramente turbata. «Dove sei?»

Lui si guardò intorno, non appena raggiunse il piano superiore. «Sono in cima alle scale. Tu dove sei.» non era una richiesta, ma nemmeno una constatazione: voleva solo sottolineare che era quella la giusta domanda.

La sentì esitare per un momento, soltanto respirare in quel modo tremante che aveva tutte le volte che stava trattenendo le lacrime.

«Elena...» sospirò, ora seriamente preoccupato per il suo stato d'animo.

«Non ti muovere, okay?» fu, però, la sua strana supplica, che faceva molto film di rapimenti. «Prometti di non muoverti. Resta fermo dove sei.»

Ancora il ragazzo non aveva capito a che gioco stavano giocando, ma si costrinse a fare come diceva lei, giusto per non peggiorare la situazione, dato che lei lo accusava spesso di essere un po' insensibile. Ma come diamine faceva a prendere sul serio ogni dannata volta che succedeva qualcosa? Certo, non ci si annoiava mai, ma di sicuro quella ragazza sarebbe morta di crepacuore a breve, per come prendeva tutto sul personale.

«Prometto, avanti.» la accontentò, con un sospiro seccato. «E ora?»

Era una buona cosa da chiedere, almeno secondo il suo punto di vista, perché proprio non aveva capito quale fosse l'ennesimo cruccio della sua ragazzina, ma lei non sembrava per niente intenzionata a rispondere, anzi, gli attaccò in faccia, lasciandolo lì come un fesso ad ascoltare il tu-tu-tu della chiamata terminata.

«Elena...?» chiese, anche se inutilmente, visto che ormai non poteva sentirlo.

Non fece nemmeno in tempo a girarsi che aveva due braccia intorno alla vita, di sicuro di lei, le avrebbe riconosciute ovunque, e la sua guancia contro la schiena. Lo stava stringendo forte, quasi a soffocarlo, mentre lasciava andare il respiro, forse un po' più rilassata.

«Sei qui.» mormorò, sollevata. «Menomale...»

Damon le afferrò le mani e passò i pollici sui dorsi, per tranquillizzarla con una coccola. «Che succede, piccola?» le chiese, con dolcezza. «Sei nervosa per il ballo? Tranquilla saranno tutti troppo impegnati a guardare Stefan-lo-Stoccafisso.»

Lei scosse la testa, sempre premuta contro la sua schiena, con quello che gli parve un sospiro più pesante degli altri, ma ancora non parlava e questa cosa stava cominciando a dargli seriamente sui nervi: sarà che era nervoso per gli affari suoi, con una certa cosa che gli pesava nella tasca, e che l'aveva spinto a chiedersi, più volte, se avrebbe mai avuto il coraggio - lui che non si era mai dovuto occupare di simili quisquilie perché le donne non duravano mai abbastanza - di darlo a lei.

Fece forza sulle sue braccia per farsi lasciar andare e girarsi: se l'avesse guardata sarebbe già stato un passo avanti.

«No.» lo pregò Elena, stringendo anche di più la presa. «Non ti girare.»

Damon sollevò un sopracciglio, stranito. «Sei così brutta?» le domandò, pur sapendo che non era davvero il trucco sbagliato il problema, ammesso che di quello si trattasse. «Forse tenere Jenna lontano dagli ombretti sarebbe stata una buona idea...»

Non la sentì sorridere, e fu l'ennesima ragione per impensierirsi: Elena era sempre disponibile a rilassarsi quando faceva la battuta più idiota della storia - e ne aveva già fatte due! -, ma non l'aveva sentita nemmeno sciogliersi un po'. Anzi, la presa sul suo stomaco e i suoi pugni chiusi erano ancora duri come marmo.

«Non voglio che mi guardi.» sussurrò lei, con la voce spezzata da un sentimento che Damon non riuscì a identificare. Sapeva un po' di paura e un po' di incredulità. «Non voglio che nessuno mi guardi. Ma non so come fare... dovrò scendere prima o poi.»

Il ragazzo si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo: stava continuando a fare la criptica, perché cavolo l'aveva chiamato se l'intento non era quello di confidarsi? «Elena, a meno che tu non somigli a un ananas ti consiglio di piantarla con l'autocommiserazione.» la rimproverò, senza il minimo tatto, ma non intendeva essere gentile. «Fammi vedere e smettiamola coi piagnistei.»

Sospettava che, se lo fosse stato, se si fosse azzardato a dimostrarsi comprensivo, Elena non si sarebbe mai tirata su: quantomeno questo l'avrebbe spinta a rispondergli a tono, che era il comportamento che preferiva, tra i due.

Meglio che gli desse del bruto o del bue, piuttosto che scoppiasse a piangere per uno di quei crucci che considerava insormontabili, anche perché tenerle testa era psicologicamente facile, ma consolarla non altrettanto.

«Jenna mi ha arricciato i capelli.» spiegò, turbata.

«Ah, ho capito.» suonò serio, ma in realtà non lo era per niente. «Quindi somigli a una pecora e hai paura che qualcuno ti prenda in giro. Non ti preoccupare, sono disposto a picchiare.»

Elena lo ignorò. «Dio, mi sono guardata nello specchio e ho visto lei.» calcò sull'ultima parola in modo significativo, tanto lo sapeva che Damon avrebbe capito, anzi, era quasi sicura che avesse già capito e che stesse facendo dello spirito proprio per questa ragione.

In realtà, lui aveva soltanto intuìto che fosse quella la ragione, prima che gliela dicesse apertamente, e la cosa che lo mandava in bestia era che lei davvero pensasse potesse essere ragione di disagio, o chissà cosa. In verità, non aveva idea di come avrebbe reagito, ma sospettava non poi tanto male, con la consapevolezza che quella era la sua ragazzina, e non quella maledetta stronza.

Non c'era modo, ormai, in cui avrebbe potuto scambiarle, non c'erano riccioli che tenessero. Elena aveva un modo di guardare che Katherine non si sarebbe potuta permettere nemmeno nei suoi sogni più selvaggi.

«Non significa niente per me, scema.» le ricordò, piano, addolcendo il tono. «Ricordi? Ho stracciato la foto, ciao ciao a Katherine. Adesso posso girarmi e così smettiamo di fare tragedie per nulla?»

Lei emise un verso, e Damon capì di averla offesa. «Se anche non è importante per te, come pensi che reagiranno i miei? Non voglio che qualcuno soffra, oggi, Damon... so cos'ho provato io, non voglio che nessun altro debba sentirsi nello stesso modo.»

Il ragazzo si ritrovò a sospirare, e stavolta fece per davvero forza per farsi lasciar andare, tanto che per un momento, credette di averle addirittura fatto male, in realtà lei si stava solo lamentando del fatto che non riusciva più ad opporre la resistenza sufficiente per evitarlo.

L'aveva chiamato soltanto perché non sapeva come fare, perché a qualcuno lo doveva dire, e Damon era stato l'unico a cui era riuscita a pensare, ma non voleva che la vedesse in quel modo, proprio quando avevano rinchiuso Katherine nel passato e lei pensava di lasciarcela per sempre.

Il ragazzo si sforzò di mascherare ogni tipo di emozione, nel girarsi, perché non voleva che lei gli leggesse niente in viso e cominciasse a farsi chissà quali film mentali in proposito - c'era riuscita per una foto, chissà cosa poteva fare per un'occhiata più o meno storta di quanto si aspettasse -, e non poté negare almeno a se stesso, a uno sguardo superficiale, di sentirsi come se avesse visto un fantasma.

Forse, Elena non aveva tutti i torti: ai coniugi Gilbert sarebbe preso un infarto. Ma, ad un'occhiata più approfondita, Damon non riuscì a vedere Katherine, proprio non poteva.

«Immagino di non poterti fare complimenti, in questo stato.» commentò, spostando un ricciolo sulla sua testa per toglierglielo da davanti agli occhi pieni di dubbi e ansia. «Quindi dirò solo che hai degli occhi bellissimi, ma non mi dare manate.»

Lei lo fece ugualmente solo che le uscì solo una stupida pacca sul petto, un pugno fiacco. Damon inclinò la testa per guardarla in faccia, visto che lei aveva gli occhi puntati troppo in basso per poterli raggiungere.

«Non mi dici che sono uno stronzo?» la provocò, pizzicandole un fianco per tentare almeno di farla sorridere, e questo sembrò funzionare, anche se non aveva ancora alzato la testa.

«Non posso...» ammise lei, tirando finalmente su gli occhi, quando iniziò seriamente a farle il solletico e lei si stava divincolando tra le risate sommesse. «Sei Mary Poppins, razza di scemo.»

Anche Damon non poté trattenere un sorriso, riconoscendo finalmente la sua ragazzina, e anche se non poteva dirlo che era bellissima, e non per i riccioli, o per quel ridicolo e striminzito accappatoio - chissà se c'era qualcosa sotto, a proposito -, ma perché Elena era bella e basta.

Se si fosse azzardato anche ad accennarlo, lei avrebbe pensato che lo diceva solo per consolarla e non perché lo pensava veramente, o peggio avrebbe pensato che lo diceva perché la somiglianza con Katherine era quasi inquietante.

Elena si prese un ricciolo tra le dita e lo guardò quasi con astio, quando Damon la lasciò andare. «Li detesto.» si lamentò, a mezza bocca. «Con tutte le forze.»

«Allora togliamoli di torno.» fu la proposta di lui, elargita come se fosse stato stupido, per lei, non pensarci prima. Infatti gli rivolse un'occhiata offesa. «Cosa c'è? Quante storie hai fatto per due boccoli, quando basta poco per risolvere il problema!»

La prese per mano e la trascinò verso l'unica stanza con la porta socchiusa, dalla quale lei era sicuramente uscita prima di piombargli alle spalle come i serial killer sui sedili posteriori dell'auto nei film horror di quarta categoria.

«Dammi una spazzola, ci penso io.» suonò sicuro di quello che faceva, ma Elena non lo era altrettanto, riguardo le sue capacità di prendersi cura dei capelli di una ragazza, specialmente di una che ci teneva tanto come lei.

Gliela passò lo stesso, seppure come se gli stesse consegnando un figlio.

«Siediti, principessa.» le indicò lo sgabello su cui era stata seduta per ore, mentre Jenna la trasformava in sua sorella, e fu lì decise di fidarsi di lui, ma solo perché peggio non sarebbe potuta andare. «Mia madre ti ha dato dei braccialetti, sbaglio? Dammene uno.»

Elena sollevò gli occhi, ma non riuscì a scorgerlo ugualmente. Così lo fissò tramite lo specchio. «Sì, ma a che ti serve?» se ne sfilò uno dal polso e glielo porse, e lo osservò costernata mentre se lo infilava al suo.

Si costrinse a ricordare a se stessa di aver deciso di fidarsi, per non commentare.

«Forcine.» ordinò il ragazzo, senza rispondere, e lei, anche se con le guance un po' gonfie per il leggero fastidio di essere stata bellamente ignorata, gli indicò un sacchetto sul mobile. «Ah, perfetto.»

Dato che non sembrava molto disposto al dialogo, Elena decise di stare in silenzio, ad osservarlo mentre le pettinava i capelli con una cura di cui non l'avrebbe mai creduto capace, mentre si sforzava di non tirarglieli e di farle male.

I boccoli si appiattirono tutti, diventarono delle ciocche leggermente ondulate che la rendevano molto meno Katherine e molto più Elena. L'unico problema era che quelle davanti erano un vero disastro, tutte disordinate, le onde erano tutte scombinate.

Fece per parlare, in modo da farglielo notare.

«Zitta. Ora ci arrivo.» la bloccò Damon, ancora prima che lei potesse iniziare a manifestare i suoi dubbi.

Richiuse la bocca, leggermente risentita da quella totale mancanza di gentilezza da parte sua. «Bue...» borbottò, a braccia ora incrociate, strappandogli l'accenno di un sorriso che le impedì di restare seccata con lui per altri due secondi.

Le tirò indietro le ciocche davanti, quelle più incasinate, tranne una, e dopo le appuntò dietro la testa con le forcine che aveva rimediato dalla busta, dopodiché fece qualcosa che non riuscì a vedere col braccialetto blu, fissò anche quello nei suoi capelli, con le forcine, e lei non poteva credere di sembrare appena uscita dallo studio del più famoso hair stylist americano.

«Wow...» commentò, ammirata, voltando il viso prima da una parte e poi dall'altra, per scoprire di non avere nemmeno un capello fuori posto. «Tu sai fare veramente tutto.»

Il ragazzo inarcò un sopracciglio. «Deve offendermi questo tuo tono sorpreso?» le chiese, e fu il suo turno di incrociare le braccia al petto.

Lei era ancora seduta che si ammirava i capelli, e non le sembrava di essere mai stata più carina, il che era un sollievo incredibile, perché adesso non avrebbe angustiato nessuno in un giorno importante e neanche aveva più l'impressione tremenda di osservare un'altra persona nel suo riflesso.

«Com'è che ti intendi di queste cose?» gli chiese, curiosa e maliziosa.

Damon si sedette sul bracciolo del divano, scuotendo le spalle. «È successo a New Orleans.» spiegò, mentre un minuscolo sorriso strano si faceva spazio sulle sue labbra. «Avevo diciassette anni, e mio padre mi aveva improvvisamente tagliato i fondi perché credeva che così sarei tornato a casa, perciò dovevo trovarmi una fonte di guadagno.»

Si mise a giocare distrattamente con un filo sfuggito alla cucitura, la fronte leggermente aggrottata, come se stesse ricordando qualcosa di non esattamente piacevole, e doveva esserlo stata almeno la discussione che c'era stata tra lui e suo padre in quell'occasione.

Elena si alzò, e andò a circondargli le spalle con un braccio, mentre gli portava la testa contro al petto, le mani ad accarezzargli la nuca, un gesto che aveva notato svariate volte avere il potere di calmarlo almeno un po'.

«Mia madre tentava di mandarmi dei soldi, quando poteva, ma hanno un conto cointestato, quei due geni, e per spostamenti superiori a una certa somma è necessaria la firma di entrambi, quindi riusciva a farmi avere ben poco.» proseguì, spostando leggermente la testa in modo che la mano di lei andasse proprio dove lui voleva che fosse. «Tra l'altro, la mia scuola costava un casino, visto che dovevo per forza frequentare gente d'élite...» che era ciò che gli aveva imposto suo padre, ma per Damon, semplicemente, cambiare scuola sarebbe stato seccante per un milione di ragioni e in particolare perché gli serviva il permesso dei suoi genitori per il trasferimento, cosa che non sarebbe arrivata mai nemmeno se avesse pregato in turco, perciò non aveva proprio chiesto. «...ed ecco che improvvisamente sono rimasto al verde.»

A lei non dispiacevano affatto queste confessioni, perché le permettevano di sapere di più sulla sua vita, quello che le dispiaceva era dovergli sentire nella voce tutto quel risentimento verso suo padre ed essere cosciente che c'era stata una parte difficile nella sua vita in cui non aveva potuto essere al suo fianco per stargli vicino.

«E questo cosa c'entra coi capelli?» gli chiese, quindi, sperando di alleggerire l'atmosfera e non di suonare insensibile, mentre gli accarezzava lentamente i capelli per farlo rilassare.

Naturalmente, Damon non ci fece alcun caso.

«C'entra perché, per puro caso, sono finito a posare in mutande per un concorso di studenti della School of Design, in occasione della Fashion Week.» rivelò, e stavolta il sorriso era malizioso, al ricordo di come quella ragazza dai capelli rossi l'aveva rincorso per tutta la strada, nella speranza di convincerlo a lavorare per lei e i suoi amici. «Abbiamo avuto il primo premio, ovviamente, e in palio c'era un contratto per tutti i membri del gruppo vincente con una nota casa di moda, così sono finito a fare il fotomodello per un po'.»

Elena abbassò lentamente la testa verso la sua, e lo trovò che la guardava curioso, giusto per capire perché si era irrigidita tanto, ma lei era troppo stupita per concepire un pensiero che avesse un senso. «Non ci credo...» fu tutto ciò che riuscì a produrre.

Soprattutto perché, di tutto ciò che si era saputo di lui, nel corso degli anni, non era mai venuto fuori che aveva fatto anche quello: aveva vissuto per chissà quanto nel mondo della moda, e lei che si era preoccupata solo di ex come Katherine!

Figurarsi se uno come lui si era lasciato scappare una modella tutta gambe, e magari anche poco cervello, come quelle che gli erano sempre piaciute.

«Ero circondato da splendide ragazze sempre tutte acconciate, e mi ritrovavo spesso a guardarle perfino durante le preparazioni, anche se non ero poi così tanto concentrato sui capelli, ma come sai mi ricordo tutto, perciò...» confermò, prima di fare una breve pausa, di fronte ai suoi piccoli occhietti accusatori. «Non fare così, mi servivano i soldi e ho sempre subìto il fascino delle belle donne!»

«Sto con un modello...» constatò la ragazza, lasciandolo per sedersi, come se fosse stato chissà quale trauma.

Damon la seguì con lo sguardo.

«Ex modello.» precisò, allora, a tranquillizzarla, nel caso avesse dovuto essere motivo di ulteriore preoccupazione. «Solo fino a che non ho finito il liceo. Poi sono andato al College, e mio padre ha deciso improvvisamente di rifinanziarmi, quando gli ho comunicato che avrei studiato Legge.»

Non era molto difficile, per lei, immaginare che fosse stato praticamente impossibile per uno come lui che non aveva potuto condividere con la sua famiglia nemmeno le mura domestiche, dover accettare di aver perso l'indipendenza economica.

E in effetti, era stato proprio così: non era stato solo uno smacco tornare a dipendere dai soldi di suo padre, gli aveva dato del potere su di sé di cui doveva ancora liberarsi, dato che, praticamente, lavorava per lui.

«Io volevo tanto mandarlo al diavolo, ma non l'ho fatto per mia madre, e poi era una grande opportunità per avere un sacco di tempo libero spendibile in altro modo, così... ho smesso di fare pubblicità alle mutande.» Damon mise su un'espressione quasi pensierosa. «Temo sia stato il periodo più imbarazzante della mia vita.»

Tra l'altro nessuno smetteva mai di guardarlo, in occasioni del genere, e per quanto fosse una persona difficile da mettere in imbarazzo, era stato pur sempre un ragazzino come tutti gli altri, a cui piace farsi vedere in mutande, ma non necessariamente da tutta la città. Ci si era abituato in breve tempo, in ogni caso. Aveva dovuto.

«Girano ancora quelle foto?» volle sapere Elena, un sopracciglio inarcato ad esprimere la perplessità e il fastidio se la risposta avesse dovuto essere positiva.

Chi si permetteva di posare gli occhi sul suo ragazzo praticamente nudo?

«Mah, non lo so.» Damon si strinse nelle spalle. «Da qualche parte saranno, vedrai. Perché?»

Si sporse verso di lei, curioso, come se quella risposta avesse dovuto coglierla solo guardandola più da vicino.

Imbronciata, Elena lo fissò come se gliene facesse una colpa: «Non lo so, mi spiacerebbe molto se una ragazza dovesse fantasticare su un poster dove sei solo in biancheria intima.» confessò, prima di rifletterci bene su: avrebbe potuto essere lei la famosa ragazza, e la sua espressione si addolcì subito. «Ma non nego che mi piacerebbe darci un'occhiata...»

Abbassò gli occhi maliziosamente, in direzione del cavallo dei pantaloni del suo ragazzo, il quale si ritrovò a ricambiare il sorriso carico di sottintesi, seppure un po' stupito da tutta quella iniziativa: non gli erano di certo sfuggiti i suoi tentativi di sedurlo, tutto il mese, ma di rado si rendeva così esplicita.

La cosa, ovviamente, non gli dispiaceva per niente, peccato che non fosse mai un buon momento per cedere all'istinto, accidenti a lei. Era una ragazza incredibilmente sexy e portata per quel genere di argomento, ma chissà come sceglieva sempre i momenti meno opportuni per iniziare una conversazione che si prospettava parecchio coinvolgente.

«Mi hai visto anche senza quell'inutile pezzo di stoffa, principessa.» la provocò, però, alzandole il mento con le dita, solo per trovarle le guance un po' rosse, anche se non aveva idea se lo fossero per l'imbarazzo o perché era accaldata.

Se continuava in quel modo, a far scivolare la dannata mano sui suoi pantaloni - specialmente quando aveva addosso uno straccio di accappatoio che la lasciava scoperta per tre quarti -, sarebbe stato lui quello accaldato.

«Non la tua versione diciannovenne...» azzardò Elena, sporgendosi un po' verso di lui, giusto per rendergli chiaro che le sue attenzioni non erano per niente innocenti, testimone di ciò anche il bordo della vestaglia che si abbassava dalla sua spalla, scoprendo il profilo del seno.

«Sono abbastanza sicuro di essere migliorato negli anni. Non ti sei persa niente.» concluse Damon con un definitivo sussurro, prima di appropriarsi delle sue labbra, bloccare la sua mano prima che gli risalisse lungo la coscia e gli facesse perdere il controllo, e posandole l'altra alla base della schiena per schiacciarsela addosso.

Elena rispose alla stretta con entusiasmo, passandogli un braccio intorno al collo, l'altro bloccato nella sua presa ferrea, che tentò di liberare, ma senza risultati.

Ansimò contro la sua bocca per prendere aria e non allontanarsi, e lo spinse contro il divano, cosa che lui le permise senza alcuna lamentela, anzi: scivolò sui cuscini, portandosela dietro, e la trattenne sulle sue ginocchia, senza staccare la bocca dalla sua, le mani entrambe impegnate, ormai, a circondarle il viso.

Si separarono un momento dopo, e solo il tempo necessario per coprire la distanza che si era creata in quei brevi momenti di respiro. Il nodo della cintura che teneva chiuso l'accappatoio di Elena cedette, ma nessuno dei due ci avrebbe fatto caso - troppo impegnati a perdere la cognizione del mondo sulle labbra dell'altro -, se Damon non avesse lasciato distrattamente scivolare le dita al di sotto del tessuto per sfiorarle la pelle.

«Damon...» mugolò la ragazza, allontanandosi, il fiato corto e una strana luce negli occhi che chiuse un momento dopo perché lui non si era certo lasciato scoraggiare, tutt'altro.

«Lo so, lo so...» mormorò lui, al suo orecchio, prima di scostarle i capelli col naso per lasciarle un bacio sulla spalla nuda. «Non si può: parenti scocciatori, un concorso a cui partecipare e un sacco di altre cose che al momento mi sfuggono.» ma questo non gli impedì di certo di tirare giù fino alla vita la vestaglia per proseguire sul suo tragitto immaginario.

«No.» lo contraddisse lei, portando una mano a incontrare la sua nuca per fare in modo che i suoi baci fossero più decisi. «Pensavo che avessi capito che ne ho abbastanza di aspettare e che del concorso me ne frega meno di zero.»

Se solo fosse stata in sé, si sarebbe resa perfettamente conto che non scendere quelle scale avrebbe provocato una valanga di reazioni, da parte dei suoi parenti, delle più disparate e sia lei che Damon sarebbero finiti in guai difficili da dimenticare, senza contare che sarebbero passati entrambi alla storia come la coppia di concorrenti che mentre dovevano essere a ballare nel cortile, si stavano dedicando a tutt'altra attività ai piani superiori.

Non una splendida pubblicità per le loro famiglie, e nemmeno per lei - per la sua reputazione, ormai, non c'era più speranza, quindi Damon non finse nemmeno di preoccuparsene.

Si costrinse a fermarsi comunque, ed era incredibile che fosse riuscito a pensare a qualcosa che non fosse lei, in un momento del genere, e tutto questo era da imputare al fatto che era stato interrotto troppe volte sul più bello per lasciarsi andare davvero, senza almeno il vago sospetto che ci sarebbe stato almeno un altro emissario del karma di cui occuparsi. L'ultima volta che ci aveva provato si era beccato un pugno, e non intendeva replicare, specialmente perché baciarla era stato davvero scomodo e doloroso per settimane e non era una di quelle cose che gli passava la voglia di fare.

«Dico sul serio, Elena.» gli ci volle un grosso sforzo di volontà per staccarsi dal suo corpo e guardarla senza pensare a quanto gli sarebbe piaciuto stenderla su quel divano e farle sospirare il suo nome tutta la mattina - o tutto il giorno. «È un pessimo momento.»

Scornata, lei non cercò nemmeno di recuperare la passione ormai persa, si sistemò la vestaglia in silenzio, mosse soltanto la testa in segno d'assenso, come per dire che aveva capito anche troppo bene cosa stava cercando di nasconderle.

Nemmeno lo sapeva perché la considerava una specie di umiliazione, un affronto personale, il fatto che si fosse trasformato nell'uomo più ritroso sulla faccia della Terra, e avrebbe tanto voluto venire a conoscenza del motivo del maledetto blocco, e chissà che non fosse proprio che non riusciva a provare dei sentimenti per lei che andassero oltre l'affetto, nonostante la sua promessa di provarci.

C'era anche da dire che lei non era un asso in quello: non si era mai cimentata nell'arte di sedurre un uomo, non avrebbe saputo nemmeno da che parte cominciare, a pensarci bene, ma non era mai stata rifiutata così apertamente in tutta la sua vita. Era ovvio che pensasse di non piacergli più da quel punto di vista.

Magari, avrebbe dovuto parlargliene, ma non voleva sembrare lamentosa o patetica: si era messa in testa di aspettare che fosse lui a tirare fuori il problema, se ce n'era uno, solo che, veramente, aspettare era diventata una tortura, in particolar modo se le dava modo di cominciare ma non di concludere.

Sospirò seccata: le coppie normali facevano sesso e basta, loro no. Loro dovevano parlare per forza di tutto, lasciando lei a farsi mille paranoie mentre per lui sembrava essere tutto perfettamente normale.

«Ehi, che ti prende?» le chiese Damon, guadagnandosi un'occhiataccia che lo mise a tacere, anzi, gli fece alzare le mani in segno di resa, sebbene non avesse chiaro quale fosse la causa del suo repentino cambio d'umore, anche se avrebbe dovuto immaginarla. Imputò semplicemente quello sbalzo per lui altrimenti inspiegabile al fatto che Elena fosse in "quei" giorni, e che dopotutto, per quanto strana - o più strana delle altre -, era una donna anche lei.

Dopo, nell'attimo in cui la faccia risentita di lei lasciò il posto a quella in cerca di spiegazioni, qualcuno bussò alla porta, impedendole di tirare fuori l'argomento apertamente.

«Elena?» era la voce di sua madre. «Sei qui? Abbiamo un piccolo problema...» se la ritrovarono dentro la stanza, girata di schiena che chiudeva la porta, mentre si assicurava di non essere seguita - probabilmente da una di quelle invasate delle nonne di Elena o qualche altro parente indesiderato. «Abbiamo di nuovo perso Damon. Non è che sai dove sia?»

Lui si affrettò a riallacciarsi la cravatta - e proprio non aveva idea di quando Elena gliel'avesse allentata -, prima che avesse occasione di voltarsi e trovarlo tutto disordinato - sarebbe stato fin troppo facile immaginarne la ragione -, ma rimase seduto sul divano, per poi rivolgerle un cenno di saluto per niente imbarazzato non appena posò gli occhi su di lui.

Anche da lei, si beccò un'occhiata storta, e arrivò alla conclusione che quella non era esattamente la sua giornata migliore.

«Stanno radunando gli accompagnatori e Stefan è in iperventilazione.» gli spiegò la donna, ruvida. «Ci era preso un colpo quando ci siamo accorti che non eri da nessuna parte.» poi rivolse l'attenzione alla figlia, e la squadrò da capo a piedi, perplessa. «Tesoro, perché non sei ancora vestita? Si comincia tra poco!»

Elena si limitò a stringersi nelle spalle: era stata tutta colpa di Jenna, tanto per cominciare, ma era meglio non mettere troppa carne al fuoco, quando aveva evitato abbastanza magistralmente di doverlo fare con quell'acconciatura dell'ultimo minuto.

«Stavo per farlo.» si limitò a giustificarsi, e infatti i piani erano quelli, prima che Damon facesse vagare le sue manacce sotto a quella stupida vestaglietta, senza avere nemmeno la decenza di finire il lavoro.

Miranda non ebbe bisogno di un'ulteriore parola per capire che sua figlia era seccata e che la ragione di quello stato d'animo era beatamente seduta sul divano, invece che in fondo alle scale con gli altri accompagnatori.

«Santo Cielo. Damon, ti aspettano al piano di sotto!» gli fece cenno di tirarsi su, e lui obbedì con un sospiro esasperato che sapeva di "Mamme!" «Uhm... il... il colletto.»

Indicò vagamente la zona del suo collo, e quando Damon portò la mano ad accertarsi della situazione, capì che qualcosa era andato storto nel suo tentativo di sistemarsi la cravatta. «Oh, ehm...» cercò di metterlo a posto da sé, ma non ebbe poi molto successo.

«Ci penso io.» intervenne Elena, l'imbarazzo che le colorava le guance anche troppo vistosamente, mentre tentava di evitare il suo sguardo sornione per non sorridere: era ancora offesa con lui e non era il caso di confermare a sua madre ciò che aveva sicuramente intuìto. «Ecco fatto...»

Gli lisciò la giacca sulle spalle, visibilmente a disagio, e poi gli diede una pacca per confermare che aveva finito e che tutto era andato a buon fine.

«Allora vado, prima che il ciuffo da eroe di mio fratello si afflosci sulla sua fronte imperlata di sudore.» fu il commento del ragazzo che si piegò per baciare una guancia di Elena, la quale, stavolta, non poté trattenere un sorriso, mentre alzava gli occhi al cielo. «Ci vediamo dopo, piccola mia.»

Riuscì addirittura a rivolgere un mezzo sorriso a Miranda, mentre lasciava la stanza, sotto al suo sguardo di divertito rimprovero.

«Io...» cominciò Elena, sentendosi in obbligo di dare qualche spiegazione.

Miranda alzò una mano per bloccarla. «Infiliamoci questo vestito, ti va?» le chiese, in tono troppo leggero per essere davvero spontaneo. «Abbiamo detto le ramanzine stasera, e ce ne sono in conto un paio, sappilo.»

Su quello non sembravano esserci dubbi, e dopo una giornata piuttosto stancante, oltre al colpo che si era presa quando aveva visto i suoi ricci di troppo, si sarebbe dovuta sorbire anche dei rimproveri che trovava del tutto immeritati.

In fondo, aveva solo lasciato dormire il suo ragazzo (mica un estraneo!) nel suo letto - era vero, forse aveva dimenticato di avvisare i suoi - e l'aveva fatto salire in cerca di conforto, che diamine c'era di male? Evidentemente, sua madre sembrava pensarla in modo diverso.

Contrasse le sopracciglia, con la faccia di quella che vorrebbe essere in un altro posto. «Molto arrabbiata?» chiese, quindi.

La osservò tirare fuori il vestito dalla copertura della lavanderia e sospirare. «No.» la stupì, con un sorriso piatto. «Dev'essere stato l'improvviso arrivo di Jane, perché temo proprio che quel ragazzo possa cominciare a piacermi.»

Il che sembrava una completa assurdità, ma piuttosto che dare torto a sua suocera, Miranda si sarebbe resa capace di qualunque cosa, specialmente se Jane si presentava senza avvisare, col suo attuale marito e il suo ex marito al seguito, senza contare il ragazzino che voleva costringere Elena a frequentare.

Perciò sì, si sarebbe fatta andare bene anche Damon Salvatore, a quel prezzo.

Sua figlia sorrise più apertamente, senza poter contenere la sua soddisfazione per quell'ammissione, anche se non poteva immaginare quali fossero le reali motivazioni dietro quel cambio d'atteggiamento.

Miranda le rivolse l'ennesima occhiata di avvertimento. «Ho detto possa cominciare, campo ipotetico. Non fare quella faccia.» la minacciò con un indice teso, in tono che non ammetteva repliche. «E davvero dovreste imparare ad essere più discreti.»

Le porse l'abito blu, facendole cenno di entrarci dentro, subito dopo che ebbe abbassato la cerniera, ma non si risparmiò di seguirla bene con lo sguardo, come se avesse voluto sottolineare che aveva capito benissimo cos'era che avevano tentato di nascondere e volesse farglielo sapere.

Il sorriso di Elena diventò nervoso. «Guarda che non è successo niente...» sentì la necessità di dire, ma sua madre sbuffò una risatina incredula.

Non era un mistero per nessuno che non le aveva creduto. «Elena, ho avuto diciott'anni anch'io.» le ricordò, secca. «Smettiamola di fingere di credere che non mi ricordi com'era.»

«Sul serio, non è... successo niente.» non era un tono convincente, anche se, in fondo, in fondo, quella era la verità. Ma non era tanto per quello che era nervosa, non era nemmeno per il concorso, o per le sue nonne che ce la stavano mettendo tutta per imbarazzarla davanti a tutta la città. «In effetti è proprio quello il problema...»

Non avrebbe mai voluto arrivare al punto da non avere più nessuno con cui confrontarsi sull'argomento, tanto da arrivare a sua madre, ma lei sembrava sempre così sicura di tutto, così consapevole, come se sapesse tutto... come faceva a non desiderare - almeno - di poter condividere quel peso con lei?

In un momento di calma, magari, le sarebbe sembrata l'idea peggiore del secolo, ma Elena non era affatto calma, perciò si lasciò scivolare l'indumento dalle spalle con aria da funerale e si decise a parlare.

«Mi vergogno tantissimo, ma ho bisogno di parlarne con qualcuno.» fece questa piccola premessa, e non sapeva nemmeno bene perché.

Miranda, al contrario, sembrava di sì: «Non credo che sarebbe saggio parlare con me delle vostre... esperienze.» rimase sul vago di proposito, giusto per farle capire che non era il caso di rendere quella conversazione più imbarazzante del necessario.

Ci sono cose che una madre non vuole sapere per principio, e le esperienze sessuali della propria figlia rientravano in quella sfera di competenza.

Tuttavia, la ragazzina non sembrò curarsene. «Cosa significa quando un uomo non ti vuole?» lasciò andare quella domanda tutta d'un fiato, artigliando il vestito come se fosse il ponte di connessione tra lei e la donna che l'aveva messa al mondo.

Quella donna tirò su le sopracciglia, incapace di poter credere alle proprie orecchie. «Di cosa stiamo parlando?»

«Mamma!» si lamentò Elena, esasperata, col tono da "Lo sai benissimo!"

Si tirò su l'abito sui fianchi con l'aiuto di Miranda, dato che stavano passando dai piedi per non rovinare l'acconciatura - che, tra l'altro, trovò abbastanza elaborata (fin troppo) per essere tutta opera di Jenna, e la lasciò alquanto stupita, ma non era il momento di commentare -, con un leggero sbuffo, forse di delusione verso quella mancata occasione di conforto o di comprensione, forse solo verso se stessa che non riusciva a suscitare l'interesse dell'unico uomo che avesse mai desiderato con tanta intensità.

Sua madre continuò ad aiutarla, allacciando la cerniera con una certa soddisfazione dovuta soltanto al fatto che si concretizzava il suo sogno di vedere sua figlia a quella sorta di ballo delle debuttanti.

«Su, tesoro mio, non credo che ci sia niente di strano se un ragazzo ti rifiuta in un particolare periodo del mese.» commentò, allora, seria. «Ad alcuni dà fastidio la vista del sangue.»

Il tempo che ci mise ad afferrare i trucchi davanti allo specchio, che arrivò la risposta di Elena: «Non si tratta solo di questo particolare periodo.» spiegò, quindi, con un borbottio strano e risentito. «Non... non è mai successo

Sussurrò quell'ultima parte come se fosse stata una vergogna da nascondere, e non lo era realmente per lei, o almeno non per il fatto che non fosse successo in genere, ma soltanto perché lei davvero ci aveva provato ed era stato niente nonostante gli sforzi.

Miranda si ritrovò a sospirare di sollievo e ringraziare il Cielo, sotto lo sguardo attonito di sua figlia e solo quando se ne accorse si ricompose. «Oh, beh...» cercò di salvarsi in calcio d'angolo: «Ci possono essere un sacco di ragioni.»

Tirò fuori i pennelli e le matite per occhi con un gesto secco, mentre Elena la guardava diffidente: «Ad esempio?»

Le sarebbe tanto piaciuto che smettesse di rimanere sul vago e le desse il colpo di grazia: perché nessuno si decideva a dirle ciò che pensava davvero, anche se significava dare un taglio netto alle speranze di interessare al ragazzo che amava?

«Non lo so, Elena... non sono mai stata un dongiovanni.» fu la risposta nervosa di Miranda che proprio non poteva trovare una scusa migliore, e proprio per questo sentì il bisogno di confortarla. «Ma capisco che non voglia bruciare le tappe con la prima ragazza che non sia una di passaggio.»

Sperando che fosse davvero quello il caso.

A quel punto, mentre si metteva a sedere sul solito sgabello di fronte allo specchio per essere truccata, la ragazza si domandò se non fosse la verità. E solo perché un po' le piaceva, la prospettiva.

«Pensi che sia per questo?» chiese, per conferma, prima di essere di nuovo assalita dai dubbi. «E se non gli piacessi più? Insomma...»

Di sicuro stava facendo di un pelo un cavallo - come sempre, d'altronde, e come ogni adolescente che si rispetti -, e il vero punto di tutta quella situazione era che non era affatto sicura di se stessa, e non le era mai capitato di incontrare un uomo che ti spinge a pensare al sesso anche quando sembra il momento meno opportuno, mentre lei... non aveva la minima idea di che razza di pensieri potesse suscitargli.

Certo, a volte erano davvero chiari, in fondo se lo ricordava bene come aveva reagito il cavallo dei suoi pantaloni alle attenzioni che gli aveva dedicato il pomeriggio prima - tralasciando la parte in cui erano quasi stati beccati da Mary, che si era scusata e si era volatilizzata subito e aveva capito che aria tirava -, altre invece era davvero imperscrutabile.

«Elena, l'ho visto come ti guarda.» la voce di sua madre la distrasse da quelle imbarazzanti riflessioni. «Non è lo sguardo di uno a cui non interessi sotto quel particolare aspetto. Perciò, poche chiacchiere e guarda in alto o rischio di infilarti la matita in un occhio.»

Lei si affrettò ad obbedire, dopo aver sbattuto un momento le palpebre, ma non poté trattenere la domanda: «Tutto qui?»

«Tutto qui.» confermò lei, continuando a tracciare la linea nera intorno ai suoi occhi per risaltarli. «Se vuoi sedurre un uomo non basta la biancheria sexy... dove diamine hai preso cose del genere?»

Si riferiva a ciò che le aveva visto dopo che si era tolta l'accappatoio e di cui - solo ora Elena se ne rendeva conto - lei non aveva mai saputo niente perché non l'aveva quasi mai indossata e se l'aveva fatto si era vergognata troppo di metterlo nella cesta della biancheria sporca, perciò ci aveva pensato da sola a lavarla e rinfilarla nel cassetto, nell'angolo più remoto e nascosto, in modo che non venisse mai fuori per sbaglio - tralasciando che Damon era andato a colpo sicuro a trovarla nemmeno avesse saputo dove fosse.

«Un regalo di Caroline.» rivelò, ridacchiando nervosamente, ma non era della sua banchiera della non chiara provenienza ciò di cui le interessava parlare. «Non puoi darmi nemmeno un consiglio?»

Dapprima, da parte di Miranda ci fu un sonoro sospiro: non se la sentiva di spingere la sua ingenua bambina tra le braccia di uno ben più che scafato in materia di sesso, ma nemmeno voleva farla sentire sbagliata o inadeguata per una cosa del genere, ben sapendo quanto le teste delle donne così giovani fossero confuse già di per sé.

Alla fine, la soluzione non era poi tanto difficile da immaginare: meglio passare la palla a qualcuno che di sicuro le poteva dare le giuste risposte, o quantomeno migliori delle sue che erano solo congetture.

«Parlane con lui.» le suggerì, perciò. «Approcciarsi all'aspetto fisico di una relazione per la prima volta non è mai una cosa facile, e poi... non devi andarci a letto per forza ora: vi siete conosciuti poco meno di tre mesi fa.» a parlare fu il suo istinto materno, e solo molto dopo si rese conto di aver detto una di quelle cose che si era ripromessa di evitare.

Infatti, Elena si corrucciò parecchio: «Mi stai dicendo che sono una poco di buono perché voglio andare a letto col mio ragazzo?»

«No, ho detto solo che magari per lui è bene aspettare ancora un po'... perché non c'è nessuna fretta.» si corresse sua madre, condiscendente, dandole una spolverata di fondotinta per il quale la ragazza fu costretta a chiudere il becco. «Senz'altro è interessato e ti vuole bene, ma è molto più grande di te: sa gestire di sicuro le pulsioni meglio di un adolescente. Credo che questo comportamento sia saggio da parte sua.»

Voleva solo farle capire che non era necessariamente un rifiuto da parte sua, ma Elena lo prese comunque come un rimprovero, quasi che le avesse detto che lei era troppo affrettata perché troppo giovane e incapace di distinguere una buona scelta da una che lo è di meno, con la mente impegnata ad ascoltare solo i suoi ormoni.

«Perché dici così?» suonò risentita.

«Perché ha capito come sei fatta.» Miranda le passò le mani sulle spalle, in segno di conforto, abbandonando i trucchi una volta per tutte. «E sappiamo tutti che ti sei affezionata moltissimo a lui, in più, Damon sa come hai reagito quanto ti ha delusa. Pensa se dovesse succedere dopo il sesso... non oso nemmeno immaginare come ti sentiresti.»

«Oh...» mormorò la ragazza, ora consapevole di ciò che aveva voluto farle capire.

Doveva ammettere che non aveva mai guardato la cosa da quella prospettiva: effettivamente, Damon una ragazza non l'aveva mai avuta, e il loro primo periodo era stato costellato di passi falsi - di entrambi, c'era da dire anche quello -, e per un po' lei stessa aveva avuto il dubbio che avrebbero potuto spergiurare di restare insieme per sempre un giorno, per poi disdire tutto quello successivo.

Avevano trovato un po' di stabilità solo da quando si erano concessi di essere più sinceri e più disposti a rischiare, ma questo non significava che uno dei due potesse ricadere nei vecchi errori - lui, più che altro, visto che lei era sicurissima di ciò che voleva -, e anche se era un'opzione piuttosto remota, era pur sempre possibile.

La cosa che la stupiva era che Damon potesse aver pensato una cosa del genere... era pur sempre un uomo, e quello suonava tanto come un ragionamento da donna - e fatto per un'altra donna, anche.

Si costrinse ad ammettere che sua madre aveva ragione almeno su una cosa: doveva parlarne con lui, anche se la sola idea le faceva salire il sangue alla testa e le bloccava la lingua. Non aveva abbastanza faccia di bronzo per tirare fuori un argomento tanto scottante come se niente fosse.

«Bene. Sei pronta.» Miranda la aiutò a tirarsi su e la ammirò dalla testa ai piedi con una certa soddisfazione. «E bellissima. Se Damon ha ancora il coraggio di rifiutarti dopo averti vista così, ha ragione Caroline.» e dall'occhiolino che le rivolse, Elena comprese che sua madre sapeva.

Sapeva ogni cosa, e col suo discorso aveva soltanto collegato i puntini.

Indignata, spalancò la bocca: «Sei una spiona!» la accusò, senza poter credere - o immaginare! - che sua madre stesse dietro la porta a sentire le confidenze che si faceva lei con le sue migliori amiche.

La cosa non sembrò per niente mettere a disagio quella che Damon avrebbe definito con tranquillità una ficcanaso: «No, sono una mamma.» e suonò tanto come se fosse una giustificazione universale.

Detto questo, la spinse verso la porta con entusiasmo, e la ragazzina si domandò se aveva mai avuto della privacy, da che aveva deciso di frequentare quel ragazzo.

«Cielo!» mormorò Caroline, mentre si torturava le mani, era dietro a Heather Fell, la seconda della fila, subito dopo Rebekah che si stava sistemando i boccoli perfetti, con aria sostenuta. «Oh, Ele... menomale che sei arrivata, sono così nervosa! Sono sicura che sbaglierò tutto! E quella...»

Lanciò un'occhiata alla capofila, velenosa, come se avesse osato rubarle il primo posto, ma in realtà nascondeva solo l'insicurezza di non essere più bella di lei come aveva promesso, e sarebbe stato un grosso smacco, per Caroline Forbes, non riuscire a mantenere la promessa di stracciarla davanti a tutta la città, quando se lo meritava eccome, con tutta quella puzza sotto al naso.

In ogni caso, trattenne l'insulto che si liberò in un sussurro indistinto tra i denti, cosa che fece capire ad Elena che avevano perlomeno discusso, anche se non avrebbe saputo dire quale delle due avesse iniziato per prima, dato che erano entrambe abbastanza tese e avrebbe potuto farle esplodere entrambe qualunque cosa.

Lo sapeva anche troppo bene che Caroline era abbastanza sensibile alle provocazioni di Rebekah, a volte si sentiva addirittura minacciata da lei, perciò decise di non trattenersi sulla verità: «Care... sei veramente... meravigliosa.» commentò, con affetto, portando una mano alla sua spalla. «E lo sappiamo tutti che non vale nemmeno la metà di te.»

Non ebbe nemmeno bisogno di precisare che si stava riferendo a Rebekah, le bastò spostare gli occhi nella direzione giusta, che tanto la sua migliore amica afferrò senza problemi.

«Se non altro ci sei tu che sei un vero schianto.» fu la risposta di Caroline, che sorrise. «Che bei capelli, che hai... Jenna ha fatto un bel lavoro, stavolta, sono stupita.»

Soprattutto perché l'ultima volta che Elena aveva lasciato che sua zia le toccasse i capelli era stato in occasione di una festa di compleanno di uno dei Mikaelson, eventi a cui partecipava sempre tutta la città, per questo era stato ancora peggiore presentarsi con uno splendido abito da sera e un nido di serpenti sulla testa: l'avevano presa in giro quasi tutti per mesi, perciò erano tutte e due molto preoccupate sulla buona riuscita dell'acconciatura di quel giorno, ma a quanto pareva era andato tutto inaspettatamente per il verso giusto.

Caroline ancora non aveva capito come mai la sua migliore amica, dopo un'esperienza traumatica come quella avesse potuto concedere a Jenna il compito di occuparsi dei suoi capelli, specialmente sapendo quanto ci teneva.

Elena si limitò a stringersi nelle spalle, perché non c'era tempo per spiegare ogni cosa, e in fondo non era poi tanto importante farlo, dato che la questione era completamente risolta e che, tanto, non c'era niente che potesse dire per farle recuperare un po' di fiducia su Damon.

Tra l'altro, non credeva nemmeno che l'avrebbe trovata molto interessata sulla sua conoscenza delle acconciature, quando si stava torturando i braccialetti verdi - come anche il suo abito - che le aveva sicuramente dato Mary, guardando le scale come se fossero la strada per il patibolo. La sua tensione si avvertiva anche a distanza come se fosse stata una cosa fisica.

«Ehi, calmati.» scese a strofinarle il braccio, partecipe.

Ma Caroline sembrò come sgonfiarsi. «E come faccio a calmarmi?» le chiese, sempre più nervosa, mentre accennava con un gesto alle scale. «Cosa faccio se Stefan sbaglia qualcosa? Lo sai anche tu che non ama ballare... e le ultime prove le ha fatte tutte da schifo. Ma come mi è venuto in mente di chiederlo proprio a lui?»

Era una domanda chiaramente retorica, non era affatto un mistero per nessuno: l'aveva fatto con il solo scopo di far ingelosire Klaus fin da subito, nel periodo in cui Caroline si sentiva fin troppo trascurata, solo dopo era diventato una vendetta in grande stile per via di Camille e della sua mancata vacanza con lui.

«Stefan sarà perfetto come un orologio svizzero.» le promise Elena, perché sapeva che sarebbe stato così: per niente al mondo quel ragazzo avrebbe permesso a lei di fare brutta figura in un evento a cui teneva più della sua stessa salute. «Fidati. Se sei nervosa, i giudici lo vedranno: devi scioglierti un po', Care. Chi se ne frega del risultato!»

Era forse l'unica delle cinque a cui non importava l'esito - o quantomeno non per sé, dato che le sarebbe piaciuto tanto che fosse Caroline a portare la fascia -, e la sua migliore amica proprio non riusciva a capacitarsi del motivo.

«Non so proprio come fai a dire cose del genere!» parlò in tono di rimprovero, come se avesse detto la più grossa castroneria del secolo. «È il titolo più ambìto per una ragazza!»

Elena scrollò le spalle: non che le interessasse più di tanto, specialmente quando c'era un ragazzo bello come il sole ad aspettarla in fondo a quelle scale. Perché mai avrebbe dovuto importarle di uno stupido titolo da reginetta di bellezza, se era circondata da persone meravigliose che le volevano bene e un ragazzo che amava da impazzire?

Non ebbe il tempo di condividere quel pensiero con Caroline, perché il presentatore dell'evento - che poi si rivelò essere il viscido Logan Fell, e solo grazie a Miranda che l'aveva obbligato, perché la Miss dell'anno prima aveva improvvisamente dato buca - aveva già cominciato a parlare, e Caroline si era fatta improvvisamente più attenta alle sue parole che a quelle dell'amica. Elena notò solo con la coda dell'occhio che erano tutte e cinque: era arrivata anche Cynthia, l'ultima concorrente, anche lei che si lisciava le pieghe del vestito giallo limone, molto nervosa.

Ma lei, incurante della storia del concorso - illustrata da quel viscido, poi - che ormai era costretta a sorbirsi tutti gli anni, cercò di sovrastare le teste delle sue compagne per sbirciare gli accompagnatori in fondo alle scale, ma le acconciature elaboratissime delle altre ragazze le impedirono di scorgere Damon, con suo grande scorno.

Doveva ammettere di essere almeno un pochino nervosa, ma solo per il suo, di giudizio, non per quello della giuria. Le sarebbe piaciuto vedergli in faccia, almeno una volta, lo stesso sguardo da pesce lesso che doveva avere lei ogni volta che incrociava i suoi occhi.

Fu distratta solo da alcune parole chiave: «Miss Rebekah Mikaelson, scortata da Matthew Donovan.» stava dicendo Logan, col suo tono gentile e artefatto.

«Ommioddio!» sussurrò Caroline, suonando improvvisamente come se fosse andata in iperventilazione. «Ci siamo, Ele! Ci siamo! Ommioddio!» continuò a ripeterlo ancora.

Le strinse una mano, a stritolargliela, e incurante della smorfia di dolore della sua amica, continuò a piantarle le unghie sul dorso, con Elena che cercava di sottrarsi alla presa per non emettere un solo suono che avrebbe di sicuro sentito tutta la sala.

Non ce l'avrebbe mai fatta a scendere se tutti gli sguardi fossero già stati puntati su di lei, e solo per giudicarla come una maldestra.

Come se non fosse bastato, quando fu chiamata Heather, la presa si strinse ancora di più, e solo allora la ragazza sussurrò un «Ahi!» anche abbastanza infastidito, ma se Caroline le lasciò la mano, fu solo perché un secondo dopo, Logan la annunciò: «Miss Caroline Forbes, scortata da Stefan Salvatore.»

A quel punto, Elena si aggrappò al corrimano, osservando la sua amica prendere la mano di Stefan, mentre si scambiavano uno sguardo per niente disinvolto, come se entrambi stessero tenendo tra le dita un pezzo di filo spinato.

Prese un bel respiro, mentre il cuore rimbombava nelle sue orecchie, come un tamburo, alla vista di Damon che alzava gli occhi verso le scale. Lo stomaco le balzò in gola, decisamente.

Si ritrovò a pensare che fosse troppo bello per essere reale.

«Miss Elena Gilbert, scortata da Damon Salvatore.» fu il segnale che le disse di iniziare a scendere, e restò veramente senza fiato, mentre stringeva di più la presa sul corrimano per essere sicura di restare in piedi, e con l'altra mano sollevava l'abito per non inciampare e cadere, come sarebbe successo di sicuro perché lui era semplicemente perfetto - definirlo così cominciava a suonare scontato, ma in che altro modo avrebbe potuto definire tanta... perfezione?

Non che, prima, fosse stato vestito diversamente, ma non si era davvero soffermata ad osservare quanto gli stesse bene il vestito elegante - ma quale pinguino? -, troppo distratta da altre cose. Ma adesso non riusciva a pensare a niente, specialmente negli ultimi dieci scalini che li separavano, perché lui aveva il suo sorriso sexy e quell'ombra nelle iridi blu che le disse che le aspettative - visto che non proprio giusto chiamarle speranze: in effetti, erano le sue - di sua madre si erano realizzate.

E il nero gli stava da Dio, la cravatta gli stava da Dio, tutto, in realtà, gli stava da Dio.

«Sei veramente splendida.» le sussurrò, appena arrivò a prenderle la mano, per portarsela alla bocca in un fuori programma che di sicuro aveva fatto storcere il naso a qualcuno.

Ma non le importava assolutamente niente, non quando il brivido che le aveva percorso il braccio dal punto in cui si erano posate le labbra di Damon le aveva fatto formicolare tutto dal dorso della mano fino alla nuca, e le aveva piegato le labbra in un sorriso estasiato per quel complimento evidentemente sincero e spassionato.

Percorse insieme a lui lo spazio che intercorreva tra il fondo delle scale e il cortile con quel sorriso ancora sul viso, e incrociò lo sguardo intenerito di Mary e quello da 'te l'avevo detto' di sua madre, per poi passare agli occhi increduli di Jenna, che forse non aveva appieno realizzato che Damon Salvatore stava davvero scortando lei a un concorso di bellezza. Notò anche Jeremy e Bonnie a braccetto, poco distanti dai loro genitori, e la sua amica le fece l'occhiolino, come buon augurio.

«Anche tu non sei affatto male.» fece in tempo a sussurrargli, piena di malizia, mentre attendevano che scendesse l'ultima concorrente.

Damon si limitò ad inarcare un sopracciglio, quello che faceva ogni volta che lei tratteneva un complimento, ed era come se volesse ricordarle costantemente la faccia che aveva fatto quando gli aveva detto che lui era praticamente perfetto. Era lì che non poteva evitare di arrossire, e lui lo sapeva fin troppo bene.

Per vendetta, gli pizzicò il braccio, in modo tale che nessuno potesse cogliere il gesto, a meno che non fossero Caroline e Stefan, il quale le sorrise incoraggiante, ma era teso come una corda di violino: sembrava quasi che se quei due si fossero toccati, si sarebbe incrinato come vetro e finito in pezzi sul pavimento.

Quando anche Cynthia fu nel cortile, Elena respirò a fondo per calmare l'eccitazione che si era inspiegabilmente annidata nel suo stomaco, così tanto che era sicurissima di aver dimenticato cosa doveva fare. Infatti, quando partì la musica, guardò Damon smarrita, ma lui annuì, facendole capire che sarebbe andato tutto bene.

Si avvicinò di un passo e lei lo imitò, ancora prima di ricordarsi che era il momento dell'inchino.

«L'inchino è una specie di presentazione.» le aveva spiegato una volta, durante una qualche prova che si erano concessi perché quelle organizzate dal comitato che si occupava degli eventi cittadini non erano state sufficienti ad Elena per imparare il valzer. «Ma allora mi hai preso in giro, alle prime prove!» aveva ribattuto lei, in tono offeso, e ora ne sorrise, non appena fu il momento di alzare la mano destra, per il primo passo della danza.

«Non ti ho per niente presa in giro.» si era difeso Damon, attirandola a sé, spezzando il momento di prova perché ancora non era quello giusto per toccarsi. «Prima ci si presenta, poi ci si gira un po' intorno, si tenta di sedurre l'altro, e dopo... si passa all'azione...» una pausa allusiva e uno sguardo abbastanza diretto che, però, si fermò sulla sua bocca. «Funziona così, no?»

Ed era vero: se ne accorse solo in quel momento, in cui non si toccavano ma i loro movimenti erano perfettamente sincronizzati. Esiste un momento, prima che inizi una relazione effettiva - o quantomeno, era accaduto nella loro, di certo Elena non poteva dirsi un'esperta in materia, con una sola di esse alle spalle, specialmente se era stata la tipica frequentazione adolescenziale non troppo seria o sentita - in cui si vogliono le stesse cose, ma da entrambe le parti c'è una certa dose di ritrosia per la quale si aspetta ancora, si saggia il terreno, ancora sulla difensiva, ed era un po' come avvicinarsi senza potersi toccare.

Poi, Damon la prese tra le braccia, per iniziare il valzer, come a testimoniare che il tempo di aspettare era finito. E forse per sottolineare anche meglio il concetto, posò la mano sulla sua schiena ben più in basso di quanto avrebbe dovuto e il decoro pubblico avrebbe voluto: si dava il caso che loro fossero sotto agli occhi di tutti, senza contare che i suoi genitori erano sulle sue spalle, ed era certa che a nessuno fosse sfuggita la mano troppo audace che sfiorava il suo fondoschiena.

«Damon...» lo rimbeccò, a mezza bocca, per non far vedere che stava parlando.

Lui piegò un angolo delle labbra all'insù. «Te l'ho detto che non devi guardarmi in quel modo.» rispose, nello stesso modo, ma sornione, come avrebbe potuto esserlo soltanto Damon. «E mi hai pestato il piede. Di nuovo.» ma era così composto che Elena dubitava se ne fosse accorto qualcuno.

O almeno, non sembrava, anche se non poteva arrischiarsi a guardare il pubblico direttamente, perché non doveva distogliere lo sguardo da quello del suo cavaliere.

«Ops, scusa...» sussurrò, cercando di trattenere una risatina irriverente, e questo lo intrigava tantissimo, ma poteva solo stringerla un po' di più, avvicinare la bocca alla sua in modo casuale eppure attentamente studiato, solo per farla sospirare: erano ancora di fronte a una giuria.

«Puoi anche stare attenta, eh.» l'aveva avvisata, scherzoso, riferendosi al fatto che non era passata una sola prova senza che sbagliasse passo, solo qualche giorno prima. L'aveva tenuta tra le braccia proprio come stava facendo il quel momento, solo che si era concesso dei pizzichi più audaci, ogni volta che sbagliava a fare qualcosa, senza sapere che, un bel po' di volte, lo faceva anche apposta per stuzzicare lui. «Non rischio io la figuraccia il giorno del concorso.»

«Non sono così male.» aveva protestato lei, ma debolmente, perché lo sapeva che non era un granché: la storia delle cheerleaders le aveva permesso di diventare più elastica di quanto non sarebbe mai stata se non fosse entrata a far parte della squadra, ed era abbastanza aggraziata, ma questo non la rendeva di certo portata per quel genere di cose.

Quella ne era l'ennesima conferma: aveva ripromesso a se stessa di essere perfetta per il concorso, almeno per dare soddisfazione a sua madre e non amputare qualche arto al suo accompagnatore, ma non riusciva a mantenere la concentrazione necessaria, con quegli occhi puntati addosso, a scavarle l'anima con un'intensità tale che lo stomaco le tremò da cima a fondo, e le fece trattenere il fiato.

Perfino quando tornarono ai loro posti, ancora lei faticava a interrompere il contatto visivo, e non fu costretta a farlo finché non uscirono di scena Cynthia e il suo ragazzo, segno che avevano ufficialmente terminato e che loro dovevano seguirli. Già pregustando l'attimo in cui sarebbero stati protetti da occhi indiscreti, Elena immaginava tutti i modi in cui avrebbe potuto sfogare la voglia repressa che aveva di mettergli le mani dappertutto portata da quello stupido ballo.

«Andiamo.» Damon le tese la mano, e la accompagnò di nuovo dentro, e non appena furono sufficientemente lontani dal cortile per non essere visti, la ragazza tentò di spingerlo in un posto un pochino più appartato anche solo per rubargli il respiro qualche minuto, perché aveva i sentimenti così incasinati dal vederlo in smoking e così bello che non capiva assolutamente niente.

Damon, come sempre, la riportò coi piedi per terra, afferrandola per i fianchi e conducendola verso la porta principale. «Ragazzaccia, aspetta un attimo. Abbiamo ancora un paio di cose da fare.»

Aveva capito perfettamente le intenzioni di lei, e questo poteva essere imputabile al fatto che non erano poi molto diverse dalle sue, forse addirittura un po' meno nobili.

«Cosa?» domandò, curiosa, ormai troppo avvezza a quel comportamento per trovarlo strano.

Damon le porse un mazzolino di fiori - preso da dove gli avevano detto, e si assicurò anche che fosse quello giusto -, con al centro uno del colore del suo vestito. «Un pit stop dal fotografo, e poi... vuoi farmi perdere il buffet, per caso? Ho una fame...» le strizzò l'occhio, prima di indirizzarla nella direzione che gli avevano mostrato prima che lei lo chiamasse per salire e in cui stavano avanzando tutti gli altri.

Ancora confusa, Elena lo seguì senza ribattere, ormai erano stati sorpassati da Stefan e Caroline perciò non c'era bisogno di affrettarsi. «Sul serio... il buffet?» domandò, però, esitante, ponendo a se stessa la domanda che avrebbe voluto fare a lui e che Damon avrebbe tranquillamente potuto leggere tra le righe.

Stava davvero preferendo alle coccole uno stupido buffet?

Doveva essere vero quello che a volte diceva Bonnie nei suoi momenti più sessisti - ed era incredibile che potesse succedere una cosa simile, visto che di uomini quella ragazza ne capiva meno di zero, anche se in fondo aveva scelto Jeremy e la sua opinione doveva pur valere qualcosa -, sul fatto che se i frigoriferi avessero avuto una vagina e una televisione incorporata sarebbe stata la fine delle donne.

Si concesse un sospiro sconsolato, mentre Damon tornava a sfiorarla sulla schiena per guidarla verso le scale dell'ingresso, sulle quali avrebbero dovuto posare per il fotografo e dove si misero nella stessa posa che gli era stata indicata poco prima.

«Credo che dovrei consolarmi.» commentò il ragazzo, una nota maliziosa nella voce, mentre portava una mano sopra le sue che stringevano il mazzolino. «Almeno non sono in mutande.»

Si rivolsero un sorriso carico di sottintesi vicendevolmente, proprio nel momento in cui la foto veniva scattata. Lo sbuffo netto dell'uomo dietro la macchina li distolse da quello strano gioco di sguardi di cui Elena non riusciva a capire il messaggio, ma che comunque le piaceva.

«Ragazzi, dovete guardare qui.» li avvisò, mormorando qualcosa sul fatto che non lo pagavano abbastanza per fare i bis.

«La tenga!» si affrettò a pregarlo Elena, prima che gli venisse in mente di cancellarla. «Vorrei anche questa, se fosse possibile.»

Era di sicuro quella che sarebbe venuta meglio, delle due, e non solo perché nelle foto non naturali lei veniva sempre malissimo, ma le sarebbe piaciuto soprattutto osservarsi da fuori, mentre lei e il suo ragazzo si scambiavano un'occhiata delle loro.

Forse trovarlo romantico l'avrebbe tranquillizzata su ogni altro tipo di aspetto di quella relazione.

«Basta che paghi, bellezza.» l'uomo scosse le spalle, e Damon emise un respiro più profondo degli altri, irritato, e non era difficile immaginare perché. «Adesso sorridete.»

E loro lo fecero, con lei che cercava di piegarsi verso l'angolazione che riteneva quella in cui veniva meglio, di non socchiudere troppo gli occhi, e di non sembrare nemmeno spiritata, certa che se la foto doveva venire male, l'avrebbe fatto nonostante tutti i suoi sforzi.

Sperò solo di non sembrare una balena in un retino, con quel vestito che le fasciava i fianchi ben più di quanto le sarebbe piaciuto. Magari Damon si sentiva un pinguino, ma lei poteva avere tutta l'aria di un insaccato.

Se solo l'avesse detto a lui, sarebbe stato in grado di tirare fuori una frase come "Voi femmine non siete mai contente!" che non l'avrebbe consolata neanche un po', anche se si ricordava bene - e non senza una certa dose di soddisfazione - il suo complimento: le aveva detto che era splendida.

«Hai il sorriso da pesce lesso.» le fece notare lui, con la sua proverbiale gentilezza. «Vogliamo andare?»

Le fece cenno verso sinistra, la parte in cui le scale scendevano verso il giardino, popolato da tavoli pieni di ogni genere di cibo, dalle ricette di famiglia, alle cose più da supermercato come le patatine confezionate.

«Ah giusto...» commentò la ragazza, arricciando le labbra. «Il buffet

Non soltanto quello: adesso doveva anche studiare un modo per evitare zio John e zia Isobel senza dare nell'occhio, e per fortuna erano impegnati con il sindaco Lockwood. Non era solo perché non le piacevano e perché trovava quella donna fin troppo melliflua - alla fine, suo zio era solo un povero pollo che si era fatto infinocchiare da lei -, ma soprattutto perché il suo ragazzo aveva pensato bene di portarsela a letto e non le premeva di trovarsi in mezzo a imbarazzi del genere.

Dio, se l'avesse saputo suo padre!

Tra le altre cose, era la ex di Alaric e che c'erano già abbastanza problemi con le nonne, senza bisogno di tirare in ballo Jenna.

Il mondo era decisamente troppo piccolo.

Questa consapevolezza la lasciò accaldata e scocciata, o forse erano solo gli effetti del ciclo che, infine, si facevano sentire anche loro - e nel momento meno opportuno -, facendola diventare più scontrosa di quanto volesse o fosse necessario.

«Andiamo di qua.» propose a Damon, perciò, sperando di evitare gli invitati indesiderati. «Parenti serpenti.»

Lui sorrise. «Non mi dispiacerebbe salutare il caro, vecchio John. È un bel po' che non lo vedo... e chissà come sta la sua cara consorte.»

Elena si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo: mai che gli sfuggisse una, maledetta cosa. «A me, invece, dispiace.» lo informò, secca. «E mi piacerebbe che oggi non si creassero altri incidenti diplomatici, sempre se a te non crea problemi, si intende.»

Ora che ci pensava, doveva anche scappare da Jesse, prima che Damon gli rompesse il naso. Forse era riuscita a fermarlo con Jeremy, ma dubitava che avrebbe potuto pregarlo nello stesso modo per uno che nemmeno le stava simpatico e che non le piaceva avere intorno.

«E va bene, va bene... farò il bravo...» concesse lui, con l'aria di chi sta facendo un grande sforzo. «Drink?»

«No.» fu una lapidaria risposta che lasciò il braccio del ragazzo con un bicchiere di quello che doveva essere champagne a mezz'aria. E già che non gli aveva risposto "Bevitelo tu, se proprio vuoi.", da parte sua doveva ritenersi fortunato.

Con un sospiro, decise che si sarebbe calmata facendo quattro passi lontano da tutta quell'umanità, ma il suo ragazzo non sembrava essere d'accordo: anzi, era molto stranito da quel comportamento improvvisamente tanto diverso dal normale .

Così, non appena passò un altro cameriere, Damon abbandonò lo champagne con nonchalance, affrettandosi a seguirla. «Va tutto bene, principessa?»

«No.» ripeté la ragazza, ma non con lo stesso tono battagliero di prima: in fondo, era solo uno scemo sbalzo d'umore. Ne era cosciente, eppure non ci poteva fare niente. «Non vedo l'ora che tutto questo finisca, voglio solo andare a casa, seppellirmi nel mio letto e dormire per tutta la settimana.»

Nessun parente, nessun fidanzato complicato che non vuole venire a letto con te per chissà quale cavolo di motivo, nessun giudizio che avrebbe fatto trattenere il fiato ai suoi genitori, e nessuna stupida sottospecie di ex sposata con lo zio, che sperava di non incrociare per doversi sorbire chissà quali battutine.

E poi doveva anche andare tutto bene?

«Ehi, vieni qua.» Damon la tirò verso di sé per un braccio, con dolcezza, magari quello che serviva per non farsi dare un calcio negli stinchi - o peggio. «Hai qualcosa sul naso.»

Prima che potesse toccarsi, sperando che non fosse un qualche insetto che la facesse urlare così forte da farsi sentire fino a Miami, lui le sollevò il viso all'altezza giusta con la mano libera e la baciò, lasciando scorrere la mano dalla sua guancia al collo, per trattenerla con gentilezza. La ragazza tentò di protestare, ma lui approfittò del fatto che cercasse di parlare per approfondire quel contatto, accarezzarle la lingua, e il gemito che le suscitò non era più un lamento: era una dichiarazione di resa.

Infatti, si rilassò completamente contro di lui, dimentica di qualunque altra cosa non fosse la sua bocca, e artigliò i suoi capelli con forza, giusto per manifestare il suo apprezzamento per quel gesto.

E se anche furono costretti a separarsi per prendere aria, non si allontanarono affatto: c'era soltanto il tempo di prenderne appena a sufficienza per ricominciare, anche se i baci erano diventati più brevi e dolci, del genere che non ti stanchi mai di scambiare.

Poi, ovviamente, furono urtati da qualcuno che si affrettava a prendere del cibo prima che finisse, e ricordò loro che esisteva un mondo intero, là fuori.

Elena si allontanò definitivamente, e lo guardò, incapace di capire, e lui sorrideva strafottente come sempre, nemmeno avesse raggiunto uno scopo che perseguiva da tempo.

«Molto romantico.» constatò lei, a metà tra il divertito e il malizioso. Accennò con gli occhi al tavolo alla sua destra. «Un bacio come questo vicino alla fontana del formaggio fuso...»

«Guarda il lato positivo.» le sventolò sotto al naso qualcosa appoggiato su un fazzoletto, con finta aria cospiratoria, atta soltanto a mantenere il suo ritrovato buonumore. «Tartina al formaggio?»

La ragazza gli allontanò gentilmente la mano, spostandogliela di lato - facendo così cadere anche ciò che stava tenendo sull'erba -, in modo che non la intralciasse mentre tentava di recuperare il momento da dove erano stati interrotti, ma aveva fatto appena in tempo a riportare le mani dietro al suo collo, e forse anche a sporgersi verso le sue labbra, che furono chiamati.

Chiamati e investiti - di nuovo! - da qualcuno che li fece sbilanciare. Per fortuna Damon era abbastanza massiccio e nessuno dei tre finì a fare da tappetino per il prato.

«Mamma...» constatò Elena, tentando di non suonare irritata. Aveva un suo braccio intorno al collo, l'altro era con sua enorme sorpresa intorno a quello di Damon, che sembrava scioccato tanto quanto lei.

Nemmeno Miranda sembrava essersi resa conto di ciò che stava facendo, troppo commossa. «Oh, tesoro!» si rivolse a sua figlia con occhi pieni di lacrime, per poi guardare anche il ragazzo con una sorta di strano apprezzamento. «Siete stati perfetti!»

I due giovani si scambiarono un'occhiata, come se entrambi volessero avere rassicurazioni sul fatto che Miranda stesse bene dall'altro. Elena si ritrovò a stringersi nelle spalle per quanto poteva, con sua madre che le schiacciava la testa contro la sua spalla, e Damon subiva lo stesso, ingrato destino.

«Ho pianto come una bambina...» continuò la donna, con un sospiro emozionato. «Ma state tranquilli, ho fatto un video, alle foto hanno pensato Jeremy e Mary. Potrete rivivere questo momento ogni volta che vorrete!»

Damon già se li immaginava i servizi fotografici di sua madre, e per fortuna che aveva dovuto essere occupata anche a fotografare Stefan e la sua Barbie. Segretamente, sperò che avesse puntato più sul suo fratellino, che su lui ed Elena, visto che era sicuro che il video girato da quella donna era più imbarazzante di quanto si potesse immaginare.

Poi, Miranda li lasciò andare, ma non smise di guardarli come se avessero appena fatto un annuncio che aspettava da sempre. «È stato davvero... davvero emozionante.»

«Mamma...» questa volta, le parole di Elena avevano una sfumatura sensibilmente più dolce. «Non è stato niente di che... abbiamo solo ballato.»

Ma non era stato solo questo, e lei sperò che sua madre non si fosse resa conto di come avevano continuato a stuzzicarsi per l'intera durata della danza, e forse era così, ma di sicuro al suo occhio attento non era sfuggito il modo in cui si erano guardati tutto il tempo. Ed era stato questo a ben disporla verso quella strana coppia che non era riuscita ad apprezzare appieno nemmeno dopo la comparsa di Jane.

«Mi concederai di farmi scappare qualche lacrima quando mia figlia partecipa a un evento tanto importante.» le mise una mano sulla spalla e strinse, mentre rivolgeva un sorriso dolce a entrambi. «Non pensavo che lo avrei mai detto, ma siete davvero una bella coppia, ragazzi.»

Ci fu un momento di silenzio stupito, da parte dei due diretti interessati, che non ce la fecero nemmeno a scambiarsi uno sguardo perplesso.

«Ehm... grazie?» quella di Damon suonò come una domanda, e in sincerità non aveva davvero afferrato se quello voleva essere o meno un complimento. Sapeva solo che quella donna si stava dimostrando eccessivamente gentile con lui, e non c'era abituato.

Se prima si era dimostrata tollerante solo per fare un piacere ad Elena, adesso sembrava genuinamente accettare la sua presenza. Perciò non sapeva davvero come comportarsi.

Elena si morse il sorriso, non appena notò lo smarrimento del ragazzo. «A questo proposito...» cominciò, visto che sembrava il momento buono per metterla a parte del fatto che le cose erano un po' più ufficiali dell'ultimo aggiornamento che aveva ricevuto.

In effetti era strano che fosse riuscita ad essere completamente sincera sul problema del sesso e non averle potuto dire che era il suo ragazzo, proprio come aveva detto a sua nonna Jane, confessando la verità senza saperlo.

«Ragazzi!» li interruppe di nuovo, in modo pericolosamente simile a quello di Miranda, anche Mary, solo che lei sbucò loro alle spalle, e il braccio glielo passò intorno alla vita, piazzandosi in mezzo a loro due. «Finalmente sono riuscita a trovarvi. Allora? Nervosi per il risultato?»

La ragazza si strinse nelle spalle. «Vincerà Care.» era una sua matematica certezza, anche perché era impossibile che il risultato fosse diverso, con quant'era impegnata negli affari cittadini. Nemmeno se ci fosse stata una ballerina professionista, avrebbe avuto speranze di battere Caroline Forbes, la macchina da guerra di ogni evento possibile e immaginabile.

«Lei e Stefan non ne erano così tanto sicuri.» osservò Mary, con dolcezza, appoggiando la testa sul braccio di Damon. «Pensa che tuo fratello, per sciogliere la tensione, ha dato fondo a qualche mestolo del punch.»

«Stefan ha bevuto?!» fu la loro domanda contemporanea e scioccata.

Mary scrollò le spalle, per niente preoccupata, probabilmente perché conosceva lo scarso tasso alcolico di quella bevanda, ed era certa che suo figlio era un ragazzo responsabile. Solo che Elena aveva ancora in mente il punch della festa di Halloween e la non proprio bella riuscita della festa al Whitmore, e doveva ricordarselo anche Damon perché si affrettò a far vagare lo sguardo in direzione del tavolo delle bevande.

«Solo un po'.» precisò la donna, in tono leggero. «Ogni tanto ha bisogno di alleggerirsi anche lui. Damon, non fare quella faccia, sa badare a se stesso anche meglio di te.»

Lui stava ancora scandagliando tutta la lunghezza della zona adibita alle bevande. «Sei una madre snaturata, quale faccia?» fu il suo commento preoccupato. «È già tanto se Stefan non si ubriaca con l'acqua e tu lo lasci solo col punch!»

Fu strano vedere Damon tanto allibito e in pensiero, forse gli era servita davvero la lezione che aveva imparato quasi due mesi prima, su come trattare i problemi alcolici del proprio fratello, ed Elena era felice che si occupasse di lui, almeno in quel senso.

Mary sembrò pensierosa. «D'accordo, adesso mi hai messa in agitazione, vado a cercarlo!» sembrò per un momento instabile sui propri piedi quando lasciò andare entrambi, ma nessuno dei due avrebbe potuto dirlo perché Miranda la prese per un braccio prima che potesse sbilanciarsi e cadere.

«Ti accompagno.» si offrì, con un sorriso stentato. «Due paia di occhi sono meglio di uno.»

La prese a braccetto e se ne andarono insieme, sotto lo sguardo confuso di Elena, che aveva la brutta impressione di essersi persa qualcosa.

Damon rivolse a entrambe le donne un'occhiata in tralice, non sembrava essersi reso conto di niente. «Forse dovremmo andare anche noi. Che dici?» era rivolto alla ragazza, che si affrettò ad annuire, ma furono entrambi presi per un braccio, non appena tentarono di muovere un passo nella stessa direzione delle loro madri.

«Dovreste piantarla di comportarvi tutti quanti come se fossi scemo.» era proprio Stefan, e non sembrava nemmeno allegro, figurarsi ubriaco. Di Caroline non c'era traccia: non era più con lui. «Potrei pensare che sei in ansia per me, fratello.»

Gli diede una pacca sulla spalla, a prenderlo in giro, e Damon inarcò un sopracciglio, espressione del suo disappunto. «Cos'avete, tutti, oggi, con questa fissazione di spuntare alle spalle?» chiese, retorico, prima di scuotere la testa. «E comunque, sapendo della tua scarsa tolleranza all'alcool, permettimi di volerti evitare qualche epica figura di merda che rimpiangerai per la tua intera esistenza e con cui riempiresti inutilmente paginate del tuo diario segreto.»

Si diedero una gomitata nello stesso momento, finendo per farsi male entrambi, sotto lo sguardo divertito di Elena che non perdeva mai occasione di intrattenersi a guardarli che si punzecchiavano innocentemente... be', più o meno, almeno per quanto Damon potesse infastidire - o tentare di farlo - qualcuno in modo innocente.

«Avete visto Jesse, a proposito?» fece Stefan, cambiando argomento. «Sto cercando di evitarlo con tutto me stesso.»

A conferma di questo si guardò intorno in modo circospetto, come se il suo persecutore personale potesse sbucare fuori da un cespuglio o nascondersi sotto le vesti di un cameriere che passò loro accanto e per cui il ragazzino sobbalzò, guadagnandosi un'occhiata perplessa dalla sua migliore amica.

«Non prenderla a male, Ele, ma fa domande in continuazione su qualunque cosa.» e dal sospiro seccato dovevano essere state veramente tante - o molto più di tante, per far arrivare all'esasperazione un santo come Stefan. «Come se non avesse mai visto una piccola città come la nostra, e vive a Denver

Damon guardò Elena in modo strano, come se avesse saputo che non poteva essere tutto lì e volesse trovare appoggio: non poteva essere solo quello, per il suo innocente fratellino, che era uno che cercava il lato positivo in tutto e in tutti.

Difatti, Stefan non ci mise molto a continuare la lista dei motivi per cui si stava nascondendo dietro di loro: «E poi fa il simpatico con Caroline, non vorrei arrivare a strozzarlo e rovinare questa giornata a tutti.»

«Oggi bevi e minacci di alzare le mani... nell'ultimo periodo sembra che ti abbiano sostituito con una copia più avventurosa.» gli chiese suo fratello, sarcastico. «Perché invece di tenere d'occhio il tipo che punta la tua ragazza, e agire, sei qui a parlare di quanto vorresti soffocarlo?»

Tra l'altro, a quanto pareva questo Jesse era interessato un po' a tutte, visto che prima faceva le sue domande su Elena e poi andava a fare l'idiota con la Barbie. Se gli era venuta già voglia di rimetterlo al suo posto prima di saperlo, adesso si era addirittura moltiplicata.

Tra tutte le ragazze single che dovevano esserci in quel cortile, si era andato a scegliere proprio Elena e quella che stava puntando Stefan?

«Care non è la mia ragazza.» gli ricordò il più giovane, abbacchiato.

Per tutta risposta, Damon gli diede una leggera spinta che voleva essere un rimprovero e un incoraggiamento insieme. «Fa lo stesso, idiota. Se è più furbo di te, te la soffia sotto al naso e tu vai in bianco come sempre.»

E questa cosa aveva cominciato a scocciargli, perché secondo lui - anche se Elena si dilungava in filippiche contro quell'ipotesi che a volte gli facevano venire il mal di testa e lo spingevano a chiedersi quanto fosse ingenua - la Barbie lo teneva un po' sulla corda.

Ancora non aveva capito se era per testare il suo reale interesse o per tenerlo come ruota di scorta, ma non l'avrebbero mai saputo se Stefan non si fosse fatto avanti. Non che l'idea che fosse la seconda ipotesi lo stuzzicasse particolarmente, ma tanto valeva liberarsi del peso, ed Elena era un'ottima consulente per problemi di cuore, l'avrebbe aiutato a riprendersi in poco.

La ragazza incrociò le braccia al petto, mostrandosi contrariata. «Non so perché, ma sto trovando offensiva questa discussione.» non solo perché la stavano praticamente lasciando da parte e stavano parlando di Caroline come una cerebrolesa che non sa distinguere un ragazzo da un altro purché faccia lo spiritoso, ma soprattutto perché sembrava più un argomento in generale, un qualcosa da estendere a tutte le ragazze, come se tutte quante andassero in giro a dare retta al più sciocco di turno.

Fosse stato quello, sarebbero state tutte nel letto di Tyler.

«Perché?» domandò Damon, sinceramente interessato. «Sto solo dicendo che se non vuole che qualcuno arrivi prima di lui, deve fare qualcosa per farsi notare, e dato che è Stefan...»

Mise su un'espressione eloquente e lasciò la frase in sospeso, il che forse fu peggio che se l'avesse conclusa perché sapeva di velato - nemmeno così tanto, in fondo - insulto.

«Ora sono io che sto trovando la conversazione offensiva.» intervenne il diretto interessato, imitando la posa della sua amica.

Damon alzò gli occhi al cielo: dannati ragazzini complessati.

«Fratello, dammi retta.» gli consigliò, serio, posandogli le mani sulle spalle. «Se vuoi una ragazza, la devi conquistare. Non esiste una strada facile.»

Specialmente non per Elena, e le sue amiche, ammesso che avessero avuto anche solo la metà dei problemi mentali che si faceva lei, dovevano essere sulla stessa lunghezza d'onda. Conoscendo il tipo, il maggiore dei Salvatore era propenso a credere che si circondasse di persone che le erano simili, nel profondo, perciò supponeva che anche Caroline Forbes, sotto, sotto, fosse più complicata di quanto desse a vedere.

Era uno shock, dato che come apriva bocca sembrava smentire l'ipotesi, eppure non doveva essere da scartare, se perfino Stefan si era fissato con lei. Anche se non aveva capito bene cosa fosse, doveva avere qualcosa di speciale, ma era anche nascosto per bene, o almeno lo era per lui.

«Non ci sono riuscito in quasi cinque anni e secondo te posso farcela in un pomeriggio?» domandò il ragazzino, scornato. Dalla sua espressione dispiaciuta, si capiva che lo sapeva anche troppo bene che la "strada facile" non esisteva.

Ancora una volta, suo fratello sentì il bisogno di tirarlo su. «Devi provarci tutti i giorni, Stef, se è la testa a interessarti e non qualcos'altro

Non che lui fosse un esperto in materia, ma ci aveva quasi fatto il callo. Aveva capito il senso della frase "una donna va conquistata tutti i giorni", soltanto quando aveva conosciuto Elena e si era dovuto anche impegnare per tenerla con sé. Anzi, gli sembrava di doversi impegnare ogni sacrosanto minuto della giornata, e la cosa stupefacente era che questa cosa lo stuzzicava da morire e lo confondeva, era una sorta di sfida continua che non smetteva mai di intrigarlo.

«Se fosse lei a non essere interessata alla mia testa?» fu l'ennesima domanda di Stefan.

Ed era pure una domanda difficile - quando mai? - perché non esistevano soluzioni universali come per le domande da femmine, e questo perché si dava per scontato che loro cercassero sempre motivazioni profonde per stare con un uomo, come se le controparti femminili ai dongiovanni non esistessero.

Così, ripiegò sull'unico consiglio che aveva dato a se stesso per anni e che gli aveva permesso di accumulare una discreta esperienza nel campo: «Be'... punta sul... qualcos'altro.»

«Damon...» intervenne Elena, la voce carica di preoccupazione, ricordando quanto poco bene il suo migliore amico sapesse applicare i consigli, specialmente quelli su un certo tipo di argomento. Certo, Stefan non era un idiota e non si sarebbe messo in mutande davanti a tutti, ma forse poteva concedersi un gesto troppo affrettato, magari come decidere di baciarla un'altra volta.

E questo sì che avrebbe definitivamente dato un taglio netto ai loro rapporti, anche perché non ne avevano mai parlato. Caroline le aveva raccontato che avevano promesso che l'avrebbero fatto una volta che le acque tra lei e Damon si fossero calmate, ma non era mai successo.

Dato che nessuno dei due aveva tirato fuori l'argomento, l'altro aveva pensato bene di fare lo stesso, e così erano tornati amici, ignorando la cosa e basta.

Non molto maturo, ma forse era stata la soluzione per non complicare inutilmente le cose tra loro e rischiare di rovinare un'amicizia che durava da sempre.

«Su, adesso levati dalle scatole, che tu, quella degenerata di tua madre e Miranda avete interrotto un momento piuttosto interessante.» Damon strinse un braccio intorno alla vita di Elena, attirandola a sé, per rivolgerle uno sguardo esplicito che avrebbe fatto sentire di troppo chiunque, anche perché lei sembrava aver davvero perso cognizione di qualunque altra cosa oltre lui.

A dirla tutta, era proprio così, ed Elena non poté non domandarsi con che coraggio Damon accusava lei di guardarlo in modo non adatto al pubblico, quando lui aveva degli occhi che riuscivano a confonderti anche senza volerlo.

Stefan li guardò con occhi sgranati, scuotendo la testa. «Voi due siete senza vergogna.» sentenziò, puntando loro contro un indice sentenzioso.

Le guance di Elena assunsero una colorazione davvero accesa, cosa che sembravano non poter smettere di fare quel giorno, ma Damon non se la prese più di tanto: «Si vedrà di quanta vergogna disporrai, nel caso in cui dovessi farcela con "Barbie in Satin", Ken Imbranato

Lui, inaspettatamente, sorrise come se gli avesse appena dato il più grande incoraggiamento che si potesse ricevere, e prima di dargli una pacca di ringraziamento si allontanò in direzione di Caroline che stava facendo - solo adesso Elena riusciva a scorgerla - delle foto insieme ai suoi parenti, c'era perfino il fidanzato di suo padre, ma ovviamente mancava sua nonna che non era mai tornata dal Tibet, oppure si era trasferita da qualche parte per superare quella che aveva visto come una vergogna.

Non che fosse stato facile, specialmente per Liz e Caroline, ma alla fine ci avevano fatto un po' tutti l'abitudine, ormai era strano solo per le vecchiette.

Si distrasse solo per guardare Damon con una strana sfumatura affettuosa. «Sei proprio uno stronzo.»

«Sto solo cercando di incoraggiarlo a provare senza dargli speranze che andrà bene.» si difese lui, corrucciato. «Non mi sembra di essere così stronzo, ti pare? So che non se la prende se sono io a dargli dello stupido o dell'incapace, ma se dovesse farlo la Barbie... brutta storia. È sensibile al giudizio di Caroline.»

Fu strano sentirgli dire il nome per intero della sua migliore amica, perché non l'aveva mai usato, da che lo conosceva. Forse si era abituato ad averla intorno, specialmente negli ultimi tempi: con il concorso che si avvicinava, Caroline aveva smesso di tediare lei con le prove ed era andata a, in pratica, stalkerare Stefan perché fosse più perfetto della perfezione.

«Sì, infatti è quello che volevo dire.» precisò Elena, facendogli una carezza leggera sulla mascella. «Perché non lasci vedere mai alle persone il buono che c'è in te?»

«Perché se dovessero vederlo, sarebbe ciò che si aspettano da me.» spiegò lui, con rassegnazione. «E non voglio più dover vivere secondo le aspettative di nessuno. Te l'ho già detto.»

Queste parole spinsero Elena a chiedersi se, ora, non fossero riferite a lei, una sorta di messaggio subliminale per dirle di non avere aspettative troppo alte perché tanto le avrebbe deluse, anche senza volerlo.

«Che vuoi dire?» domandò, infatti, più per essere rassicurata che per avere una reale risposta, perché da qualche parte, nel suo stomaco in subbuglio, c'era una spiacevole sensazione di già visto, e non voleva che le confermasse di nuovo che pensava di essere quello sbagliato per lei.

"Non ho nessun bisogno di essere salvato dalla mia crocerossina personale."

Rimase col fiato bloccato in gola finché lui non parlò.

«Che voglio potermi comportare come credo senza avere il bisogno di sentirmi in colpa per questo, anche se dovessi prendere la decisione più impopolare della mia vita.» portò una mano sulla sua, per sfiorarne il dorso con cura. «So benissimo che in questa città non si fa altro che giudicare comunque, ma non è di loro che mi importa.»

Che era un po' come dire che gli importava solo delle persone a cui teneva, e tra queste c'era anche lei.

«Quindi sono le mie aspettative, il problema?» chiese lei, esitante, domandandosi se quello non fosse il punto di tutta la faccenda, e del cruccio che l'assillava da settimane e che aveva impedito a Damon di sciogliersi davvero con lei, ed era successo proprio dopo che avevano provato ad approcciarsi a quell'aspetto per la prima volta seriamente.

Damon rimase cautamente in silenzio per un istante, conscio che c'era la possibilità che qualunque risposta avesse dato, potesse essere quella sbagliata.

«Sono quasi sicuro che il punto di questa discussione si sia improvvisamente spostato da un'altra parte.» osservò, aggrottando le sopracciglia, e aguzzando lo sguardo, come se davvero avesse dovuto superare carne ed ossa per spiare i pensieri della sua mente. «Hai forse aspettative che non sono in grado di soddisfare?»

Ripiegò, come sempre, su una provocazione carica di malizia, che però non ebbe l'effetto sperato di farla sorridere: infatti, Elena sospirò sconsolata.

«Ma sul serio non hai capito?» gli domandò, esterrefatta. «Come fai a non capire?»

Ora sembrava arrabbiata e questo sbalzo d'umore repentino ebbe il potere di disorientarlo al punto che lo rese incapace di seguirla, in un primo momento, mentre lei si girava offesa e tornava dentro la villa.

Un attimo dopo, Damon parve risvegliarsi.

«Ehi, ehi, ehi. Vieni qua, e parlami.» la prese per un polso e la costrinse a girarsi, brusco, e si stupì di non trovarla in lacrime. «No, non scapperai un'altra volta lasciandomi per giorni a chiedermi che cazzo ho fatto che non va, per poi ringraziarmi senza ragione e costringermi, un'altra volta, a lavare la mia roba col tuo shampoo perché mi manchi, è chiaro?»

Elena tacque per un lungo momento, preda dell'incertezza, anche se dopo quelli che sembrarono secoli a entrambi, puntò lo sguardo nel suo, fermo ma carico di disagio.

«Perché non vuoi fare l'amore con me?» era poco più che un sussurro dovuto all'imbarazzo, ma lo disse forte abbastanza perché lui riuscisse a sentire.

Damon spalancò gli occhi: «Cosa?!» non sapeva nemmeno se l'aveva domandato per chiederle di ripetere o per assicurarsi sul suo stato mentale. Perché non poteva essere che lei credesse che...

Si strofinò una mano sul viso, reprimendo un'imprecazione. Santissima ragazza.

«Hai capito...» ribatté lei, piano, l'aria contrita. «Non farmelo ripetere...»

Anche perché non avrebbe più avuto il coraggio di dirlo, se l'era giocato tutto con quel guizzo di impertinenza e parvenza di sicurezza. Ora bisognava aspettare un po' perché ne arrivasse del nuovo.

Damon rifletté a lungo sulle possibili trappole e implicazioni di una simile domanda. Chissà come era riuscito sempre a fare la figura dello stronzo insensibile, quando Elena gli aveva posto un quesito su un argomento scottante, ma nessuno era stato come questo.

«Aspetta un attimo.» la bloccò, dopo essere giunto a una conclusione a dir poco preoccupante. «Prima sono un bastardo perché voglio e adesso lo sono perché sto aspettando? Voi donne siete incapibili. Giuro, ci sto provando, Elena... ma non posso sbagliare in ogni caso, se faccio una cosa e se non la faccio. Lo sai anche tu che non ha senso, vero?»

Elena abbassò lo sguardo, mentre si mordeva il labbro inferiore. «Non ho detto che stai sbagliando qualcosa tu...» precisò, un po' seria un po' intimidita. «Solo... per caso, ho fatto qualcosa che non va? Ti sei...» deglutì, mandando giù il magone suscitato dalla sola idea che potesse essere quello il caso, e che solo ora prese in considerazione. «Ti sei stufato di me?»

Non ce l'avrebbe fatta mai a guardarlo in faccia, mentre gli parlava così, perciò fece tanta resistenza quando lui le mise una mano sotto al mento per spingerla a sollevare lo sguardo, tanto che, per dissuaderlo, lei immerse il viso contro il suo petto, in modo tale che se anche fosse scoppiata a piangere, sarebbe stata già tra le sue braccia.

«Elena, io...» cominciò lui, il tono incredibilmente sommesso, ma lei era troppo occupata a nascondere il viso contro la sua camicia, per rendersi conto di quanto gli stava battendo forte il cuore e di quanto stesse cercando di dirle qualcosa che proprio non ne voleva sapere di lasciare la sua lingua, perciò dovette ripiegare su qualcosa che lo esponeva di meno. «Non hai fatto niente che non va e, no, non mi sono stufato di te. Come cavolo fai a... sei proprio stupida, lo sai?»

Confusa e anche offesa, Elena alzò un momento il suo sguardo liquido verso di lui. «Come, scusa?»

Lui sospirò. «Non sei stata tu a dirmi che volevi che fosse speciale e bla bla bla?» le chiese, un po' frustrato e un po' risentito. «Sto solo cercando di fare a modo tuo, com'è possibile che tu non te ne sia accorta?»

Era impossibile che quelle parole fossero davvero uscite dalla sua bocca: lei per prima non riusciva a crederci, e si domandò anche se non avesse capito male.

«M-Ma...» balbettò, presa in contropiede. «Ma non mi importa niente! Non hai capito un tubo! Non voglio che succeda in mezzo a un tappeto di petali di rosa, al lume di candele profumate, quello che volevo dire era che voglio sentirmi speciale. E tu... ci riesci alla grande.»

«Okay, va bene, ma adesso spiegami quando mai ti ho fatto pensare che non ti voglio, scema che non sei altro.» Damon la prese per le spalle e la strinse forte. «Mi piacerebbe fare le cose con calma, e non dover essere costretto ad andare di fretta perché abbiamo gente come i tuoi amici che ci alitano sul collo, o perché rischiamo di essere interrotti da un ragazzino con manie di grandezza che mi prende a cazzotti come l'ultima volta. Non credevo di essere stato così criptico!»

«Veramente...» fece lei, incerta. «...sì.»

Damon si guardò intorno, per assicurarsi che nessuno li stesse puntando con un particolare interesse.

«E va bene, sarò diretto adesso: non voglio che si riduca tutto a una parentesi tra un ficcanaso e l'altro, mi piacerebbe godermi il momento, senza il vago sentore che prima o poi qualcuno verrà a rompere le scatole.» abbassò la voce e la spinse contro il muro, sotto la scala: in quel modo erano al riparo da occhi indiscreti, in penombra, e nessuno avrebbe potuto vedere la mano di Damon sul suo sterno, che la teneva intrappolata tra lui e la parete - esattamente dove lei voleva stare. Si piegò verso il suo orecchio, assicurandosi di sfiorare con il naso il tragitto e parlò in un sussurro roco che accelerò il respiro di Elena. «Voglio delle ore per farti impazzire, e avere tutto il tempo che ritengo opportuno per sentirti dire che non ne hai abbastanza, e per implorarmi di non smettere...»

Il respiro di lei si fece immediatamente più pesante e irregolare, mentre lui con la mano libera spostava i capelli dal suo collo per impegnarlo con i suoi baci lenti.

«Damon...» mormorò Elena, abbandonando la testa contro il muro, gli occhi chiusi, e sentiva quella mano sopra lo stomaco, proprio sotto al seno bruciare come se le avesse toccato direttamente la pelle, e già solo questo era in grado di farla sentire pronta per il resto.

«Altra cosa non meno importante: non mi piace pianificare il sesso.» continuò il ragazzo, prima di spostarsi sulle sue labbra e sfiorarle, senza darle un bacio.

«Oh... o-okay.» sospirò Elena, incapace di regolarizzare la respirazione, quando la bocca di Damon era a una distanza tanto ridicola dalla sua. Si dovette sforzare molto per riportare gli occhi in quelli di lui. «E... e adesso?»

E magari fu anche la mossa peggiore che potesse fare, perché aveva uno sguardo talmente intenso che si sciolse completamente al solo pensiero di cosa avrebbe potuto farle in un momento del genere, in cui era certa che non gli avrebbe chiesto nessuna limitazione.

«E adesso torniamo fuori, prima che mi rimangi la parola e ti porti di sopra, in una stanza a caso, per farti dimenticare anche come si cammina.» fu un sussurro basso ed estremamente eccitante, mormorato sopra le sue labbra. «Non mi sembra una buona idea, specie con tutta questa gente in giro.»

Schiacciata contro il muro, Elena mugolò un: «G-giusto...» che sapeva di tutt'altro, e che però non ebbe il potere di esprimere quanto desiderasse scegliere l'opzione numero uno, perché non ce la faceva più a resistere.

Aveva dimostrato i nervi saldi per troppo tempo, di fronte a un ragazzo come quello, e aveva diciott'anni: la testa in certi casi non era disponibile.

Ma poi lui le sorrise sincero e lei perse direttamente ogni volontà, riuscì solo a muovere le labbra per rispondere allo stesso modo, mentre Damon intrecciava le dita alle sue e la conduceva di nuovo in giardino.

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«"Dimmi che non è un addio", così lontana ma anche così vicina» ⇨♥ «Lo sapevo che non te sarebbe andata bene, non sei il tipo de persona che da secon...
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perché ho gli occhi molto più cechi del cuore e non sono mai riuscita a vederci amore... rebecca chiesa, sorella di federico chiesa, affronta la sua...
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Ginevra frequenta l'ultimo anno di liceo. Ha una grande passione per il giornalismo e vuole viaggiare il mondo proprio come suo padre. Una sera viene...