Dear Diary - The Vampire Diar...

By Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... More

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 1)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 5)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
So, diary, I'll confide in you (parte 4)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 1)
And I thought my heart could fly (parte 2)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)

...or would that scare him away? (Parte 1)

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By Dottie93

Buonasera a tutti,
come sempre ritardo imperdonabile, che ve lo dico a fare?
Spero che il cap vi piaccia :3

Lasciarsi e poi dimenticarsi, lasciarsi e ricordarsi sempre. La sostanziale differenza fra il superfluo e l'essenziale è che il superfluo passa e si cancella, mentre l'essenziale rimane e si ripresenta davanti anche le volte che proviamo a lasciarlo indietro. Perché che il meglio debba sempre arrivare ce lo raccontiamo per evitare la brutta sorpresa di comprendere che il meglio a volte semplicemente ce lo siamo lasciato scappare, senza mai capire davvero perché.

Massimo Bisotti – Il quadro mai dipinto

17 Giugno

Caro diario,

la mia vita, da qualche tempo a questa parte si è sovvertita.

Domattina mamma e papà partiranno per Denver con Jeremy. Staranno via fino al weekend.

Qualunque altra ragazza della mia età sarebbe felicissima di avere casa libera in una situazione come questa, eppure io vorrei solo che mi portassero con loro, o che non andassero affatto.

E invece non c'è nemmeno posto in macchina per me, perché sarà Anna ad accompagnarli. Jeremy vuole che ci sia lei, in questo suo nuovo percorso, a quanto pare non c'è spazio per la sua vecchia sorella nella sua nuova vita.

Non ho ancora capito quanto questo mi faccia male perché il dolore si confonde con quello che proviene da altre fonti, e non so quale quota sia attribuibile a questo e quanto al resto.

So solo che sto di merda per tutta una serie di ragioni, oltre a mio fratello.

Tipo i miei genitori.

So che i miei fanno del loro meglio, che sanno di averlo trascurato in questi ultimi anni, per via dei miei problemi, però adesso stanno facendo la stessa cosa con me.

Non sono perfetti, ho avuto modo di accertarmene quest'anno, ma pensavo che gli adulti trovassero strade per migliorare, speravo che avrebbero capito che non dovevano ripetere lo stesso errore che gli ha portato via Katherine e quasi Jer, e invece no.

Forse non è solo un problema degli adolescenti, quello di non imparare dai propri sbagli.

Del resto, l'ho visto anche da Damon, il mio cruccio numero tre.

Ovviamente non in ordine di importanza, anche se in realtà è tutto molto, molto relativo. Vado a momenti, non c'è davvero uno spazietto che sia solo di uno di loro.

Mi sento abbandonata, lasciata a me stessa. Ma qualunque cosa possa provare, so che mio fratello sta peggio di me, e quindi mi sento in difetto anche solo a parlare dei miei problemi.

Ora so come si sentiva Jeremy, ed è una sensazione orribile.

Non so nemmeno se sono arrabbiata con lui, a questo punto, per escludermi. Da un lato lo capisco anche.

Come si fa a sopportare una persona che ti ha portato via tutto il tuo sistema di supporto? Mi avrà guardata da lontano sentendo che io ero quella fortunata che non si era mai dovuta togliere da sola le castagne dal fuoco, e posso biasimarlo?

Non ho mai dovuto affrontare un problema completamente da sola come lo sono adesso, e non è una sorpresa che io non sappia da dove cominciare.

Non ho nessuno, nemmeno la zia: non ha mai avuto il tempo di mantenere la sua promessa di mangiare un po' di gelato con me, quindi non mi sono mai sfogata nemmeno con lei.

Non mi sono sfogata con nessuno.

Ci ho provato con Stefan, perché speravo che avesse informazioni più fresche delle mie, e di quelle che è disposta a condividere Caroline, che ultimamente edulcora tutto, come se non potessi sopportare il peso della verità.

Speravo di non provare lo stesso imbarazzo che Bonnie aveva nei miei confronti quando si trattava di parlare di mio fratello, e posso dire che non è stato così. Stefan è sempre stato il mio migliore amico prima di essere, per me, il fratello di Damon.

All'inizio mi ha aiutata a fare delle ricerche, poi però si è un po' freddato sull'argomento e non ho ancora capito perché. Forse gli è dispiaciuto discutere con Damon a causa mia (e questo l'ho saputo da Care, non da lui). Insomma, gli ho chiesto di leggere le sue email, in fondo, è comprensibile che si sia arrabbiato.

Forse sto facendo una cazzata dietro l'altra.

So che è una brutta cosa, però io dovevo sapere. Quello che mi ha detto Mary mi ha devastato, non mi aspettavo che Damon mi avrebbe fatto una cosa del genere. Mi ha chiesto di tornare insieme sapendo che sarebbe andato via.

Una promessa da marinaio solo per calmare le acque, e io lo odio. Sento di odiarlo davvero.

Ancora non è partito, immagino che ci siano dei preparativi da fare, prima, oppure chissà quando inizia questo mirabolante, nuovo lavoro.

Lo odio.

So che non dovrei, ma mi fa così male. Io ci avevo sperato sul serio che stesse ritornando sui suoi passi, che avesse capito, che fosse disposto a mettersi in gioco senza riserve. E invece va via.

Mi sento così presa per il culo.

Come ha potuto farmi una cosa del genere dopo quello che c'è stato tra noi? Come ha potuto dire quelle cose, che non ce la faceva più a fingere di volermi stare lontano, se poi non è la verità?

Perché non mi ha lasciata andare via, quella sera e basta? Mi sarei semplicemente messa l'anima in pace, avrei anche potuto affrontare il suo trasferimento in altro modo. Certo, ci sarei rimasta di merda, ma mi sarebbe solo mancato.

Non avrei tutta questa rabbia e insoddisfazione.

Non avrei mai pensato di poter rimpiangere di non poterlo mandare a fanculo.

E non di poterlo fare nel senso pratico del termine, parlo proprio di sentirmelo dentro, di averne la forza. Penso di averla consumata tutta quando gli ho scritto quel messaggio di addio, la mattina dopo il parto di sua madre.

Torno a leggerlo e rileggerlo ogni tanto, giusto per ricordarmi perché l'ho lasciato.

"Scusami, non posso."

Lui però ha capito, ha visualizzato, non ha risposto e non ho più avuto sue notizie. Non mi ha nemmeno chiamata per chiedermi spiegazioni, se proprio non ci teneva abbastanza per venire di persona. E ancora oggi mi chiedo come fa una persona a sembrare tanto innamorata per poi farsi andare bene una decisione del genere senza nemmeno chiedersi il motivo.

Forse per lui è stato più un sollievo, non saprei, posso solo immaginarmelo. Del resto, ho perso il mio unico informatore.

Non riesco a credere che pensasse di andare via già da mesi, già da quando se n'è andato a Febbraio. È stata tutta una bugia. La vacanza in Italia, le sue scuse, i suoi discorsi sull'amore, tutta la nostra storia dopo, quella storia di lasciarmi con rispetto!

Mi odio da sola a pensare questo, eppure è così.

Una parte di me, quella convinta di conoscerlo, è sicura che non sia andata in questo modo, ma la parte che è stata ferita fin troppe volte la pensa diversamente. E stavolta non me la sento di dire che sbaglia.

Non so più nulla, e non capisco più nulla.

So solo che mi sento male e mi sento sola. Mi sono rimasti solo i ricordi a torturarmi e la consapevolezza che qualunque cosa sia andata storta nella mia vita, negli ultimi mesi, è colpa mia. Sono stata io a volere una vita movimentata e l'ho avuta.

Adesso vorrei solo riavere la me stessa di qualche mese fa indietro. Invece, quest'anno mi ha cambiata in modi che non credevo possibili. Ho sempre pensato che a stare in questa cittadina non mi sarebbe mai successo niente di speciale, e intendo di speciale buono, non di speciale cattivo.

In un certo senso è stato così, anche se non vorrei pensare alla mia relazione con Damon soltanto a uno speciale brutto, perché so che è stato anche speciale bello.

In questo momento, però, la parte bella fa più male della parte brutta, non so davvero spiegarlo. Ma sapere che le cose sarebbero potute andare bene se solo si fosse impegnato un po', come andavano bene quando ci si metteva davvero, un po' mi fa rabbia.

Un po' tanta rabbia.

E mi viene da chiedere se non fosse tutto un bluff, se non volesse solo giocare per tenersi occupato e non annoiarsi tra una pausa e un'altra dal lavoro. Ero l'idiota perfetta per cadere nella sua trappola, ha avuto il suo revival di Katherine, gliel'ha fatta, in un certo senso, pagare.

E chi ne fa le spese sono io, come al solito quando c'entra lei.

In tutto questo non ho nemmeno il conforto della mia migliore amica, o quella che lo era una volta, che fa finta che non sia successo nulla o di non sapere nulla. So che ci ha parlato, e non perché me l'abbia detto qualcuno, ma quando mai Caroline si fa i fatti suoi? Sembra che, da un lato, voglia proteggerlo, o che sia addirittura dalla sua parte.

Ma cosa ho sbagliato, io?

La situazione mi sembra abbastanza chiara: Stefan ha letto le sue mail, e me le ha riportate, a voce. Dopo Damon l'ha beccato a fare altri approfondimenti che ho chiesto io e hanno discusso, ma non ho saputo niente del contenuto di quella conversazione.

È come se fosse riuscito, in qualche modo, a farmi terra bruciata intorno, e questo non mi piace. Vorrei sapere anche io questa cosa per cui tutti sembrano aver preso le sue parti.

Ma ovviamente, era troppo impegnato a fare i bagagli e nascondermi la partenza, per spiegarlo anche a me.

Io passerò il weekend in questo stato, da sola.

Bonnie cerca di starmi vicino come può, ma da quando Anna è entrata nelle nostre vite, cerca di frequentare casa mia il meno possibile, e non c'è molto da dire quando vuoi solo piangere sulla spalla di qualcuno e quella spalla fisicamente non c'è.

Potrei andare io da lei, ma non me la sento di andare a trovarla con l'unico scopo di vedermi piangere e sentirmi parlare sempre della stessa cosa, e da mesi. Ormai è così tanto tempo che piango per Damon che penso di aver stufato anche te, caro diario.

Lei non si è mai lamentata di Anna, si limita a guardarla con un misto di invidia e odio. So che Jeremy è stato il suo primo ragazzo e il suo primo amore, e che lui l'ha ricambiata per un po', finché la faccenda di Vicki non li ha definitivamente divisi.

Forse lui era troppo poco maturo, per lei, o forse ha davvero ragione Jeremy e non ne poteva più di essere legato a me anche da questo. Ha preferito una ragazza di fuori città che non ho mai visto né conosciuto e con cui può finalmente essere se stesso.

Senza giudizi, senza la sorella perfetta che tutti adorano e sta lì come un totem a ricordargli i suoi difetti.

Io però dal piedistallo ci sono caduta, e so che fa piuttosto male.

Niente di tutto quello che avevo era reale, faceva parte di un mondo fatato costruito apposta per proteggermi, la mia campana di vetro da cui tutti erano impauriti potessi uscire, e non a torto, perché quando l'ho fatto... be', ho incasinato tutto.

Non so fare nulla da sola, e questo mi deprime forse più di tutto.

Credevo che la vita là fuori sarebbe stata come la scuola, e invece va a finire che ha ragione Damon e io ho spinto e spinto e spinto per rimandare il College, non per lui, non perché ero indecisa sul mio futuro, ma perché ho paura di scoprirmi una cretina incapace.

Adesso, ho bruciato tutte le mie possibilità di andarci davvero, e sono pentita.

Mi vergogno ad ammetterlo addirittura a me stessa, perché sia Damon che la mia famiglia hanno continuato a dirmelo per settimane, ma io ero troppo cieca per capirlo.

Forse è questo che significa crescere, muoversi attraverso le cose che ci capitano e cambiare in base ad esse, che tu lo voglia, che tu te ne accorga o meno.

Non so se mi piace la persona che sono oggi. Mi guardo e mi detesto, per i pensieri che ho, per la faccia che ho, sono così... spenta. Con l'incidente che abbiamo avuto coi miei ero molto peggio di così, e speravo di non dovermi più guardare allo specchio e provare disgusto per me stessa, ma è più forte di me.

Ho voglia di piangere, ma non mi vengono lacrime.

Penso di averle consumate tutte nell'ultimo mese, l'unica cosa che sono riuscita a fare, a parte recuperare le insufficienze perché sono sempre sola e studiare mi aiuta a riempire gli spazi vuoti, è stato fare compagnia a Mary e aiutarla a dare un occhio ad Alice il pomeriggio.

Mi piace passare del tempo con loro, sono la personificazione del mondo che va avanti, e un po' sento che c'è speranza anche per me quando osservo la bimba di un mese sorridere per le facce buffe. Lei non sa niente di quello che le succede intorno eppure è felice, solo per il fatto di esistere.

Penso che ci sia tanto da imparare dai bambini, forse loro hanno capito tutto e a forza di diventare grande te lo scordi, chissà com'è che funziona davvero.

Non fa molto altro a parte dormire, per il momento, ma ha solo una manciata settimane. A volte la accompagno a fare un giretto della tenuta nella carrozzina, sembra che il movimento la aiuti ad addormentarsi.

Mary passa il tempo a farle le foto. Dice che non ha molti ricordi degli altri suoi figli da neonati, perché non c'erano gli smartphone di oggi, c'erano le fotocamere a rullino, e non c'erano più di tanti scatti, così vuole rimediare con l'ultima arrivata.

E fa davvero una foto a ogni nuova espressione. Di sicuro non le mancheranno ricordi.

Si è detta molto dispiaciuta di come sono andate le cose tra me e suo figlio.

"Non volevo che finisse così."

E so che è la verità, lei è sempre stata, fin dall'inizio, la nostra più grande sostenitrice. Penso che dicesse la verità anche quando mi ha detto che pensava avrei aiutato Damon a diventare una persona migliore, a tornare a credere nei sentimenti buoni, a convincerlo che la gente non è nata solo per fregarti.

Peccato che, alla fine dei giochi, quella fregata sono rimasta io. Forse lui alla fine si è ricreduto, ma quella che ci credeva e ora non ci crede più sono io.

Nemmeno io volevo che finisse così, ma non poteva finire diversamente.

Mi domando solo perché non me l'ha detto. Se fosse stato chiaro dall'inizio, le cose sarebbero andate in un altro modo. Quando è tornato poteva semplicemente dirlo che se ne sarebbe voluto andare, e io avrei accettato la cosa. Mi stavo abituando all'idea, quando è sparito, che non sarebbe tornato.

Ma poi l'ha fatto e mi ha chiesto scusa, si è impegnato per ricominciare da dove avevamo interrotto e non capisco perché.

Cosa ci siamo andati a fare, in Italia, a conoscere la sua famiglia? Perché non ci ha portato nessuno ma l'ha fatto con me?

Sono queste le cose che non mi fanno chiudere il capitolo e farmi mettere l'anima in pace.

Mi ha detto che lui c'era, e poi invece non c'era più, e non ci sarà più.

E ora sono io quella che fa la figura della stronza che l'ha lasciato per messaggio, e so che forse potevo fare meglio, ma non me la sono sentita di farlo di persona, perché non ci sarei riuscita.

Posso essere arrabbiata, posso odiarlo, posso tutto, ma a smettere di amarlo non riesco.

Ci ho provato, tutte le volte che mi ha delusa o ferita, ma evidentemente non funziono così. Non mi ero mai affezionata a qualcuno in questo modo, e ho iniziato per non sapere come smettere.

È difficile pensarsi con una persona, accettare che possa essere quella della tua vita, e il giorno dopo ritrovarsi da soli a guardare una vita che non sapevi di aver immaginato sfuggirti dalle dita.

Ti restano solo ricordi da consumare.

Ricordo quando, a Ottobre, ho ammesso di aver avuto paura a innamorarmi di lui. Chissà cosa direbbe, la Elena della festa di Halloween, se mi vedesse adesso.

Forse ci ripenserebbe sulla delusione, sul momento, di non essere riuscita a convincerlo a venire alla festa.

Forse non avrei mai dovuto invitarlo, buttare lì quel dettaglio che ci andavo accompagnata. Magari non avrebbe sentito il bisogno di venirci.

Vorrei che si fosse troncato tutto quel giorno, eppure voglio tenermi stretti tutti i ricordi, anche se fanno male.

Non mi capisco nemmeno io, come posso pretendere che lo faccia qualcun altro?

Ho paura. Ho soprattutto paura.

Mi sento come se questo dolore, questa delusione non dovesse passare mai. Non lo so quanto tempo ci vorrà per rimarginare questa ferita, e mi sento stupida a stare così male. Ho vissuto di peggio.

E tutti hanno passato gli ultimi mesi a dire che sarebbe finita di merda, e io a dare loro contro per provare che non sarebbe stato così, che io sarei stata l'eccezione.

Ma io non sono l'eccezione, non sono nemmeno la regola. Io sono io, e la mia storia non è una statistica.

Ho fatto le mie scelte, molte delle quali si sono rivelate cazzate. E ho lasciato quello che credevo fosse l'amore della mia vita per messaggio.

Un messaggio a cui lui non ha mai risposto.

Volevo anche farlo soffrire un po', ma mi aspettavo che rispondesse, che mi provasse che a me ci tiene per davvero, e invece non è successo niente.

Quando voglio che succeda qualcosa, non lo fa mai.

Ormai non ho nemmeno più lo studio per aiutarmi a far passare il tempo. Gli esami sono già passati e penso di essere andata molto bene, del resto non avevo che lo studio per riempire le mie giornate. Domani ci sarà la consegna dei diplomi, e la mia vita accademica sarà ufficialmente finita per un po'.

E dopo non ci sarà nulla.

Il pensiero che partirò con un anno in riserva rispetto alle mie amiche mi spaventa molto. Perché loro andranno avanti e conosceranno altre persone, senza di me.

Faranno un sacco di esperienze senza di me, di alcune, se avrò fortuna, ne sentirò solo parlare.

E anche questo pensiero mi fa stare ancora peggio, e mi sento una persona orribile.

La paura mi ha immobilizzato quando avevo l'opportunità di fare qualcosa, e adesso mi è rimasta solo quella.

Sono sola e la mia vita è come se fosse in pausa.

Mi rimane solo il rimorso delle occasioni che ho lasciato passare.

-

«Ma che amore che è!» si ritrovò a dire Elena, guardando la sorellina di Damon afferrarle il dito e stringerlo.

Era ancora nella fase in cui le piaceva guardare la luce più vicina, con quell'aria sperduta, oltre a farle andare il dito in cancrena, si intende.

Le faceva le boccacce, non sapendo come altro intrattenerla. La bimba emise un suono divertito, appena provò a farle il solletico sui piedini.

«Sei un'allegrona, eh?»

«Già.» confermò Mary, tornando in sala con un pannolino pulito. «È molto più mansueta dei suoi fratelli, per fortuna. Ha già incominciato a dormire un po' di più, ora. Per fortuna con gli altri due ero più giovane, non so se oggi avrei potuto reggere quel ritmo.»

Le aveva sentito dire che dormiva poco, ma qualche ora di tregua i coniugi Salvatore l'avevano, di notte. A quanto pareva, Alice non era una rompiscatole come il più grande dei suoi fratelli, ma non era comunque la bimba dell'anno.

Certo era bella, come tutti i Salvatore. Come il primogenito.

Ed eccola lì, quell'antipatica fitta al petto, ogni volta che pensava a lui. Non ne voleva sapere di smettere di tormentarla.

Le mancava. Le mancava tantissimo.

«Tu come stai?»

La domanda arrivò quasi come se Mary potesse leggerle nel pensiero, e forse era davvero così. Forse le si leggeva in faccia, la sofferenza che provava a stare lontano da Damon e a fingere che fosse meglio così.

Lei era l'unica con cui avrebbe potuto parlarne, ma con la bimba piccola, e le preoccupazioni appena passate, non se la sentiva proprio. Avrebbe dovuto godersi questo momento, essere felice di potersi prendere cura della sua bambina e vederla crescere.

No, non le avrebbe detto niente.

«Okay.» fu quello che poté dire, per non mentire direttamente.

Non poteva dire di stare bene, ma forse era okay. O almeno, lo sarebbe stato.

Prima o poi.

Nel frattempo, sul fasciatoio improvvisato sul tavolino da fumo, dove Alice stava per essere preparata per uscire, il talco decise di versarsi, con l'imput di un piedino, e di rotolare giù, fino al tappeto, e poi sotto al divano.

Mary poté solo arrendersi a un: «Ops.» piuttosto stanco.

«Ci penso io.» fu la risposta veloce della sua ospite, che si calò giù, pronta a estendere il braccio in quello spazietto col pavimento.

E insieme al talco, portò via qualcos'altro.

Un libro.

Sulla costola, un codice a barre quasi completamente scollato.

Era della biblioteca di Mystic Falls.

L'ultima volta che aveva visto quel libro, sarà stato novembre, forse.

"Il Piccolo Principe."

E no, non era okay. Non era okay proprio niente.

Posò il talco sul tavolo.

«Vado a lavarmi le mani.»

Si dileguò così, senza quasi rendersi conto di aver stretto quel libro a sé.

«Meglio che tu vada di sopra.» le disse Mary. «Il bagno di servizio è bloccato dalle scorte di pannolini della bimba. Ho scoperto che se non sanno che regali portarti, la gente si butta su quelli. Credo che supereremo lo spannolinamento senza problemi.»

Elena seguì il consiglio ancora prima di capire che l'aveva sentito.

Era strano essere in casa di Damon e sentirsi così lontana da lui. Era tra le sue cose, in un posto in cui c'erano dei ricordi che erano solo suoi, e anche quelli che invece dividevano. In molti di quelli, non riusciva nemmeno a dipingerlo come uno stronzo, e la cosa arrivava, a tratti, a infastidirla, addirittura.

Perché non poteva essere, in fondo, in fondo, una brava persona, giusto?

Perché una brava persona avrebbe dovuto ferirla?

E se, al contrario lo era, cosa lo aveva spinto a farlo? Era stata lei?

Era stata lei a sbagliare a giudicarlo? O aveva sbagliato a giudicare se stessa, o loro due insieme? Forse non erano fatti per essere una coppia, e sarebbe tutto saltato anche senza quel colpo basso, del resto era già successo almeno un altro paio di volte.

Doveva essere quella, la loro fine inevitabile.

Anche se, con quel libro tra le mani, era davvero difficile credere a tutte quelle cose.

-

Sistemare la biblitoeca la domenica pomeriggio qualche volta poteva essere rilassante. Perfino quando la sua migliore amica, dopo aver brigato per raccomandarla, la voleva spingere a disertare per passare del tempo con lei, specialmente nei weekend in cui Bonnie era da sua madre.

Si era anche beccata della «stronza» per messaggio.

In realtà, niente di nuovo.

Probabilmente, anche se avesse deciso di mancare ai suoi impegni, non avrebbe passato il pomeriggio con Caroline.

Certo, se lei l'avesse saputo, si sarebbe sicuramente offesa, ma che poteva farci? Con Damon si erano accordati per frequentarsi da troppo poco perché non fosse sovraeccitata al pensiero di rivederlo.

A lei piaceva, e a lui piaceva lei.

Sembrava quasi incredibile, era una cosa da allineamento dei pianeti.

Non sapeva dare davvero un nome al suo sentimento, sapeva solo che aveva voglia di vederlo ogni momento.

D'altra parte, però, non gli scriveva mai per prima per paura di allontanarlo. Era un ragazzo un po' difficile da capire, e poi non aveva mai avuto niente di simile a una storia per come le concepiva lei, e tutto voleva meno che dargli l'idea di essere una appiccicosa.

Avevano appena iniziato a frequentarsi, dopotutto. Un po' di cose carine gliele aveva dette, in fondo...

Sospirò sognante prima di fare una mezza piroetta e, quasi, inciampare sui suoi stessi piedi e finire sul pavimento a pelle d'orso perché... perché Damon la stava guardando sornione, appoggiato a una libreria che lei non aveva ancora finito di sistemare.

«Ti deve piacere parecchio, quel libro.» constatò, divertito.

«Uhm...»

Che libro era?

«Credevo che il tuo preferito fosse "Persuasione".»

Il Piccolo Principe, ecco che libro era.

«Anche questo non è male.» si ritrovò a giustificarsi, perché aveva quasi paura che potesse leggerle nel pensiero e rendersi conto che dei libri, poco prima, si era addirittura scordata.

«Non l'ho mai letto.» commentò lui, pacato. «Credevo fosse un libro per bambini.»

Elena si schiarì la gola. «Veramente ha ottimi spunti di riflessione che secondo me cogli solo da adulto.»

Il che, non era del tutto falso.

«Come mai qui?» gli chiese, per cambiare argomento e spostare l'attenzione su altro.

Non sarebbe potuta andare avanti a lungo, dato che erano anni che non prendeva in mano quel libro e se lui avesse iniziato a fare domande, era quasi sicura che non avrebbe saputo cosa inventarsi.

«Ero di strada.»

Il tono finto distratto le mise curiosità. Di strada... da dove? O per dove?

«Ma la biblioteca non è di strada per niente.»

Non voleva porre una domanda diretta, ma si pentì di aver parlato quando per quel commento si beccò un'occhiata storta.

«Volevo stare con l'unica persona che non sembra odiare la mia compagnia, in questi giorni, contenta?»

Sembrava offeso, quasi, di essere stato costretto a dire la verità.

«Io sono sempre contenta quando vieni a trovarmi.»

Una confessione per una confessione, se l'era meritata.

Infatti, questo sembrò migliorare sensibilmente il suo umore.

«Comunque non penso affatto di essere l'unica.» proseguì, cercando di consolarlo. «Stefan ti adora e tua madre non ne parliamo.»

«Mmh.» fu la sua risposta, mentre si metteva a sedere imbronciato. «Torno da un pranzo di famiglia da cui potresti essere sbugiardata.»

Con un sospiro, Elena posò i libri sul tavolo, mettendosi di fronte a lui.

«Che hai fatto?»

Ancora, un'occhiata storta.

«Ma perché deve essere sempre colpa mia?» sbuffò. «Forse è meglio se vado a casa.»

«No, no!» lo bloccò lei, prima che potesse pensare di farlo davvero.

Aveva desiderato così tanto di poterlo vedere! Ci mancava solo bruciarsi la possibilità di passare un po' di tempo insieme perché l'aveva messo inavvertitamente di cattivo umore.

«È solo che so per certo che Stefan e tua madre sono felicissimi di averti intorno.»

Forse così si poteva salvare in calcio d'angolo.

Di nuovo, Damon mugugnò.

«Stefan è molto, e sottolineo molto, infastidito dal fatto che ci frequentiamo.» disse, dopo. «È convinto che ti spezzerò il cuore e che non vorrai avere più niente a che fare nemmeno con lui. Quindi non sono esattamente la sua persona preferita.»

Lei sorrise.

«Niente di quello che potrebbe succedere tra noi mi convincerebbe a smettere di vedere Stefan.»

Sarebbe stato stupido anche solo pensarlo, del resto erano cresciuti insieme. E le era anche abbastanza difficile pensarli come parte della stessa famiglia, dal momento che Damon era mancato per la maggior parte delle loro vite.

Era come se fosse un ospite a casa del suo migliore amico, dal suo punto di vista.

«Tanto lo so che non ti piacerò mai quanto lui.» si fingeva scornato, forse con l'intento di farle pena.

Elena alzò gli occhi al cielo.

«Dovresti essere contento di non piacermi come mi piace lui.» gli fece notare, con fare pratico.

Ma lui la ignorò.

«Ti capisco, in realtà.» continuò, infatti. «Neanche io mi piaccio tanto quanto mi piace lui, insomma... non pensavo che esistessero davvero persone così innocenti e sincere. E guarda caso è proprio mio fratello.»

Sembrava rifletterci sul serio, e lei non lo interruppe.

«Mi spiace che l'abbia presa male, questa cosa tra noi.» si strinse nelle spalle. «Non cercavo di fargli un dispetto.»

Elena ridacchiò.

«Lo spero bene.» ammise. «O potrei essere io quella che la prende male.»

Scherzava, ma fino a un certo punto. E non aveva certo necessità che lui non si affrettasse a smentirla, perciò decise di cambiare argomento.

«E tua madre?»

«Continua a dire che somiglio a papà.»

Sembrava davvero seccato.

Elena però non capiva. «E perché è una brutta cosa?»

«Ti sei persa la parte in cui odio mio padre e il raffronto con lui ancora meno?» le chiese, senza davvero aspettarsi una risposta. «Non che lei tiri fuori l'argomento per farmi un complimento.»

Mise il broncio più adorabile della storia, e lei si intenerì tantissimo.

«Povero.»

Il commento sembrò peggiorare il suo umore.

«Non prendermi per il culo.»

«Non lo faccio.» decise di aggirare il tavolo per fargli una carezza. «Sei proprio carino.»

E lo era. Era raro che si mostrasse così vulnerabile, anche se in realtà era tutto molto nuovo, per lei. Solo che non dava l'idea di uno che avdeva piacere nel condividere le emozioni che lo facevano sembrare poco fico.

«Piantala.» fu la sua rimostranza, a sostegno di quella teoria. «E poi è tutto inutile, tanto alla fine si nasce soli e si muore soli, che mi frega.»

«E questa frase ottimista di chi sarebbe?» gli chiese, ironica.

«Di un letterario italiano che non penso tu conosca.»

Nemmeno ci provò a chiedere, che tanto di letteratura italiana sapeva meno di niente, come chiunque altro non fosse lui, in quella città.

Ma Damon aveva gli antenati italiani, e lo doveva far sapere in quasi ogni conversazione che riguardasse la cultura.

«Sarai un po' melodrammatico?»

Gli fece un'altra carezza.

«Mmh.» si protese verso di lei, ora più malandrino. «Cosa mi consigli per cambiare idea?»

Ed Elena aveva la consolazione perfetta.

«Questo.»

Fece strisciare il libro che aveva tenuto in braccio fino a poco prima sul tavolo verso di loro.

Dalla faccia di Damon sembrava quasi che gli stesse passando dei vermi.

«Lo sapevo che anche tu mi odi.»

Non ci voleva un genio per capire che si aspettava di essere consolato in tutt'altro modo.

«Leggilo.» era un consiglio ma suonò come un ordine. «Credo che ti darà una nuova prospettiva su come non si possa affrontare questo mondo completamente da soli.»

Il ragazzo prese il libro e lo guardò con diffidenza.

«Va bene.» acconsentì, dopo. «Visto che me lo consiglia la mia bibliotecaria preferita, lo affitto... ma solo se mi aiuti a compilare il modulo e vieni via con me.»

Aveva di nuovo il suo classico sorriso sornione sulle labbra, e quello che ha la sicurezza di ottenere ciò che vuole.

Elena stette al gioco. «E dove hai intenzione di portarmi?»

Lui occhieggiò "Il Piccolo Principe" e dopo lei.

«Pensavo di andare di nuovo a vedere casa... per... leggere.» concluse la frase con un tono carico di sottintesi.

Il sorriso di Elena si fece sottile, mentre si alzava dal bordo del tavolo a cui si era appoggiata.

«Il mio turno finisce alle quattro e mezza e viene a prendermi mamma.» rivelò, con tutta l'innocenza del mondo. «Mi sa che dovrai leggere da solo.»

Fece per tornare dall'altro lato, dove aveva abbandonato il suo lavoro, ma Damon si alzò e l'afferrò per le braccia.

«Almeno dammi un bacio.»

E lei non se lo fece ripetere due volte.

-

Poi, incredibilmente, la promessa di prendere quel libro l'aveva mantenuta. Chissà se l'aveva anche letto.

Be', se era nel salotto dei suoi invece che a casa sua, sotto a un divano, per giunta, c'erano buone possibilità che fosse stato solo abbandonato lì dopo un primo tentativo.

Lo appoggiò sul mobiletto del bagno per non rischiare di infradiciarlo lavandosi le mani, e si concesse un sospiro lunghissimo.

Non ti azzardare a piangere.

Non c'era nessun testimone, ma ormai ne andava della sua dignità.

Damon aveva fatto le sue scelte: lei non era contemplata, nonostante tutte le sue belle parole. Doveva farsene una ragione e andare avanti.

Qualunque fossero stati i suoi motivi, questa era la verità. E la verità non si può cambiare.

Come non poteva cambiare i suoi sentimenti per lui.

Era da lì che nasceva tutta la sua rabbia. Come può la persona che ami di più fare una cosa simile? Non diceva che per lui era lo stesso? Forse per Damon era più facile distaccarsi. Chissà.

Di sicuro le aveva riempito la testa con quei discorsi sul fare ciò che era meglio per se stessi piuttosto che per gli altri, e lui doveva essere un campione, nell'ambito.

Magari avrebbe solo dovuto imparare da lui e piantarla di frignare su una cosa che non si sarebbe mai realizzata.

Che non fosse questa la lezione che il karma cercava di impartirle.

Si sfogò con un ringhio. Non poteva picchiare niente perché non era a casa sua, ma un calcio al mobiletto l'avrebbe dato volentieri, immaginando che fosse uno stinco del suo ex.

Razza di stronzo.

Però un colpetto alla porta col palmo non se lo risparmiò, prima di raccogliere quella che pareva essere la materializzazione di tutti i suoi crucci e uscire.

«Ma che c...»

C'era qualcuno dietro la porta.

Si bloccò immediatamente.

«Ah.» anche Damon. «Sei tu.»

Se lo stava immaginando per forza.

Non poteva essere davvero lì. Perché avrebbe dovuto essere lì? Aveva una casa sua e tutto il resto.

L'aveva attirato lei picchiando quella stupida porta?

«Ciao.»

Molto intelligente.

La sorpresa per lui durò molto meno, anzi: si trasformò quasi subito in fastidio.

«Che cazzo ci fai, qui?»

Molto diretto, senza mezzi termini.

Elena ne rimase un po' spiazzata.

«Io...» cercò, prima di tornare presente a se stessa. «Ma che modi sono?»

Si trovò a inseguirlo, mentre lui, a passo di carica, tornava in camera sua. Era piena di scatoloni che stava riempiendo. Non era difficile immaginarsi il perché.

Ed ecco il motivo per cui si trovava dai suoi genitori.

«Scusa, ho dimenticato il tappeto rosso nelle tasche degli altri pantaloni.» le sue parole erano imbevute di velenoso sarcasmo.

Elena decise di rilanciare: «A quanto pare anche l'educazione.»

La tristezza l'aveva un po' lasciata: c'era solo quell'incredibile frustrazione che le aveva lasciato la rabbia. E il bisogno di farglielo pesare.

Lui si finse impressionato.

«Bene, sai da dove si esce.» le indicò con fare molto composto la porta.

E lei non riusciva a capire: che cavolo aveva da essere così scortese? Era lei quella col diritto di essere arrabbiata, il contrario non aveva semplicemente senso.

«Per caso ce l'hai con me?» volle sapere, ora a braccia conserte.

L'avrebbe spuntata, stavolta. Fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto.

«Chi, io?» ma Damon di parlare seriamente non ne voleva sapere, a quanto pareva. «E perché mai dovrei avercela con la perfettissima Elena?»

«Sei davvero incredibile!» constatò, scioccata.

Sapeva che aveva un talento speciale per rigirare la frittata, ma così?

«Io.»

«Sì, tu.»

«Okay.» si arrese lui, anche se per nulla sottomesso. «Immagino che dopo avermi calato dall'alto del tuo piedistallo questa verità incontrovertibile tu possa anche togliere il disturbo.»

Di nuovo, le fece un cenno della mano verso la porta.

E sebbene avesse avuto moltisima voglia di rispondergli, di tenergli testa e fargliela pagare, improvvisamente le forze le vennero meno.

Che senso aveva? La battaglia l'aveva persa mesi prima, quando ancora non sapeva nemmeno che fosse successo. Aveva cercato per troppo tempo di riparare una cosa che non poteva essere aggiustata, perché nonostante lui sembrasse essere dall'altra parte, non c'era.

Era stata solo un passatempo, per lui?

«Va bene, me ne vado.» acconsentì, quindi. «Anche se non era così che volevo ricordare la nostra ultima conversazione.»

Avrebbe voluto uscire su quella nota amara, e un po' era perfetto, in fondo. Racchiudeva un po' il senso di quella relazione che si era costruita e distrutta e dietro si era lasciata una lunga serie di rimorsi.

«No, certo.» la raggiunse la voce di Damon, tagliente. «Preferivi non averla affatto.»

Proprio sulla soglia della sua camera, la ragazza si bloccò.

«Questo che vorrebbe dire?»

Avrebbe potuto lasciar perdere, ma quella pretesa di essere nel giusto che vedeva scolpita nella sua espressione sostenuta, proprio le dava sui nervi. Avrebbe potuto – dovuto – lasciarlo lì, nella sua consapevolezza di aver avuto ragione, e andarsene, fregarsene di quello che pensava, appellarsi a quell'impeto di non andare incontro a una sconfitta già dichiarata che l'aveva colta poco prima.

Solo che le provocazioni se le poteva benissimo risparmiare.

«Vuol dire che parli davvero bene, quando le cose riguardano te.» rispose lui. «Ma quando sei tu dalla parte della decisione, non ci sono regole che tengano.»

E no, Elena non poteva accettare un'altra risposta non risposta, da parte sua. Ne aveva abbastanza.

«Quando non sai che pesci prendere, non parli mai chiaro.» lo accusò.

Perché non gli aveva fatto niente che non avesse già fatto a lei. E se poteva scusare se stesso con le sue patetiche motivazioni, allora poteva fare lo stesso con lei.

Oppure avrebbero dovuto rivedere tutto quello che era successo negli ultimi due mesi.

«"Questo per te era lasciare con rispetto?"» fece lui, in una pessima imitazione della sua voce, volutamente. «E poi mi scarichi per messaggio: veramente rispettoso. Deve essere la prima regola nel libro delle buone maniere.»

Ecco.

Quella era forse l'unica cosa che poteva sedare lo spirito battagliero di Elena.

Perché aveva ragione.

Anche se non l'aveva davvero lasciato, visto che non erano mai tornati insieme, dopo che era stato lui a lasciarla, la sera del prom.

«Che cosa avrei dovuto fare?» mormorò, un po' intimidita dalla vergogna di poter essere attaccabile.

Pensava di avere la superiorità morale, fino a qualche secondo prima. Ma sapeva anche che avrebbe trascinato quella storia finché fosse stato lui a dire basta, o finché non l'avesse più trovato in città perché se n'era andato senza dire niente, se se lo fosse trovato davanti in carne e ossa.

Pensarlo dall'altra parte di uno schermo, senza dover vedere la sua reazione reale, era stato più semplice. Non avrebbe potuto sopportare di scoprire che non gli importava davvero.

«Io almeno ti ho guardata in faccia mentre lo facevo, perché ci tenevo a te.»

Era impietoso, e a lei salirono le lacrime agli occhi.

«E io no?» era anche abbastanza scandalizzata dal fatto che sottintendesse questo. «Secondo te perché ho fatto così? Non sarei riuscita a dirtelo in nessun altro modo.»

Magari tramite interposta persona, ma a chi avrebbe dovuto affidare quel compito? Tutte le persone che avevano in comune si erano improvvisamente accorte che gli volevano bene, e che non era così male come sembrava all'inizio.

Tanto dal cominciare a prendere le sue parti più spesso di quanto le sarebbe piaciuto da parte dei suoi amici di infanzia.

«E quindi chissenefrega di come mi sono potuto sentire io.»

E sì, Elena un po' si ritrovò a essere dispiaciuta al pensiero di averlo ferito.

All'inizio pensare di fargli del male le aveva dato un perverso senso di piacere, ma ora si sentiva incredibilmente male.

«Tu mi hai mentito.» tentò, in quell'ultimo tentativo di difendersi.

E se prima Damon era sembrato alterato, ora sembrava un toro pronto a caricare.

«Io non ti ho mai mentito.» sibilò. «Ogni cosa che ti ho detto era...»

«La verità.» concluse Elena, al suo posto. «E per le cose che non hai detto, invece?»

Sicuramente avrebbe potuto gestire l'ultima specie di rottura in modo diverso, e questo, forse, lo doveva riconoscere, anche a se stessa. Ma tanto sarebbero sempre finiti lì, di nuovo.

Quindi era poco importante, in fondo.

«Di che cazzo stai parlando.» volle sapere lui, gli occhi ridotti a due fessure.

Con un gesto, la ragazza indicò la stanza attorno a loro, piena di scatoloni.

«Non stai raccogliendo le tue cose per fare restyling.» osservò, pacata.

«No.» confermò lui. «Cedo la mia stanza a mia sorella, visto che me ne vado e non mi servirà più.»

Ecco, era lì che lo voleva portare.

Così annuì, con fare consapevole. «E quando pensavi che avrei dovuto saperlo?» gli chiese. «Tramite Stefan, quando fossi partito, come l'ultima volta?»

Le conversazioni importanti sembrava che sfuggissero loro da un po'. Pareva che dovessero usare altri mezzi per averle, tranne quella.

Si stavano parlando davvero, quel giorno.

E quanto stava facendo male.

Damon, senza proferire parola, tirò un pugno alla scatola più vicina a lui.

«Cazzo, Elena!» imprecò, subito dopo, senza più essere in grado di mantenere la facciata da duro. «Avevo bisogno di te.»

Aveva gli occhi lucidi.

Per un folle momento, Elena pensò che avrebbe pianto.

«Quel giorno, in ospedale.» spiegò, e anche se la voce non era né sarcastica, né tremante, era molto provato. «Avrei voluto essere in qualunque altro posto e invece sono rimasto. Sono rimasto per te. Perché se fossi andato via ti avrei provato una volta per tutte che sono quella persona di merda che non si sa prendere nemmeno una responsabilità.»

Dopo, abbassò gli occhi in terra, e lei mandò giù la saliva a vuoto.

«E questo che c'entra col fatto che te ne vai?» mormorò, prima di schiarirsi la gola.

«Tutto.» ora anche lui sembrava più calmo. «È nata mia sorella e sono andato alla nursery a vederla, e quando sono tornato, tu eri sparita.»

Si pulì l'angolo di un occhio, seccato.

Il pensiero di quel giorno aveva minacciato di distruggerlo più volte, e proprio adesso che poteva dire tutto quello che pensava alla diretta interessata, non intendeva farsi vedere piangere come un coglione.

«Il giorno dopo mi arriva un messaggio "Scusa, non posso farlo.".» di nuovo, una non lusinghiera imitazione di lei. «Mi hai lasciato tu, stavolta, e non solo questo. Sono nel momento più di merda della mia vita, e ho preso le scelte che ho preso. Quindi scusami tanto se non accetto questa tua ritrovata voglia di darmi contro: è davvero fuori luogo.»

Al pensiero che davvero, quella sera, aveva pensato che potessero tornare insieme e superare i loro problemi, si sentiva stupido. Perché era andato tutto a rotoli e non sapeva davvero bene nemmeno perché.

Lei infatti stava zitta, e sembrava che le avesse appena dato una coltellata.

«Puoi andartene, ora? Sul serio, non riesco nemmeno a guardarti.»

Perché se avesse continuato a stare lì con quella faccia, il suo proposito di rimanere incazzato sarebbe svanito nel nulla. E avrebbe finito per consolarla.

Cosa che una parte di lui stava insistendo per fare, ma poi cosa ne sarebbe stato del suo orgoglio?

«Mi dispiace averti ferito.» fece lei, cercando di mandare giù il magone. «Lo so che cosa vuol dire essere lasciati dalla persona che si ama.»

«Era una specie di vendetta?» la provocò, perché aveva bisogno di una reazione diversa.

Voleva essere arrabbiato ancora. Era l'unico modo per non impazzire del tutto.

«Certo che no.» ma lei aveva sempre altri piani. «Ho cercato di proteggere me stessa.»

«Da cosa, sentiamo?»

Lo chiese anche se aveva paura di saperlo già.

«Da te.» per l'appunto. «Damon, guarda in faccia la realtà, questo...»

E indicò ancora gli scatoloni con un gesto del braccio.

«...è quello che fai sempre quando le cose non vanno come vorresti. E non ti sei mai preoccupato di guardare cosa ti lasci indietro.» era un ricordo che faceva male a tutti e due. «Io non ce la posso fare a essere sempre quella che ti rincorre e spera che tutto possa cambiare, che possiamo essere una coppia normale.»

Che poi non sapeva nemmeno bene cosa volesse dire il concetto di "coppia normale". Come Caroline e Stefan, forse? Che si volevano bene e si stavano vicino senza farsi troppe domande?

In effetti, erano l'unica altra coppia non scoppiata che conoscesse.

Ma con Damon sembrava tutto così maledettamente difficile... impossibile, a dire il vero.

«Le cose andavano benissimo quanto tu avevi deciso che era tutto a tempo determinato.» ricordò, amaramente. «Io non ce la faccio a soffrire così ogni volta. Non posso guardarti mentre te ne vai ancora e io resto a chiedermi cos'è che ho fatto di sbagliato. E ad aspettarti nonostante tutto.»

Ancora non aveva idea se stesse aspettando, se l'avrebbe aspettato comunque, anche se non erano niente e lui non era più suo.

Lei però sì. Lei era sua. Damon aveva pensato bene di sancirlo quando le aveva regalato quel braccialetto, la notte di Natale.

Non c'era stato più modo di tornare indietro.

Avrebbe voluto dire tutt'altro, non quelle parole. Avrebbe voluto dirgli che le mancava il blu dei suoi occhi, che decidere di chiuderla, anche a valle delle informazioni di Mary, era stata la decisione più difficile della sua vita fino ad allora, che le mancava, che lo odiava, che era ancora innamorata di lui.

Ma non avrebbe cambiato nulla. Erano su due lati diversi della stessa conversazione da troppo tempo, senza mai riuscire a trovare un punto di incontro.

«Quindi hai capito tutto, senza nemmeno pensare di parlarne con me.» commentò lui, piatto.

«Che cosa avrei ottenuto?» domandò, non sapeva se più a se stessa, al suo ex o al vuoto. «Dopo avermi dato l'illusione che volevi di nuovo stare con me, è stato davvero crudele scoprire che stavi per andare via.»

«Perché questo è quello che faccio.» ripeté Damon, come una filastrocca. «E le persone non cambiano.»

Non era del tutto sicuro che fosse stata quella, la causa scatenante di tutta la loro situazione, ma ora le cose erano ben più chiare.

E gli faceva un po' male sapere che questo era quello che Elena pensava davvero.

«Mi dispiace se ti ho ferito.» ripeté lei, e suonò sincera proprio come prima. «Non ho saputo fare di meglio.»

«Vai via, Elena.» la pregò il ragazzo. «Davvero. Non abbiamo più niente da dirci.»

Ogni sillaba era come una pugnalata.

Avevano chiuso, proprio come voleva lui, e ora doveva farselo andare bene.

E lei decise di non ribattere.

«Non la prendere come una presa per il culo, ma...» gli porse il libro, impacciatissima. «...ho trovato questo sotto al divano, poco fa... e prima di andare via, be'... dovresti restituirlo.»

Gli venne quasi da ridere.

Quasi.

«Certo.»

Quel libro del cazzo, proprio ora doveva venire fuori.

Non aggiunse altro ed Elena semplicemente si voltò, e il ragazzo chiuse gli occhi per non doverla vedere mentre se ne andava.

Lei si fermò di nuovo sulla soglia, per un solo momento. Non si girò a guardarlo, però.

«Buon compleanno, Damon.» mormorò, prima di sparire oltre la porta.

«Questa invece era una presa per il culo.» lo sentì dire, prima di decidere di scendere e lasciarselo finalmente alle spalle.

-

Si fermò in mezzo alle scale per riprendere fiato, conscia del fatto che nessuno l'avrebbe seguita.

L'aveva detto lui che non restava più niente da dirsi, anche se lei avrebbe voluto spiegazioni, su ogni parola, su tutto quanto.

Perché si era disturbato a dirle del lavoro ma non del trasferimento?

Aveva mentito tutti quei mesi? Lo sapeva da tempo?

Perché l'aveva illusa così a lungo?

Non piangere.

«Elena?»

Quando tirò su gli occhi lacrimosi, Stefan era sulla rampa di scale sopra di lei.

«Mmh mmh.» mormorò, e la sentiva la bocca contorcersi per non lasciar andare un singhiozzo, la gola chiudersi, le lacrime spingere.

«Immagino vi siate incrociati.»

Questa volta, la ragazza annuì soltanto.

«Ti ha trattata male?»

Di nuovo, Elena rispose con la testa, ma fece cenno di no, perché in realtà era andata proprio così: era arrabbiato, ma non l'aveva insultata o le aveva gridato contro. Era stato molto controllato, e credeva anche sincero, e ferito.

Per questo non riusciva a capirci nulla: perché mai avrebbe dovuto risentirsi del fatto di essere stato lasciato solo quando pensava di andarsene dall'inizio? Gli bruciava non essere quello che prende la decisione finale?

O... cosa?

«Avete parlato del fatto che se ne va?»

«No.» stavolta riuscì a dirlo, con la voce incredibilmente impastata. «Ho solo visto che raccoglieva le sue cose.»

Non aveva avuto il coraggio di chiedere dettagli, e si sentiva un po' codarda. Non l'avrebbe mai saputo, ora che lui andava via, e Stefan sembrava piuttosto distaccato, lui sì che di sicuro non avrebbe vuotato il sacco.

Caroline nemmeno sapeva di tutta quella faccenda, perciò lui non gliene aveva parlato, forse proprio per proteggere le sue ragioni, o quelle di Damon.

Che tanto lo sapevano tutti che poi la capo cheerleader avrebbe vuotato il sacco in meno di zero secondi.

«Vuoi andare a parlargli?» le chiese.

Sembrava che anche lui non sapesse che pesci prendere.

Elena scosse la testa, però: si erano già parlati, in qualche modo, e avevano stabilito che era quella la loro ultima conversazione. Damon, in fondo, in fondo, aveva ragione: non restava molto altro da dirsi che non si fossero già detti.

Sarebbe stato difficile ripensare a tutto e provare dei sentimenti che non fossero angoscia, senso di vuoto e nessuna speranza per il futuro.

Non si sarebbero più parlati.

Finiva così, nel modo peggiore in cui avrebbe potuto.

Finiva esattamente nel modo atroce che si era immaginata quando avevano iniziato a frequentarsi, forse per ragioni diverse, o forse no.

Uno dei tanti motivi per cui non le sarebbe passata tanto presto era non sapere nemmeno bene perché.

«Sarà meglio andare, allora.» le suggerì il suo migliore amico.

E lei si ricordò solo allora della cerimonia di consegna dei diplomi. Del loro ultimissimo giorno di liceo.

Era un giorno di conclusioni, ed erano tutte maledettamente tristi: l'ennesimo motivo per piangere, un pianto che non riusciva a raggiungere gli occhi e le graffiava la gola come se avesse avuto gli artigli e le annodava lo stomaco.

E si ricordò anche del fatto che, probabilmente, sarebbe stata l'unica con nessuno tra il pubblico a vederle raggiungere quel traguardo.

Non riuscì a muoversi per un lungo momento.

Il mondo va avanti e non gliene frega niente se sei pronto. Il tempo semplicemente scorre, ed è la cosa più equa che ci sia: passa allo stesso tempo per tutti. Non importa se sei felice, triste, col cuore a pezzi, o scoppi di salute, lui se ne va e basta.

Un po' come Damon.

«Scusate.»

Proprio lui passò loro in mezzo senza degnare nessuno dei due di un'occhiata di troppo.

Gli occhi della sua ex però lo seguirono come se fossero stati delle calamite attratte da un magnete opposto.

«Dam..» mormorò, talmente piano che perfino Stefan faticò a sentirla.

E, nonostante per causa sua avesse finito per compromettere quello strano rapporto di fiducia e rispetto con suo fratello, gli fece pena.

Non era l'unico che stava perdendo Damon, quel giorno.

«Dai, andiamo.» la incitò, con delicatezza ma fermezza. «Finiremo per fare tardi a scuola.»

In un altro momento avrebbe fatto più domande, forse sarebbe addirittura andato alla fonte dei suoi problemi per indagare, ma non quel giorno.

I panni del migliore amico definitivamente accantonati per indossare quelli del fratello minore.

«Lo so che ce l'hai con me, Stef.» gli disse, infatti, una volta che furono alla macchina e la voce le fu tornata. «Quando sarai pronto, mi dirai cosa vi siete detti?»

Dopo un momento di silenzio, lui rispose: «Se non te l'ha detto lui, non posso farlo io.»

Non c'era astio nelle sue parole, solo breve rassegnazione, e tanta voglia di non intraprendere quella conversazione.

«Sei il mio migliore amico e ci siamo sempre detti tutto.» provò Elena, allora.

Le sembrava surreale che perfino quella cosa potesse essere cambiata. Erano sempre stati sullo stesso lato del ring, fin dall'inizio, da sempre. Lei l'aveva sempre sostenuto, anche quando aveva fatto quel casino con Caroline, durante i preparativi per Mystic Falls.

Era sempre nel suo angolo, e Stefan lo stesso.

«Stavolta non posso.» rispose il ragazzo. «L'ho promesso a mio fratello.»

Perché fratello scavalca migliore amica.

Prima la famiglia.

«Forse lui mi odia, ora.» mormorò, amara. «E anche io un po', te lo giuro. Però lo amo.»

Lanciò al loro argomento di conversazione un'occhiata carica di dispiacere e rimorso. Lui stava sistemando delle cose nel bagagliaio della sua Camaro azzurra con quell'innata eleganza che tanto l'aveva colpita la prima volta che si erano visti.

E lei aveva tanta paura che quella sarebbe stata l'ultima.

«Vorrei solo che questa cosa non rovinasse il nostro rapporto.» proseguì. «Non capisco cosa ho fatto, tranne lasciarlo.»

Stefan sospirò. «E io vorrei potertelo dire.»

Ma aveva fatto la sua stupida promessa, e lei stringeva un pugno di mosche.

Il vento che si era alzato, portò via dalla mano di Damon qualcosa. Quel qualcosa rotolò ai piedi di Elena, e rimase a ciottolare contro la sua scarpa.

Era un portachiavi a forma di paperella di gomma, un altro simbolo di un ricordo che avrebbe voluto non aver già consumato.

-

Era un venerdì sera tra i più tristi della storia, in città. Nuvoloso, niente da fare perché era in una punizione stellare e senza telefono, e in più sua madre li aveva lasciati senza cena.

Ecco come ci si combina all'alimentari più vicino, con dei pantaloni osceni ficcati dentro le calze di spugna, dentro un paio di scarpe troppo grandi perché di suo fratello.

Ci voleva proprio, un gelato.

«Lo sapevo di aver intravisto la ragazza più carina di Mystic Falls.»

Fu un sussurro alle sue spalle, che la fece sobbalzare, proprio mentre la sua attenzione era dedicata a quale scatola portare a casa.

«Damon!» si stupì, ed era felicissima. «Aspetta, solo carina?»

Che era già un complimento, visto com'era conciata, ma lui aveva l'obbligo morale di farle i complimenti, perciò decise di non darci troppo peso.

Dopotutto, la giacca le copriva gran parte dell'outfit.

«Quando ti dico che sei bella ti offendi.» le ricordò, birichino.

Dal momento che il suo umore era sensibilmente migliorato, Elena optò per un normalissimo ghiacciolo, e lo gettò nel carrellino.

Non era così male, quel venerdì sera, dopotutto.

«Non mi offendo, solo sono consapevole di essere una goccia d'acqua con la tua ex.» giocò, mentre si dirigevano verso le casse.

Damon la fermò, parandosi parzialmente davanti a lei.

«Nessuna delle mie ex è mai stata così carina, però.»

Le fece l'occhiolino, prima di rubarle il posto sul nastro, e lei nemmeno ci fece caso. Era troppo occupata ad arrossire, deliziata.

Non era così male, quel venerdì sera.

«Posso azzardare a darti un passaggio o tuo padre mi fa mettere in galera?» le chiese, una volta fuori.

Elena si strinse nelle spalle.

«In realtà io e Jer siamo soli.» buttò lì, con fare molto poco casuale. «Mia madre e tua madre sono con le loro amiche a farsi la loro girls' night, e papà rimane in clinica fino a tardi, così ho comprato la cena.»

Tirò su la busta con niente di davvero commestibile, giusto per sottolineare il concetto.

«Ottimo, allora ti accompagno.»

Non era necessario ulteriore invito.

«Bene, perché sono a piedi.»

Damon rise. «Anche io.»

In effetti, perché mai avrebbe dovuto prendere l'auto per comprare una cosa al volo così vicino a casa? Ma lei non aveva avuto abbastanza prontezza di riflessi per rendersene conto.

Diventava difficile pensare, con quel ragazzo intorno.

«Oh.» commentò, quindi.

Però, in fondo, era meglio così. Chi se lo faceva scappare un tragitto di ben dieci minuti, mano nella mano? Non lo vedeva da giorni.

Era praticamente l'highlight della settimana.

Ridacchiò, mentre stringeva le sue dita con le proprie e si accostava al suo braccio. Che bella sorpresa!

Si sentiva super leggera, e per com'era partita la serata... aprendo un frigo vuoto, non poteva certo dire che l'Universo non fosse dalla sua parte.

Specie quando il tragitto da dieci minuti si allungò almeno al triplo, per includere pause in cui si camminava poco.

«Mi sento una fuorilegge.» gli confessò, prima dell'ultimo tratto, un momento dopo aver avuto abbastanza spazio per respirare.

E lui era così bello che le tolse il fiato, per un attimo.

Non era facile ammettere che vederlo dal vivo e ricordarselo soltanto erano due cose diverse, anche se la sfumatura blu dei suoi occhi era la stessa.

Sentirlo sotto le dita, ovunque riuscisse a toccarlo faceva una differenza enorme.

«Stai attenta, sono amico dello sceriffo.»fu un sussurro divertito sulla sua bocca.

La ragazza si ritrovò a ridacchiare e, una volta arpionato di nuovo il suo braccio, passarono l'ultimo pezzetto di strada a punzecchiarsi con qualche battuta.

«Sana e salva.» osservò lui, appena raggiunsero la porta di casa Gilbert.

Sembrava che il tempo fosse volato.

E nessuno dei due sembrava particolarmente intenzionato a separarsi dall'altro.

«Vuoi entrare?» gli chiese, quindi.

Damon si guardò intorno con fare circospetto. «Non vorrei che tuo padre mi trovasse, poi.»

E avevano già stabilito una volta che avrebbe potuto ucciderlo senza sforzo.

La sua determinazione andò a farsi abbastanza benedire, quando Elena gli afferrò i lembi della giacca e lo tirò verso di sé.

«Papà torna tardi...» gli ricordò, con quel tono allusivo che gli faceva desiderare di essere in tutt'altro posto.

«E io entrerei davvero volentieri.» rispose, nello stesso esatto modo. «E mi dedicherei molto volentieri a mostrarti tutte le cose che mi sono immaginato di farti negli ultimi giorni.»

La sentì trattenere il fiato.

«Non dire così.» lo pregò, infatti. «Che poi non riesco a dormire.»

A forza di pensare a scenari di cose mai successe, erano già passate diverse serate in cui, invece, avrebbe dovuto dormire.

Stavano per gettare la cautela alle ortiche, su quella nota, e realizzare qualche piccolo desiderio contro la porta di ingresso, quando il gioco di sguardi che avevano iniziato, fu interrotto.

«Non sono stato chiaro?»

Era suo padre.

Ovviamente.

«Per l'appunto.» mormorò Damon, frustrato. «Salve, Grayson.»

L'altro gli indirizzò un'occhiata obliqua. «Che ci fai, qui?»

La ragazzina fece per frapporsi tra loro, per evitare una sorta di moderno duello medievale tra gente che si è lanciata il guanto della sfida.

«Pap...»

«Ho incontrato Elena al supermercato, e l'ho riaccompagnata visto che è buio.» la interruppe Damon, tirandole la manica. «Stavo andando via.»

«Mmh.» mormorò Grayson, a mo di assenso. Poi, si rivolse a sua figlia. «Entra.»

Il loro ospite capì che era il momento di dileguarsi e lo fece, ed Elena lo guardò scendere i gradini del portico con una sensazione di disagio in fondo allo stomaco. Chissà quando l'avrebbe potuto rivedere...

Non si erano nemmeno potuti salutare decentemente.

«Aspetta...»

Il richiamo di suo padre suonò netto: «Elena.»

Ma lei non ne voleva sapere di far finire così quel fortuito incontro.

«Ci metto un minuto, promesso.»

Senza aspettare il permesso, si gettò all'inseguimento del suo ragazzo.

«Elena!» la richiamò ancora l'uomo.

«Promesso!»

Era un grido che era già alle sue spalle.

Raggiunse Damon poco dopo.

«Ehi.» la salutò, con un sorriso birichino.

La ragazza si scavò nella tasca, con un po' di fiatone.

«Ti volevo dare una cosa, così quando ti manco ti puoi consolare.»

Lei stessa aveva trovato conforto nei suoi regali, quando non aveva potuto più vederlo così spesso, e siccome lui non c'era mai, a casa, o quasi, si era ritrovata a pensare a qualcosa di piccolo e maneggevole da potersi portare dietro.

Un piccolo segreto.

«Mi hai comprato una bambola gonfiabile?» indagò lui, scherzoso.

«Sei veramente...» fece lei, a metà tra l'incredulo e il disturbato. Poi decise di lasciar predere. «No, ma siccome mi ritrovo spesso a stringere il tuo porcellino... ho pensato... be', mi sono fermata a una macchinetta ed è uscita questa.»

Aprì la mano e rivelò un portachiavi con attaccata una paperella di gomma.

«Mmh.» commentò, indeciso. «Una papera.»

Non c'era molto di simbolico, a quel che ricordasse, ma non sapeva bene come interpretare quella mossa.

In che modo avrebbe dovuto aiutarlo a sentire meno la sua mancanza?

«Sì, è una papera.» confermò Elena, un po' offesa dal fatto che non sembrasse molto partecipe o contento.

Era vero che si era trovata, andando in biblioteca, di fronte alla macchinetta fuori dal bar e che ci aveva investito un quarto di dollaro, ma poteva anche mostrare un po' più di entusiasmo...

Quel pensiero le si doveva essere riflesso sulla faccia, perché lui tentò di correre ai ripari.

«Molto... gialla.» fu il suo commento, una volta presa dalla sua mano.

«Va bene, ho capito.» borbottò lei, e fece per riprendersela. «Lascia perdere, la conservo io.»

Damon la allontanò dalla sua portata.

«No, no... va bene.» disse, quindi. «Ma la terrò ben nascosta, ho una reputazione da difendere.»

Finalmente, Elena sorrise.

«Da difendere non direi...» si ritrovò a scherzare, prima di avvicinarsi per dargli un bacio.

Di nuovo, l'ennesimo richiamo suonò lungo la strada: «Elena!»

Lei grugnì di frustrazione, ma le braccia intorno al collo del suo ragazzo le legò comunque. Fu Damon ad abbassarsi per baciarla, e nessuno dei due si preoccupò di avere fretta, specie dall'entusiasmo che ci stava mettendo Elena.

«Non lo so quando avrò l'occasione di farlo di nuovo.» si giustificò così, quando si allontanarono per riprendere fiato.

Si guardarono per un lungo momento, indecisi se fregarsene di tutto e riniziare, ma il primo tuono decise per loro.

Era ora di tornare a casa.

«Ti amo.» gli confessò allora, perché potesse consolarsi anche con quel ricordo.

Damon la strinse. «Anch'io ti amo, paperella.»

Un dolcissimo sussurro al suo orecchio.

-

Damon la guardò raccogliere il portachiavi come se stesse recuperando una preziosa reliquia. Non seppe dire se stava per piangere, quando se la strinse al petto, riuscì solo a scorgere un movimento delle sue labbra, per dire chissà cosa in direzione di Stefan.

Dopodiché, era salita in auto ed era sparita dalla sua vista.

Non la vedeva da un mese, ed era stato un sollievo vederla uscire dalla sua stanza, dopo che avevano parlato. Era così difficile dividere lo spazio con lei, dopo quello che era successo all'ospedale, eppure il pensiero che non si sarebbero più rivisti o parlati gli dava una stana sensazione di vuoto.

Ma più di tutto lo faceva incazzare il pensiero di essere stato uno stupido a non aver ricollegato i puntini prima.

La sua famiglia che improvvisamente si interessava alle sue email, la distanza di Elena e i suoi commenti sul fatto che finiva sempre per scappare.

Una parte di lui non poteva certo biasimarla. Aveva iniziato a scappare da quando si erano conosciuti, e aveva finito per essere costretto ad andarsene proprio quando avrebbe, invece, voluto rimanere.

Era un po' lo scherzo del suo destino, questo.

Che poi stava andando via davvero, ma sul suo cadavere l'avrebbe fatto scappando come l'ultima volta.

Si sarebbe ripreso la rivincita su quella città di merda e sulla sua vita di merda una volta per tutte.

Fu per questo che rientrò in casa, anche se non aveva idea di cosa si sarebbero detti, né di cosa sarebbe successo dopo, ma aveva passato gli ultimi otto mesi a sentirsi dare consigli da tutti, come se ne sapessero sempre più di lui, su di sé, su Elena, di come si manda avanti una storia, su come si vive la vita.

E poi era andato tutto in malora proprio perché si sentivano in dovere di impicciarsi di qualcosa che non gli apparteneva.

«Sei in partenza?» gli chiese sua madre, non appena lo vide, ormai scarico di scatoloni.

Sembrava non avere una sola preoccupazione nel mondo, e questo fece risentire Damon ancora di più, perché si era aspettato di vederla almeno addolorata per la sua partenza.

Invece, si era ritrovato a percepire la reazione della sua famiglia quasi come un sollievo.

Il problema che, finalmente, lasciava spazio ad altro.

E, chissà, forse era davvero così. A guardare indietro, non si era comportato benissimo con nessuno di loro, e anche se sapeva che Stefan si era fatto più distante, dopo aver saputo che se ne andava e perché, era sicuro che ne avrebbe sofferto, ma anche che la sua presenza lo metteva in difficoltà con la sua migliore amica. E lui aveva bisogno di Elena, nella sua vita, molto più di quanto servisse a lui stesso, forse.

O almeno questo era quello che gli faceva piacere credere.

«Sì.» confermò, piatto.

Mary annuì. «Hai parlato con lei?»

«Sì.»

Non c'era bisogno di specificare oltre.

La donna non lasciò trasparire nessuna emozione. Dopo la discussione che avevano avuto, prima del parto, e quella in cui pensava si fossero chiariti in ospedale, non c'era stata più molta comunicazione con suo figlio, al punto che non sapeva più nemmeno come rivolgersi a lui.

Una parte di lei si sentiva in colpa per aver vuotato il sacco con Elena, e pensava che Damon avesse del risentimento nei suoi confronti per questo, anche se il ragazzo non era riuscito a fare due più due finché non aveva parlato con la sua ex.

«Parli a monosillabi, ora?» provò, per spingerlo a una frase di senso compiuto.

Non era sua intenzione mostrarsi sostenuta, ma fu così che suo figlio la percepì, e alimentò il suo astio.

«Non sarai un avvocato, ma qualunque cosa dica potrebbe essere usata contro di me.»

Fu tagliente.

«Se non comunichi, alle altre persone tocca farsi un'idea loro.»

Damon la ignorò.

«Io ti ho sempre rispettata.» le disse, calmo. «Sempre, anche quando hai fatto un casino, con me. E ho cercato sempre di non fartelo pesare, perché sapevo che per te è stata una scelta di merda, che avevi poco più della mia età e volevi dare un futuro stabile a mio fratello.»

Perfino lui avrebbe fatto qualunque cosa, per Stefan, a scapito di se stesso, perciò non poteva di sicuro avercela con sua madre, per questo.

E poi era passato tanto tempo, ed era vero che aiutava a richiudere le ferite.

Forse avrebbe fatto lo stesso anche con il ricordo di Elena.

«Damon...»

«Ho parlato con Elena, sì.» la interruppe. «E mi ha detto una cosa che non riesco a togliermi dalla testa.»

Mary si inumidì le labbra.

«Cosa.»

Non era una domanda, lo stava incitando a continuare.

«Che le ho mentito.» spiegò lui, tutto in tono piatto. «E non era sopresa di vedermi fare scatoloni. Ora ho capito perché Stefan curiosava tra le mie email. Sei stata tu.»

Il che spiegava anche il suo strano comportamento in ospedale, del perché delle lacrime, di non volerlo vedere. Di non avergli concesso nemmeno l'ultima possibilità di parlare prima di mandargli quel messaggio in cui lo scaricava.

E anche di sua madre che gli chiedeva scusa.

Un gesto molto ipocrita da fare a posteriori, quando aveva appena mandato a puttane l'ultima possibilità che aveva avuto di sistemare le cose con l'amore della sua vita.

«Ho dovuto farlo.»

La giustificazione era anche peggio del motivo dietro, qualunque esso potesse essere. Damon non aveva idea di quale fosse, ma sicuramente niente poteva legittimare quello che era successo, e il modo in cui era successo.

«No.» la contraddisse, infatti. «Hai voluto, e questo è molto diverso.»

Se non riusciva a capirlo o semplicemente aveva bisogno di credere di essere nel giusto, non gli importava. Stavolta quello con la superiorità morale era lui.

E gliel'avrebbe fatto pesare.

«Avresti dovuto essere sincero con lei da subito.»

«E lo sono stato.» lo era stato sempre, anche quando era lui quello che si era fatto più male. «Se avessi pensato di parlare con me, invece che con lei, lo sapresti.»

Era questo che lo faceva più incazzare, che partissero tutti dalla sicurezza che avrebbe fatto una cazzata, che qualunque cosa avesse in mente, non c'era nessun piano dietro, che fosse tutto un susseguirsi di colpi di testa, perché questo era quello che faceva.

Lui agiva senza pensare per definizione, ma la cosa assurda era che le persone che pretendevano di fargli la predica finivano per comportarsi peggio di lui.

«Il punto è che tu hai lasciato che ce l'avessi con Elena per tutto questo tempo, quando in realtà era con te che ce la dovevo avere.» continuò. «Non avevi tutto il quadro della situazione e sei andata da lei a dirle esattamente quello che aveva paura di sentirsi dire nel momento in cui aveva più paura di sentirlo.»

Ci era passato peggio che male senza avere nemmeno un'opportunità di spiegarsi.

E ora era troppo tardi.

«C'era qualcosa di non vero?» gli chiese sua madre, con un sospiro seccato. «Stai partendo per quel lavoro.»

E lo colpevolizzava apertamente, di questo, come se lasciare quella città soffocante, per lui, fosse un crimine contro l'umanità.

«Non mi rimane più niente qui.» decise di essere altrettanto diretto. «E l'unica persona della nostra famiglia con cui ho ancora voglia di parlare saprà dove trovarmi e come.»

E non aveva bisogno di dire ad alta voce che si trattava di Stefan.

«Quindi la prima volta che sei andato via ce l'avevi con tuo padre e adesso con me?» chiese Mary, e questa volta c'era una vena di rassegnazione nel modo in cui gli aveva rivolto quella domanda.

Forse aveva finalmente capito di non poterlo fermare.

«Sembrerebbe così.» concluse Damon, molto spiccio. «Non mi fraintendere, sono felice che sia andato tutto bene con Ali. Perdervi avrebbe distrutto papà e Stefan, e alla fine anche me. Adesso abbiamo il piccolo raggio di sole, e anche te e il plus è che posso andarmene senza sentirmi in colpa.»

Lei annuì. «Perciò sei felice che io sia viva così puoi ferire i miei sentimenti.»

«No.» la contraddisse, anche se c'erano dei benefici, in proposito. «Ma forse dovresti chiederti se me ne sto andando per una scelta che hai preso tu, ancora una volta.»

C'era una sorta di giustizia, in tutto quello: per decenni aveva sempre avuto l'idea di avere un genitore buono e uno cattivo, ma solo tornando a casa si era reso conto che non esiste niente del genere. Esistono solo persone, coi loro difetti e i loro pregi, e che suo padre era una persona precipitosa e che era stato stupido a non aver ascoltato suo figlio, a non cercare nemmeno di indagare, di ascoltarlo. E non c'era perdono per questo. Ora toccava a lei commettere lo stesso errore per cui la loro famiglia si era disgregata la prima volta.

Anche se, in entrambi i casi, la decisione finale era stata sempre sua.

E non aveva idea se, anche per questo, esistesse una qualche forma di perdono.

Fu un pensiero che esternò anche a voce alta: «E non so se questa volta ho abbastanza freddezza e comprensione per non ritenerti, almeno in parte, responsabile.»

L'attenuante dell'età non c'era più, né della situazione che aveva sconvolto non solo loro come primi coinvolti nell'incidente, ma tutta la comunità.

Non seppe mai se più quel ricordo o quelle parole ridussero sua madre al silenzio.

«Con questa consapevolezza facci quello che vuoi.» lasciò le chiavi di casa nello svuotatasche. «Ciao, mamma.»

-

Dopo, si chiuse la porta alle spalle senza attendere una risposta che probabilmente non sarebbe arrivata comunque.

Il viaggio in auto fu molto silenzioso.

Elena aveva ancora la paperella stretta al petto, però non c'era più nessun pensiero o ricordo nella sua testa, guardava il paesaggio scorrere davanti agli occhi con la stessa passività con cui poteva farlo il finestrino.

Per fortuna il tragitto verso la scuola non durava più di venti minuti, perché Stefan si sentiva peggio di come si era sentito in aereo verso l'Italia, quando tra Elena e Damon la tensione si poteva tagliare col coltello.

Le cose, in quel momento, erano molto diverse, seppure figlie dello stesso problema.

Damon non parlava mai con nessuno di quelle cose che considerava sue, non era mai stato supportato nella sua vita da nessuno, aveva imparato a togliersi le castagne dal fuoco da solo, per questo, forse, la vicinanza di Elena, all'inizio, l'aveva percepita come invadenza.

Solo che poi ti abitui ad avere qualcuno che si preoccupa per te, e quando lo perdi può essere difficile accettarlo.

La verità era che quella relazione aveva avuto tutti i tempi sbagliati, fin dall'inizio.

Stefan si era preoccupato molto di come questa storia avrebbe influenzato la sua amicizia con Elena e il rapporto con Damon, e alla fine era successo tutto quello che temeva: il suo rapporto con entrambi si era incrinato. Da una parte suo fratello non voleva compromettere il loro legame, dall'altro Elena, che si aspettava che lui lo onorasse per aiutarla.

Ma aiutare Damon era diventato più importante, anche se non aveva idea di quando fosse successo.

E avendo saputo la sua versione, era un po' difficile non essere almeno un po' arrabbiato.

Soprattutto, non sapeva cosa dire.

Non c'era niente che potesse fare per migliorare la situazione, se non tradire la parola data a Damon sul fatto che non avrebbe fatto parola con nessuno, in particolare Elena e Caroline, di quanto c'era dietro quel trasferimento.

Perché Elena non doveva saperlo, e perché Caroline aveva la bocca larga.

«Finalmente!» li accolse la capo cheerleader, non appena scesero dall'auto. «Credevo non sareste mai arrivati.»

«Calmati.» fu la battuta di Stefan, seguita da un bacio sulle labbra. «Siamo in perfetto orario.»

Lei fece solo una smorfia dubbiosa. «Vi siete chiariti?» volle sapere, invece.

Elena sembrò cadere dalle nuvole.

«Chiariti su cosa?»

«Ah, vorrei saperlo anch'io.» era sempre lei, che alternava lo sguardo inquisitorio dall'uno all'altra. «Per amor di pace, io e Stefan abbiamo deciso di lasciare Damon fuori dalle nostre conversazioni, quindi io non so niente.»

Aspettò inutilmente che uno dei due parlasse, ma se Elena era confusissima su quel discorso, Stefan aveva lo sguardo piantato a terra, perché se nascondere delle cose alla sua amica lo faceva stare male, alla sua ragazza lo faceva sentire un vero verme.

Nessuno parlò.

«Cristo!» imprecò lei. «Io non ce la faccio ad andare avanti così. Voi siete sempre stati il mio punto di riferimento, e non posso stare vicino a nessuno dei due, in questo momento. Mi trovo davvero a disagio a pensare di dover prendere una parte piuttosto che un'altra, quindi, per la mia pace mentale: risolvete le cose tra voi.»

«Ma non c'è niente da risolvere, non abbiamo litigato.» le fece notare Elena.

E sì, la percepiva la tensione tra lei e Stefan, ma era dovuta al fatto che la sua richiesta l'aveva fatto litigare con Damon. Si sarebbe tutto risolto nel momento in cui si fosse chiarito con suo fratello.

Non c'era molto che lei potesse fare... no?

«Damon domani se ne va.» ricordò loro Caroline, passando sopra le parole della sua migliore amica come se non le avesse mai pronunciate. «Se avete qualcosa da risolvere con lui, vi consiglio di farlo, e in fretta. Io ci ho parlato, ieri, ed è stato molto gentile. Capite? Damon Salvatore. Gentile. Con me.»

Stefan sembrò turbato. «Cosa ti ha detto?»

«Mi ha detto che gli dispiace per come sono andate a finire le cose.» raccontò la ragazza. «E di starti vicino. Stefan, ti adora. Sul serio, se hai qualcosa da dirgli, fallo prima che se ne vada e finisca per farsi sentire solo a feste comandate e compleanni.»

Lui scosse la testa.

Ce l'aveva anche con Damon, non solo con Elena, ma non poteva spiegarlo senza entrare in un terreno minato.

Caroline alzò gli occhi al cielo.

«Mi ha ringraziato.» raccontò loro, acida. «Per essere stata l'unica a cercare di dargli qualche dritta su come prendervi. Perché ci tiene a voi due, okay? È l'unico motivo per cui lo rispetto. Non lo so come mai se ne va, ma avete tutti e tre bisogno di chiusura.»

«Non posso pensare di fare niente, adesso.» confessò Elena, al recente ricordo della chiacchierata che avevano avuto quella mattina. «Ci ho parlato, oggi, non c'è stato niente di risolutivo, solo altri motivi per darsi addosso, e non ce la faccio, okay?»

E Caroline lo capiva, ma sapeva altrettanto bene che non ci sarebbe stata un'altra occasione: l'ultima volta che Damon se n'era andato ci erano voluti dieci anni per convincerlo a tornare, col casino che si era creato questa volta, non era convinta ne sarebbero bastati il doppio.

«Io non ho nulla di costruttivo.» ammise Stefan. «Ho paura solo che finirei per rimanerci ancora più male.»

Elena riuscì a sbuffare dentro un paio di lacrime. Roteò gli occhi e avvistò la sua via di fuga.

«Vado a salutare Bonnie.»

Nemmeno il tempo di finire di dirlo che aveva già lasciato il loro piccolo gruppo.

Da parte di Caroline, questo fu un sollievo.

«Cosa cazzo ti prende?» chiese, in modo molto diretto, al suo ragazzo. «Tu non sei così: non colpevolizzi le persone, mi dici che succede?»

«Non posso.» ammise, mogio. «Perché lo so che poi finirai per parlarne con lei. Damon mi ha chiesto espressamente di tenermelo per me.»

In poche parole, gli aveva chiesto di non far arrivare quell'informazione a Elena in nessun modo.

Aveva subodorato che ci fosse qualcosa sotto, quando l'aveva visto e gli aveva chiesto spiegazioni e aveva ricevuto storie sul bisogno di cambiare aria e di lasciare ai suoi genitori il piacere di crescersi una bambina senza l'ingombro della sua presenza, ma c'era qualcos'altro.

E questo qualcos'altro lo sapeva Stefan, ed era di sicuro la chiave di volta.

«Quindi è per questo che sei incazzato con lui?» indagò. «Perché ti ha chiesto di mentire?»

«No.» rispose subito lui. «Sono incazzato con lui perché parte.»

L'aveva detto così velocemente che non aveva avuto il tempo di pensare, e quindi di mentire. Quindi non poteva che aver detto la verità.

E questo non aveva senso.

«Anche tu parti alla fine dell'estate.» gli ricordò.

Il fatto che partisse per il College rendeva la permanenza di Damon in città del tutto superflua, dal momento che non avrebbero potuto vedersi comunque.

Certo, avrebbe potuto rimandare il trasferimento una volta che fossero finite le vacanze estive, ma avrebbero dovuto comunque salutarsi e non si sarebbero più potuti vedere a tempo pieno.

Che poi non era successo nemmeno nell'anno appena trascorso perché Damon era stato abbastanza sfuggente con la sua stessa famiglia e non ci aveva messo molto a stabilirsi nel suo appartamento da scapolo d'oro.

Certo, lo capiva che non fosse come averlo in un'altra città, ma così arrabbiato?

«Sì, ma è diverso.» Stefan rispose a quella domanda inespressa. «Io qua ci torno.»

Il moto di tenerezza che le provocarono quelle parole le ammorbidì sia l'espressione che il tono.

«Potrebbe tornare, se tu glielo chiedessi.»

Era sicura che quel sacrificio l'avrebbe fatto volentieri per lui. Stefan era l'unica altra cosa a cui tenesse, in quella città, oltre a Elena.

«Non lo farebbe.» il tono del suo ragazzo era molto amaro. «Gli ho chiesto di restare, e lui mi ha detto di no.»

Ora era tutto un po' più chiaro.

«Ecco perché ce l'hai con Elena.»

Stefan si irrigidì. «Eh?»

Ce l'aveva nel sangue l'istinto del poliziotto, preso da generazioni di Forbes.

«Perché pensi che se l'avesse fatto lei sarebbe andata diversamente.» concluse, dentro di sé, soddifatta.

Lo vide distogliere lo sguardo.

«Non lo penso.» le disse. Poi si concesse un profondo respiro e le rivolse uno sguardo tormentato. «Ti prego, possiamo smettere di parlarne?»

Caroline, sorprendentemente, capì che non era il caso di insistere, ma sapeva che al momento giusto il suo ingenuissimo ragazzo avrebbe vuotato il sacco, perfino senza volerlo.

«Va bene.» acconsentì. «Ma non è finita qui.»

Stefan sorrise, finalmente.

«Non è mai finita qui, con te.» era una delle sue poche certezze. «Ed è anche per questo che ti amo.»

Questa frase gli fece guadagnare un bacio e un: «Ruffiano.» che non lo scoraggiarono dal chiederne altri.

Li ottenne senza sforzo.

«Sempre.» le promise.

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