MITOCITY 3 - La Struttura

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-- sequel di "MitoCity - il Segreto" e di "MitoCity - Il Giocatore" -- "Lei non era mai stata la fiamma che r... More

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- CAPITOLO 22 -

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- 22 -

SOPHY

Quando riaprì gli occhi, Sophy fu subito costretta a riabbassare le palpebre per via della troppa luce. Si costrinse a respirare con calma e, dopo un istante di totale confusione, la verità la colpì con un'ondata di ansia e terrore.

Felicity era stata investita da un'auto pirata.

Come stava? Sophy non lo sapeva ancora, ecco perché era lì. A MitoCity. Aveva attraversato il Portale, era riemersa dal lago ed aveva camminato per un po' nel bosco quando qualcosa l'aveva colpita alla testa. Cercò di arginare il panico facendo dei lunghi respiri prima di riprovare ad aprire gli occhi. Espirò e lasciò che gli altri sensi le fornissero indizi sufficienti a capire dove si trovava e cosa le era successo. Le braccia e le gambe le facevano male, si concentrò su quella sensazione e fu sopraffatta da una nuova ondata di panico: era legata ad una sedia. Con il cuore in gola tentò di muoversi ma sentì il suono stridente del nastro adesivo che le bloccava saldamente le cosce, le caviglie, il busto e le braccia. Le mani erano immobilizzate dietro la schiena. Aveva del nastro adesivo anche sul viso, a coprirle la bocca. Trasse un altro profondo respiro tremolante e prese consapevolezza di essere immersa nella natura: il profumo delle piante e l'odore dell'umidità erano inconfondibili. Si fece coraggio ed aprì gli occhi.

«Ben svegliata! Per un attimo ho temuto di averti colpita troppo forte!»

Quella voce.

Quella dannata voce!

Una voce che avrebbe riconosciuto tra mille.

Una voce che popolava alcuni dei suoi ricordi più brutti.

Gli occhi di Sophy si adattarono alla luce proprio mentre una figura maschile, non particolarmente imponente, le si avvicinava tenendo tra le dita una sigaretta accesa. Sophy sollevò lentamente lo sguardo fino ad incontrare un paio di occhi di un verde spento e vuoto. Occhi che avrebbe preferito dimenticare.

Gli occhi di Ivan.

«Ben tornata a MitoCity, mia cara ex promessa sposa».

In un battito di ciglia Sophy tornò a quella grotta. La meravigliosa Grotta del Sospiro che per lei aveva rappresentato un vero e proprio incubo. La grotta nella quale Ivan l'aveva condotta celando le proprie reali intenzioni dietro una maschera di gentilezza. La grotta nella quale l'aveva schiacciata con il suo corpo. La grotta della quale lei riusciva a ricordare con triste precisione il soffitto di roccia che aveva fissato mentre lui tentava di abusare di lei. La grotta che nella quale si sarebbe dovuto compiere l'ignobile piano dei loro padri: metterla incinta per unire le famiglie Catting e Alvarez. Nick era arrivato a salvarla appena in tempo ma per farlo aveva dovuto rinunciare alla propria innocenza uccidendo accidentalmente alcuni degli uomini di Marcus, accorsi per fermarlo.

Quella volta, però, Nick non sarebbe arrivato a salvarla.

Nessuno sarebbe arrivato a salvarla.

«Qualcosa non va?» chiese Ivan divertito dallo sguardo terrorizzato e rabbioso di Sophy. «Partendo dal presupposto che i tuoi amici vestiti di bianco sono ormai tutti troppo lontani per sentirti, se prometti di non urlare, ti tolgo il nastro dalla bocca».

Sentire Ivan parlare, contrariamente ad ogni aspettativa, le fu utile: il cieco panico fu sostituito da cocente rabbia. Non era più la ragazza sprovveduta ed indifesa sulla quale Ivan aveva provato ad avere la meglio in quella grotta. Nick le aveva insegnato a difendersi.

Sophy non aveva paura, non doveva averne.

Tacque, limitandosi a fissare il suo interlocutore con occhi di brace. Ivan sostenne quello sguardo omicida solo per pochi istanti poi, con un gesto repentino, strappò via il nastro che le copriva la bocca..

Ivan prese un basso sgabello di legno e le si sedette davanti. Troppo vicino per i gusti di Sophy. La ragazza cercò di reprimere il disgusto concentrandosi su ciò che la circondava. Si trovavano in una semplice struttura di legno, circondata da fitta vegetazione.

"La location perfetta per starsene completamente nudi a guardare la natura dalla finestra". Era così che Derek, durante la loro visita a MitoCity, aveva descritto quel luogo.

Derek.

Forse lui sarebbe riuscito a trovarla, a portarla via da quell'incubo. Cercò di muovere le dita per sfiorare lo SmartRing. Anche solo attivarlo avrebbe potuto permettere a Derek di localizzarla. Lo SmartRing era ancora lì ma, come Sophy temeva, a MitoCity non era altro che un elegante anello.

«Come mi hai trovata?»

Sophy aveva mille domande, ma capire come Ivan fosse riuscito a trovarla nonostante l'invisibilità era un buon punto da cui partire.

«Oh! È una storia davvero interessante!» esclamò Ivan aspirando la sua sottile sigaretta. «Qualche giorno fa ero qui, affacciato proprio a questa finestra» disse indicando alle spalle di Sophy. Lei lo osservò meglio. Aveva lo sguardo, la voce e le movenze di un folle. Non sembrava essere del tutto in sé e questa consapevolezza aumentò la stretta della paura attorno al petto di Sophy.

«...osservavo l'acqua del lago quando pluff! Qualcosa ci è caduto dentro! Ho seguito le onde del lago e i movimenti della vegetazione fino a qua fuori. Poi ad un tratto, dal nulla, sei apparsa tu!»

Sophy sbarrò gli occhi. Ricordava bene quel momento. Lei e Derek stavano giocando come due bambini quando lei aveva erroneamente premuto il bottone per l'invisibilità. Derek non l'aveva presa bene e, a quanto pareva, aveva avuto ragione. Ecco come quel folle l'aveva individuata. Maledizione!

«Ti ho sentita chiamare il nome di Derek... Quel bugiardo! Avrei voluto seguirti fin da subito, ma sapendo che eri con lui ho deciso di rimandare... » spiegò Ivan. «Insomma, vista la confidenza che c'è tra voi, immagino che Derek ti abbia raccontato del nostro piccolo patto...»

«Sì» disse Sophy tra i denti, non era qualcosa che amava ricordare.

«Saprai anche che non ha rispettato la sua parte!»

Sophy non voleva parlarne. Derek le aveva raccontato di quell'accordo e del fatto che Ivan era stato il "braccio armato" del Giocatore mentre Derek era a MitoCity, e anche della morte della signora Alvarez. Sophy conosceva piuttosto bene Penelope e le era dispiaciuto molto per lei, ma non per Ivan. Dopo la morte di Carlos Alvarez, Sophy aveva provato a tenere a freno il proprio odio nei confronti del ragazzo, ma quel sentimento bruciante, che esisteva da sempre ed era esploso con il tentato abuso nella grotta, era tornato a galla quando si era scoperto che Ivan aveva collaborato con il Giocatore per tutto quel tempo, commettendo atti sconsiderati come diffondere la tossina al Castello Antico, piazzare il dispositivo del terremoto e le bombe... Ovviamente anche il suo ultimo atto, averla rapita e portata in quella piccola baita nel bosco, non faceva che incrementare quel disprezzo.

«E oggi come mi hai trovata?» chiese, cercando di non pensare a nient'altro se non alle risposte che le servivano. «Non ho mai disattivato l'invisibilità e mi sono mossa in fretta».

«Oh, non hai notato questa?» domandò indicando verso il basso, sul proprio corpo. «Ci ho messo un po' a capirne il funzionamento, ma poi sono riuscito a vedere oltre l'invisibile e quindi... Eccoci qui!»

Sophy, disgustata, abbassò lo sguardo e notò il fondamentale dettaglio che le era sfuggito. Le magre gambe di Ivan erano coperte da una tuta bianca indossata solo fino alla vita.

«Come te la sei procurata?» Sophy sentiva sulla lingua il sapore acido della propria rabbia.

«Per riuscire a rapirti mi sono dovuto organizzare almeno un po'!» spiegò Ivan, mentre osservava qualcosa fuori dalla finestra. Sophy si illuse che Derek si fosse appena tuffato nel lago e che presto sarebbe arrivato a salvarla. «Ho aspettato che qualcun altro cadesse nel lago. Ho dovuto avere pazienza, ma quando finalmente è successo, ho seguito quello sprovveduto come avevo fatto con te e Derek e poi l'ho preso alle spalle...» mimò la scena. «Sono stato bravo, considerando che ho dovuto agire alla cieca...»

«Chi era?» chiese Sophy. Aveva un vago ricordo di qualcuno dei suoi colleghi della Struttura che parlava di un uomo scomparso dopo essere stato mandato in missione a MitoCity. «Oh, non lo so proprio!» rise. «E ora non lo sa più nemmeno lui!»

«Che significa?»

Sophy aveva già intuito dove Ivan stesse per arrivare. Ispezionando il locale con lo sguardo aveva notato alcune ampolle viola stipate in un angolo, su una disordinata scrivania di legno.

«Cancellato» rispose Ivan schioccando le dita. Quella semplice parola confermò le paure di Sophy. «Ora vive serenamente a MitoCity. Ucciderlo mi avrebbe creato decisamente troppi problemi...»

«Sei spietato!» sussurrò Sophy.

«Sono stato costretto a diventarlo» disse lui e, per la prima volta da quando erano in quella baita, Sophy ebbe davvero paura. La voce di Ivan era diventata fredda e tagliente ed i suoi occhi, da folli e distratti, si erano fatti acuti e crudeli. Occhi di chi aveva sofferto e ne era uscito inaridito e desideroso di vendetta.

«Sei stato tu?» La voce di Sophy tremò mentre il dubbio divenne improvvisa certezza.

«A fare cosa, Sophy?»

«Felicity» disse lei, furente. «Sei stato tu ad investirla?»

«Hanno ragione a dire che sei intelligente!» Fu il suo unico commento. «Dovevo fare in modo che venissi qui. Se può consolarti, non era mia intenzione mandarla in coma».

Le budella di Sophy si contorsero. Aveva voglia di gridare, di piangere, di fargli del male. Conosceva Ivan da quando erano piccoli. Non le era mai piaciuto ed era arrivata a detestarlo in più di un'occasione, ma in quel momento il suo odio raggiunse vette inesplorate. Come poteva aver investito Felicity? Come si poteva fare del male ad una donna tanto buona, dolce e gentile? Come si poteva fare del male alla madre di tre bambini innocenti? Come si potevano raggiungere tali livelli di crudeltà?

Si conoscevano da così tanto tempo che... Un pensiero banale quanto fondamentale la trafisse.

«Come puoi ricordarti di me?» domandò Sophy, rendendosi improvvisamente conto che non era possibile, che non aveva senso.

Dopo il torneo del Giocatore, nessuno a MitoCity si ricordava di lei e quindi nemmeno Ivan avrebbe dovuto riconoscerla...

«Anche questa è una storia interessante» commentò lui con un nuovo, odioso, sorrisetto. «Ai tempi del nostro patto, Derek mi aveva dato alcune garanzie: nessun controllo da parte dei suoi collaboratori, totale libertà di movimento e di azione, possibilità di non perdere i ricordi in caso di Cancellazioni...»

Ivan si interruppe, ma Sophy non parlò.

«Il tuo amico si è dimenticato di togliermi questi preziosi privilegi» continuò lui con un'alzata di spalle, «probabilmente era troppo concentrato su di te...»

Le lanciò uno sguardo lascivo che la fece andare su tutte le furie.

«Per lo meno è riuscito ad ottenere qualcosa?» continuò, provocatorio. «O con lui sei stata fredda ed infantile come lo sei sempre stata con me?»

Sophy non ci vide più dalla rabbia e dal disgusto.

«Non tutti gli uomini sono dei viscidi schifosi come te!» ringhiò, con sguardo e voce taglienti come spade.

«E dire che in tutti questi mesi, mentre tu eri a spassartela con Derek chissà dove, io ero qui a lavorare per te!»

Lavorare per lei? A cosa alludeva?

«Cercando di uccidere la mia madre adottiva?» ringhiò.

«No, non quello...» disse lui, alzandosi per andare a frugare in un cassetto della semplice e disordinata scrivania. Ne estrasse una pila di fogli di carta. «Parlo di queste».

Ivan le mise davanti agli occhi delle lettere. Erano scritte in uno stampatello maiuscolo frettoloso, non erano firmate ed iniziavano tutte con le stesse due parole: "Caro Nick".

«Cosa sono?»

«Leggi le prime righe» la incitò mettendole davanti un altro foglio, in tutto e per tutto simile al primo.

Caro Nick,

non hai risposto alle mie prime lettere e ti assicuro che posso capirlo. Non ti fidi di me per via dei miei natali, ma per te è arrivato il momento di conoscere tutta la verità. Mi crederesti se ti dicessi che eri alleato con la figlia dell'uomo più potente e crudele di tutta MitoCity? Probabilmente no, non mi crederesti, ma questa è la verità. Sì perché, che tu ci creda o no, Marcus Catting ha una figlia di diciotto anni. Si chiama Sophy e tu non la ricordi perché il Giocatore l'ha Cancellata dalla tua mente e da quella di tutti gli altri. Ma ora, ti voglio raccontare la sua, anzi la vostra, storia.

...

La lettera andava avanti per decine e decine di righe fitte e confuse. Sophy vi lesse della verità, ma anche diverse menzogne ed innumerevoli imprecisioni.

«Hai scritto un sacco di bugie» commentò in un misto di ira e malinconia.

«Ma anche molte verità» rispose lui con un'alzata di spalle.

«Perché?» chiese lei, adirata. «Perché scrivere quelle lettere a Nick?»

Sophy era la prima a soffrire per quella situazione, ma ad Ivan cosa importava?

«Per vendetta».

«Nei confronti di Derek» comprese lei. «Per via di quello che è successo a tua madre».

«Proprio così» affermò Ivan. «Ma non è tutto. Voglio ottenere anche altro».

Con quelle parole si avvicinò a Sophy. L'odore di fumo del suo alito sovrastò i profumi della natura circostante, le ginocchia di lui toccarono le sue, le mani di Ivan si abbassarono verso il suo corpo. Sophy vide quella scena al rallentatore mentre i ricordi tornarono nuovamente al senso di impotenza provato in quella grotta. Lottò contro l'ondata di panico che rischiava di soffocarla e rimase vigile ed immobile. Nascose la paura dietro uno sguardo fermo e tagliente.

«Che cosa vuoi da me?» chiese mentre lui tirava fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni della tuta bianca. Un coltello.

«Te l'ho detto: voglio solo farti un favore!»

«Che favore?» La voce le uscì spezzata, debole.

«Sarai di nuovo dell'uomo che ti ha sempre meritata» disse mentre posava la mano libera sotto il braccio di Sophy, a pochi centimetri dal suo seno. A quel contatto Sophy iniziò a tremare, mentre il fiato le sfuggì dai polmoni.

Avrebbe voluto gridare.

Stava per farlo.

E lo avrebbe fatto...

...se Ivan non avesse usato il coltello per tagliare il nastro adesivo che le bloccava il busto contro lo schienale della sedia di legno.

«Ti porterò da Nick».

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