La Lucciola

By violgave

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[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... More

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By violgave

In quel giorno di sole, la signora Holland era assente, immersa nei preparativi del trasloco. 

Avrei dovuto affrontare la giornata da sola, una sfida che mi appariva tanto stimolante quanto inquietante. 

Una regola primordiale dominava il mio rapporto con Jake: non disturbarlo a meno che non fossi chiamata, ma non potevo più accettare che il cibo che gli portavo venisse a malapena assaggiato. 

Mi ero sentita costretta a parlarne con la signora Holland, ma lei aveva ribadito dicendo che ogni tanto aveva questi "momenti" e che avrebbe presto ritrovato il suo normale appetito. 

Ma il suo aspetto dimesso suggeriva che questi momenti fossero abbastanza frequenti. 

La porta fu solo leggermente toccata, un annuncio dell'entrata imminente. 

Abituato a svolgere molte attività da solo nel corso dei suoi quattro anni di cecità, Jake aveva sviluppato una notevole autonomia. 

Mi limitavo a guidarlo da una stanza all'altra, non dovendo nemmeno preoccuparmi di fare il suo letto, grazie a dei colleghi che si occupavano costantemente dell'ordine della casa. 

Tuttavia, quel giorno, avevo intenzione di rompere la monotonia. 

Jake era steso sul letto, sempre nella stessa posizione. 

Quando entrai alzò subito la testa. -Chi è?- 

Mi avvicinai, sicura di quello che gli avrei detto. -Sono Amber, Amber Hooper.- 

Non si scomodò ad alzarsi. 

-Cosa vuoi?- La sua voce, fiacca e disinteressata, sembrava non voler trasmettere altro che noia. 

Toccò appena la cicatrice sulle sue labbra. 

-Che lei mangi tutto, e per tutto intendo tutto, quello che le ho preparato.- Dissi piazzandomi proprio dinanzi a lui. 

Alzò un sopracciglio, senza mai aprire gli occhi. Rimase in silenzio. 

-Non mangia abbastanza.- Mi avvicinai a lui incrociando le braccia e inchiodandolo con lo sguardo. 

-Non accetterò un no come risposta questa volta.- Ci fu silenzio per qualche secondo. 

Jake schioccò la lingua sul palato un paio di volte scuotendo la testa. -Lo sai che potrei licenziarti all'istante vero?-

-Non lo farà.- Avevo riflettuto tutta la sera prima quindi ora ero pronta. Con un copione ben memorizzato in testa. 

-E perché no?-

-Perché lei serve a me quanto io servo a lei.- Cominciai, lui continuò ad ascoltarmi senza ribattere. 

-Ho bisogno di questo lavoro, ne vale del futuro di mio zio. Lei ha bisogno di me se non vuole morire di fame.- Mi sorprese vederlo ridacchiare.

-Anche altre persone sanno cucinare oltre a te, ne sei al corrente?-

-Ma nessuno le direbbe quello che le sto dicendo io, ne sono certa. Tutti l'asseconderebbero e non mangiare le causerebbe gravi problemi alla salute.-

Scosse la testa ed ebbi l'impressione che le mie parole gli fossero entrate da un orecchio e uscite dall'altro. -Se mangio poi mi lasci in pace?-

-Sì, si alzi e mi segua in cucina.- Ribadii, avvicinandomi a lui e offrendo il mio braccio sinistro. 

Non disse nulla, ma il brontolio famelico del suo stomaco fu abbastanza eloquente da indicare la sua accettazione. 

Mi resi conto di come le sue guance si fossero colorate di un leggero rossore quando si accorse che avevo udito il suo stomaco brontolare.

La stanza era piccola, il tavolo di vetro bianco era al centro e occupava la maggior parte dello spazio, due grandi finestre che si affacciavano sul giardino illuminavano la stanza e c'erano molte piante verdi ai quattro angoli tenute sempre rigogliose dal signor Busch, il giardiniere. 

Cominciai a portargli tutto ciò che avevo preparato osservando le facce sorprese delle mie colleghe che passavano di lì. 

-Quanta roba mi hai cucinato?- Chiese, forse con un tocco di imbarazzo. 

-Quanto basta.- Gli dissi posando una tazza di latte caldo accanto a lui. 

Vidi con soddisfazione che sembrava più tranquillo, meno resistente rispetto a prima. 

La sua espressione era calma e non sembrava avere una minima traccia di prepotenza in volto. 

Così azzardai. 

-Oggi usciamo.- Gli annunciai osservando i suoi bellissimi lineamenti, ancora una volta pensai che fosse solo il suo carattere a stonare. 

Alla mia affermazione per poco non si strozzò col latte, mi scappò un sorriso ma riuscii a trattenere una risata. 

-Non se ne parla.- Esordì solo dopo aver finito di tossire svariate volte. 

-Ha bisogno di respirare aria fresca.- Dissi osservando il suo colorito malaticcio. 

-È escluso.- Si irrigidì. 

Tentai di continuare a parlare, ma mi fermò con un gesto della mano. 

-Niente 'ma'. Ho detto di no.- Concluse tornando a mangiare, soddisfatto di come era riuscito a zittirmi. 

In quel momento rimpiansi di non avergli messo del veleno nel cibo. 

-Almeno io!- Mi lasciai sfuggire, lui alzò un sopracciglio confuso. 

-La prego lasci uscire almeno me.- Incrociai le dita sotto il tavolo. 

-No.-
-Ma come no?- 

Saltai in piedi, sembravo una disperata. Forse lo ero. 

-Devi prenderti cura di me.- Sembrava esserci dell'ironia nella sua voce. 

-Ma fa già tutto da solo!-
-Non so orientarmi.- Le due iridi nivee mi cercarono nel vuoto. 

Cercai di ignorare le occhiate delle domestiche, divertite da quel battibecco. 

-Ma tanto sta sempre in camera sua!- Ribattei e lui sospirò prendendosi il viso fra le mani. 

-La prego, la imploro, per favore.- Lo supplicai avvicinandomi. 

-Taci, ti prego.- 

-Ragioni: non mi avrà intorno per delle ore.- 

Lentamente alzò lo sguardo riaprendo i freddi occhi, ripeté a bassa voce la mia ultima affermazione e poi si voltò verso di me come se potesse vedermi. 

-Hai il giorno libero, tutto il giorno.- 

-Cosa!?- 

Lui annuì girandosi verso le altre persone. 

-Cosa avete da guardare?- Sibilò freddo, mentre io stavo ancora rielaborando quello che mi era appena stato detto. 

-Cosa aspetti?- Il suo viso era tornato a fissarmi, mi intimò con la mano di andarmene. 

Faceva davvero sul serio. -Oddio grazie, grazie mille!- Esclamai voltandomi e andandomene il più in fretta possibile prima che cambiasse idea. 

Non ci sopportavamo reciprocamente, questa cosa mi sollevò il morale. 

Mi dispiacque per i miei colleghi che sarebbero dovuti rimanere in compagnia di quel ragazzo tanto altezzoso e viziato. 

Non mi cambiai neanche e uscii da quella specie di prigione vestita così com'ero. 

Respirai a pieni polmoni, avevo trascorso quegli ultimi giorni per di più nel grande giardino in compagnia del giardiniere o da sola. 

All'inizio era piacevole la vista di tutti quei fiori colorati e i piedi ammollo nell'acqua della piscina, così come le storie raccontate dal signor Busch, ma dopo un po' avevo cominciato a sentirmi in trappola anche lì. 

Non chiamai un taxi e cominciai ad avviarmi a casa a piedi. 

Sentii gli sguardi dei vicini su di me finché non girai l'angolo. 

Estrassi il telefono e composi il numero di Leda, le avevo già raccontato di come il signor Hale, che Gareth voleva farmi sposare, fosse scorbutico e viziato come un bambino nonostante avesse ben venticinque anni e fosse adulto da un pezzo. 

Lei aveva replicato insistendo che avrei anche potuto chiudere un occhio e concentrarmi solo sulla sua situazione economica. 

Chiacchierammo per tutto il tragitto dalla villa a casa mia e per un attimo riuscii a dimenticarmi di Jake. 

Chiusa la chiamata decisi di non entrare in casa, dopotutto ero uscita dalla villa perché non sopportavo più l'idea di essere confinata tra quelle quattro mura. 

Così mi diressi al piccolo parchetto del quartiere dove da bambina passavo la maggior parte del mio tempo. 

Passeggiai per il piccolo sentiero osservando i bambini correre e godersi gli ultimi giorni prima dell'inizio della scuola. 

Il vento ancora caldo mi scompigliava i capelli e le foglie degli alberi erano ancora rigogliosamente verdi. 

Nonostante fosse la fine dell'estate i fiori erano ancora colorati e in grande quantità nelle piccole zone di verde della città. 

Passeggiai per un po' finché senza neanche rendermene conto raggiunsi la fine del parco. 

Mi ero concentrata talmente tanto sull'idea di voler uscire che non avevo pensato a cosa fare una volta ottenuto il permesso. 

Mi voltai di scatto quando sentii chiamare il mio nome. 

Gareth mi stava raggiungendo, accompagnato da un altro ragazzo, tenendo al guinzaglio il piccolo cucciolo di carlino di Nathan. 

-Gareth, ciao.- Gli sorrisi avvicinandomi, mi abbassai per accarezzare Dan che cominciò subito a leccarmi il palmo della mano. 

-Amby, che ci fai qua? Il nuovo lavoro non... ha funzionato?- Volle sapere il mio amico accovacciandosi come me. 

Sorrisi nascondendo l'irritazione, ormai era diventata un'abitudine per tutti pormi questa domanda. 

-Ho il giorno libero.- Dissi a denti stretti e la mia mente tornò a pensare a Jake, chissà come se la stavano passando quelle povere ragazze costrette a fare il mio lavoro al mio posto. 

Il mio sguardo si posò sull'altro ragazzo presente, dai corti capelli biondo cenere e dal naso diritto adornato da lentiggini. 

I suoi occhi grandi e verdi mi fissarono per un attimo. 

Era lui, il ragazzo del supermercato. 

Lui si schiarì la gola, lanciando un'occhiata veloce a Gareth. 

-Oh, giusto non vi conoscete. Amber lui è Axel, mio cugino.- Mi disse facendosi da parte quando lui mi porse la mano. 

-Axel lei è Amber, la mia migliore amica. Te ne dovrei aver parlato...- 

-Molto piacere.- Esordì lui con una strana cadenza stringendo la mia mano e interrompendo il cugino. 

Sorrisi ricambiando la stretta. 

-È francese, ecco il perché dell'accento.- Spiegò Gareth, notai lo sguardo di avvertimento che lanciò al cugino quando lo vide studiarmi con interesse. 



Poco dopo, tenevo tra le mani un cartone di pizza e ne respiravo il delizioso profumo. 

-Sei sicura di non volere un passaggio?- Mi chiese Gareth nuovamente, sistemando distrattamente il suo septum. 

Scossi la testa, non sapevo quando avrei potuto uscire nuovamente e volevo assaporare quell'ultima mezz'ora di libertà. 

-Avete già fatto tanto pagandomi la pizza.- Risposi, anche se potevo percepire la sua incertezza. Nonostante tutto, mise in moto la macchina. 

-Sicura?- Axel, nel sedile a fianco a quello del guidatore, si sporse per osservarmi al di fuori del finestrino. 

-Sicura.- Gareth sospirò. 

-Stai attenta eh.- Si assicurò prima di partire. Iniziai a camminare verso quella villa infernale, un epiteto che le calzava a pennello. 

Forse, una volta tornata, Jake sarebbe già stato a letto, e avrei potuto godermi quell'enorme pizza di fronte alla sua altrettanto imponente TV. 

Tuttavia, una risata che conoscevo troppo bene interruppe i miei pensieri. 

Matthew non avrebbe dovuto essere a casa a quell'ora. 

Lo cercai con lo sguardo finché notai la sua chioma arruffata dal vento dall'altro lato della strada. 

Concentrandomi meglio, notai che era in compagnia di un'altra persona, più bassa e snella. Forse una ragazza. 

I capelli scuri sembravano incredibilmente corti, ma poteva anche essere una questione di prospettiva da lontano. 

Corrugai la fronte, avvicinandomi lentamente. 

Per quanto mi sforzassi, non mi sembrava assolutamente Esther. 

Quando dalla mia tasca fuoriuscì una serie di squilli acuti mi voltai automaticamente per evitare di essere vista. 

Il piccolo aggeggino nero stava squillando, segno che Jake aveva bisogno di me. 

Senza esitazione, cominciai a correre. 

Ripercorrendo mentalmente la strada che avrei dovuto fare, rimpiansi di non aver accettato il passaggio di Gareth e Axel. 

Essendo uscita così velocemente non avevo preso dietro nemmeno qualche spicciolo quindi non potevo nemmeno permettermi un taxi. 

Inutile cercare alternative visto che non ce n'erano: dovevo fare la strada a piedi, e di corsa. 

-Che cosa diamine è successo?- Ansimai fermandomi un attimo a riprendere fiato. 

-Giuro... giuro che se lo ha fatto per scherzo la pizza gliela spiaccico in faccia.- Mi ripromisi da sola riprendendo a correre. 

L'aggeggino nero non smetteva di suonare e io di correre con il cartone di pizza in mano.

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