Crawling back to you

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*si schiarisce la voce* *si guarda intorno imbarazzata*

Ooook, so di avervi letteralmente lasciato a bocca aperta col capitolo precedente. Ho ricevuto minacce di morte e insulti vari se non avessi aggiornato entro due giorni e ehm...con un po' di ritardo, eccomi qui. Tanto si sa che qualsiasi cosa abbia da fare durante la giornata, la sera mi ritroverò sempre e comunque davanti al pc per continuare questa maledetta storia (che adoro ciononostante)

E vbb, buona lettura <3

Baci, M.

CAPITOLO 18 - Crawling back to you

GERARD

Non so dove sono stato tutto questo tempo. Non so nemmeno a quanto equivale esattamente questo tempo. Forse un giorno, o due. O una settimana, o due, o un mese. O un anno, o due, oppure tutto il resto della mia vita, e sono morto. Forse forse forse.

È come se all'improvviso, dopo secoli e secoli di buio e confusione e tante voci che mi si affollavano nella testa, mi si fosse aperto un sipario, un sipario che ha scacciato le lingue di tenebra e la confusione e mi ha permesso di vedere meglio.

La prima cosa che sento è: dolore.

Del resto, subito dopo questa sensazione paralizzante che mi inonda il cervello, mi scopro a riflettere che non dovrei sorprendermi. Il dolore ha pervaso quasi ogni momento della mia vita, dall'infanzia ad ora, è sempre stato un mio compagno di avventure, un amico che mi ha tenuto la mano e a volte me l'ha quasi stritolata, a volte mi ha quasi trascinato giù, in fondo, con sé, ma c'è stato sempre.

E c'è ora. Presente, ovunque. Mi offusca i pensieri e mi impedisce di aprire gli occhi.

Ho paura di quello che potrei scoprire.

Alla fine, dopo un tempo indefinito, sbatto piano le palpebre incrostate, cerco di mettere a fuoco l'ambiente circostante e fallisco, ci riprovo e fallisco, ci riprovo ancora e ci vedo un po' meglio, poi ancora e ancora e ancora fino a quando non scorgo dei contorni, delle forme, e poi la luce.

E poi le sensazioni arrivano tutte insieme.

Caldo. Sudore che mi scorre lungo la fronte, giù per la schiena, sul petto. Capelli impiastricciati sul volto, umidi, forse di sangue. Gambe paralizzate, dolore lancinante quando muovo appena la sinistra. Mal di testa. Fame. Sete. Labbra rinsecchite. Un odore di putrefazione che mi inonda le narici.

Non so nemmeno come riesco a formulare pensieri coerenti. Soltanto dopo qualche istante mi rendo conto che ci stiamo muovendo.

Sono sul retro di un furgone, all'aperto, col vento che mi sfiora delicatamente il viso portando via un po' di sudore, e sono sepolto in mezzo ad una decina di corpi.

Corpi morti.

Mi tiro su a fatica, poggiandomi contro la parete del furgone. Il tanfo è insopportabile, un odore di morte così opprimente da impedirmi quasi di respirare. Mi porto la manica lurida e stracciata sul naso, cercando di regolarizzare il respiro. Inevitabilmente lo sguardo mi cade su un viso tra quella marea di cadaveri giapponesi: pelle rattrappita, una smorfia innaturale sul viso, la lingua gonfia e nera, gli occhi spalancati in una muta espressione di orrore.

Trattengo i conati di vomito e volto lo sguardo verso il panorama che mi scorre accanto. Stiamo attraversando una specie di boscaglia lungo un sentiero fangoso, e l'aria è così torbida che sembra quasi mi si appiccichi addosso.

Mi giro e cerco di capire chi c'è al posto del conducente, ma a giudicare dalle voci sommesse che sento provenire dai sedili anteriori devono essere giapponesi. Il che significa che mi hanno catturato.

Destroy MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora