Carry me to the end

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Questo capitolo è un mix assurdo di ansia e dolore e boh, enjoy it e non arrabbiatevi con me pls pls: (

CAPITOLO 25 - CARRY ME TO THE END

FRANK

"Ciao Frank. Non so nemmeno come iniziare questa lettera."

Respira.

Prendi un mattone.

Sollevalo.

Respira ancora.

"...perché vorrei assurdamente essere anche soltanto una carta, pur di vederti e starti vicino."

Respira.

Metti la calce.

"La morte mi striscia accanto ogni giorno, Frank"

Trattieni la tosse. Non tossire, o non ti fermerai più. Ce la puoi fare. Prendi un altro mattone. Metti la calce. Inspira ed espira. Recita a bassa voce la lettera di Gerard. Non tossire. Ce la puoi fare.

Ce la puoi fare.

Non so quando ho iniziato a pensare come se mi stessi incitando da solo. So soltanto che va avanti da giorni, ormai.

Mi dico quello che devo fare, e lo faccio. Mi dico come lo devo fare e lo faccio. Mi dico che lo posso fare, e lo faccio.

"Solo che... ci credi che non riesco a pentirmi di ciò che abbiamo fatto prima che io partissi? Non rimpiango nulla di quel giorno. Nulla."

Le parole mi escono fuori in un sussurro appena accennato, come se fatichino a lasciare la mia bocca, come se anche loro siano stremate, stanche morte di questa situazione, di questo tutto.

Non sapevo di avere imparato la lettera, quella lettera a memoria. L'avevo riletta quasi una decina di volte in Italia, prima che mi prendessero, sì, ma non sapevo di averla memorizzata a tal punto. E invece adesso, da qualche giorno a questa parte, come un crudele scherzo della sorte, me le ritrovo nella mia mente.

Premono, spingono, vogliono uscire.

Quelle parole.

Le sue parole.

"E lo rifarei altre mille vo..."

La voce mi si spezza, le lettere si accavallano le une sulle altre e si mescolano, e nel giro di un secondo sto tossendo.

Oh, no no no.

Cerco di fermarlo, cerco di continuare a lavorare, provo, annaspo, ansimo, ma eccolo lì, ecco il sangue che macchia il terreno ghiacciato, ecco il resto dei miei compagni che mi fissa a metà tra il compassionevole e il timoroso, e so che a breve mi vedranno i soldati e capiranno che c'è qualcosa che non va e la mia vita finirà.

In realtà è già finita, e io lo so. Non mi importa. Non mi importa più nulla.

Dio, lo desidero. Lo desidero così tanto. Che finisca. Che finisca e basta. Niente più dolore, niente più freddo, niente più fame, niente più ricordi amari o incubi. Sarebbe un sollievo.

Per favore, per favore.

Ho capito di non avere più nulla a cui aggrapparmi quando ho chiesto aiuto a Joshua.

Joshua è l'unico medico ebreo che abbiamo nel campo, e non so se sia stata più una fortuna o una sfortuna che fosse nel mio stesso dormitorio. È a lui che ci rivolgiamo tutti quando crediamo di avere qualcosa che non va, quando pensiamo che le nostre forze stiano per finire, quando non ci rimane più niente se non una misera speranza di poter guarire. Lui non può fare molto, certo, ma le sue diagnosi, buone o cattive che siano, in qualche modo tranquillizzano la gente.

Destroy MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora