Capitolo 33

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Mi ero data malata, avevo detto di non sentirmi per niente bene, tanto da non poter lavorare.
Perché?
Perché quel giorno avrebbe giocato l'Argentina e non avevo le palle di andare lì, intervistarlo e far finta di nulla.
Sapevo che anche lui non ne sarebbe stato capace perciò avrei evitato una sofferenza ad entrambi.
Nonostante fingessi che non m'importasse affatto controllai l'orario e, realizzando che il match fosse terminato già da un po', accesi il MacBook per controllare il risultato e se Paulo avesse trovato spazio.
Sconfitti 3-0, un tonfo al cuore, chissà come si sentiva in quel momento..
Mi soffermai a guardare gli highlights e notai che non aveva fatto nulla per aiutare la squadra, non era per niente da lui, aveva giocato svogliatamente, senza protestare, senza urlare..
Che cazzo stava facendo?
Non poteva comportarsi così.
Scattai fuori dell'abitacolo non curandomi di avere indosso solo una sua t-shirt che mi aveva regalato a Torino e che portavo sempre con me.
Ero diretta alla reception per chiedere in che camera si fosse spostato quando era andato via dalla nostra ma una voce familiare interruppe la mia camminata nel bel mezzo corridoio.
"Carolina, dove vai?" Gonzalo Higuain era proprio dietro di me.
Mi voltai per guardarlo.
"Sei mezza nuda" mi fece notare.
No guarda, non me n'ero accorta.
"Sto andando dal mio ragazzo, tranquillo" ripresi il passo ma mi frenai nuovamente.
"In che stanza è?" domandai.
Sarebbe stato molto più semplice chiedere a lui anziché scendere e risalire dovendo attraversare sicurezza, controlli ecc..
"420" proferì e corsi subito in quella direzione dimenticandomi di ringraziarlo.
Lo avrei fatto il prima possibile, sempre se me ne fossi mai ricordata, ero così confusa ultimamente.
Arrivai davanti alla sua porta con l'affanno, mi soffermai ad ascoltare i rumori provenienti dall'interno e mi spuntò un sorriso spontaneo quando mi accorsi che stesse giocando a Fifa.
Buon segno, non giocava mai se era nervoso, arrabbiato o deluso.
Dopo aver preso un respiro profondo e aver pensato per 10 minuti buoni se farlo o andarmene mi decisi a bussare.
Si presentò davanti a me con indosso solo dei boxer, se non fossi stata io si sarebbe mostrato così di fronte ad una persona qualunque?
Schioccò le dita vicino al mio volto e mi resi conto che, come al solito, ero troppo presa dai miei pensieri per accorgermi di quello che stava succedendo.
Me lo diceva sempre, che dovevo mettere i piedi per terra e smettere di farmi i film, che immaginare scenari non era salutare, ed aveva ragione.
"Che ci fai qui?" incrociò le braccia al petto dandomi sui nervi.
Sì, ero particolarmente irritabile e sensibile in quei giorni.
"Capisco che tu sia provato, che la situazione non sia affatto facile e che sono tre giorni che non facciamo altro che litigare ma in campo non devono scendere i tuoi problemi personali, non te lo permetto" mi scagliai contro di lui con tutta la rabbia repressa.
"Vuoi una pausa, vuoi lasciarmi, hai bisogno di tempo per pensare, okay lo accetto, accetto tutto ma non puoi rovinarti la carriera, non per me. Sai come ti puntano, sai che sei sotto continua osservazione e fare lo strafottente durante i mondiali di certo non aiuta" aggiunsi tentando di mantenere un tono più pacato ma con scarsissimi risultati.
"Perché non dovrei mandare a puttane tutto? Perché non dovrei farlo per una come te?" mi si avvicinò e le sue parole mi lasciarono di stucco.
Prima di pronunciare quella frase riflettei a lungo.
"Perché non ne valgo la pena" ed era vero.
Non ne valevo la pena, forse meritava una persona migliore di me.
Silenzio, un silenzio infernale che però fece calmare gli animi di entrambi e che ci avvicinò di nuovo.
Non sentivo più quel distacco, era come se i nostri cuori avessero ripreso a battere con lo stesso ritmo e non più in asincrono.
"Se non con te, con chi allora?" si sedette sul letto.
I suoi occhi incontrarono i miei e il suo sguardo.. mio Dio.. mi trapassò, arrivò dritto dentro di me e mi conquassò come una scossa di magnitudo 9,5.
Mi fece tremare come tremò il Valdivia quel primo pomeriggio del maggio 1960, con l'unica differenza che in me causò qualcosa di estremamente positivo anziché, come ahimè in quel caso, la distruzione totale.
"Con qualcuno che sia in grado di darti quel che cerchi, mi dispiace da morire che tu non mi abbia fatta spiegare l'altro giorno, hai frainteso le mie parole" presi posto accanto a lui.
"Ho paura, tantissima paura. Immagina se tutto questo fosse successo durante il tuo primo anno al Palermo quando ancora non eri nessuno, ti saresti sentito perso proprio come è successo a me" gli afferrai le mani stringendole forti nelle mie.
"Ho pensato tanto, non ho dormito un secondo in queste notti e credo che dalle mie occhiaie sia abbastanza visibile, forse avevo solo bisogno di tempo. Sono andata in farmacia perché ho capito che se dentro di me c'è un piccolo esserino io lo voglio ma con te al mio fianco" una lacrima abbandonò il mio occhio scivolandomi lungo la guancia.
Forse fu una reazione spontanea, o semplicemente stava cercando di essere forte, ma in quel preciso istante abbatté le sue barriere scoppiando anche lui in un pianto liberatorio.
"Come hai potuto pensare che avrei fatto altrimenti? Non sono così tanto una merda, non sarei capace di abortire Paulo, non potrei mai" mi abbracciò forte dopo quella dichiarazione inaspettata da parte mia.
Le sue braccia possenti a stringere il mio corpo minuto come mai avevano fatto prima.
"Bentornata a casa" dissi tra me e me.
Perché sì, la mia casa non era un luogo, era lui.
"Ho bisogno di te" mi sussurrò all'orecchio.
"Ti prego, baciami" e non me lo feci ripetere due volte.
Mi scostai leggermente e feci unire le nostre labbra, inizialmente si sfiorarono con estrema delicatezza, come a volerne sentire bene il sapore e ricordarne la forma, poi piano iniziarono a muoversi e si fusero completamente.
Le sue mani si spostarono sulle mie cosce nude e mi lasciai scappare un sospiro, avevo dimenticato il ruvido del suo palmo a contatto con la mia pelle; ben presto lo sentii scivolare all'interno della maglietta sganciandomi immediatamente il reggiseno senza mai staccare la bocca dalla mia.
Mi attirò sulle sue gambe senza minimamente accennare a farmici sedere, dovetti mantenermi con le ginocchia sul materasso nonostante sembrassero gelatina in quel momento.
Non indugiò oltre e mi carezzò avvicinandosi man mano all'unico indumento intimo che mi copriva al di sotto: le mutandine.
I suoi baci arrivarono fino al mio collo e la sua lingua umida percorse tutta la clavicola, iniziai ad ansimare pesantemente come non accadeva da tempo, cercai l'elastico dei suoi boxer ma mi bloccò il polso.
"Rilassati, questa volta è solo per te" sussurrò per poi mordermi il lobo e suscitare uno spasmo involontario al mio corpo.
M'irrigidii quando piano spostò il tessuto che lo separava dal mio punto più sensibile.
"Sei troppo tesa" constatò.
"Lasciati andare, per me" quella frase segnò la mia disfatta.
Mi abbandonai completamente alle sue dita veloci che accompagnai con movimenti del bacino, Dio mio, era da tanto che non mi sentivo così bene: i muscoli fremevano, non riuscivo a tenere gli occhi aperti e il mio unico appiglio erano diventati i suoi capelli che stringevo con forza.
Venni travolta dal piacere con così tanta forza che collassai sul materasso con lui al mio fianco dopo aver urlato abbastanza forte da far vibrare anche le pareti delle stanze accanto.
Era questo l'effetto che mi faceva Paulo, la mia droga più potente.

Joya💎 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora