Capitolo 46

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"Sei ancora sicura?" mi domandò guardandomi in modo serio.
"Sì, certo" lo presi per mano e lo portai dentro lo studio.
Rimasi un attimo interdetta davanti ai disegni sul muro non esattamente nel mio stile, improvvisamente non ero più certa di quello che stavo per fare, insomma lui aveva già altri tatuaggi, io no, nessuno.
"Amore tutto bene? Sei sbiancata" mi richiamò ma non risposi tanto ero concentrata sui miei pensieri.
Credevo che un ago in confronto a ciò che avevo vissuto non fosse nulla, invece ero letteralmente in panico e piena d'ansia.
Dovevo farcela, non era niente di che e il motivo per cui lo stavo facendo avrebbe fatto passare la paura.
"Paulito, signorina" arrivò Carmelo, il tatuatore di fiducia del mio numero 10.
Mentre realizzavamo il progetto mi raccontò che lo aveva riempito di clienti e che praticamente tutta la rosa si era tatuata lì.
Inutile dire che mi fidavo ciecamente di lui, avevo anche cercato il suo nome su internet e aveva un'ottima reputazione oltre che un curriculum perfetto:
Un uomo di cultura con ben due lauree che però aveva deciso di seguire il suo sogno, un po' mi ci rispecchiavo, io sarei dovuta essere una consulente finanziaria oppure lavorare prettamente sulle strategie di marketing, a volte lo facevo per aiutare la società a cui ero estremamente devota, ma ciò che avevo desiderato per tutta la vita era scrivere, intervistare, occuparmi della mia passione più grande: il calcio.
"Quindi dove lo facciamo?" ero la persona più indecisa sulla faccia della terra, come facevo a scegliere?
"Io possibilmente in un punto dove non si può vedere, lo mostrerò sui social ma non voglio che sia sempre in bella vista" intervenne Paulo.
Mi sembrava più che ragionevole, era una cosa estremamente privata e nostra da non sbandierare ai quattro venti come fosse nulla, altrimenti avrebbe perso totalmente di significato.
"Io lo volevo fare sull'inguine, proprio sotto il bordo della mutandina, o al massimo che sporge fuori ma proprio di poco" ebbi tutti gli sguardi addosso dopo quell'affermazione.
"Che succede?" corrugai la fronte.
"Fa un male boia in quel punto" chiarì il mio ragazzo preoccupato.
E io che pensavo stesse per fare una scenata di gelosia, meglio così.
Con mano tremante scostai leggermente il colletto della maglia lasciando intravedere la cicatrice sulla clavicola, la sfiorai con un dito e dissi: "Secondo te mi spaventa un ago?"
In realtà si, mi spaventava, ma stavo cercando di mostrarmi coraggiosa.
Annuì senza proferire parola, aveva capito.
"Joya, te dove?" domandò ovviamente Carmelo a cui stavamo facendo perdere tempo prezioso.
Storcemmo entrambi il naso quando pronunciò male il suo soprannome, aveva ragione quando diceva che in Italia non ci riusciva proprio nessuno.
Forse io ero davvero un caso isolato.
Decise di farlo al di sotto dei boxer, ma sul quadricipite, lì nessuno avrebbe potuto scorgerlo a parte me, nemmeno al mare in costume.
Iniziò lui, io avevo prima bisogno di osservare.
Dopo tutta la preparazione e sterilizzazione cominciò a tracciare le linee sul suo corpo e fu allora che mi resi conto che non si poteva più tornare indietro.
Lo vidi un po' sofferente, rosso in viso mentre stringeva i denti perciò decisi di sdrammatizzare in qualche modo.
"Adesso devi sposarmi, non vedo altra via d'uscita" esclamai e improvvisamente rilassò i muscoli facciali e voltò il capo nella mia direzione sgranando gli occhi.
Okay, quella scena fu troppo divertente.
"Stavo scherzando amore, non è che adesso devi inginocchiarti e farmi la proposta, tranquillo" gli presi la mano e sorrisi, poi ci guardammo negli occhi e scoppiammo entrambi a ridere.
"Certo che sei un deficiente, stavi andando nel pallone" gli schiaffeggiai il braccio giocosamente.
Beh, di certo non avrei rifiutato ma ero sul serio ironica, mi era uscita così spontaneamente che non me n'ero nemmeno resa totalmente conto.
"Abbiam finito" c'interruppe Carmi.
Mi sporsi da sopra lo sgabello per osservarlo e.. wow.. era davvero bello, semplice ed elegante, come tutti gli altri che aveva sparsi per il corpo, nulla di pacchiano.
Non ero più nella pelle, volevo farlo subito anche io, infatti il tempo di cambiare ago e fu il mio turno.
Posizionammo lo stencil e già mi piaceva un sacco, poi con molta calma cominciò a ripassarlo con il colore.
"Come va?" mi domandarono entrambi contemporaneamente.
"Bene, pensavo peggio sinceramente" alzai le spalle non curante.
Ero tranquillissima, sentivo giusto un pizzicore, avevo una soglia del dolore molto alta.
"Non è che mi faresti qualche foto?" allungai il braccio per consegnare il telefono a Paulo.
"Sei in mutande" mi fece notare.
"Che importa? Anche tu eri in boxer" gli feci allora presente continuando a porgergli il dispositivo che non accennava ad afferrare.
"Si ma io.." sapevo già dove voleva andare a parare.
"Ma tu sei maschio e puoi farti le foto mezzo nudo nello spogliatoio dopo la partita, però se lo faccio io mentre mi faccio un tatuaggio sono una troia? Era questo che stavi per dire vero?" lo interruppi bruscamente attirando anche l'attenzione dell'uomo che stava lavorando su di me, alzò immediatamente lo sguardo verso la mia bocca intenta a pronunciare quelle parole con un sorrisetto invadente solo per far prevalere la mia ragione.
"Non ti chiamerei mai in quel modo" mi tolse lo smartphone di mano aprendo la fotocamera.
"È il soprannome che ci affibbiate tutti, forza" mi rimisi comoda e lo sentii scattare.
Poi richiamò la mia attenzione mostrandomi lo schermo che s'illuminava all'arrivo di una chiamata.
"Tommaso, che succede?" risposi subito preoccupata, non mi cercava mai.
"Carolina, c'è una rivolta qui" era completamente impanicato.
Una rivolta? Ma in che senso?
"Non agitarti e spiegami bene" scossi il capo verso Paulo che mi guardava in modo sospetto per fargli capire che non avevo idea di quello che mi stessero dicendo dall'altra parte della cornetta.
"Sono arrivati cinquanta file da stampare, leggere e rielaborare, gli ho divisi ai ragazzi dandogliene tre ciascuno ma si lamentano perché sono troppi" stava rimproverando i miei giornalisti minori?
"Di quante pagine l'uno?" domandai immediatamente.
Le persone che lavoravano con me non facevano mai polemiche inutili.
"Circa settanta" sgranai gli occhi.
Ecco perché.
"Dagliene uno ciascuno, gli altri spettano a te" ero già in procinto di riattaccare quando replicò.
"Non ho tutto questo tempo da perdere" mi ammonì prepotentemente.
Si stava decisamente mettendo contro la persona sbagliata.
"Allora tesoro, questo lavoro implica impegno e dedizione, stare svegli fino alle quattro del mattino anziché fare l'amore con il proprio ragazzo o chiunque esso sia, non sono i miei dipendenti a doverlo fare, sono io quella pagata per questo e tu sei con me per imparare a svolgere lo stesso identico lavoro. Non volevi prendere il mio posto? Bene, impegnati allora, perché altrimenti ti faccio cacciare a calci in culo oggi stesso, ti è chiaro?" mi arrabbiai di brutto.
Quando ero una stagista non mi sarei mai e poi mai permessa di trattare così un mio superiore e lui non doveva nemmeno sognarsi di farlo.
"S..ss..sì" balbettò.
"E se domani mattina non ho tutto completo sulla scrivania al mio arrivo passerai guai seri" dissi come ultima cosa prima di premere il bottone rosso e finirla lì.
Incrociai le braccia al petto ancora stizzita, non avevo mai preteso nulla se non il rispetto, dei ruoli e delle persone.
Lui mi guardava sorridendo, era fiero di come lo avevo asfaltato.
Pochi minuti dopo terminammo anche il mio tatoo e immediatamente ci mettemmo in posa per farci scattare una foto che finì sui nostri social e venne riempita di like e commenti.
Quel "siempre nos" lo avremmo avuto sulla pelle per sempre, perché sapevamo benissimo che qualsiasi cosa sarebbe successa saremmo stati sempre noi, Paulo & Carolina, i due ragazzi con tanta voglia di amare e vivere.
Ci avrebbero ricordato tutti ed era quello che volevamo, scrivere la storia insieme.

Joya💎 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora