Capitolo 47

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"Ancora non ci credo che ci stiamo andando per davvero" mi mossi euforica sul sedile.
"Pensavi ti stessi prendendo in giro quando ti ho detto che lo avremmo fatto?" ridacchiò spostando lo sguardo verso le nuvole che s'intravedevano dal finestrino.
Eravamo in viaggio per Londra verso casa Morata-Campello, non ero più nella pelle, non vedevo l'ora di conoscerli e poter finalmente vedere dal vivo quei due splendidi pargoletti che già in foto sembravano meravigliosi quanto, se non addirittura più, dei loro genitori.
Erano davvero una famiglia stupenda, sin dal primo giorno di frequentazione tra Alice ed Alvaro, dal primo articolo di loro due insieme sui giornali, mi ero appassionata alla loro storia e gli avevo presi come esempio.
"Sai che sono come San Tommaso, se non vedo non credo" mi avvicinai lasciandogli un bacio sulla guancia per poi posare la testa sulla sua spalla.
Chiusi gli occhi per rilassarmi, lui mi afferrò la mano e con il pollice iniziò ad accarezzarne il dorso.
"Questa mattina ti ho sentito in bagno, che è successo?" domandò con un pizzico di preoccupazione.
Erano appena le tre, un conato di vomito mi aveva scosso facendomi correre per rigettare la cena della sera prima, avevo cercato di fare piano per quanto mi fosse possibile.
"Solo un po' di nausea, tranquillo è la pillola, la ginecologa mi ha detto che le prime volte è normale" lo tranquillizzai e prima di continuare mi presi un attimo per inspirare il suo profumo.
"Grazie per averlo chiesto" aggiunsi.
Quelle parole avevano significato davvero tanto, era la prima volta che qualcuno s'impensieriva per me, mi sentivo finalmente considerata.
"Ma siete sicure di quello che state facendo? Insomma, se deve farti più male che bene.." si stava proprio angosciando, non era bello vederlo così.
"Amore davvero, è tutto okay, la usano tantissime donne, il mio organismo si deve abituare e ricordati che questo è già un minuscolo passo verso il poter creare la nostra famiglia" mi tirai sù per guardarlo negli occhi ma proprio in quel momento ci fu una turbolenza e l'aereo sbandò leggermente facendomi sbattere il braccio contro il tavolino davanti al sedile.
"Cazzo Caro, attenta!" sobbalzò immediatamente.
"Sto bene ma tu sei troppo agitato, puoi dirmi per favore cosa c'è che non va?" da quando qualche giorno prima erano arrivate le mestruazioni non lo riconoscevo più.
"Ho paura, okay? Ho tantissima paura che succeda qualcosa di brutto" mi confessò con occhi terrorizzati.
"No, non accadrà assolutamente nulla, non ho una malattia mortale o terminale" provai a spiegargli ma il suo sguardo, che lo tradiva sempre, non cambiò di una virgola.
"Non voglio che rischi qualcosa soltanto per avere dei bambini, se alla fine perdessi non solo loro ma anche te? Carolina ho già dovuto seppellire mio padre, non voglio farlo di nuovo, sai come ci si sente quindi per favore.." mi supplicò.
Mi dispiacqui tantissimo, aveva ragione, sapevo come ci si sentiva ed era la sensazione peggiore del mondo, ma questo non voleva dire che lui avrebbe dovuto provarla di nuovo.
"Niño, no te preocupes, no estoy haciendo nada que me puede hacer morir. Si quieres, para estar más tranquilo, te hago hablar con Barbara, vale?" mi rivolsi a lui direttamente nella sua lingua madre in modo che il suo cervello assimilasse meglio le parole.
Annuì semplicemente, senza aggiunger nulla.
Proseguimmo il viaggio tranquillamente, nessuno dei due osò spiaccicare parola, semplicemente restammo accoccolati l'uno all'altro ognuno con i suoi pensieri per la testa.
Avevo l'impressione di avere accanto il Paulo quindicenne che ogni volta che usciva di casa aveva paura di tornare e non trovarlo più, che ogni giorno doveva lottare con la consapevolezza che prima o poi lui non sarebbe stato al suo fianco e a quello della sua famiglia, la consapevolezza che sarebbero rimasti solo loro e nonostante tutto sarebbero dovuti andare avanti.
Atterrammo in perfetto orario, il tempo di sostare in hotel, dove avremmo passato poi la nottata, e circa un'ora dopo eravamo davanti la villetta nella periferia londinese dove saremmo stati ospiti per cena.
Suonai il campanello con le mani estremamente sudate che subito mi ripulii sul vestito che indossavo, perché ero così nervosa?
Da fantastico padrone di casa qual era, Alvaro venne ad aprirci, e immediatamente si fiondò sul mio ragazzo abbracciandolo forte, dovetti scostarmi per non essere travolta.
"Amigo , quanto mi sei mancato" gli guardai con occhi sognanti e pieni d'emozione, quanto si volevano bene quei due!
"Lei è Carolina, la mia ragazza" finalmente si ricordò della mia esistenza.
"Oh, ciao piacere! Ho sentito molto parlare di te" allungò la mano l'ex numero 9 che afferrai e strinsi con forza, forza mediocre rispetto alla sua..
"Non voglio sapere in che termini, piacere mio" risposi facendolo ridacchiare.
Sapevo già i racconti che faceva Paulo ai suoi amici, soprattutto sulla nostra vita sessuale, e sinceramente preferivo non ascoltarli visto che probabilmente sarei diventata più rossa di un pomodoro.
"È emozionata" mi accarezzò una spalla e lo fulminai con lo sguardo.
C'era proprio bisogno di metterlo in evidenza? Come se non lo fosse già abbastanza.
Dopo qualche altro scambio di battute ci fece strada verso l'interno della sua abitazione, camminammo lungo il vialetto ricoperto di pietroline e circondato da un magnifico prato verde, arrivammo davanti la porta d'ingresso che una volta varcata ci portò in un enorme salone dove sul divano più spazioso era seduta Alice che allattava i bambini.
Quando ci avvicinammo e il mio ragazzo se ne accorse si girò improvvisamente di spalle lasciandomi lì a sorridere alla donna come un'ebete.
"Paulo, che fai?" gli sussurrai cercando di non farmi sentire dagli altri presenti.
"È mezza nuda" specificò e dovetti trattenermi dal ridere.
"Hermano, puoi guardare di qua, non succede niente" gli fece notare anche Alvaro, allora insicuro e con molta calma si voltò posizionando lo sguardo solo sui due pargoletti.
"Ciao cara, io sono Alice, sono così felice di conoscerti" si sistemò e si alzò solo per venire ad abbracciarmi.
Era così carina e tenera, mi si strinse il cuore, ero quasi sul punto di piangere.
Non riuscii a rispondere ma credo che dalla mia espressione si capisse tutto.
Sia io che lui eravamo ipnotizzati dai piccolini che muovevano le gambette freneticamente mentre torcevano la bocca emettendo dei versi flebili come se volessero parlare.
"Venite, ve gli faccio prendere in braccio" mi afferrò la mano lei ma immediatamente il mio capo scattò verso Paulo che mi capì ed esclamò:
"Non è necessario".
Ali mi guardava con occhi così dolci e non riuscii a dire di no anche se sapevo che ne sarei morta.
Mi avvicinai lentamente alle culle e non appena uno dei due scorse il mio volo, completamente nuovo alla sua visione, sgranò gli occhi e sorrise riempiendomi il cuore.
La sua mamma lo afferrò delicatamente, come se avesse paura di fargli male.
"Lui è Leonardo" me lo posò tra le braccia.
"Ciao piccolo Leo" gli accarezzai la manina e immediatamente intrappolò il mio indice tra le sue ditine così minute e sottili.
Intanto lui aveva preso il gemellino, Alessandro, e non appena mi soffermai a guardarlo i suoi angoli della bocca si rivolsero all'insù verso il cuccioletto d'uomo mentre gli faceva i grattini sulla pancia.
Il mio cuore fece un tonfo e gli occhi mi si riempirono di lacrime.
I nostri sguardi s'incrociarono e una di esse non esitò a scappare via cadendo lungo la mia guancia.
Immediatamente mi si avvicinò e avvolse il braccio libero intorno alla mia spalla cercando di consolarmi mentre io mi ripulii il viso.
"Va tutto bene ragazzi?" domandò ovviamente preoccupato Alv.
Sospirai e il mio ragazzo rendendosi conto che non ce l'avrei fatta parlò per entrambi:
"È che.. noi non.. non possiamo avere figli, almeno per ora.." cercò di sorridere per smorzare l'aria pesante che si era creata.
"Mi disp..." iniziarono ma gli fermai immediatamente.
"No, non ditelo. I vostri bambini sono meravigliosi e per me è davvero un onore essere in questa casa per festeggiare insieme a voi il magnifico avvenimento. Non voglio parlare di me e dei miei problemi questa sera, perché si, sono io quella sterile tra i due. Semplicemente.. godiamoci la cena e divertiamoci" alzai le spalle dimostrandomi serena, e lo ero per davvero.
Cullai ancora un po' Leo lasciandogli un bacino sulla fronte, poi mi dileguai in bagno per rimanere qualche istante da sola ma non riuscii nel mio intento dato che venni raggiunta da Paulo nemmeno 2 minuti dopo.
"Nena, tutto okay?" chiese premuroso.
Annuii semplice, non c'era nulla da dire.
Ero posata con i gomiti sul lavabo allora lui avvolse i miei fianchi e posò il mento sulla mia spalla.
"Mi manchi, quando finisce questo ciclo?" baciò il punto più sensibile subito sotto il mio orecchio.
"Innanzitutto si chiamano mestruazioni, il ciclo è un'altra cosa" specificai.
"Maestrina" sussurrò facendomi ridacchiare.
"E poi, non lo so, chiedilo alle mie ovaie" mi girai verso di lui per baciarlo ma non feci in tempo perché si abbassò facendo scivolare le mani sulla mia bassa schiena.
"Quando avete intenzione di smettere? Ho bisogno della mia ragazza" esclamò convinto.
Volevo ridere ma portai una mano sul petto rendendomi conto dell'arrivo di un conato.
Mi avvicinai al water inginocchiandomi e poco dopo rigettai il drink di benvenuto che avevo assaggiato, nemmeno bevuto per intero, una volta arrivati in albergo.
Paulo mi scostò prontamente i capelli in modo che non si sporcassero, sentimmo salire di corsa le scale e Alvaro si palesò nella stanza bagnando un asciugamano che poco dopo mi passai sulle labbra.
"Sono gli estrogeni che sta prendendo" gli spiegò il mio ragazzo.
"Sto bene" precisai immediatamente alzandomi.
Non era nulla di che, solo un momento, poi tornavo come nuova.
"Perdonatemi, sul serio" mi scusai perché non mi sembrava carino quello che avevo fatto: non solo ero scoppiata a piangere per un semi attacco di panico, avevo anche vomitato nel loro bagno lasciando la scia di puzza che ne derivava.
"Assolutamente, stai tranquilla. Appena te la senti scendi pure, ti diamo dell'acqua" posò la mano sui miei capelli premurosamente.
Sì, erano proprio delle persone d'oro.

Joya💎 ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now