Capitolo 52

2.8K 73 0
                                    

Avevo mantenuto la mia promessa, al primo momento libero eravamo andati a fare shopping, una cosa che odiavamo estremamente entrambi ma fatto insieme tutto diventava più bello e piacevole.
"Che ne dici di questo?" domandò lanciandomi l'indumento dal lato opposto dello stand dove erano posati tutti i completi.
Era un pigiama in raso rosa contornato da un merletto nero.
"È bello, si abbina anche con le lenzuola, ma non lo metterei mai" glielo restituii immediatamente più che volentieri.
"Dai, ti starebbe da Dio, e poi non puoi indossare sempre e solo le mie cose, prima o poi dovrai restituirmele" imperterrito lo strinse al petto e s'incamminò verso l'intimo.
Oh mamma, non voleva scegliere anche quello vero? Per carità divina, anche no grazie.
"Quando ti renderò i tuoi vestiti significherà che sarò andata via di casa, non so quando ne saresti felice" lo raggiunsi abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla.
"E poi hai sbagliato, quella non è la mia taglia, scemo" glielo sfilai di mano sostituendolo con quello corretto.
Se proprio voleva prenderlo che lo prendesse giusto almeno.
"Non sei una 40?" corrugò la fronte.
Quel gesto mi faceva ancora ridere, non mi sarei mai abituata alla sua espressione confusa.
"No, porto la 44 e non me ne vergogno" alzai le spalle non curante cambiando rotta in direzione del reparto maschile.
"Sei magra, non è possibile" continuò seguendomi.
"Non stai dicendo una cosa carina, sappilo. Avere una 44 non vuol dire essere obese, l'obesità è altro ed è una malattia. E comunque sarei bellissima anche se non fossi magra, come lo sono tutte le curvy" specificai.
Mi soffermai davanti a dei maglioni molto carini con lo scollo a V, l'inverno stava per arrivare, il freddo Torinese pungente iniziava a farsi sentire e non volevo ci trovassimo sprovvisti, anche se a casa c'erano sempre 50 gradi all'ombra che sembrava quasi di essere alle Bahamas.
Che poi alle Bahamas non c'ero mai stata quindi non avevo idea di come si avvertisse lì il caldo, i soliti luoghi comuni e modi di dire che se poi ti metti a pensare e studiarli non hanno granché senso.
"Sai che non intendevo dire quello" si scusò.
"Lo so, volevo solo rimarcare il concetto" sorrisi.
Permalosa, come sempre.
"Una mente che è "sulla difensiva" non è una mente aperta"  dissi tra me e me citando uno tra i miei scrittori e saggisti preferiti.
Napoleon Hill forse aveva ragione, o forse no, semplicemente non dovevo continuare a soffermarmi su quanto volessi cambiare quell'aspetto del mio carattere.
Sospirai.
"Amore tutto ben.." provò a dire ma una voce stridula ci distrasse da qualunque fossero i nostri pensieri in quel momento.
Arrivò dritta alle mie orecchie facendomi storcere il naso, un po' per la sorpresa un po' per il fastidio.
"Ommioddio ma tu sei Paulo Dybala" un gruppetto di ragazzine si avvicinarono a passo svelto.
"Ciao" rispose lui alzando gli angoli della bocca.
Mi venne da ridere quando mi accorsi che quella nel mezzo lo scrutava da capo a piede mordendosi il labbro inferiore quasi per sedurlo ma dovetti trattenermi.
Tra le tre mi colpii una di loro in particolare, era sulla sinistra, indossava dei jeans strappati, una felpa e delle semplicissime sneakers, al contrario delle altre che avevano i tacchi e un vestito abbastanza striminzito.
Nulla di male, che sia chiaro, non mi sarei mai permessa di giudicare il loro modo di esprimersi, semplicemente notai la giovane che a primo impatto sembrava non c'entrare assolutamente nulla con le sue amiche.
Eppure era lì.
Osservava me anziché essere impegnata in una conversazione con il mio ragazzo e, quando si accorse che il mio sguardo stava cercando il suo, arrossì leggermente sistemando gli occhiali sopra il naso per camuffare la situazione, esattamente come facevo io alla sua età.
Mossi un passo nella sua direzione ma mi frenai quando mi accorsi che indietreggiò quasi impaurita facendomi corrugare spontaneamente la fronte come aveva fatto poco prima lui.
Avvertivo qualcosa di strano.
"Scusa Caro, ci fai una foto?" rinvenni quando Paulo mi richiamò accarezzandomi il braccio con dolcezza.
"Si certo" tesi la mano con il sorriso per afferrare il cellulare della biondina che, anziché ricambiare, ridacchiò in modo quasi derisorio.
Mi diede sui nervi quel comportamento ma ero troppo gentile per mandare a fanculo una ragazzina di soli 17 anni, perciò inghiottii il magone facendo semplicemente finta di nulla.
Si aggrapparono a lui, una commentò addirittura con "Che muscoli grossi che hai" palpandogli il bicipite.
"Che lecca culo" pensai e fortunatamente non lo dissi ad alta voce.
Stavano letteralmente elogiando la parte meno muscolosa del suo corpo.
"Scommetto che hai anche qualcos'altro di grosso" e sgranai gli occhi insieme a lui quando quelle parole mi arrivarono alle orecchie.
Non ne potevo più, stavano sorpassando il limite.
"Si ce l'ha, assicuro io, ora sorridete così vi scatto una bella fotografia da postare sui i social per vantarvi di aver incontrato qualcuno che tra un'ora non si ricorderà nemmeno più di voi dato che le persone frivole non rimangono impresse a nessuno" proferii con estrema calma, più di quanto mi aspettassi.
"Perché stai con questa? Io ho quasi 18 anni e mio padre è uno di quelli potenti" sbatté le ciglia finte convinta di ammaliarlo.
Scossi il capo, fino ad allora non ci erano mai capitati soggetti del genere.
Rivolsi gli occhi alla ragazza che se ne stava in disparte visibilmente basita dall'atteggiamento delle sue amiche, sempre che lo fossero.
Premetti il bollino bianco sullo schermo del suo iPhone da chissà quanti euro e glielo restituii quasi schifata dal tocco delle sue unghie chilometriche sulla mia mano.
Dopo averlo riempito di bacini si diressero verso l'uscita così noi avremmo finalmente potuto continuare il nostro shopping in santa pace.
"Carlotta, forza vieni" la strattonarono.
Carlotta.. si chiamava Carlotta..
Forse avrei dovuto..
No, non dovevo impicciarmi.
Ma..
No Carolina, ogni tanto bisogna farsi i fatti propri.
Poi incontrai gli occhi di Paulo che mi dicevano, mi supplicavano di farlo, di fermarla.
Allora presi un respiro profondo e:
"Carlotta, aspetta" la richiamai.
Si voltò nella mia direzione e con un sorriso accogliente la invitai a tornare da noi.
Dopo diversi minuti riuscì a scollarsi da quelle due e finalmente ci raggiunse.
"Ciao" sussurrò con voce flebile e mi accorsi che non aveva parlato fino a quel momento, avevamo soltanto comunicato con lo sguardo e mi era bastato per capire che qualcosa non andava.
"Ciao Tesoro, tu non sei una tifosa?" domandai ma soltanto dopo averle stretto la mano per incuterle coraggio.
"Sì, lo sono" risposte semplici ma non nette come mi aspettavo.
"Come mai non hai voluto fare la foto? Per me non c'era alcun tipo di problema" s'intromise lui che come al solito aveva compreso il mio pensiero senza nemmeno che aprissi bocca.
"No, ehm.. in realtà mi vergognavo un po', poi Ginevra stava facendo la casca morta, oddio che imbarazzo" abbassò lo sguardo.
"Ginevra è una tua amica?" indagai.
"No, cioè dovrebbe, è la figlia del compagno di mia madre. Noi, ecco... non andiamo molto d'accordo, ma mi costringono a starci insieme perché altrimenti passo tutta la giornata a leggere e studiare" si aprì con noi, poco alla volta, senza mai guardarci però.
Poi ad un tratto alzò lo sguardo e disse la cosa più bella che potessi sentire: "Tu sei il mio esempio Carolina, vorrei diventare come te da grande, una combattente che è riuscita ad arrivare in alto e ad avverare i suoi sogni. Conosco più o meno la tua storia, come ben sai sui giornali si parla tanto, beh è il tuo lavoro infondo, ma quello che mi ha stupito è che vere o false che siano le notizie di te si parla solo bene, mai una brutta parola, mai un affronto, quando di solito si appigliano ad alibi inesistenti pur di creare uno scandalo. Ecco, io voglio essere la donna che sei tu ed è stato davvero un grande onore poterti parlare oggi".
Mi si sciolse il cuore, si sciolse anche a Paulo che mi strinse sfregando la sua mano sul mio braccio facendomi capire quanto fosse fiero di me.
"Mia mamma si chiama Daiana, Daiana Toffanin, la sorella di Silvia, conduttrice di Verissimo. So che vogliono chiamarti per chiedere di raccontare di te e della vostra relazione, ne ho sentito parlare proprio ieri. Posso darti un consiglio? Non farlo. Amo mia zia con tutto il cuore ma lì le persone perdono di valore e tu, il tuo, devi tenerlo ancora vivo per un po', non puoi permettere che te lo rubino così" fece un cenno con la mano e sgattaiolò via, senza aggiungere altro, lasciandomi interdetta.
Mio Dio, cosa era appena successo? Ci misi un po' a realizzare.
Non mi sarei mai dimenticata di lei, delle sue espressioni e del suo volto, avrei custodito il ricordo di quel sabato pomeriggio per tutta la vita ed ero certa che un giorno l'avrei rivista da qualche parte grazie alla donna di successo che sarebbe diventata.

Joya💎 ||Paulo DybalaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant