45. Colpo di scena

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Jane

"Even a broken clock is right twice a day"

Hermann Hesse


Sono molto emozionata di fare le valigie, questa volta con la consapevolezza che non sarà per scappare da qualcosa o qualcuno ma semplicemente per piacere.

Visiteremo il posto che ho sempre sperato di vedere, il luogo che mi ha sempre affascinato per la sua cultura, le sue tradizioni e ovviamente per le spiagge paradisiache che offre.

Al solo pensiero non sto più nella pelle!

Tra poche ore partiremo e mentre Tom carica le valigie in macchina decido di girare per casa, scrutando ogni angolo per capire se sto dimenticando qualcosa.

E' la prima volta che mi allontano da "casa" da quando siamo tornati e so in cuor mio che mi farà bene, anche se l'idea di fare un'esperienza di questo tipo, che per molti può sembrare assolutamente comune, mi innervosisce.

Credo sia normale alla fine, essere spaventati da quello che non si conosce e non si ha mai provato.

Non ho mai preso un aereo in vita mia, non so cosa significhi trovarsi a tremila piedi da terra, sentire il cuore in gola per l'eccitazione e vedere dal finestrino le nuvole che ti sovrastano fino ad avvolgerti completamente.

Dicono che volare sia la sensazione più bella che si possa provare, che sia liberatorio, che aiuti a riflettere e svagare la mente.

Tom non mi ha fatto un regalo qualunque. Mi ha donato una delle cose più preziose che si possa avere: possibilità.

La bellezza di vedere e scoprire il mondo, di poter riprendere in mano la mia vita e ricominciare, l'opportunità di cancellare quelle poche pagine scritte con rancore e rabbia ed iniziare un libro nuovo, fatto di passione, speranza e amore.

Mi sta semplicemente facendo capire che anche io posso avere una vita che accetta le sconfitte come sinonimo di insegnamento, che concepisce la bellezza come massima espressione della personalità, che ti sfida giorno dopo giorno per farti crescere, che ti libera dalle paure, mostrandoti le sue infinite sfaccettature.

Una vita per cui valga la pena lottare, per cui i "nonostante tutto" contano più dei "ma".


"Amore sei pronta? Cosa guardi?" Domanda Tom alla porta osservandomi confuso.

"Scusa, ero sovrappensiero. Sono pronta" rispondo sorridendogli.

"Sei sicura? Se non ti senti bene possiamo annullare" Chiede preoccupato.

"No amore, sto benissimo, anzi, penso di non essere mai stata così bene prima d'ora. Possiamo andare" affermo raggiungendolo per poi dargli un piccolo bacio sulla guancia.

L'aeroporto non dista molto da casa, circa 20 minuti, minuti in cui non ho fatto altro che pensare a come andrà la nostra vacanza, a quanto non veda l'ora di conoscere l'hotel e le escursioni che Tom ha riservato.

"Piccola aspettami qui con le valigie, vado a parcheggiare la macchina e torno subito" dice lasciandomi davanti all'ingresso del nostro terminal.

"Ok capo" rispondo ridendo.

"Simpatica" risponde facendomi l'occhialino per poi dirigersi verso il parcheggio.

Decido di aspettare Tom seduta su una panchina considerando che questa mattina mi sono svegliata con la schiena bloccata e le gambe gonfie come due mongolfiere.

"Mi scusi, può dirmi l'orario?" Una donna seduta accanto a me attira la mia attenzione.

E' molto bella, slanciata, mora con degli occhi grandi ed espressivi.

Per qualche strano motivo mi ritrovo ad osservarla scrupolosamente prima di risponderle.

Mi sembra di averla già incontrata ma non ricordo dove.

"Certo, sono le 14.15" rispondo poco dopo.

"Grazie mille, questa mattina ho perso l'orologio ed ogni volta che devo vedere l'ora sono costretta a cercare il telefono nella borsa...da donna puoi capirmi... è una tortura" rido alla sua affermazione pensando a quante volte mi sono trovata a cercare il telefono nella mia borsa piena di cose inutili.

"Ha ragione, succede spesso anche a me. Sono Jane comunque" affermo porgendole la mano.

Mi osserva sgranando gli occhi come scioccata da qualcosa, guarda ogni centimetro del mio viso per poi portare l'attenzione alla mia mano, rimasta ancora a mezz'aria.

"Piacere Jane, io sono..." la donna misteriosa non fa in tempo a terminare la frase che veniamo interrotte dall'arrivo di Tom.

"Piccola eccomi, possiamo andare" dice guardando me e poi la donna con circospezione.

"Si certo, arrivederci signora, è stato un piacere" dico sorridente per poi alzarmi.

"Aspetta..." chiede la donna costringendomi a voltarmi nella sua direzione.

La guardo disorientata non capendo bene la sua richiesta.

"Mi dica..." domando titubante.

"Io sono Melody" e nel sentire pronunciare quel nome il mondo mi crolla addosso.

Il nome di mia madre, la stessa che mi ha abbandonato, la stessa donna che credevo ormai morta.

Deve essere una coincidenza, non può questa donna, con la sua divisa da hostess, la sua borsa firmata, i suoi capelli perfettamente accorpati in uno chignon basso essere mia madre.

La testa gira vertiginosamente e le gambe sembrano non sostenere più il peso del mio passato.

Deve essere una coincidenza continuo a ripetermi nella mente.

"Piacere mio Melody, ora dobbiamo proprio andare" decido di fare l'indifferente, di non assecondare questa strana sensazione che provo nel guardarla, decido di non pensare.

Le volto le spalle, lasciandola lì con gli occhi lucidi e il viso straziato da un dolore che purtroppo conosco meglio di lei.

Non appena l'ho incontrata ho provato la strana sensazione di specchiarmi nei miei stessi occhi.

A casa di mio padre non c'erano foto di nessun tipo, ha deciso di buttare ogni cosa le ricordasse mia madre, solo quando stavo dai nonni potevo sbirciare in qualche vecchio album e farmi un'idea più concreta di come fosse.

"Amore, tutto ok?" Chiede Tom apprensivo, avendo visto tutta la scena.

"Sì, tutto bene" rispondo prendendolo per mano e conducendolo all'interno del terminal.


Voglio andare via.

Ho bisogno di essere felice.

Ho bisogno solo di lui.

L'unica persona che c'è sempre stata. 

Way outWhere stories live. Discover now