36. Resa dei conti

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Jane

"Believe you can and you're halfway there."

Theodore Roosevelt



6 anni prima...

La campanella è suonata da pochi minuti e io ho talmente fame che sento lo stomaco brontolare. Non ho mangiato molto questa mattina, in realtà praticamente niente, dato che sono settimane che nessuno fa la spesa.

Non vedo l'ora di arrivare alla caffetteria all'angolo per affondare i denti in qualcosa di gustoso, come il loro sandwich con formaggio, insalata, pomodoro e prosciutto cotto che prendo ogni volta. 

Sto per uscire dal cancello di scuola quando qualcuno mi blocca il braccio sinistro, costringendomi a voltarmi.

"Ciao Ronny" saluto confusa.

"Jane...ciao, come va?" Chiede imbarazzato il mio compagno di classe.

"Tutto bene grazie, tu? Volevi chiedermi qualcosa?" Domando sorridente.

"No, cioè si. Ti andrebbe di studiare insieme uno di questi giorni? Ho visto che sei molto brava in letteratura, mentre io sono una frana, quindi pensavo che potessi aiutarmi" dichiara guardandosi la punta delle scarpe.

"Ah, certo non è un problema. Se vuoi domani possiamo fermarci in biblioteca dopo le lezioni" affermo cordiale ma anche un pò stupita dato che non mi ha mai rivolto la parola fino a oggi.

"Sì va bene, potremmo anche andare a casa mia se ti va?" Suggerisce impacciato.

"Ehm si certo, come preferisci" rispondo dopo alcuni secondi.

"Ok, allora ci vediamo domani. Ciao Jane" e si allontana sorridente e soddisfatto.

"Ciao" lo saluto con la mano totalmente spiazzata da quanto accaduto.


Non appena varco il cancello riconosco la macchina di mio padre.

Perché è venuto a prendermi? Di solito torno a casa a piedi.

Le gambe iniziano a tremare e il cuore a galoppare fino ad arrivarmi in gola.

Mi trafigge con lo sguardo, procurandomi un'ansia indescrivibile.

Sembra un predatore pronto a conquistare la sua prossima preda che, ovviamente, è sempre la stessa: io.

Entro nell'abitacolo titubante guardando un punto fisso sulle mie gambe esili.

"Ciao papà" lo saluto intimorita.

"A casa facciamo i conti" è l'unica cosa che dice prima di partire come un razzo verso la sua tana.

"Perché, cosa ho fatto?" Piango disperata accusando un altro schiaffo.

"Ti diverti a fare la puttanella a scuola, vero?" Un altro, questa volta ancora più forte dei precedenti.

Cado a terra inerme, notando l'ombra del mostro avvicinarsi per poi riempirmi di calci. Ogni colpo sbrindella la mia anima, distrugge ogni speranza, annienta quello che ne era rimasto di una dolce e ingenua Jane.

Un dolore troppo grande.

Il dolore del mio cuore spezzato.

"Sei solo mia Jane, lo sarai sempre. Non voglio più vederti fare la scema con nessuno, è chiaro?" Sbraita fuori controllo, sfogando tutta la sua rabbia ad ogni colpo. 

"Sì" rispondo ormai sfinita mentre le lacrime scivolano via liberamente lungo il mio volto.

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Ogni volta che percorro il viale di casa rivivo inevitabilmente tutto ciò che ho dovuto sopportare, tutto quello che mi ha reso distaccata dal mondo, arrabbiata, umiliata e ferita.

Tutto il dolore che mi porto dentro in una manciata di secondi, troppo brevi per rendere giustizia alla sua grandezza e troppo lunghi per non destabilizzarmi.

Busso, questa volta con insistenza perché so di essere pronta.

Pronta ad affrontare il mio demone, il mio dolore più grande: aver avuto un padre crudele e vigliacco.

La porta si apre di scatto dopo pochi secondi, mostrando la figura di mio padre che mi squadra dalla testa ai piedi mentre sorseggia del gin scadente.

"Ciao tesoruccio, finalmente ci rivediamo" dice con un sorriso che è più una promessa che altro.

Crede che mi farò calpestare ancora una volta, crede che sia tornata perché non sono riuscita a farcela.

Mi invita ad entrare e senza pensarci due volte, varco la porta che mi condurrà all'inferno, al mio inferno personale.

Way outWhere stories live. Discover now