The parting glass

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È come se ci fosse una lastra di vetro tra me e il resto del mondo, nessuno può vedermi ma io posso vedere loro. Una lastra di separazione*.

"Ehi"

Una voce non del tutto nuova ma non ancora familiare interrompe le mie stupide fantasticherie.

Frank Iero, penso tra me, e continuo a scrivere lasciando che mi si sieda accanto.

"Nemmeno tu fai palestra?" mi chiede, con l'evidente sforzo di intavolare una conversazione.

Sospiro. "No"

Evidentemente si aspettava un "Perché tu non la fai?" che non arriva, ma lui lo prende come un incoraggiamento a parlare.

"Io sono di salute cagionevole" mi dice, come se stesse confessando il suo più grande segreto "e il dottore ha detto ai miei che non posso fare certi sport."

Ancora silenzio, ma lui si accorge che ho posato la penna e lo sto ascoltando. Maledizione.

"Cosa scrivi?"

Alzo finalmente la testa e lo guardo dritto negli occhi. Per poco non mi prende un colpo: ha l'occhio sinistro completamente cerchiato di un viola quasi nero, e un taglio sul labbro che scorre giù fino al mento.

"Cosa ti hanno fatto?" chiedo allarmato.

Frank mi guarda sbattendo le palpebre, poi pare capire a cosa mi riferisco e abbassa gli occhi imbarazzato. "Io..."

Per un millesimo di secondo mi coglie una rabbia improvvisa, innaturale, un sentimento così intenso che mi spaventa, e vorrei soltanto spaccare la faccia a chi gli ha fatto questo.

Anche se non lo conosco affatto, anche se è sbagliato.

"Chi è stato?" continuo a chiedergli. Ho definitivamente posato il bloc notes. E complimenti Iero, ci sei riuscito. Hai tutta la mia attenzione, ora.

Lui non mi risponde, ma inevitabilmente il suo sguardo si sposta verso il campo da football, posandosi su alcuni giocatori che si stanno passando quella dannata palla.

I giocatori di football. Bene. Probabilmente lo avranno visto che non si dirigeva agli spogliatoi come tutti gli altri e avranno iniziato a prenderlo in giro.

"Perché non giochi Iero? Cosa c'è, mammina non vuole?"

"Hai paura di rovinarti quel bel faccino da angioletto, o la camicetta pulita, eh?"

"Vieni qui che te lo roviniamo noi, non c'è problema"

Li conosco così bene che già immagino cosa gli avranno detto.

Lui mi sta fissando, e finalmente io lo fisso di rimando. Se solo ripenso alla sua espressione innocente e ottimista di ieri, e a come lo hanno ridotto oggi, mi viene il voltastomaco.

"Vieni con me" gli dico, alzandomi e facendogli cenno di seguirmi.

Lo porto a casa. So che sia io che lui non saremmo riusciti a resistere un altro istante all'interno di quelle quattro mura, perciò mi sembra la soluzione migliore. Frank stranamente non fa domande, non apre bocca, mi segue soltanto in silenzio sul marciapiede, mentre la gente ci fissa come se fossimo due ragazzi che hanno marinato la scuola.

Beh, lo siamo.

Alla fine, quando raggiungiamo il vialetto di casa mia e infilo le chiavi nella toppa, Frank posa una mano sul mio braccio. "Sicuro che non disturbo?" chiede preoccupato.

Guardo la sua mano pallida posata sull'incavo del mio gomito.

"Sicuro" rispondo evitando di incrociare i suoi occhi.

Non so perché non gli ho intimato di levare subito la mano, dato che non permetto mai a nessuno di toccarmi, e non so nemmeno perché sto facendo entrare un estraneo in casa mia. So soltanto quello che la mia mente mi sta spingendo istintivamente a fare, e cioè dirigermi dritto in cucina e prendere un po' di disinfettante dalla credenza.

Frank si guarda attorno. "Carina" mormora, non sapendo cos'altro dire. Io gli faccio cenno di sedersi al tavolo e subito dopo mi siedo accanto a lui.

Deglutisco e gli passo un disco di ovatta con il disinfettante. "Premi sul labbro. Brucerà ma è necessario" dico imbarazzato, e cerco di non fissarlo mentre lo fa.

"Perché ti sei lasciato picchiare?"

Che stupida stupida domanda, Gerard. Cosa avrebbe potuto fare contro una decina di giocatori di football alti come giganti?

Ma, sorprendentemente, Frank mi risponde in modo sincero. "Io non so difendermi." sussurra sotto il batuffolo di ovatta.

"E perché sei venuto da me?"

"Perché invece tu mi fai sentire al sicuro."

Ed è a queste parole che il vetro che mi separava dal mondo si crepa, e crolla in un milione di pezzi ai miei piedi.

*"vetro di separazione" è appunto la traduzione letterale di "the parting glass", e concorderete con me che suona dieci volte meglio in inglese, ma vbb

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