𝟖. 𝐒𝐅𝐎𝐆𝐎

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Amber bussò alla porta della camera di Dick, dove Alfred l'aveva gentilmente accompagnata fino ad essa e poi era andato via.

Il ragazzo aprì dopo pochi secondi, «Ciao» disse, quasi sorpreso di vederla lì.

«Ciao» disse anche lei, abbassando gli occhi per cercare di nascondere il rossore causato dal pianto, ma era impossibile non farlo, tuttavia Dick, capendo la situazione, fece finta di nulla, evitando di chiedere spiegazioni.

Dick osservò i suoi vestiti che ora lei aveva addosso, «Ti stanno bene» sorrise in maniera impercettibile, poi fece qualche passo indietro, e con un cenno della mano l'invitò ad entrare.

Nella sua stanza, come nel resto della casa, a prevalere erano i colori scuri, come il blu per le pareti, spezzate da cornici rettangolari colo oro che racchiudevano le lampade a muro sopra ciascun comodino ai lati del letto.

«Pantaloni da ginnastica larghi e décolleté a punta con tacco dieci, combinazione perfetta direi» tentò di scherzare lei, nonostante il suo stato d'animo.

Lui rise, e poi crucciò la fronte, «Non sono scomode?» domandò, «Me lo sono sempre chiesto, sai» proseguì.

«Scomode non è la parola giusta, credimi» rispose Amber, «Io userei più la parola killer.»

«Killer? Addirittura?» Dick scosse la testa, «Se sono davvero così tremende allora perché le portate?»

«Perché sono belle, e come dice sempre mia madre, per le cose belle vale la pena soffrire almeno un po'» Amber alzò le spalle e si avvicinò alla finestra, curiosa di scoprire cosa si vedesse al di fuori da essa.

La casa era fuori centro, isolata, e non vi era nulla nelle vicinanze se non il buio, spezzato da alcuni lampioncini lungo il perimetro dell'enorme giardino e qualche albero.
In lontananza, avvolte dall'oscurità, le luci e le sagome dei grattacieli di Gotham emergevano in tutto il loro splendore.
Sembrava così calma vista da lì, senza tutti quei rumori, la gente, le macchine, il traffico, le sirene della polizia e delle ambulanze che ogni notte sfrecciavano per quelle strade.
Ma a Gotham era così, erano le cose silenziose ad essere le più pericolose, quelle nascoste, quelle che nessuno vedeva e sentiva, quelle che covavano lentamente negli angoli più bui della città e che quando esplodevano si facevano sentire, perché portavano con loro il caos e lasciavano solo morte e disperazione.

Dick aveva pensato fino a quel momento al modo migliore per introdurre il discorso senza destare sospetti. Poteva dirle che aveva chiesto ad Alfred, e lui, essendo esperto, gli aveva detto che non era una ferita che poteva essersi procurata nel modo che lei gli aveva detto, o più semplicemente poteva dirle che non le credeva... sta di fatto che fu lei a parlare.

«Non ci conosciamo, è vero» iniziò Amber, «Ma tu sei stato gentile ad aiutarmi e io... io non sono stata sincera con te, non ti ho detto la verità.»

Dick rimase in silenzio, era stato più facile del previsto, pensò.

«Non sono caduta in casa e con un coltello in mano» sospirò. «Sono stata... aggredita.»
Dirlo, dire quel termine le fece accapponare la pelle, e dovette stringersi tra le braccia per cercare di controllare quei brividi che le lambirono la pelle.

«Ti va di parlarne?» Dick parlò piano, e fece qualche passo in sua direzione, sapeva che non doveva essere facile per lei, e poi il tutto era ancora molto fresco e vivido nella sua mente e sulla sua pelle.
Uno spiacevole evento che si sarebbe portata dentro per sempre, ma a cui doveva anche ritenersi fortunata visto com'era andata.

Amber continuò a dagli le spalle, e a fissare quel paese corrotto quale era Gotham, pensando a come sarebbe stato senza tutta quella criminalità, ormai infiltrata in ogni dove.
«Ero in taxi e stavo tornando a casa, era tardi e sulla strada che stavamo percorrendo c'erano stati degli incidenti, così il tassista...» morto, gli ricordò la sua voce interiore, facendole tornare gli occhi lucidi, «Ha deciso di passare per Bowery...» fece un'altra pausa.
«Andava tutto bene finché non ha suonato a una macchina ferma al centro della strada, l'uomo in quell'auto stava parlando con una donna... una prostituta» precisò, «Il tassista ha perso la pazienza e così ha suonato più volte il clacson, e la macchina avanti è partita.
Una ragazza poi ci ha bloccato la strada prima ancora che potessimo ripartire, e un uomo si è avvicinato a noi, ha detto che aveva perso un cliente... ha fatto scendere me ed ha bloccato lui... e io... io sono scappata. Mi sono nascosta in un vicolo e ho chiamato un taxi, volevo chiamare anche la polizia, ma mi sono bloccata, so che quella è gente con la quale non si scherza e ho avuto paura che in qualche modo sarebbero potuti risalire a me e alla mia famiglia e fare loro del male.»

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now