𝟑𝟑. 𝐁𝐎𝐃𝐘𝐆𝐔𝐀𝐑𝐃

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Bodyguard.

La parola corretta era bodyguard, e in quel momento, seduta sul bordo del letto, Amber non riusciva ad attribuirgli un significato diverso da "persona che ti sta con il fiato sul collo."

Riteneva assurdo, visto che la questione riguardava principalmente lei, che i suoi non gliene avessero parlato prima.

Sbuffò, persa tra i pensieri della propria mente, mentre si guardava la pelle arrossata che le circondava i polsi. Quando si era svegliata neanche se n'era resa conto e persino il dolore era arrivato in un secondo momento.

«È per il tuo bene» le ripeté sua madre scuotendo la testa.

Amber continuò a ignorare entrambi. Preferiva guardare quei segni che i propri genitori.

«Metti questo.» Il dottor Connor le porse un tubetto di crema che lei afferrò e iniziò a esaminare rigirandolo tra le dita. «È un gel per alleviare il dolore, rinfresca e ti darà sollievo. Se finisce e ne hai ancora bisogno lo trovi in farmacia. Oppure online. Puoi applicarlo ogni volta che serve.»

Amber annuì piano. «Grazie. E... mi dispiace per prima.»

«Non scusarti, non hai fatto nulla di male. E da genitore, posso dirti che anche nella reazione dei tuoi non c'è stato nulla di sbagliato.»

Gli occhi di Amber fissarono il pavimento. «Sì» ammise, «Fin quando senza il mio consenso non hanno deciso di togliermi ogni briciolo di privacy, mettendo un estraneo in casa a controllare ogni mio minimo movimento» proseguì come se i suoi non fossero in quella stanza.

Il dottore alzò le mani, come a dire che su quello non avrebbe proferito parola.

«Pensi che mi piaccia il fatto che abbia dovuto mettere una guardia del corpo a mia figlia perché minacciata da uno degli uomini più pericolosi della città?» la rimbeccò suo padre. «Come pensi mi sia sentito quando ho capito che eri in pericolo? Quale credi sia stata la nostra reazione, hm?»

Amber scosse la testa. «Mi dispiace, mi dispiace per tutto, ok? Ma non hai capito, non è questo il punto» affermò. «Avreste potuto... dovuto parlarmene prima. Tutta questa situazione è assurda, sono successe cose che... che anche volendo non sarei riuscita a immaginare. La mia vita si è capovolta, non riesco più a vedere il mondo come prima e forse non ci riuscirò mai più. Stare in strada mi fa paura, vivo con la costante sensazione che qualcuno mi stia osservando o che da un momento all'altro succeda qualcosa a me o a voi. Ho paura di uscire e non rivedervi. Non riesco più a dormire e se lo faccio gli incubi non tardano ad arrivare... ma va bene così» fece una pausa e prese fiato, mentre i suoi ascoltavano senza intervenire. «Però ci sono cose, come lo stare a casa solo noi tre a parlare di tutto o niente, l'andare a lezione in taxi e le uscite con Emma, che riescono ancora a farmi sentire normale. Come se non fosse successo niente, come se la situazione non stesse degenerando. Forse, se non sono ancora impazzita è proprio grazie a questo. Non voglio un estraneo in casa nostra, o che mi stia con il fiato sul collo e mi segua ovunque vada.» Non mascherò il dissenso, e che lo sconosciuto fosse appena fuori la porta e l'avesse sentita definirlo tale poco le importava. «Non posso permettermelo, capite? Ho bisogno di qualcosa che sappia ancora di normalità, che mi dia speranza.»

Suo padre sospirò. Le occhiatacce iniziali si erano liquefatte poco alla volta, portando alla luce un mare tormentato in cui annegare sarebbe stato inevitabile. Drizzò le spalle. «Rimandiamo il discorso a un momento più consono» le disse, lasciando che Connor riprendesse a visitarla.

Una luce bianca, emessa da un piccolo stilo metallico, le arrivò dritta alla pupilla facendole strizzare gli occhi e, per qualche strano motivo, aumentare il dolore alla testa.

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Où les histoires vivent. Découvrez maintenant