𝟓𝟏. 𝐒𝐅𝐈𝐃𝐀 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐑𝐎 𝐈𝐋 𝐓𝐄𝐌𝐏𝐎

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Nel buio, lo schermo del computer gli illuminava il volto, e gli occhi incollati ad esso, che scrutavano con attenzione le strade di Bowery, non avevano fatto altro nell'ultima mezz'ora.

Sospirò e gettò la schiena all'indietro facendola aderire allo schienale. Inclinò la testa, intrecciando le mani e passandosele tra i capelli e le bloccò dietro la nuca. Poi chiuse gli occhi e rimase così, a pensare e allo stesso tempo a cercare di non farlo, mentre il nome di Benjamin Brooker figurava ancora in alto nella barra di ricerca.

Aveva cercato qualsiasi cosa in zona intestata a suo nome, ma non era uscito fuori nulla. Stessa cosa per quanto riguardava moglie, figli e parenti.

Se solo avesse avuto un indizio, qualcosa di concreto, qualcosa da cui iniziare, e invece niente. Soltanto idee e supposizioni. Così aveva aperto una mappa 3D delle strade di Bowery e dopo aver fatto mente locale si era messo a cercare... anche se cosa non lo sapeva. L'ideale sarebbe stato andare lì di persona, ma fuori quasi nevicava, e poi non voleva rovinare i ricordi di quella giornata andando in un posto come quello.

Si ridestò da quei pensieri demoralizzanti, drizzò la schiena e tornò con gli occhi al computer. Cancellò la cronologia delle ultime ricerche, anche se quello di certo non avrebbe fermato Bruce nel caso avesse voluto ficcanasare, e tornò di sopra.

Non appena entrò in camera venne accolto dal rumore di una notifica che proveniva dal cellulare che aveva ancora nella giacca abbandonata sul letto. Si avvicinò e lo sfilò dalla tasca, e si accigliò ancor prima di sbloccarlo nel vedere un quantitativo spropositato di chiamate perse e messaggi da qualcuno che non era tra i suoi contatti.

Ridusse gli occhi, la fronte contratta mentre scandagliava le cifre di quel numero per capire se gli fossero familiari, perché trentanove chiamate perse non erano un caso. Ma dal momento che gli erano del tutto estranee, non ci perse più che qualche secondo.

Richiamò e avvicinò il telefono all'orecchio con il cuore avvolto da uno strano senso di irrequietezza.

«Io ti ammazzo, brutto figlio di puttana» fu la voce femminile che gli rispose dopo neanche mezzo secondo. «Che cazzo le hai fatto?»

Dick si accigliò. «Emma?!» La riconobbe subito, nonostante la voce adirata e i rumori del traffico in sottofondo. Erano forti. Il che significava che doveva trovarsi in mezzo alla strada, e visto il suono prolungato di un clacson che gli arrivò come se fosse lì, che stava per essere investita

«Ti ammazzo, io ti ammazzo.»

«Sei ubriaca?»

«Cazzo, no!» sbotto lei dall'altra parte del telefono. «Dimmi dov'è.»

«Dov'è chi?»

«Amber, brutto stronzo. Amber.»

Dick sbatté le palpebre. Dovevano aver fatto pace e Amber doveva averle detto dell'uscita che avevano fatto quella sera, o comunque del fatto che sarebbero andati fuori. Magari non le rispondeva da un po', ed Emma, che a quanto pareva aveva dei seri problemi psicologici, chissà cosa aveva pensato per arrivare a chiamarlo. Che poi... lo stava accusando? E di... di... no, non riusciva a credere che quella conversazione stesse avvenendo davvero.

«Dimmi d-»

«A casa, Tyler l'ha riportata a casa» l'interruppe Dick.

«Tyler?» ripeté Emma come se fosse la prima volta che sentisse quel nome. «Ma che cazzo dici» sbraitò, e a Dick sembrò sull'orlo di una crisi isterica. «So che sai dov'è, e so anche che tu c'entri. Quindi o parli e ti spacco la faccia dopo o lo faccio adesso, ovunque tu sia.»

Aveva il fiatone, come se si fosse fatta tutta Gotham a piedi, correndo, e qualcosa gli diceva che ci era andato vicino. All'improvviso si sentì in colpa di quei pensieri, nonostante le accuse gravi e infondate. Chiuse gli occhi e rilasciò un debole sospiro. Il fatto era che la capiva. La capiva e non poteva biasimarla, perché lui avrebbe fatto lo stesso. Certo, non così, ma quello era un altro discorso. «Emma, calmati» provò a dirle. «Non so di cosa tu stia parlando esattamente ma-»

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now