𝟓𝟕. 𝐑𝐈𝐓𝐎𝐑𝐍𝐎 𝐈𝐍 𝐂𝐈𝐓𝐓𝐀̀

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AMBER


Avevo sempre pensato a come sarebbe stato tornare, ma se mi avessero detto che avrei avuto paura non ci avrei mai creduto. Certo, era solo una piccola, anzi piccolissima parte, ma c'era e aveva tormentato l'ultima ora del mio volo verso casa.

Casa.

Era strano dirlo, era strano anche solo pensare che stesse accadendo davvero.

Sorrisi, con lo sguardo fisso al finestrino che rifletteva il blu intenso dell'oceano Atlantico, mentre le nuvole, pennellate di bianco e grigio, sporcavano l'orizzonte. Era un confine che sembrava non avere fine... almeno fin quando Gotham non emerse in lontananza, con i suoi giganti di vetro e i ponti che si estendevano come fili d'argento sopra l'acqua.

Il cuore iniziò a battermi in preda alle emozioni più disparate, e quasi mi scoppiò nel petto quando l'aereo iniziò a scendere di quota e riconobbi le strade principali che si snodavano nel tessuto urbano, imbiancate dalla neve che scintillava sotto i raggi del sole. Robinson Park, il cuore verde della città, adesso sepolto da un manto bianco e abbagliante e... casa.
Casa mia. Appannata dalle lacrime che andarono a morire sulla curva delle mie labbra.

E così, nel primo pomeriggio, dopo otto interminabili ore di volo, atterrammo in una Gotham imbiancata dalla neve. 
Inutile negare che la prima cosa che feci fu guardarmi intorno, e inutile negare la delusione quando l'unico volto che riconobbi fu quello di Gordon, che ci venne in contro accogliendoci con un sorriso.

«Bentornati» disse, ma io non gli diedi retta e continuai a guardare alle sue spalle.

Mi guardai intorno anche quando salimmo in auto. Fuori dal finestrino e dietro, prima di ricompormi sul sedile accanto a mia madre che, cogliendo il motivo di quei miei sguardi, mi rivolse un sorriso come a dire "sta tranquilla".

Facile a dirsi, avrei voluto dirle, invece, rimasi in silenzio fin quando, alzando lo sguardo, non mi resi conto che alla guida c'era Gordon. L'unica persona che avrebbe potuto dirmi quello che sui giornali non era stato riportato.

«Chi è stato a trovarlo?» chiesi, sporgendomi in avanti e interrompendo qualsiasi cosa di cui lui e mio padre stavano parlando.

«Amber» mi riprese mio padre, mentre Gordon mi fissò a lungo dallo specchietto retrovisore.

Alla fine, l'avevo letto l'articolo, per ben due volte. Il laboratorio di Aron era stato trovato sottoterra, in una base segreta che risaliva ai tempi della guerra. La polizia aveva seguito dei camion che appartenevano alla Brooker Construction Group e che, a quanto pareva, nel cuore della notte rifornivano il laboratorio di quello di cui aveva bisogno. Tuttavia, sapevo c'era qualcosa che i giornali non dicevano. E io dovevo sapere.

«Pare che ci sia un nuovo vigilante in città.»

«Un altro?» domandò mio padre.

Io, invece, mi accigliai. «Chi è?»

Gordon scosse la testa. «Non lo so, è apparso pochi giorni fa.»

Tornai ad appoggiarmi al sedile e per un attimo rimasi a fissare il vuoto. «Non si sa nient'altro?»

«Nightwing» mi rispose, «È così che si fa chiamare» continuò, «Ma non so altro, mi spiace.»

Nightwing.

Ripetei quel nome nella mente e inevitabilmente sorrisi.

Non avevo bisogno di altro.

Non avevo bisogno di altro

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𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠On viuen les histories. Descobreix ara