𝟑𝟖. 𝐍𝐎𝐍 𝐏𝐎𝐈 𝐂𝐎𝐒𝐈̀ 𝐌𝐀𝐋𝐄

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«Allora...» iniziò Amber, guardando Tyler per una frazione di secondo. Guidava con gli occhi incollati alla strada, ma di tanto in tanto si spostavano sullo specchietto retrovisore e controllavano le macchine in coda. Amber avrebbe voluto dirgli che non correvano nessun pericolo, che la sua presenza neanche serviva perché ormai Aron aveva ottenuto quello che voleva, e né lei né i suoi avevano aperto bocca su quello che era successo all'udienza. «Come facciamo?» disse invece.

«Sarò con te in aula.»

«Ma...» poteva?

«Tuo padre ha già avvisato il rettore» l'informò lui, svoltando a destra sulla 2nd Avenue. «Tranquilla» le disse poi, le labbra incurvate in un sorriso, «Sembrerò uno studente come un altro. Nessuno sospetterà nulla se è questo che temi.»

Amber annuì un po' titubante. Lo sperava davvero, o sarebbe stata la cosa più imbarazzante? Ridicola? Del mondo.
Smise di pensarci e recuperò il telefono dalla borsa. Ora o mai più, si disse, mentre apriva la chat di Emma.
"Mi dispiace, possiamo parlare?" scrisse e, senza aspettare un secondo di più bloccò lo schermo e lo rimise via.

In quel preciso instante, Tyler accese la radio, forse per sopperire al silenzio che sapeva di lì a poco sarebbe calato. Perché bastava vederla per capire che fare conversazione era l'ultima di cui aveva voglia.
Il volume era moderato e la stazione stava trasmettendo una canzone dei Chase Atlantic. «Ti dà fastidio?» le chiese.

Lei scrollò la testa. «No, anzi, stavo per chiedertelo» ammise, sistemandosi contro il sedile e girando il viso verso il finestrino. La musica l'accompagnava quasi sempre in auto e isolarsi con le cuffiette nei sedili posteriori dei taxi durante il tragitto casa università e viceversa era diventata un'abitudine. Erano solo quindici minuti, ma la musica la rilassava come niente al mondo, e poi era meglio dei rumori del traffico di prima mattina. Ora, invece, neanche sapeva dove fossero le sue cuffiette. Con tutta probabilità, scariche e abbandonate in qualche borsa.

Rimase così, mentre gli edifici e le macchine scorrevano oltre il finestrino e la musica accompagnava i suoi pensieri sporcati sempre degli stessi timori, almeno fin quando non scese dall'auto. A quel punto mutarono e qualcos'altro prese il sopravvento.

Iniziò a guardarsi attorno prima ancora che i suoi piedi si stabilizzassero sull'asfalto e prima ancora che varcasse i cancelli del campus. Lungo il viale pavimentato e sotto il sole che faceva sembrare quella giornata un po' meno fredda, alcuni studenti si ciondolavano con una bevanda in mano prima di affrontare l'inizio delle lezioni. Altri camminavano con delle enormi cuffie sulle orecchie come se avessero voluto isolarsi dal mondo esterno e il viso chino sullo schermo dello smartphone. Qualcuno rideva in gruppo, qualcun altro se ne stava per conto suo, ma per fortuna nessuno le stava prestando attenzione.

Amber continuò a camminare costringendosi a guardare dritto davanti a sé, come se il campus fosse deserto.

«Dove ti siedi di solito?» le domandò Tyler.

«In aula? Nelle file centrali, perché?»

«Ultima, o al massimo penultima fila e vicino alla porta.»

Amber annuì, e non indagò perché il motivo di quella scelta non era difficile da immaginare. «Okk» si limitò a dire, strascicando quella parola con le sopracciglia sollevate mentre superava la porta d'ingresso dell'edificio.

I corridoi dell'università non erano mai stati tanto affollati come quella mattina. Forse era il vociare degli studenti e il loro camminare frenetico a farglieli sembrare tali, o forse era lei a non essere più la stessa persona. Sebbene avesse saltato soltanto qualche lezione, le sembrava passata una vita dall'ultima volta che ci aveva messo piede.

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