32. Questo amore che odio

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L’Inverno arrivò in Inghilterra con una rapidità colossale. Le temperature calarono bruscamente nel giro di un paio di mesi, e quando, una mattina fredda di Dicembre, Rafe Ellington smontò dal suo cavallo per dirigersi verso la povera dimora di Brigitte e Devon Ford, venne investito da un gelido vento che gli sferzò il volto. Tutt’intorno le colline si stagliavano verdi contro l’indaco del cielo, dalle cime flebili torrenti scorrevano tagliando il terreno e formavano, saltando dalle rocce, delle cascate in miniatura.

Brigitte Ford stava male.

Quando suo marito Devon aveva mandato il figlio a chiamare aiuto in casa Ellington, Rafe si era subito precipitato all’indirizzo dei Ford, senza nemmeno attendere di sapere quale malattia avesse colpito la gentile Brigitte. Adesso l’uomo si tirò il bavero del vecchio cappotto sopra il collo e bussò forte alla porta della piccola abitazione. Dovette attendere nemmeno un minuto perché gli venisse aperta.

«Dottor Ellington» biascicò allarmato Devon Ford, un anziano allevatore di conigli e maiali, stempiato e le cui innumerevoli rughe lo facevano apparire più vecchio di quanto fosse in realtà.
«Dev, buon uomo, cos’ha vostra moglie?» lo interrogò Rafe chiedendogli con lo sguardo se potesse entrare. Devon si fece da parte, agitato e zoppicante, e condusse Rafe lungo uno stretto corridoio che portava alla camera da letto dei coniugi. La signora Ford giaceva all’apparenza esanime sopra le coltri stropicciate, la testa cadente di lato, gli occhi smarriti e persi nel vuoto. Quando i due fecero il loro ingresso nella stanza, parvero riacquistare un minimo di luminosità ma non si aprirono del tutto.

«Dottor Ellington… »
«È da questa mattina all’alba che non riesce ad alzarsi» spiegò Devon, preoccupato. «Dice che si sente debole, che le gira la testa, le dolgono le membra.»
Rafe appoggiò la valigetta ai piedi del letto stinto e allungò una mano a tastare la fronte di Brigitte, che fremette sotto le sue dita. Poi scosse la testa con un sospiro.
«Brigitte, non avete nulla di anomalo. È solo febbre.»
Si rivolse a Devon. «Prendete una pezzuola pulita e bagnatela, poi mettetegliela sulla fronte e sul collo. Sostituitela ogni dieci minuti. La temperatura dovrebbe calare entro poche ore.»

Devon appariva confuso. «Febbre?»
«Sì, Devon.» Rafe accarezzò la guancia rovente di Brigitte, che lo fissava stanca e spossata. «Fatele bere molta acqua, mi raccomando. È molto importante.»
«Ma che succede se la febbre non scende?» chiese Devon, zoppicando fino al letto.
«In quel caso, tornate a chiamarmi, Dev» rispose Rafe rivolgendo un sorriso d'incoraggiamento a Brigitte. «Non preoccupatevi, Bri, starete presto meglio. Non è nulla che non possa essere curato.» La donna cercò debolmente di annuire, poi le sue palpebre si chiusero lentamente e si addormentò. Rafe afferrò la valigetta.

«È sfinita» dichiarò amaramente. «Lo è da questa mattina, Dev? Sembra che abbia camminato per giorni nel deserto senza acqua.» L’uomo annuì tristemente.
«È proprio per questo motivo che sono preoccupato.»
«Di solito mia madre non si lascia abbattere da nulla» aggiunse Max, il figlio della coppia che entrò in quel momento dalla porta. Come suo padre, anche il suo sguardo era angosciato. Rafe rifletté qualche istante. Non poteva trattarsi di semplice febbre. Ma allora cos’era? Non c’era nessun’altra spiegazione plausibile. «Nel frattempo che cerco di capire di cosa si tratti, fate ciò che vi ho detto.»
Strinse la spalla del giovane Max e rivolse un cenno del capo a Devon. «E mi raccomando: se peggiora, correte a chiamarmi.»

Quando fece ritorno nella casa della prateria, la vecchia Agatha aveva in serbo una sorpresa per lui. Spalancando la porta, Rafe si trovò davanti la figura di una ragazzina dagli abiti sporchi e il viso pieno di graffi, e più avanti, accanto al fuoco, quella di una donna che teneva le mani in grembo e aveva l’aria di essere appena stata trascinata lì contro la propria volontà. A Rafe, per qualche secondo, mancò il fiato.

«Kate? Rachel? Che cosa fate qui?»
«Stavano cercando te» s'intromise Agatha, zoppicando stancamente verso di lui. «Dicono di avere brutte notizie.»
Guardando Kate, che all’improvviso dimostrava di più dei suoi dodici anni, Rafe avvertí un vuoto al petto. L’aveva conosciuta quando era ancora insieme a Helena. Quando la fiamma del suo amore per lei era più viva che mai. Quella fiamma era cresciuta a dismisura, nei mesi trascorsi; nulla era stato in grado di spegnerla, nemmeno il dolore. Lui si era domandato spesso che tipo di vita conducesse, se fosse felice, se avesse ottenuto tutto ciò che voleva, se Lord Mellins fosse riuscito a farla sentire amata e protetta. Ma non aveva mai ricevuto risposte, forse perché nessuno, a parte Helena, poteva dargliele.

«Cosa è successo, Kate?» la interrogò cominciando a sfilarsi il cappotto. Rachel emise un singulto, che non gli sfuggì.
«Miss Rachel?»
«Sono Mrs. Millicent, adesso» sussurrò la donna, non riuscendo a trattenere le lacrime. Rafe comprese che Rachel doveva aver sposato James dopo che loro li avevano lasciati. Fu felice di apprendere la notizia. Ma allora perché Agatha aveva detto che erano portatrici di brutte notizie?
Posò lo sguardo su Kate. Aveva le spalle incassate, lo sguardo perso e intriso di tristezza. Cosa le era accaduto per indurla a percorrere chilometri di chilometri per raggiungere lui?
La ragazzina sollevò lo sguardo e schiuse le labbra.
«Abbiamo bisogno di aiuto. Mio padre, James… Lui è morto. E noi siamo rimaste sole, siamo sole e in balia di un assassino.»

***

Non avrebbe dovuto continuare a picchiarla anche nelle sue condizioni. Eppure lo faceva lo stesso, perché Helena Mellins meritava di essere punita per ciò che era: una sporca sgualdrina che gli aveva tenuto nascosto l’amore per un altro uomo per più di due mesi. La sera prima l’aveva sentita mormorare il nome di Rafe Ellington nel sonno e l’ira si era impossessata di lui, ancora. Nei mesi passati aveva imparato ad amare e odiare sua moglie.

La odiava perché lo aveva fatto in qualche modo innamorare, la odiava perché sapeva di non essere ricambiato e la odiava perché il suo cuore apparteneva a qualcun altro che non era e mai sarebbe stato lui. Bayard non riusciva a tollerarlo. Si trattava di un affronto al suo amor proprio. Maledizione a lei e a quando era entrata nella sua vita!

Silenziosa, dopo la loro cavalcata quotidiana, lei lo aveva seguito in cucina.
«Tra poco il pranzo sarà pronto» gli disse laconicamente. Usava sempre il medesimo tono quando erano insieme: basso, conciso, come se non sopportasse di parlargli. Lui la comprendeva, e questa comprensione gliela faceva odiare ancora di più. Lei aspettava un bambino, però. Le cose sarebbero presto dovute cambiare. Doveva portargli rispetto, capire qual era il suo posto.

«Lo so.»

Bayard, lentamente, si diresse allo scaffale dove custodiva la verga di betulla. La prese, poi ne accarezzò il materiale con due dita, come per assaporarlo. Si girò e gliela mostrò. «Mi dispiace tanto, ma devi capire chi comanda.»
Helena sbiancò e indietreggiò lontana da lui. «No!» Cercò di mantenere la voce calma e forte. «Aspetto vostro figlio, come potete farlo?» Automaticamente si protesse il grembo con le mani. «Vi prego, lasciatemi… »

Per un attimo qualcosa mutò negli occhi di Bayard. Forse c’era ancora qualche sprazzo di magnanimità in lui, forse qualcosa poteva ancora essere salvato.
Helena saltò di lato nell’attimo esatto in cui lui fece roteare la verga sopra la sua testa. Cominciò a correre e imboccò le scale, ma Bayard la raggiunse con le lunghe gambe sul pianerottolo e abbatté violentemente la verga su di lei, afferrandola per un braccio. Helena gridò, poi rotolò a terra tentando di trattenere le lacrime che le bruciavano la gola. Doveva resistere, proteggere il suo bambino, il figlio di Rafe che non avrebbe mai conosciuto il suo vero padre. Avrebbe avuto Bayard come padre, la sua ricchezza...
Era un’egoista. Doveva salvare almeno lui. Proteggerlo da Bayard e da tutta la sua crudeltà, dall’inferno che era la sua vita da due mesi a quella parte.
Bayard alzò ancora la verga, gli occhi pieni di lacrime. «Mi dispiace… Mi dispiace… »

E continuò a ripeterlo anche quando l’oggetto si avventò sulla schiena di Helena, ancora e ancora, fino a quando non ebbe sfogato la rabbia repressa e corse giù per le scale, lasciando la verga sporca di sangue ai piedi di sua moglie. Mary, che aveva sentito tutto nascosta dietro la porta della stanza della sua padrona, con il cuore colmo d’angoscia, si precipitò accanto a lei e la aiutò a sollevarsi, stando attenta a non sfiorare le striature vermiglie sulla sua schiena nuda.
«Venite, milady. Presto vi sentirete meglio. Conosco dei rimedi contro il dolore, ma dovete alzarvi. Subito, o il vostro bambino potrebbe non farcela.»

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora