26. Le parole che ho aspettato così a lungo

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Si stava comportando da perfetta sconosciuta, Helena ne era consapevole. Era la cosa migliore, eppure si accorgeva di quanto Rafe soffrisse per la sua freddezza e, di conseguenza, anche lei stava male. Erano trascorsi due giorni. Giorni di doloroso silenzio, giorni durante i quali lei non aveva fatto altro che guardare tutto fuorché Rafe, preda dei propri incubi interiori e delle proprie emozioni che, a stento, era stata costretta a reprimere. Lui l'aveva informata che entro l'indomani avrebbero raggiunto il tanto agognato Nevada, il luogo in cui si sarebbero poi separati per non rivedersi mai più; l'aveva fatto con la voce incrinata dalla tristezza, però si era trattenuto dal mostrarla troppo. Non sarebbe stato appropriato. Helena lo riconosceva, gli aveva chiesto di fare qualcosa per loro, gli aveva fatto intendere che era disposta a sposarlo, ma lui aveva rifiutato. Qualunque cosa avesse detto o fatto, quindi, non sarebbe tornato sui propri passi.

«Vi fa male? » le chiese Rafe, mentre smontava dal carro e appoggiava le mani sopra le assi di legno che ne costituivano la fiancata destra. Lei si riscosse.
«Cosa dovrebbe farmi male?»
Ecco, pensò Rafe: il tono di superiorità non era ancora volato via.
«La schiena. Vi fa male? Sono trascorse parecchie ore, penso vi serva un po' di riposo.»

«Non ho bisogno che ti preoccupi per me» replicò Helena senza guardarlo.
«Però sì, mi serve qualche ora di riposo. Ci accampiamo qua?»
Rafe annuì, attese che la ragazza smontasse dal carro e lo condusse fino a uno dei grossi cespugli che costeggiavano la strada sterrata.

«Vado alla ricerca della cena» dichiarò pulendosi il sudore dal viso con una mano.
«Tornerò tra poco.»
«La cena?»
«A caccia, miss Burren. Le provviste che ci ha offerto James sono terminate questa mattina.»
Helena lo fissò alcuni secondi prima di ricordarsene; poi annuì e si appoggiò contro la fiancata del carro, a tutti gli effetti esausta.

«Quando tornerai?» Si sarebbe voluta mordere la lingua piuttosto che fargli notare quanto avesse bisogno di lui.
«Per il tramonto, almeno spero.»

Lei chinò la testa in un atteggiamento sconfitto. Non parlò, né si mosse. Per un lungo momento, Rafe rimase in silenzio non sapendo che cosa dire. Lentamente, allungò una mano e sfoderò la pistola. Helena lo osservò avvicinarsi e, quando gliela porse, non poté evitare di guardarlo negli occhi.
«Usatela, se capiterà occasione. E mi raccomando: non lasciate questo luogo, altrimenti non potrò ritrovarvi.»
Poi, aspettò che Helena dicesse qualcosa. Sperava che avrebbe preso la pistola, che non si spaventasse, e infatti, dopo qualche attimo di incertezza, lei lo fece.
«Tornerai.» Non era una domanda, ma un'affermazione, come se fosse assolutamente convinta delle proprie parole.
Rafe annuì. Helena chiuse gli occhi, poi gli diede le spalle intenzionata a non lasciargli capire quanto il pensiero di stare senza di lui la terrorizzasse.
Rafe sospirò. Non immaginava minimamente cosa passava per la testa dell'altra.
«Ci vediamo dopo.»
Le rivolse un ultimo sguardo e sparì, armato di coltello, nel folto degli alberi.

Accanto a lei giaceva la pistola. Sapeva che lui sarebbe tornato, ne era sicura come non lo era mai stata di nulla nella sua vita. Non aveva brutti presentimenti, era solo che non era mai rimasta da sola così a lungo. Era già il tramonto. Anzi, era passato da svariato tempo ormai. Helena fissava ancora il punto in cui Rafe era sparito qualche ora prima, le ginocchia raccolte al petto, le tempie che pulsavano. Quando sarebbe tornato? Quando avrebbe ancora avuto l'opportunità di rivedere il suo viso? Poi si ricordò che non era perché lo amava che voleva rivederlo. Era solo perché, senza di lui, non avrebbe potuto arrivare dal suo promesso sposo sana e salva.
Alla fine, esausta, si accasciò al suolo, accanto alla pistola.

***

«Helena!»
Rafe corse verso il corpo minuto steso a terra con il cuore in gola. Abbandonando le pernici che aveva cacciato, la prese tra le braccia e notò che le guance erano arrossate e sporche di terra. Per fortuna era viva, stava solo dormendo. Lei socchiuse le palpebre.

«Rafe?» La sua voce era ridotta a un sussurro.
«Sei tornato.»
«Ve l'avevo promesso.»
Rafe la aiutò a rimettersi in piedi e si riappropriò della pistola.
«Cosa sono?» chiese lei indicando gli animali morti a terra. Rafe si chinò a raccoglierli e le sorrise.
«Pernici.»
Helena sbatté le palpebre, cercando di riacquistare la lucidità.
«Non credo di averle mai assaggiate.»
«Be', c'è una prima volta per tutto.» Lui le fece un segno con il capo e si sedettero ai piedi del grosso cespuglio.

Un'ora dopo, Rafe si stava concentrando sulle pernici che dovevano ancora finire di cuocere sul fuoco che aveva acceso, mentre udiva lo stomaco di Helena brontolare.
«Sono quasi pronte» la informò. Lei si stava passando un pettine tra i capelli, che ricadevano sciolti lungo una spalla. Quella vista bastò a procurargli un brivido di desiderio che faticò a tenere a bada. La vide annuire, ma non lo guardò. Per quanto ancora avrebbe continuato a figere di essere una sconosciuta per lui? Era una situazione dolorosa da sopportare, tuttavia avrebbe dovuto accettarla.

Divise in due una pernice e gliene porse una metà, poi rivolse l'attenzione alla propria razione e iniziò a mangiare. Helena restò in silenzio finché non ebbero terminato il cibo. Rafe la osservò attraverso le fiamme, chiedendosi se le pernici le fossero piaciute, se si sentisse bene, se fosse stanca o dolorante. Ma non glielo domandò direttamente. Sapeva che lei non gli avrebbe risposto o, comunque, lo avrebbe degnato solo di una risposta evasiva, perciò tenne per sé i suoi dubbi mentre la fiamma del suo desiderio per Helena bruciava dentro di lui, tanto da annebbiargli la mente.

«Potete stendervi, adesso.»
Helena annuì senza parlare, stendendosi su un fianco a debita distanza. Le braci del fuoco si sarebbero presto spente e la notte avrebbe inghiottito ogni cosa, e Rafe non aspettava altro se non che accadesse. Dormire avrebbe alleviato un po' della sua sofferenza, o almeno così sperava.

Lei si addormentò quasi subito. Rafe sentì il suo respiro tranquillo e regolare da dietro le spalle e sospirò amaramente. Non avrebbe più sentito quel suono dolce che era la sua voce, né incontrato il suo sguardo, percepito il calore delle sue labbra, del suo tocco. Forse, però, con il tempo, il dolore se ne sarebbe andato e di lei sarebbe rimasto solo il ricordo. Mentre le ultime braci morivano spente dal lieve soffiare del vento, Rafe si stese dietro di lei e fissò i suoi lunghi capelli che creavano un manto sopra la sua schiena, mentre ascoltava il ritmo cadenzato del suo respiro.
Una forza interiore gli fece dischiudere le labbra per pronunciare le parole che mai avrebbe ammesso ad alta voce, se lei fosse stata sveglia.

«Non sai quanto ti amo, Helena. Non sai quanto dolore io provi nel doverti lasciare nelle mani di un altro uomo. Se potessi, lo sai, non lo farei. Ma si tratta di onore, del mio onore, del rispetto nei riguardi di tuo padre. Ti amo così tanto che il pensiero che lui potrà stringerti per tutta la vita mi consuma. Ma devo lasciarti andare. Perché lui può offrirti un futuro migliore di quanto io potrei mai fare. Ed è solo questo che voglio: che tu sia felice. Che tu stia bene.»

***

Quando, il giorno dopo, giunsero in Nevada, Rafe non sospettava nulla. Non sapeva che la sera prima, sotto le stelle, accanto a un fuoco morente, Helena aveva sentito tutto ciò che aveva detto. E non lo avrebbe mai saputo. Di lì a poche ore si sarebbero separati, e lei non lo avrebbe rivisto mai più. Stava per incontrare il suo futuro sposo. E niente, come quel pensiero, l'aveva mai terrorizzata tanto.

 
Nota autrice: volevo farvi una domanda. Come pensate si comporterà Helena durante l'incontro con Bayard?
Sono solo curiosa di sentire le vostre opinioni😂🤓
 

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Where stories live. Discover now