27. Verso l'addio più doloroso

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Rafe stava ancora cercando di capire come avrebbe dovuto comportarsi in presenza di Bayard Mellins, quando Helena si infilò il nuovo cappellino che aveva acquistato pochi giorni prima e gli si avvicinò. — Credo sia troppo largo per la mia testa — commentò, assumendo l'espressione di una bambina infastidita. — Non trovi?
Lui scosse la testa, non riuscendo a trattenere un sorriso minuscolo. — Non esiste cosa che non vi calzi a pennello, Miss Burren.
— Ti prego, signor Ellington, risparmiati queste smancerie inutili — replicò acida lei. — Non ti si addicono.

Rafe non replicò. Sarebbe stato totalmente inappropriato, così come lo era stato farle un complimento simile nella situazione in cui si trovavano. Resistere, però, era sempre più difficile. Vederla così davanti a lui, così bella, così pura, così fragile eppure determinata, gli faceva desiderare di stringerla tra le braccia, di respirare il profumo dei suoi capelli, il sapore della sua bocca.

— Voi sapete che non era questo che avevo in mente quando ho accettato l'incarico, vero?
Lei non si scompose. — Nonostante questo non ti sei fatto scrupoli a spezzarmi il cuore.
Quello fu il vero colpo al cuore, per Rafe Ellington. Il fatto che Helena lo ritenesse responsabile della propria sofferenza; l'ultima cosa che lui avrebbe mai voluto. Serrò la mascella. — Non è mai stata mia l'intenzione di ferirvi, e voi lo sapete.
— Eppure lascerai che sposi quell'uomo.
Fu il silenzio prolungato di Rafe a gettarla nello sconforto più totale. Non aveva mai del tutto aperto gli occhi come in quel momento, e adesso si scontrava violentemente contro la realtà.
— Non ho altra scelta, Helena.

Ricordò che la sera prima lo aveva sentito dire che la amava. Non lo aveva immaginato, ne era certa. E allora perché non glielo diceva? Perché era intenzionato a lasciarla? Per onore, ricordò anche. Ecco ciò che Rafe aveva detto oltre al fatto che l'amava. Il suo dannato onore.
Lei gli tirò uno schiaffo in pieno viso, a cui lui non si ritrasse. — Si ha sempre una scelta — sibilò. Poi gli diede le spalle, decisa a non mostrare le sue maledette lacrime. — Puoi andare. Grazie per i tuoi servigi.
Le bruciò la gola.
Rafe allungò una mano a sfiorarle i capelli, ma lei si ritrasse repentinamente. Chiuse gli occhi. — Ho detto che puoi andare, Rafe Ellington.
— Non sarò in Chiesa al vostro matrimonio — sussurrò Rafe, senza darle il tempo di rispondere, e poi si infilò il cappello sul capo e corse a prendere il suo piccolo bagaglio. Quando tornò, Helena era ancora girata di spalle, il mento sollevato, sbattendo le palpebre per cancellare le lacrime. E quando la carrozza grigia li raggiunse, il suo cuore perse un battito. Stava per gettarsi tra le braccia di un futuro incerto. Lontano dall'uomo che amava. Raccolse tutto il coraggio che le rimaneva e mosse un passo avanti.

La carrozza si fermò a una certa distanza. Per un attimo Helena sperò che non stesse aspettando lei, che qualcun altro salisse e quella scomparisse come fosse stata solo il frutto della sua immaginazione. Ma poi lo sportello si aprì piano e una mano minuta le fece segno di salire. Con il cuore in gola Helena raggiunse la vettura, seguita da Rafe che scrutava l'interno come per sincerarsi che fosse proprio quella, la carrozza giusta.

— Miss Burren?
La voce femminile proveniva, calda e confortevole, dalla penombra della vettura. Helena annuì debolmente, mentre Rafe consegnava il piccolo bagaglio al vetturino e saliva dietro la ragazza. Dalla corporatura esile, una retina davanti agli occhi e una crocchia austera raccolta sulla sommità del capo, la donna fissò Helena con sincera ammirazione.

— E voi siete? — Si rivolse a Rafe che, avendo le gambe troppo lunghe, era costretto in una posizione quasi innaturale. Lui si schiarì la gola. — Rafe Ellington, accompagno miss Burren.
— E la sua domestica? Tutte le signorine della buona società aristocratica ne hanno una.
Rafe lanciò uno sguardo di sfuggita ad Helena, che abbassò il proprio.
— Non ci ho… pensato. È stata mia zia ad occuparsi di tutto, il viaggio e la scorta.
La donna la fissò a lungo sotto le ciglia invisibili, mentre la carrozza ripartiva. — Capisco.
— La residenza del signor Mellins è molto distante?— chiese Rafe, appoggiandosi un dito sotto al mento.
— No, non molto— fu la sufficiente risposta dell'altra. Nel mentre, Helena non riusciva a smettere di torturarsi le mani. Quella donna emanava un'aura di mistero fuori del normale. Dai suoi atteggiamenti traspariva un'elegante arroganza che, nonostante si sforzasse di tollerare, lei non avrebbe potuto sopportare a lungo. Smise di torturarsi le dita e tornò a guardarla, rendendosi conto che lei non aveva mai smesso di fare altrettanto. — Quanti anni avete, Miss Burren?
— Venti. Posso chiedere il vostro nome, signora?
La donna sollevò il mento, abbozzando quello che sarebbe potuto assomigliare a un sorriso di gelida cordialità. — Mi chiamo Anita Andrews. Sono la governante del signor Mellins.
Rafe si costrinse a non sfiorare la mano di Helena quando la vide tremare leggermente. Sarebbe stato totalmente incapace di lasciarla andare, e ne era consapevole, ben più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Si scambiarono un altro sguardo veloce.

— Questo signor Mellins — cominciò Rafe, sporgendosi appena verso la donna. — Da quanto tempo siete al suo servizio?
— Da tutta la vita.
La risposta glaciale della signora Andrews lasciò entrambi spiazzati. Come poteva, una donna, diventare tanto fredda nei confronti di due sconosciuti?
— Che tipo è, il vostro padrone? — continuò Rafe, facendosi all'improvviso più attento. — Parlateci di lui.
Anita Andrews non sbatté ciglio, seminascosta dalla retina scura. — È quello che è. Immagino che tutti abbiano dei lati oscuri del proprio carattere, non credete, signor Ellington?
Messo in allarme dal tono gelido della donna, Rafe si accigliò. — Cosa intendete per lati oscuri?
— Passatempi insoliti — replicò Anita, rivolgendo tutta la propria attenzione su Helena. — Anche se ammetto sarebbe molto sciocco da parte sua dedicarsi a determinati passatempi, avendo una sposa tanto affascinante.

Lei si sentì gelare il sangue nelle vene. Si ritrasse repentinamente al suo occhio critico, assumendo un'espressione rigida.
— Cosa volete dire?
— Scoprirete presto quanto adori scherzare, Miss Burren — disse Anita Andrews mostrandole, questa volta, un vero sorriso.
— Bayard Mellins è un bell'uomo, comunque, e soprattutto molto curato. — Rifilò un'occhiata quasi disgustata a Rafe, che ignorò deliberatamente la velata accusa ai suoi abiti stinti e alla barba allungata. Helena si irrigidì ancora di più. Stava insultando Rafe, forse lo stava facendo anche volontariamente. Quella donna non le piaceva, e dubitava le sarebbe mai piaciuta. Serrò le labbra in una linea dura.

— Il signor Ellington è un uomo curato — ribatté senza ombra di presunzione.
— Non lo metto in dubbio.
— Molto bene.
— Siamo giunti a destinazione — dichiarò Anita Andrews con un vago sorriso di soddisfazione. — Benvenuti a Mellins' House.

Helena si sporse a guardare dal finestrino. Benché fosse estate, era calata la nebbia che, unita a un cielo cupo, lasciava intendere che presto sarebbe scoppiato un violento temporale. L'atmosfera, quando la carrozza si fermò e lei appoggiò i piedi a terra, divenne terribilmente opprimente, come se un presagio sinistro si aggirasse attorno a loro. La residenza della famiglia Mellins, una magione color avorio, si innalzava maestosa contro un cielo grigio tanto imponente da sembrare sospesa sopra l'estesa brughiera. Rafe aveva visto una magnificenza simile solo nella residenza di Helena.

Ma rimase comunque a bocca aperta quando, seguendo le due donne e salendo l'ampia scalinata di marmo, si ritrovò sul portico in attesa che qualcuno firmasse la sua condanna a morte. Separarsi da Helena. Una volta per tutte. Per sempre. Gli si spezzò il cuore, e strinse più forte il piccolo bagaglio della ragazza. Il gesto venne notato da Anita che, austera e rigida come un manico di scopa, si schiarì la gola. — Vi sentite poco bene, signor Ellington?
— È tutto apposto, signora Andrews — fu la sua risposta distaccata. Helena era troppo concentrata sulla porta ancora chiusa, spaventata e agitata, per prestare attenzione al loro scambio di battute.
— Stephen dev'essere in cucina con qualche membro della servitù, altrimenti sarebbe già corso ad aprire — continuò Anita. — È molto efficiente.
Non è ciò che sembra, pensò Rafe, accostandosi lentamente ad Helena. — Come vi sentite? — sussurrò al suo orecchio, evitando di chinare il capo così che l'altra donna non si accorgesse del gesto. Helena trattenne il fiato. — Io…
Avrebbe voluto dirgli che non stava bene. Che non sarebbe dovuta essere lì. Che avrebbe voluto passare con lui il resto della sua vita. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Entrambi avevano fatto la loro scelta, per quanto dolorosa — e ingiusta — fosse.

In quel momento la porta si aprì piano, rivelando la figura di un uomo segaligno sulla cinquantina, dalle sopracciglia cespugliose e un naso adunco talmente pronunciato che avrebbe potuto affettare l'aria. Il suo sguardo acquoso si posò sulla signora Andrews. — È lei? — domandò, come se né Rafe né Helena fossero presenti.
La signora Andrews annuì, composta. — È lei.
— Prego, entrate pure. — L'uomo si fece da parte per permettere l'ingresso agli ospiti. Anita fu la prima ad entrare, seguita da una sempre più esitante Helena e da un Rafe che avrebbe volentieri tirato un pugno alla vita che gli stava sottraendo la cosa più preziosa che possedesse.
— Da questa parte — dichiarò Anita, mentre Stephen richiudeva il portone d'ingresso alle loro spalle. — Aspetteremo il conte in biblioteca.

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Where stories live. Discover now