31. Il sapore dell'umiliazione

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Helena si destò tra le cortine del letto con il rumore dei secchi per l'acqua che venivano depositati sul pavimento. L’aria profumava di rosa: Mary le stava sicuramente preparando un bagno. Voltò la testa di lato e si accorse che Bayard non c’era. Meglio così, pensò tra sé. La notte precedente l’aveva umiliata. Era tutta dolorante e intorpidita. L’aveva picchiata. L’aveva marchiata. Lei lo odiava. Poi si rese conto anche di un altro dettaglio: la sua camicia da notte era sparita, lasciando il suo corpo — martoriato nel profondo — nudo e vulnerabile. Era stato lui a toglierla? Prima o dopo averla violentata? Lei non lo ricordava. Non ricordava nulla se non un mucchio di incorporei brandelli di realtà, che non riuscivano a ricollegarsi.

Scoprì l'indumento ai piedi del letto, e si allungò per infilarlo, poi scostò le cortine. Udendo il fruscio, Mary si precipitò ad aiutarla.

«Buongiorno, milady» disse con un sorriso non più timido. 
«Il bagno è pronto?»
Non avrebbe voluto essere tanto brusca, non con lei. L’interno delle cosce le doleva da morire. Aveva bisogno di lavarsi per eliminare il sudicio marchio di suo marito, il suo tocco e le sue dita. La ragazza annuì, l’accompagnò fuori dal letto e terminò di versare l’ultimo secchio d’acqua nella vasca di rame, saggiando la temperatura con un dito. Quando comprese che era perfetta, la aiutò ad entrarvi. Helena scivolò dentro fino a quando l’acqua calda non le coprì il collo. Fu allora che Mary si accorse del labbro spaccato, dove spiccava un grumo di sangue rappreso. Un’espressione contorta le si dipinse sul viso, così Helena la interrogò con lo sguardo. Poi ricordò.

Aveva sentito dolore solo sul momento, quando il pugno di Bayard si era avventato su di lei, e per la frazione di un secondo aveva pensato che non dovesse esistere nulla di più doloroso. Poi, però, aveva riflettuto: senza Rafe il dolore sarebbe perpetrato in eterno, un misero pugno non era nulla al confronto. Bayard l’aveva usata per tutta la notte, o quasi. Poi, stancatosi di lei, se n’era andato, forse a iniziare un altro gioco con qualcun’altra. A Helena non importava, né sarebbe mai importato cosa facesse quando non era insieme a lei. Meno tempo avrebbero trascorso insieme, meno soffocante sarebbe stata l’atmosfera. Lo conosceva da poco più di una settimana e aveva già imparato ad odiarlo.

«Non fare quella faccia, Mary» disse, curvando l’angolo del labbro sano in una smorfia amara. «Non deve essere la prima volta che il tuo padrone picchia una donna.»
«Non so di cosa parliate, signorina. Io sono appena arrivata alla residenza.» Mary sembrava parecchio turbata, come se fosse stata lei in persona a ricevere quel pugno. Helena non le credette. Sapeva che non era la verità, se lo sentiva nella pelle. «Stai mentendo, Mary, ma non importa. Io so che sei alle sue dipendenze da molti anni ormai. Immagino avrai assistito a vari maltrattamenti da parte di mio marito, eppure ti ostini a mentirmi.»

Si erano confidate molto, durante i giorni passati. Helena aveva imparato a considerarla un'amica. Non ne aveva mai avuta una. Mary era buona, dolce e gentile, e non le faceva mancare nulla, provvedendo a soddisfare tutti i suoi bisogni e le sue richieste. Parlandole, ascoltandola, Helena aveva compreso quanto avesse sofferto nella sua breve vita. Ma non si era mai spinta troppo in là, non le aveva mai domandato nulla per timore che lei potesse richiudersi in se stessa e diffidare delle sue buone intenzioni. Ma da tempo aveva anche capito che no, Bayard non l'aveva assunta appositamente per sua moglie. Mary lavorava per lui da molto tempo. Si era lasciata sfuggire un dettaglio non di poco conto: conosceva il nome del cuoco, ancora prima di arrivare alla magione. Com'era possibile, se era davvero giunta lì con l'arrivo di Helena?

La ragazza tacque per un lungo istante, mentre Helena si immergeva ancora di più nell’acqua, tamponando il labbro tumefatto con alcune gocce. Faceva male, ma presto sarebbe passato. La sua ferita nel cuore, invece, non si sarebbe ricucita tanto presto. Mary si girò per assicurarsi che la porta fosse chiusa e si sporse verso di lei, la cuffietta bianca che si spostò appena, rivelando la radice dei capelli corvini. Aveva lo sguardo triste, amaro, e guardandola Helena avvertì una fitta al cuore. Si riconosceva in quello sguardo, nonostante non ne comprendesse il motivo.

«Sono alle dipendenze di lord Mellins da quando ho iniziato a camminare, milady. Ma non posso dirvi altro, almeno per il momento. Dovete fidarvi di me. Voi siete diversa, c’è del fuoco in voi. Non lasciate che lui lo spenga.» Per un attimo a Helena parve di leggere le parole vi prego negli occhi della giovane. Cosa poteva essere accaduto a quella ragazza da renderla tanto fragile? Poi si diede della sciocca: esistevano talmente tante cose ingiuste, al mondo, che ognuna di esse sarebbe potuta diventare fonte di dolore. Soprattutto per qualcuno a cui il mondo crollava addosso ogni giorno.

«Mi fido.»
Mary abbozzò un sorriso. «Vi ringrazio. Lo direte all’uomo che amate? A Rafe?» Helena serrò le labbra. Raccontargli che era stata picchiata e violentata dal proprio marito? No, non avrebbe potuto dirglielo nemmeno se avesse voluto. Ormai era tornato a casa sua. Probabilmente si era già dimenticato di lei. Gli sarebbe importato di saperla maltrattata e umiliata? Non avrebbe potuto aiutarla in ogni caso. Era legata a un altro uomo. Per diritto, davanti a Dio e alla sua Chiesa, era diventata di proprietà di Bayard Mellins.

«Che senso avrebbe?»
La ragazza si accigliò, una ruga si formò nel solco tra le sopracciglia scure.
«Se lui vi ama, e sono certa che sia così, potrebbe fare qualcosa per portarvi via da questo inferno. Perché, milady, siete capitata in un vero e proprio inferno.» Le sfiorò una guancia bagnata con il dorso della mano, gesto molto più che inusuale per una serva. «Solo che ancora non ve ne siete resa conto.»

Il vento gli scompigliava i capelli, ma non sentiva minimamente la pioggia battente che aveva cominciato a cadere verso le ultime ore del giorno. Era stato il suo bisogno della notte a spingerlo lì fuori, dell’oscurità. Il sapore della rabbia era ancora là, forte, eccitante. Aveva marchiato a sangue sua moglie e ne aveva tratto piacere. Lei era soltanto una sgualdrina, si era donata a qualcun altro e, cosa ancora più grave, glielo aveva tenuto nascosto. Ricordava di aver provato un certo disgusto, all'inizio. Poi aveva iniziato a godere.

Ma non era così che sarebbe dovuta andare. Bayard aveva pianificato tutto nei minimi dettagli, da quando le avrebbe aperto la camicia da notte a quando sarebbe affondato dentro di lei. Ma Helena Mellins, questo, adesso, il suo nome, aveva sconvolto i suoi piani. Aveva meritato una lezione, e una di quelle che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Doveva ancora capire che, con uno come lui, certi scherzi comportavano un caro prezzo. Le aveva letto la paura negli occhi, il dolore intenso scaturito dalle percosse, aveva goduto nell’imprigionarla sotto di sé, nel vederla debole e indifesa, eppure che lottava per liberarsi come un pesce nelle mani di un pescatore. Naturalmente non l’aveva avuta vinta. Nessuno ce l’aveva mai, con lui. Bayard aveva iniziato a gemere, mentre il fuoco negli occhi di Helena si spegneva lentamente. E così l’aveva domata.

Sotto la pioggia, gli apparve il volto stanco di sua moglie. Le sue labbra piene e perfette si curvarono verso l’alto, poi la rabbia le fece riabbassare di nuovo. Era stato quel tale Rafe Ellington a comprare quel vestito. Aveva minacciato Mrs.Chmbers di farle chiudere il negozio, se non avesse rivelato il nome del misterioso benefattore che aveva donato quell’abito a sua moglie. E lei aveva cantato come un usignolo. Naturale. Da quel momento, Bayard aveva intuito qualcosa, come se uno spiraglio di luce si fosse infiltrato nell’oscurità della sua perspicacia, e quella notte aveva capito chi aveva sottratto la purezza di Helena. Era stata opera sua. Lui l’aveva portata a letto, e ne era certo come di poche cose era stato nella sua vita. Rafe Ellington doveva pagare. Con il sangue, con la vita. Di lui non sarebbe dovuto rimanere altro che una flebile ombra sciupata, destinata a dissiparsi nel vento. Lo giurò a se stesso, mentre la pioggia battente lo avvolgeva nelle sue braccia e gli inzuppava completamente i capelli e gli abiti. Avrebbe pagato, e sarebbe stato per mano sua.  

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Where stories live. Discover now