10. Tempesta interiore

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Si allontanò a malincuore, ammirando con occhi brillanti le labbra di Rafe. Avrebbe voluto sporgersi di nuovo, sfiorarle, accarezzare la sua pelle scurita dal sole, intrecciare le dita in quei capelli costantemente arruffati… Ma non poteva, e lo sapeva. Le tornò alla mente il volto di sua madre, i suoi insegnamenti, la serietà con cui le aveva fatto capire che mai e poi mai avrebbe dovuto permettere a un uomo di baciarla fuori dal matrimonio. Come avrebbe reagito, la sua defunta madre, se avesse saputo che era stata una sua iniziativa baciare Rafe Ellington?

Poi, nell'oscurità, gli occhi che fino a quel momento erano stati chiusi si spalancarono. Helena trasalì, il cuore che le galoppava nel petto, mentre fissava atterrita quei zaffiri brillanti nel buio.

«Che cosa diavolo state facendo?» sibilò Rafe in tono impastato, poi le intrappolò i polsi sottili tra le dita.
«Io non... non volevo fare niente di male» si difese lei balbettando. «Lasciatemi, mi fate male!»
Lui accentuò la stretta.
«No.»
«Lasciatemi, Rafe!»
«Volevate uccidermi?» le inveì contro Rafe, accigliandosi.
Lei sgranò gli occhi. «Avete per caso perso il senno? Perché mai dovrei volervi uccidere?»
«Perché io non vi piaccio e lo avete fatto intendere chiaramente.»
Il respiro di lei aumentò il ritmo, inducendola ad ansimare sotto la sua attenzione scrupolosa.
«Voi mi piacete, Rafe… Non potrei mai desiderare la vostra morte.»

Un bagliore più intenso illuminò lo sguardo di Rafe mentre si sollevava per metà. Senza interrompere il contatto visivo, la fece voltare bruscamente sulla schiena e la imprigionò sotto di sé, sollevandole i polsi sopra la testa. Helena si dimenò con foga, scalciando contro le sue gambe robuste, ma a nulla valsero i suoi tentativi; Rafe era una roccia, lei una foglia che il vento avrebbe potuto far volare via da un momento all'altro.
Percepì un calore intenso tra le gambe, mentre il suo cuore non accennava a rallentare il ritmo. Gli occhi di lui parevano mandare scintille. Qualcosa mutò nel suo atteggiamento; divenne più gentile, più morbido e lei poté percepire con il respiro pesante il battito rapido del suo cuore. Che cosa stava succedendo?

«Lasciatemi, vi prego» mormorò e risultò quasi una preghiera.
Rafe allentò la stretta solo un po'.
«No… » disse con voce roca prima di chinarsi su di lei. «Non posso resistere ancora.»

Appoggiò delicatamente le labbra su quelle di Helena, che, superato un iniziale momento di panico, si arrese definitivamente e le schiuse con timida audacia, permettendo l'accesso alla lingua di lui quando premette più a fondo. La lingua di Rafe trovò la sua, inesperta e docile, e giocò con essa fino a intrecciarsi completamente, mentre le lasciava andare un polso e con la stessa mano le sfiorava il collo e la nuca.

«Helena… » sussurrò con la sua voce profonda, arrochita dal desiderio. Catturò di nuovo le sue labbra e lei gli circondò il collo con le braccia libere, intrecciando le dita nei suoi capelli, come aveva desiderato fare troppe volte. Si lasciò sfuggire un gemito basso quando la lingua di Rafe tornò a impossessarsi della sua. Non avrebbe voluto che smettesse, si rese conto sconvolta; provava un tale piacere che arrivò a pensare che non le sarebbe servito nient'altro che Rafe, la sua bocca, il suo corpo premuto contro il proprio... Lui picchiettò il suo labbro inferiore con la lingua e qualcosa, dentro di lei, in una parte che non aveva mai preso in considerazione, esplose.

Per lui fu come tornare a casa. Quel bacio trascinò con sé gioie e dolori, fu come il suggelamento di una promessa, come l'inevitabile realtà della tempesta che si agitava nel suo cuore da giorni ormai. Come un uomo perduto in un arido deserto, Rafe Ellington si nutrì avido della dolcissima acqua di quel bacio. Erano anni che non sfiorava le labbra di una donna. Sophie Carrigan ci aveva provato, tanti anni prima, ma nemmeno allora lui aveva provato un tale, impetuoso desiderio come stava accadendo con Helena.
Avrebbe dovuto fermarsi, ne era consapevole, avrebbe dovuto porre fine a quella passione spropositata, anteporre la ragione al cuore. Ma Helena si stava premendo inconsapevolmente contro di lui, stimolando la sua parte più nascosta, che per troppo tempo era rimasta sepolta. E lui aderì ancora di più contro quel corpo minuto, immergendosi nelle curve delicate di quella piccola donna, mentre le mani di Helena gli tiravano piano i capelli e dalle sue labbra calde sfuggivano continui gemiti rochi.
«Rafe… » mormorò premendogli i palmi sottili contro il petto. «Fermatevi... vi prego.»

E lui lo fece. Si allontanò da quel corpo con l'agilità di un felino, saltando indietro e passandosi una mano sul volto per cancellare in minima parte il ricordo pulsante di quel bacio.
La sentì singhiozzare, e allora tornò da lei, stringendola tra le braccia prima che Helena potesse respingerlo. Lei si lasciò cullare, affondando il volto nell'incavo della sua spalla e pianse, colpevole, fino a quando il sonno non la trascinò tra le sue spire.
Rafe si appoggiò alla sella dietro la schiena e continuò ad accarezzare quei capelli di seta, a diapetto della polvere e i nodi, cercando di domare la tempesta impazzita nel suo cuore.

Non poteva essere successo davvero.
Eppure era stato così. Sotto quella luna magnifica, lontano dell'Illinois, lui, un insignificante dottorino di campagna, che viaggiava sotto le mentite spoglie di una guardia del corpo, aveva baciato la figlia di un ricco aristocratico, promessa in sposa ad un altro uomo.
Che Dio lo aiutasse.
Era spacciato.

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Where stories live. Discover now