Capitolo 43

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Seguo la scia di quella lacrima che leggiadra era scivolata fin sopra le sue labbra, il cuore gelato da quella domanda non era stato capace di infondermi il coraggio necessario per riuscire a guardare quella che era la conseguenza della sua tristezza.
Quando il tumulto interiore si ridusse ad un dolore secco presi il telefono in mano e visto il mio peccato ritratto su quelle foto il disgusto che cercavo di gettare sotto tappeti come fosse polvere venne scoperto e mi ricadde addosso più pesante di quanto fosse mai sembrata.

Guardai nuovamente il suo viso e non mi meravigliai di non vedere più alcun segno di cedimento, nascosto dietro una maschera di apatia.

"È questo che nascondevi?" nessun accusa nella sua voce, era diventata un suono equivoco privato di sentimenti.
Non provo nemmeno a spiegarmi, la lotta che si era a lungo tenuta dietro i miei occhi si era spenta.

"Vado a raccogliere le mie cose, poi me ne vado. Non ti disturberò più." avvio le gambe con in testa l'unico pensiero di dover imparare alla fine a rinunciare alla sua presenza.
Sento la sua mano intrecciarsi alla mia e per la prima volta mi sembra morbida come quella di un bambino, priva di difetti come tutto in lei.
Mi giro a guardarla come si guarderebbe una cosa astratta e il mio stupore si evolve quando le sue labbra iniziano a muoversi.

"Sei malato, vai a letto. Ti porterò qualcosa appena riesco"

"Alys.." nega con il capo e cerca di farmi un sorriso riuscendo solo in una smorfia.

"Ho solo bisogno di stare da sola, và sù" si gira dandomi le spalle e quella curva che assumono mi rivelano quanto sia realmente provata da questa situazione, faccio per avvicinarmi ma ad un passo dal toccarla divento d'un tratto vigliacco e fuggo dalla situazione rintanandomi   nella camera oscurata dalle persiane.
Passa il tempo e quando sto per addormentarmi sento la porta venir colpita da pugni.

"Avanti" mi metto seduto con la schiena poggiata alla testiera del letto, lo sguardo rivolto alla ragazza che mi aspetto varchi la porta ma senza alcun risultato.
Mi alzo raggiungendo la porta ed aprendola in un'unico secco movimento e quello che vedo quasi inciampandoci sopra è una tazza fumante di thè e dei biscotti, vicino un biglietto.

"Non riesco a fare di meglio, per ora.
Se hai bisogno di qualcosa scrivimi un messaggio." sento un singhiozzo provenire dal basso e come sono abituato a fare da molto tempo le mie nocche vengono a contatto con il duro legno della porta facendomi per un attimo vedere le stelle, stringo i denti serrando le palpebre prima di cingermi a prendere il vassoio.
Le parole che mi bruciavano la gola si fusero come ghiaccio al sole lasciandomi fondere con loro, gli attimi ritratti sul quel telefono mi colpiscono le tempie facendomi rivivere attimi ingiusti.

"Sono la tua puttana" la voce nei miei ricordi mi porta quasi a cingermi le gambe con le braccia e abbandonarmi a qualche debole lacrima, mi alzo per raggiungere il bagno ma come mi aspettavo i ricordi iniziano a intasarmi la testa.

Flashback..
"Sono la tua puttana Dean, devi scoparmi, lo so quanto ti piace quando sei ubriaco" la mente annebbiata mi portò a sorridere alle sue parole

"Diana, oh Diana, tu non sai un cazzo di quello che mi piace" un cipiglio durò meno di un battito di ciglia sul suo volto prima di lasciar spazio ad una risata, si alzò mettendo in mostra il suo completino intimo trasparente e venendo lentamente verso di me

"Mi piace quando sei ubriaco e mi scopi, sei violento" mi poggia una mano sul cavallo dei pantaloni e con l'altra raggiunge il suo sesso iniziando a stuzzicarlo.

"Levati, non ho voglia" la spingo indietro facendola barcollare sui tacchi a spillo ma ritorna alla carica sapendo che quello che voleva non era tardo arrivare.
Mi sbottona piano i pantaloni infilando una mano nei boxer e cacciandolo fuori, muove la mano su e giù per tutta la lunghezza.

ResilienceWhere stories live. Discover now