Capitolo 25

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Non sapevo cosa dire o se sentisse la mia voce, non c'era nessun rumore in quella stanza, tranne il macchinario che segnava i suoi battiti cardiaci. Lo guardai a lungo, era lì, era viva. Allora perchè non riuscivo a tranquillizzarmi? Perchè sentivo che un peso mi stava opprimendo e mi impediva anche di respirare?
Le accarezzai una guancia stando attento a non muovere nessun tubicino.

"Puoi sentirmi, bambina?" nessun segno, cosa mi aspettavo? Che aprisse magicamente gli occhi per dirmi che andava tutto bene?
"Nei film succedeva così" mi giustificai.
Iniziai a parlarle, non sapevo esattamente cosa dire così lasciai libero accesso al mio cuore.

"Non sopporto vederti così, sai bambina? Di solito sei un uragano!" una risata amara prorompe dalle mie labbra, stavo facendo di tutto per non abbandonarmi alla tristezza.

"Mi sono ritrovato spesso a pensarti in questi giorni, poco più di una settimana. Da quando ti ho vista quel giorno al parco qualcosa è scattato, ridevi forte e mi hai attratto come una falena viene attratta dalla luce. Ti ho guardato e pensato di non aver visto mai nessuna ragazza così bella e semplice. Sembravi un maschio in realtà a primo impatto. Per qualche giorno mi hai odiato, e io odiavo te, perchè non eri arrendevole.
Poi ho capito, credevo fossi solo una sfida per me, ma ora che sei in questo letto mi rendo conto di quanto io mi senta privato di un pezzo del mio cuore. Sto imparando a guardarti con occhi nuovi, di come incroci le braccia al petto quando sei insicura, di come aggrotti la fronte quando sei penseriosa e se aggiungi le labbra serrate sei arrabbiata, so distinguere le tue risate, quando getti la testa all'indietro è sincera, se invece fai prima un sospiro è di cortesia." le accarezzo i capelli e poi la guancia ritmicamente continuando a parlare.

"So anche che nascondi molte cose dentro il tuo cuore e questo mi fà capire quanto tu sia una persona forte sebbene tu sembra uno scricciolo.
Solo una persona che ha visto il dolore sa riconoscerlo." il silenzio incombeva in quella stanza, i miei battiti si erano regolarizzati con il bip dell'apparecchio vicino a me e un'altra lacrima prese il posto della precedente.
"Promettimi che ci proverai, sei forte, io credo in te. Non puoi abbandonare tutto..non puoi abbandonarci tutti"
Sentii la porta aprirsi e un dottore far capolino dentro la stanza.

"Mi dispiace interrompere giovanotto, ma dovremmo far altre visite alla paziente." annuisco e mi alzo stampandole un bacio sulla guancia, quando sono vicino al dottore lo guardo.

"Quando potrò venire di nuovo qui?" l'impazienza era notevole nel mio tono.

"Non oggi, è stata un'eccezione che lei sia entrato, di solito applichiamo la regola delle 24 ore in casi come questi, ripassi domani.." lo ringrazio e esco lentamente dalla stanza ordinando ai miei occhi di staccarsi dalla sua figura.
Fuori mi tempestano di domande, vedo una figura arrivare, una signora sulla quarantina, presumo sia sua madre. Si avvicina tremante.
Sono poche le somiglianze con la figlia, probabilmente avrà preso da suo padre, che non vedo. Non so nulla della sua famiglia e mi chiedo quanto io sappia poco di lei.

"Siete amici di Alyssa?" la sua voce è tenue, bassa. "Qualcuno di voi è entrato? Ho chiesto in giro ma non me lo permettono, come sta?" le faccio un breve resoconto di ciò che so e delle sue condizioni e annuisce piano.
Decidiamo di comune accordo di andare, la madre sarebbe rimasta un'altro pò, l'indomani mattina sarei stato il primo a passare. Sapevo avrei passato la notte in bianco, non potevo dormire sapendo che lei era in un continuo bilico, decisi di fare alcuni servizi per lei e mi dileguai.

Alyssa's pov
Non sapevo quanto tempo avevo dormito, i miei occhi si rifiutavano ancora di aprirsi. Mi ritrovai a pensare a quanto fosse strana quella situazione, il cervello era una macchina complessa ed immensa.
Ma il mio evidentemente aveva un problema.
Mi sforzavo di ricordare il motivo per cui ero stata investita, ricordo il momento e la mia angoscia, ma a cosa era dovuta? Sono sempre stata una persona molto prudente quando camminavo -o correvo- per strada e sapevo di non essere quindi in uno stato di quiete. Un breve flashback mi inondò come un fiume in piena, avevo la fronte imperlata di sudore e sentivo il cuore battermi all'impazzata, sembrava aver preso il posto del cervello perchè il suo eco rimbombava nelle mie orecchie, vidi la macchina e ricordai il volo, dopodiché il vuoto fino a quando mi sono risvegliata in ospedale.
Risvegliata era un parolone, per un attimo pensai di aver perso la vista, ma mi resi conto che mi era sfuggito anche il controllo del corpo. Sentivo un odore conosciuto aleggiare sul mio volto: menta.
Lui è stato qui, volevo vederlo, dirgli che avevo paura e che volevo capire cosa mi era successo prima dell'incidente, ma non potevo fare nulla di tutto ciò. Iniziai ad agitarmi, avevo paura di quello che poteva succedermi, sentivo come se una specie di vuoto si stesse propagando per tutto il corpo. Immaginavo una nube densa e nera coprirmi interamente per spegnermi e cercai di urlare, ma come poco prima il mio cervello non riuscì a resistere allo sforzo e cedette.
Caddi di nuovo addormentata, o almeno credevo, non riuscivo a distinguere le due cose, non sapevo come definire quello che accadeva nella mia testa.
Il momento del risveglio fu traumatico quella seconda volta, fù come se avessi colpito la mia testa con un mattone.

"Eh beh hai un trauma cranico, ricordi?" ottimo, ora avevo altre voci nella testa

Sento una sedia scricchiolare e cerco di limitare al minimo i miei pensieri per concentrarmi sui suoni, il suono si ripete e sento uno sbadiglio, qualcosa mi tocca la guancia e il mio corpo sembra prendere fuoco.

"Aspetta" mi dico "Hai sentito il tocco sulla tua guancia" la voce ha ragione, ho sentito il tocco.
Lascio i festeggiamenti a dopo, ho capito che lui è qui, il mio corpo ha reagito volontariamente al suo tocco.

"Non riesco a dormire, bambina, sono 5 giorni che non lo faccio. Vuoi ritornare da me? Ho bisogno di sapere che stai bene per poter dormire" sentire la sua voce mi ha scombussolato così come la notizia che sono qui già da 5 giorni. Vorrei potergli urlare che sto bene, solo per tranquillizzarlo, ma in realtà non so come sto. I dolori si sono risvegliati insieme al mio corpo e la sofferenza era tale da indurre la mia voce mentale gridare, sembrava fossi trafitta da mille lance appuntite.

"Quando usciremo da qui ti porterò a fare una passeggiata, non ne abbiamo mai fatta una insieme. Mio nonno mi ha sempre detto che il modo migliore per capire se una donna sta bene con te è portarle a fare una passeggiata. Ti porterò a cercare le cose piccole in questa grande città, come le vecchiette che parlano da un balcone all'altro. Diceva che camminando i pensieri stupidi corrono via e rimane solo quell'attimo, ti porterò poi a bere qualcosa prima di cena, la chiamava "la prova del nove" e se vorrai cenare con me dopo l'aperitivo allora significa che ti faccio stare bene, perchè una ragazza se sta bene ha sempre fame." la sua voce aveva perso la sua intensità, il tono era basso e triste come se parlasse da giorni. Questo suo tono mi fece perdere un battito e sentii uno strano bip uscire dalla macchina che mi monitorava il cuore.

"Cos'era quello? Lo osservo da giorni, spero forse che riesca a darmi un segno." credo di averlo appena fatto.

"Oggi la professoressa Stewart mi ha fermato nei corridoi per chiedermi come stavi, ha detto che da quel poco che ha visto sà che sei una persona forte e che riuscirai a riprenderti" la ringraziai per la considerazione che aveva di me.

"Ania ha pianto meno del solito oggi, sta facendo progressi. Jos è venuto oggi, poi è dovuto scappare. Lo apprezzo per la preoccupazione nei tuoi confronti ma lo ucciderei lo stesso per il modo in cui ti guarda." l'ansia mi attanagliava, ero triste per loro, che erano costretti a guardarmi e si sentivano tristi per me.
Sentii un peso sul letto e capii che aveva appoggiato i gomiti sul letto, volevo tanto guardarlo in faccia, accarezzargli la guancia e rassicurarlo sperando di riuscire a porre fine alla sua tristezza.

"Non ce la faccio più, bambina. Potrei sembrare egoista, ma ho paura che mi lascerai." questo era il momento, vorrei svegliarmi e gridare a pieni polmoni di stare bene, vorrei che qualunque cosa non stava funzionando riprensease a funzionare. Non sopportavo l'idea di star creando dolore a altri.

La porta si riaprì nuovamente e sentii Dean salutare qualcuno.
La voce era troppo lontana per arrivare alle mie orecchie o semplicemente non mi stavo sforzando di capire. Quando si avvicinò ulteriormente capii di chi si trattasse, mia madre.
Ancor prima di realizzarlo sentii che qualcosa non andava, era come se il mio cervello fosse impazzito, mandava segnali di panico a tutto il corpo che iniziò a tremare come se fosse scosso da un'attacco epilettico.
Il cuore iniziò a pulsare velocemente, me ne accorsi dal rumore assordante che iniziò ad emettere la macchinetta.
Qualcuno urlava di più, sentivo suoni smorzati arrivarmi alle orecchie e in quel momento pensai di poter morire, qualcosa mi colpì il braccio, poi di nuovo nulla. Il buio mi vinse.

ResilienceWhere stories live. Discover now