Capitolo 27

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Dean's pov
Altri due giorni sono passati, il dottor Dimitri dice che nota molti miglioramenti e aspetta anche lui con impazienza il momento in cui si risvegli. Abbiamo dovuto parlare con sua madre, la sua reazione è stata molto cauta come se già sapesse della possibilità di questa reazione da parte di sua figlia. È comunque venuta questi giorni, si limitava a rimanere davanti alla porta e a guardarla in silenzio. Nei suoi occhi vedo risentimento, sbagli commessi che hanno gravato sulle loro vite.
Sono a scuola ora, cammino da 7 giorni tutte le mattina tra questi corridoi con la costante paura che lei possa svegliarsi senza avermi accanto, non credo di essere così importante per lei come lei lo è per me, la mia paura è tutta basata sulle parole del dottore. In questi giorni preme sul fatto che io sia la sua cura, la sua unica possibilità di trascinarla fuori dalla sua testa.
Non mi ha sorriso più e sto iniziando a pensare che io abbia solo visto un riflesso o me lo sia semplicemente immaginato, ma so che in realtà non è così.

La gente sembra inglobarmi con le parole, con la propria felicità mentre io sembro un relitto che lentamente affonda, risucchiato dalle acque.
Mi gratto il mento pungendomi con la barba che aveva iniziato a coprire il mio volto, segno di svogliatezza di quei giorni.

"Ti dà un'aria da duro" mi aveva detto Zac poche ore prima.
Questa settimana ero mancato a tutti gli allenamenti della mia squadra, si, ero capitano della squadra di basket e negl'anni mi aveva sempre risollevato da diversi fallimenti.

Mi fermo davanti all'armadietto e prendo i libri per l'ultima ora, prima di ritornare in ospedale, lo guardo dimenticandomi momentaneamente cosa fossi venuto a fare e poggio la testa sul mio braccio.

"Capitanooo" non mi scomposi e tenni la testa in quella posizione, la voce delle cheerleader era uguale per tutte.
Sembrava che alle audizioni ti scartassero se la tua voce non raggiungeva come minimo un'ottava o somigliasse a quella di un'oca strozzata.

"Capitanoooo" mi giro a fissare in modo truce la ragazza che sta urlando nel mio orecchio e mi trovo davanti Kate, una ragazza del quarto anno, capelli neri e occhi dello stesso colore, magra e senza forme.

"Cosa vuoi?" il mio tono la porta a fare qualche passo indietro intimidita.

"Il coach voleva sapere se fossi stato presente agli allenamenti di oggi" la sua voce sembra essersi miracolosamente abbassata e ringrazio qualsiasi divinità esistente.

"Riferisci al coach di rivolgersi a Zac, lui gli spiegherà tutta la situazione" annuisce e scappa via come se qualcuno la inseguisse mentre io proseguo la mia giornata.
Entro nell'aula di letteratura e prendo posto al mio solito banco, guardo il banco vuoto al mio fianco come faccio ormai da una settimana, ho vietato a tutti di sedersi, nessuna distinzione.
Troppe domande mi frullano per la testa da quando, due giorni fa il dottore mi ha detto che la crisi di panico era dovuta dalla presenza della madre e le stesse domande si stanno intensificando da quando ho visto lo sguardo della madre: paura, colpa, sofferenza.

Erano sempre le solite a girarmi in testa: Dov'era suo padre? Cosa significa quello sguardo, per cosa si sente in colpa? Cosa ha dovuto subire Alyssa nella sua vita?

Questo non conoscere nulla della sua vita mi stava dando il tormento, per ora so solo del suo tatuaggio e del suo ex ragazzo, Luke. Ma un dolore più grande di una delusione amorosa aleggia dietro il suo sguardo, qualcosa di cui si caricava da troppo tempo, con cui faceva conto ogni giorno della sua vita.

La professoressa entra e inizia la lezione, poggio la testa sul banco fingendo di ascoltare. Una vibrazione mi distrae e mi abbasso a recuperare il cellulare dentro lo zaino, lo posiziono in modo che la professoressa non possa vederlo ma il nome che compare sopra mi porta ad alzarmi e precipitarmi fuori la porta.
Sono consapevole di essere sembrato un pazzo, ma in questo momento è l'unica cosa di cui non mi importa, mk fermo subito dopo la porta e rispondo al cellulare.

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