29. feel me

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«Amore, io allora vado» Caleb prese le valigie e le poggiò sullo stipite della porta mentre sua moglie gli diede un bacio sulla guancia, prima di salutarlo con un gesto della mano.

«Va bene, fai attenzione»

A quanto pare Caleb era stato chiamato a Madrid per un nuovo incarico di lavoro.

Callisto chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso le scale. «Ragazzi venite, è ora di andare a scuola»

Nessuno rispose. Li chiamò un' altra volta, ma di Sophia ed Austin non vi era traccia. Nonostante facesse molta fatica, con il cuore in gola per la preoccupazione, la donna salì sulla scale. Quando arrivò all'ultimo gradino per poco non scivolò visto che i bambini le saltarono addosso. Mormorò qualcosa sottovoce e si toccò la pancia. Mancavano circa quattro mesi al parto.

Quando pensi che una creatura stia nascendo dentro di te, non puoi fare altro se non essere felice. I bambini solo la cosa pià bella e speciale che Dio ci abbia dato ed essere genitore è una benedizione. Non ci sono parole adeguate nel descrivere la sensazione di tenere nelle proprie braccia un neonato e di toccare le sue piccole manine. Quando stai per diventare madre non puoi provare gioia maggiore, gli occhi ti si riempiono di lacrime ed il petto si alza e si abbassa per l'emozione, la felicità e la trepidazione. Per la prima volta, dopo tanto mesi, quel bambino per Callisto significava una nuova rinascita, un nuovo punto da cui ricominciare.

«Dai su, siamo in ritardo»

Austin e Sophia presero i loro rispettivi zaini e salirono in macchina. Callisto mise in moto l' auto e in meno di dieci minuti era arrivata davanti scuola. «Ci vediamo alle 14:00 ragazzi, a dopo» baciò le loro fronti e li lasciò andare. Attraversò la strada ed una macchina ferma al semaforo rosso attirò la sua attenzione: sul sedile anteriore destro c'era un giacchetto. Quel giacchetto rosso con la bandiera canadese era di Jason, ne era sicura. «Da chi hai preso quella giacca?»

Josè sbatté le mani sul volante. «Non so di cosa lei stia parlando, si sta confondendo»

«No, io ti ho già visto. Eri tu quando una notte mi sono fermata in un pub e casualmente sapevi che fossi incinta. Perché sei in città?»

L' uomo, al scattare del verde, stava per continuare il suo viaggio quando Callisto scese dalla macchina, bloccando il traffico, e gli si posizionò davanti. «Rispondi alla mia domanda»

«Apri gli occhi: Jason è vivo, non è morto. Per i particolari chiedi a tuo marito, lui è ben informato» le fece l'occhiolino mettendo in moto, andandosene.

Prese il cellulare dalla tasca e chiamò Caleb. Il suo numero era irraggiungibile.

Cosa c'entrava lui in tutta questa faccenda?

MADRID.

Jason spinse con la mano la maniglia della porta della psicologa. Oggi era il suo primo giorno di terapia ed era curioso di sapere chi sarebbe occupato di lui.

«Non stia lì impalato, entri» lo incoraggiò qualcuno aprendogli la porta.

Jason guardò la stanza dove la psicologa operava: le pareti erano di un banale color bianco con qualche quadro qua e là, non era molto grande ma accogliente abbastanza da abbracciarlo con tutto il calore che emanava.

Una donna dai capelli corti e castani si presentò davanti a lui volendogli stringere la mano. Il paziente indietreggiò. «Mi scusi, credo di aver sbagliato studio. Con permesso»

«Non abbia timore di me. Non è Jason McCann lei? Piacere, io sono Charlotte Reyes e sostituirò la dottoressa Malik per due mesi»

Jason la guardò con gusto, analizzando prima di tutto il suo décolleté e il suo lato B.

Niente male.

Pensò, rabbrividendo non appena la porta dello studio si chiuse.

Scrollò la testa squadrandola meglio: dei bellissimi occhi marroni coronavano il suo viso e le sue labbra sottili e rosate lo facevano impazzire.

«Ora vorrei conoscerla meglio. Mi dica, perché è a Casa Maca?» domandò Charlotte togliendosi la giacca che indossava.

«Uccido le donne. Ne traggo piacere e anche perchè mi piace molto il colore rosso, il rosso del sangue. Sono così scaltro e calcolatore che potrei ucciderla senza che lei se ne accorga sa. È molto buffa con quel cappello strano» mormorò ridendo.

Gli occhi della psicologa si spostarono verso un punto impreciso della stanza, toccandosi il cappello irlandese che aveva in testa. «Può non fare affermazioni personali? Grazie» rispose seccata.

«Posso dire quello che mi pare, la pagano per risolvere i miei problemi e non dirmi cosa devo fare» borbottò lui infastidito.

«Vedo che non sa proprio cosa sia il rispetto verso una persona più grande di lei, ma non si preoccupi che avremo modo di parlare e conoscerci meglio. Ci tengo a precisarle che risolvere i suoi problemi non significa che lei deve crearne di nuovi a me»

Intimidito dal suo sguardo, Jason si guardò le mani. «Mancano solo cinque minuti alla fine della seduta, se permette» si alzò guardando ancora l'orologio.

«Signor McCann, la prossima volta lasci l'acidità altrove. Ah, e quel colore le dona molto» concluse Charlotte riferendosi alla sua maglietta rossa, sorridendogli.

wake up ➳ jason mccann as justin bieber Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora