26. shotgun love

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Aprì gli occhi quando qualcosa gli cadde sulla fronte. Respirò affannosamente e si accorse che fosse solo acqua. Per pochi secondi si dimenticò di dove fosse, ma poi tutto divenne più chiaro: in cella. Quel luogo era silenzioso, anche se in lontananza si sentiva il lamentarsi di alcuni detenuti. Era buio, nonostante una fioca lampadina del corridoio del carcere illuminasse le celle. Poteva vedere in lontananza l'oscurità della notte che circondava quel posto.

Sentì dei passi e si alzò, curioso di andare a vedere chi fosse. Cercò di sporgere la testa tramite le sbarre senza successo.

Una voce parlò. «Jason, sono venuto a prenderti»

L' eco fece risuonare quelle parole nella testa del ragazzo, il quale si allontanò camminando fino ad arrivare al muro. «Questa è solo la mia immaginazione. Questa è solo la mia immaginazione. Questa è solo la mia immaginazione. Tu sei morto» si ripeté urlando, portando le mani verso il buio e cercando di combattere qualcosa che in verità non c'era.

Quei passi. Quei maledetti passi.

FLASHBACK.

Poteva sentire suo padre camminare e fermarsi davanti alla porta della sua stanza. «Apri questa fottuta porta» urlò.

Jason sapeva benissimo che il padre fosse ubriaco, come sempre. Poteva sentire il liquido muoversi nella bottiglia nella mano di Jeremy, suo padre.

Non piangere, non piangere, non piangere. Questa volta non mi farà più male.

Pensò Jason mentre il suo cuore batteva sempre più forte, fino a sentire che sarebbe uscito dal suo petto. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cancellando le umide lacrime dalle sue guance.

«Apri questa porta di merda» urlò ancora Jeremy. «Mi stai facendo perdere la pazienza»

Puoi farcela Jason, ora sei grande. Devi solo uscire e compragli un' altra bottiglia di vodka per farlo contento.

Ma non era così semplice. Non sarebbe bastata una bottiglia perchè lui avrebbe buttato giù la porta e l' avrebbe picchiato.

Jason aprì la porta e suo padre lo colpì sulla guancia destra. Gli fece male ma non gridò. Gli fece male ma non si protesse.

Jeremy lanciò la bottiglia a terra e prese suo figlio per un braccio. «Mi devi portare rispetto hai capito moccioso?»

«Papà smettila di bere, ti prego...»

Prima che potesse finire la frase, gli arrivò un pugno sul naso. Poteva sentire il sapore del liquido rosso nella bocca.

Mi ucciderà. Mamma dove sei?

Nonostante lo avesse pregato, Jeremy non si fermò. Nonostante cercasse di alzarsi, non ci riuscì. Continuava a colpirlo.

La sua vista divenne annebbiata ma riuscì a sentire qualcuno entrare dalla porta. Ha una pistola in mano. Non capisce chi sia. Stanno litigando. Chiuse gli occhi e si promise che lui ne sarebbe uscito fuori da questa storia. Sentì delle voci, uno sparo e poi il nulla.

FINE FLASHBACK.

Si sedette in un angolo della cella e si mise le mani nei capelli. Aveva la fronte sudata eppure non gli importava di pulirsi. Lo spazio intorno a lui divenne sempre più piccolo tanto che incominciò a respirare sempre più affannosamente.

«Jason» ancora quella voce.

«Tu non sei reale, non esisti. Tu sei morto» baccagliò tirando dei calci al muro.

Poteva sentire lo scricchiolio della cella aprirsi mentre la sua vista diventava sempre più offuscata quando qualcuno lo prese da dietro per iniettargli qualcosa.

IL GIORNO DOPO.

Aprì leggermente gli occhi sentendosi ancora delle maledette gocce scendergli sul viso. Si toccò la fronte per vedere cosa fosse. Era un panno umido.

Cercò di toglierselo ma qualcuno glielo impedì. «Hai la febbre, lascialo»

Jason si toccò la fronte sentendo un mal di testa allucinante. «Cosa mi è successo?»

La dottoressa Ramos scarabocchiò qualcosa su un foglio e ritornò dal paziente. «Non sei stato bene stanotte e ti hanno dato un calmante»

«Con una siringa? Sono pazzo, non stupido» mormorò.

«Se volevi potevamo lasciarti combattere da solo con i tuoi demoni» la donna prese il panno dalla fronte di Jason e lo inumidì con dell' acqua tiepida.

«Grazie per avermi salvato la vita allora» rise sarcastico.

«Prima è venuto qualcuno a farti visite»

«Chi era?»

«Un certo Caleb. Mi ha detto di riferirti che lui si sarebbe preso cura di tuo figlio, visto che tu non puoi» la dottoressa Ramos fece spallucce. «Non sapevo avessi un figlio»

Fece una smorfia. «Ti ha detto qualcos'altro?»

«Che una certa Callisto non sente la tua mancanza. Tutto qui»

«Grazie, Marylin. Potresti lasciarmi da solo un attimo?» si posizionò meglio sul lettino dove era seduto, mettendosi su un fianco.

Avrebbe dovuto essere felice però non lo era. Callisto, quel nome che ormai gli suonava troppo lontano, gli aveva mentito.

Non ti perdonerò mai...

Sussurrò trattenendosi dal non piangere. Si era da sempre promesso che se un giorno avesse avuto un figlio, gli avrebbe dato quello che lui non aveva mai ricevuto: amore ed affetto. Nonostante volesse scaraventare tutto a terra e distruggere qualunque cosa fosse presente in quella stanza, non lo fece. Non ne aveva le forza. Era stanco. Stanco di vivere. Avrebbe preferito morire come suo padre, in fin dei conti era per colpa sua se suo figlio si era trasformato in un mostro.

Jason chiuse gli occhi pensando a quanto la vita fosse stata dura con lui, sopratutto ora che suo figlio sarebbe cresciuto con un altro padre affianco. Il dolore che provava era straziante.
Anche se non poteva ancora capirlo, il fatto che piangesse era un chiaro segno che stava cambiando. Segno che stava diventando umano. Sentendo scorrere la porta, Jason drizzò la schiena e guardò la guardia del reparto. «Su forza alzati. Da oggi inizierà una nuova vita per te a Casa Maca»

wake up ➳ jason mccann as justin bieber Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora