X. Io, Lui e il Viaggio✈️ (Parte 2)

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Iniziammo a salire su per una collina, la strada era sterrata e circondata da alberi.

Arrivammo di fronte ad un cancello enorme, alto più o meno tre metri, che si aprì solo dopo che Stephan fu riconosciuto al citofono.

Appena varcato il cancello proseguimmo lungo un viale fiancheggiato da giardini, floridi e appena tagliati, perché c'era quel magnifico dolce profumo, che mi ricordava la primavera.

Non si riusciva a distinguere dove finiva il giardino della casa ed iniziava la foresta che avevamo appena attraversato.

Dopo aver parcheggiato ci accolse un'anziana signora "Bentornato sig. Stephan, le ho preparato quello che mi aveva chiesto, è tutto predisposto in camera sua"

"Grazie Estela, sei la mia salvezza. Ah lei è Camilla, anzi la mia amica Camilla" si girò indicandomi.

"Benvenuta signorina Camilla, desidera qualcosa da bere o da mangiare?" mi chiese con uno splendido sorriso.

Ci misi qualche secondo prima di rispondere perché ero assorta nel contemplare la maestosità e la bellezza di quella casa.

Sembrava letteralmente un Hotel di lusso tipico toscano, la casa era tutta bianca con alcuni mattoni marroni in superficie e ad accoglierti c'era un adorabile vialetto in pietra che ti portava all'entrata in ferro battuto e adornata ai lati da due vasi enormi.

"No grazie mille, sono apposto" le risposi mentre cercavo ancora di capire dove mi trovassi.

L'enorme ingresso ci accolse all'interno, insieme a una non specificata multitudine di quadri e specchi appesi ovunque, che ci guidarono sino alla sala principale, illuminata con delle porte finestre che si estendevano per tutta la parete che si affacciava direttamente sulla piscina a sfioro più bella che abbia mia visto in vita mia.

La vista era spettacolare, si vedeva non solo tutta Monza, ma addirittura anche Milano.

Alcune pareti erano ancora in pietra, i colori dominanti erano neutri e caldi, nel mezzo della sala c'era un tavolo in marmo bianco, lungo più o meno tre metri.

In un angolo a destra, c'era questo piano enorme, quasi nascosto, mi avvicinai e notai che non era un pianoforte normale, ma un Fazioli.

"Oh mio Dio!" esclamai con la mano davanti la bocca.

"Che succede?"

"Te possiedi un Fazioli, il re dei pianoforti italiani e mondiale"

"Non è mio"

"Questa non è casa tua?"

"Si ma quello appartiene ai miei genitori"

"Chi dei due suona il piano?"

"Nessuno dei due"

"Adesso sono confusa"

Piegò la testa indietro e fece un respiro profondo, forse lo avevo innervosito con le miei domande.

"Un tempo molto lontano lo suonavo io quel pianoforte, adesso non più"

"Perché?"

In quell'istante calò il silenzio, Estela scappò come se avesse visto un fantasma, mentre Stephan impietrito fissava il bicchiere d'acqua che aveva in mano.

"E' successo molto tempo fa..." dopo un primo momento di esitazione, continuò con il suo racconto "quel pianoforte era di mio fratello Ben, adorava suonare il pianoforte e così i miei genitori glie lo regalarono per il suo compleanno, è morto pochi anni dopo"

Non dissi nulla, rimasi pietrificata.

"Già, è morto a soli dodici anni, a causa di un tumore ai polmoni, scoperto troppo tardi. Suonavamo sempre insieme, io avevo iniziato perché adoravo stare con lui, ci divertivamo da matti, anche se lui era molto più bravo di me" un sorriso malinconico apparve sul suo viso.

Finalmente avevo capito il perché dei suoi comportamenti nei nostri confronti, perché trattava Milo in quel modo, perché trattava me in quel modo...

"I miei genitori non si sono mai ripresi del tutto, d'altronde era il loro primo figlio... Mia madre si è buttata a copofitto nel lavoro, mentre mio padre si è dedicato completamente a me e alla mia carriera da pilota" continuò "quel pianoforte non lo tocco dal giorno del suoi funerale, te anche sai suonare il pianoforte?"

Cercai di dire qualcosa, ma le uniche parole, anzi vocali che uscirono dalla mia bocca furono "A".

C'era quella vocina nella testa che mi diceva di dire qualcosa, ma non riuscivo a pensare a nulla di appropriato da dire in un momento del genere, allora così d'istinto dissi l'unica frase che va sempre bene "Mi dispiace"

"Ti dispiace perchè non sai suonare il pianoforte?" scoppiammo, timidamente, a ridere.

"Io no"

"Tu no cosa?"

"Io non so suonare il pianoforte, però mio nonno si ed anche molto bene. Ogni domenica, quando veniva a trovarci, si sedeva sul suo sgabello e iniziava a suonare per tutti noi. Erano gli unici momenti nei quali, tutti uniti in silenzio sul divano, ascoltavamo le sue magnifiche mani all'opera. Sono i ricordi più belli e vividi che ho di lui. Nei momenti più tristi ripenso a quegli attimi e alla felicità che provavo nello stare tutti insieme. Lui era mia roccia e da quando ci ha lasciati è come se un pezzo di me se ne fosse andato insieme a lui, non so come dire..."

"Non ce n'è bisogno, ti capisco perfettamente" mi rispose abbassando lo sguardo.

"E' davvero un bel pianoforte, mio nonno lo avrebbe adorato, è davvero uno spreco non suonare..." lo stuzzicai strisciando il mio indice sul copritastiera.

"No! Anzi adesso dobbiamo andare che altrimenti si fa tardi"

"Ok" gli risposi sconsolata.

Sbloccai il telefono e mi accorsi della decina di messaggi e chiamate di Andrea.

Cavolo, mi ero completamente dimenticata del nostro appuntamento all'ospedale.

"Dai sbrigati, mi ero scordata di un impegno urgente" gli urlai mentre correvo verso la porta.

Durante il tragitto, il silenzio era calato tra di noi.

Quel pomeriggio ci aveva avvicinato, ci aveva mostrato quanto eravamo diversi, ma allo stesso tempo, tanto simili.

Ci aveva ricordato quelli che siamo diventati grazie anche a quello che avevamo perso lungo il nostro tragitto.

"Ti ringrazio, davvero! E' stato un pomeriggio sbalorditivamente bello, non me lo aspettavo..."

"101..." mi rispose sorridendo.

Scoppiamo a ridere.

"Comunque a parte i tuoi grazie, non abbiamo parlato del nostro programma per la prossima settimana"

"Me ne ero completamente scordata..."

"Se ne hai voglia e tempo, ti andrebbe di accompagnarmi domani sera ad una noiosa e logorante cena di beneficienza?"

"Ne sarei onorata, signor Anderson" gli risposi mimando le voci delle signore dell'ottocento.

"Bene, allora domani alle sette in punto sarò sotto casa vostra con la mia carrozza"

"Ed io sarò lì, ad aspettarla, messere"

Girando il mio sguardo verso l'entrata dell'ospedale mi accorsi che c'era Andrea intento a parlare con alcuni dottori ed infermieri.

"Allora a domani" dissi frettolosamente, sperando che Andrea non ci avesse ancora visti.

"A domani"

Mentre correvo verso Andrea, tra me e me mi domandai "Ma cosa è successo oggi pomeriggio?"

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