27 - ROVINE

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Viorica


C'è odore di umido, polvere e legno vecchio, qui.  E tutto ciò non fa che aumentare il grado di inquietudine della visita, che però sembra piacere ai ragazzi – almeno alla maggior parte.

Il nostro accompagnatore si rivela una guida estremamente sapiente. Sciorina una quantità infinità di informazioni sul castello, dalle origini fino alla sua età più gloriosa, sulle diverse dinastie che lo hanno abitato, sulle funzioni di ogni ambiente e sui passaggi segreti che venivano usati dalla servitù. Visitiamo i salotti di rappresentanza, la sala da pranzo, le cucine perfettamente mantenute, la cappella privata, fino ad arrivare alla vecchia prigione.

E qui, ammetto che persino io mi sento correre un brivido lungo le braccia. Non so dire se sia per i cinque gradi in meno che ci sono qua sotto, in queste segrete sotterranee costruite interamente in pietra e ferro, o se a farmi accapponare la pelle sono il buio pesto rotto solo da piccoli spiragli sul soffitto, le catene appese alle pareti e le celle rugginose nelle quali sono esposti gli strumenti di tortura che si usavano sui prigionieri.

Mi avvolgo meglio nel cappotto. Qualche studente, Cornel per primo, si stringe un po' di più al mio fianco, e devo trattenere un risolino.

Hanno sedici, diciassette anni, ma il modo in cui alcuni si guardano intorno con le facce spaurite e gli occhi spalancati fa quasi tenerezza.

«Come potete vedere», proclama solenne la guida travestita da fantasma del proprietario, «qui ci sono ben dodici celle, sei per lato, tutte attrezzate adeguatamente per il contenimento dei prigionieri».

Cammina lentamente, trascinando i piedi e muovendo piano le mani nell'aria, il tono cupo e ululante.

«Qui i detenuti attendevano il mio giudizio, prima di essere spediti alla gogna. Le esecuzioni avvenivano nella piazza del paese. L'ultima volta che sono sceso qui sotto... da vivo... c'erano sei celle occupate, in ciascuna un solo condannato. Ne feci giustiziare cinque. Il sesto era accusato di furto, ma si proclamava innocente e diceva di essere stato incastrato. Era malato, quando è stato rinchiuso qui, e non ha fatto in tempo ad essere processato. È deceduto nella sua stessa cella, perché il freddo e le condizioni in cui era tenuto hanno peggiorato in fretta il suo stato di salute. È morto ingiuriando contro di me e contro la mia stirpe, minacciando di perseguitarmi anche nella morte per la sua ingiusta condanna. Non vi nego che nei mesi successivi ho temuto molto per la mia incolumità, perché mentre camminavo per i corridoi sentivo sempre un respiro freddo sfiorarmi il collo, e udivo voci anche quando ero convinto di essere solo... Non mi sono mai liberato dall'idea che a portarmi alla morte sia stato lo spirito di quel condannato, che forse si aggira ancora per queste segrete, pronto a colpire di nuovo...».

Siamo tutti talmente rapiti dal racconto, talmente soggiogati dall'inquietudine e dalla curiosità, che solo all'ultimo mi accorgo di un minuscolo spostamento d'aria alle mie spalle.

Mi trovo in fondo al gruppo, gli studenti tutti davanti a me dove posso vederli, dietro ho solo il nero profondo della prigione. All'improvviso sento un piccolo passo nell'oscurità alla mia destra, una mano mi sfiora i capelli sulla spalla, ed è un attimo.

Il cuore mi schizza in gola, mi giro di scatto, il mio istinto prende il sopravvento e io sollevo fulminea un ginocchio, colpendo allo stomaco una figura che incombe su di me.

Si sente un grugnito soffocato, un respiro risucchiato tra i denti. La figura si piega in avanti, boccheggiando e reggendosi la pancia, e la luce proveniente da una delle feritoie sul soffitto illumina una criniera biondo cenere tutta scompigliata.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now