3 - SOFFERENZA E DISTRAZIONI

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Nikolas

Alla fine, mi precede veramente su per le scale, incamminandosi stizzita e dandomi così la possibilità di ammirare la graziosa rotondità del suo culetto indispettito al di sotto dello strato morbido della gonnellina color mattone.

Poco sopra, a sfiorare in basso la curva femminile della schiena, ondeggiano le sue ciocche lunghe, di un castano caldo.

Da dove l'ha tirata fuori, questa, Eugen?

Sapevo che avesse una figlia, mi ha parlato spesso di lei, ma mai nello specifico.

È sempre stato tutto un "Sai, mia figlia di solito..."; "Oh, l'altro giorno ho sentito mia figlia e mi ha raccontato che..."; "Questo sarebbe tipico di mia figlia, sai?"; "Mia figlia mi dice sempre che...".

Avevo capito che nutre un'adorazione smisurata per la sua prole, ma, in tutta onestà, mi aspettavo una sua copia in miniatura e al femminile, con gli occhiali dalla montatura spessa a coprire gli occhi, gonne da suora lunghe fino alle caviglie o pantaloni infilati sotto a grossi maglioni di lana spessa, con una propensione alla goffaggine e un'aura da sfigata intellettuale percepibile da metri e metri di distanza.

Non pensavo certo di trovarmi davanti una principessina con gli occhi da cerbiatta e un carattere dalle sfumature particolari che, a prima vista, sembra tutto tranne che goffa e imbranata.

Non che Eugen sia un uomo sciocco o da sottovalutare. È una delle persone più brillanti che abbia mai incontrato, ma, da quando lo conosco – ovvero da quando ho ottenuto la cattedra alla Nordesange ad appena ventiquattro anni – e l'ho avuto al mio fianco prima come collega e poi come amico, ho imparato a capire che tende a celare la sua infinita sapienza e la mente illuminata sotto le sembianze di un uomo pacato, introverso e apparentemente prevedibile.

Solo conoscendolo a fondo si impara che non è affatto così, che dentro di sé racchiude un mondo. Ma mi aspettavo che anche la figlia riflettesse queste sue apparenze impacciate.

Devo ammettere che sono rimasto sorpreso.

«Ehi, verginella, guarda che stai sbagliando strada. È di qua», la richiamo arrivati al pianerottolo del secondo piano. Lei si volta di scatto e io faccio un cenno della testa alla rampa di scale che si innalza alla mia sinistra, mentre lei stava puntando a destra.

«Dacci un taglio», mi ammonisce per il modo sconveniente con cui sto continuando a rivolgermi a lei.

Io sollevo un angolo della bocca in un ghigno impertinente, e imbocco le scale.

Il ticchettio incalzante dei suoi stivaletti rivela il suo ritmo nervoso. Lancio una breve occhiata dietro di me, e la scopro a scuotere il capo con aria contrariata, i lineamenti comunque distesi in un'espressione di incredibile pazienza.

Le riconosco il gran controllo. Da come sta cercando di non perdere le staffe con me, immagino sia una di quelle insegnanti che riescono a fare un respiro profondo e mantenere modi educati anche davanti al più indisciplinato degli studenti.

Deve essere dura da piegare, questa. Forse in tutti i sensi.

Ridacchio tra me per il pensiero sconcio, e la spio di nuovo da sotto le ciglia.

È sempre un paio di gradini dietro di me, anche se le gambe lunghe le consentirebbero di stare al mio stesso passo. I capelli le si avvoltolano in onde morbide e definite, che creano volume intorno al viso un po' troppo innocente. Sulle guance c'è un tono rosato naturale che non deve essere dovuto a fard o altri artifici.

DRAGOSTE - insegnami ad amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora