18 - INCONTRI

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Viorica


«Un altro Gin Tonic, per favore», chiedo al barman allungando un dito per farmi notare. Lui mi fa un cenno d'assenso e si gira per preparare il mio drink.

«Ah, allora non sei una santarellina mezza astemia come tuo padre!», trilla la voce di Karla. Compare al mio fianco come per magia, anche se fino a due secondi fa era al lato opposto del locale, insieme agli altri colleghi con cui oggi siamo scesi in paese.

Siamo venuti a piedi. Adoro fare la discesa dal castello camminando: la strada da percorrere è un sentiero largo e sterrato che, dopo un primo tratto spoglio in discesa, si incunea nel boschetto che separa la collina dal paese. Serpeggia tra gli alberi per circa un kilometro e mezzo, poi il panorama si apre e il sentiero si trasforma in una stradina asfaltata a gradoni costeggiata da lampioncini in ferro battuto e un parapetto in legno grezzo. Un piccolo percorso panoramico che conduce giù fino al villaggio.

Il tragitto sarà di una mezz'ora o poco più, ed è molto più piacevole che scendere in auto usando la strada principale, piena di tornanti.

Una volta arrivati sui ciottoli della piazza principale – un grande spazio aperto circondato su tre lati da vecchie abitazioni con i tetti rossi e i balconcini in legno abbarbicate una all'altra, con una fontana un po' spostata a ovest e l'antica chiesa sul quarto lato – abbiamo optato per un locale che spiccava tra i negozietti tipici, con la sua vetrina lucida e la porta che lasciava intravedere gli interni.

Mi piace questo posto. Le pareti rivestite di legno scuro, le lampade foderate di stoffa color ambra, il bancone in ardesia lucido sotto le mie mani. È tutto elegante e rustico al tempo stesso. È un posto caratteristico, ma ho scoperto che ha aperto solo da un paio d'anni. Non c'era quando vivevo qui da ragazzina.

Fantoma, recita l'insegna a led rossi sulla porta. "Fantasma".

Perché i tempi passano, ma la nostra cittadina continua ad amare la superstizione e il folklore popolare. E ogni scusa è buona per vedere in tutti i cantoni fantasmi, spiritelli magici, fate, o nuvole di sangue sulla cima di una scuola.

«Santarellina magari un po', ma astemia no di sicuro. Mia madre è sempre stata una grande appassionata di liquori e vini d'annata. Mi ha insegnato a riconoscere il profumo di un whisky invecchiato bene prima ancora che imparassi ad andare in bicicletta». Prima che le cure la costringessero a non toccare più una goccia d'alcol.

Chiudo gli occhi a quel pensiero. A volte arrivano troppo in fretta e mi colgono impreparata. Prendo un respiro e cerco di non pensare alle cure di mamma, ma alla sua vecchia passione.

Mia madre non è mai stata una che alza il gomito, ma da giovane ha studiato per diventare sommelier. So che ha lavorato come barista, da ragazza. È così che ha conosciuto papà. In una serata alla quale i suoi compagni di liceo lo avevano trascinato di forza, anche se lui odiava i locali affollati e non beveva mai. Mi hanno sempre raccontato che quella sera era rimasto folgorato dalla mamma, e pur di avere una scusa per parlare con lei è tornato più volte al bancone ad ordinare tanti di quei drink che alla fine lo hanno dovuto raccogliere con il cucchiaino.

Mi dice sempre che ricorda poco di quella sera, solo che si è svegliato in camera sua e che sul comodino c'era un foglietto di carta con il numero della barista della sera prima, e un messaggio che gli diceva di chiamarla per aggiornarla sulle sue condizioni dopo quella che è stata la sua prima, unica e irripetibile sbronza.

«Inoltre, frequentare l'università ad Amsterdam ti fa vivere esperienze che ti rendono impossibile essere astemia», aggiungo, riemergendo dal flusso di pensieri.

DRAGOSTE - insegnami ad amareDonde viven las historias. Descúbrelo ahora