12 - AFFOGARE

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Nikolas


La cena è stata un momento particolarmente fastidioso.

Un po' perché ancora sono agitato per lo scontro che ho avuto oggi con la figlia di Eugen sulle scale.

Un po' perché stasera la presenza di Orbea a poche sedie di distanza mi fa girare le palle più del solito.

Cristo, non lo sopporto. Non sopporto il modo in cui è intervenuto, oggi pomeriggio, a favore di Viorica. Come se lui fosse un santo a difesa dei deboli e io un barbaro da rimettere al proprio posto.

Fanculo. Fanculo a lui, alla sua facciata da falso, al suo apparire sempre così impeccabile mentre io passo per una testa calda senza il minimo senso civico. Che poi nemmeno m'importa di come passo io, è come la gente vede lui che non mi va a genio.

È da quando Viorica è arrivata qui che si è messo a provarci con lei.

E per quanto della vita privata della fatina non me ne freghi niente, tutto ciò che fa Gabriel mi irrita in maniera spropositata.

Fingersi così cavalleresco e gentile, così nobile.

Ma che gli venga una sincope.

È l'approfittatore più infido che si sia mai visto sulla faccia della terra, e un bastardo patentato.

E la Grigore è una stupida ed è anche cieca se non è in grado di vederlo da sola.

Ma alla fine, se vuole fare l'ochetta svenevole con un'idiota del genere, sono problemi suoi. A me basta che smetta di fare certi commenti che in un modo o nell'altro mi fanno sprofondare in buchi neri dai quali preferirei stare fuori, quando sono davanti ad altre persone.

Al termine dell'ultima portata, mi alzo da tavola molto prima degli altri. Eugen si pulisce la bocca con il tovagliolo e mi chiede se è tutto okay, visto che me ne sto andando così in fretta.

Gli rispondo che ho solo bisogno di andare a dormire perché mi è venuto mal di testa, ma lui non mi crede. Lo vedo nei suoi occhi, nella piega rigida della sua bocca.

Lui ha capito che sono in uno dei miei "momenti no". Perché lui li conosce bene, quei momenti.

Mando indietro la sedia e abbandono la sala sotto lo sguardo di tutti i miei colleghi. Passando tra i tavoli, qualche studente mi saluta, qualcuno mi fa un cenno del capo.

Arruffo i capelli di un ragazzo del terzo, rispondo alla battuta di un altro.

Poi esco in corridoio a passo svelto.

Non riesco nemmeno a raggiungere l'atrio principale, prima che un fastidioso ticchettio mi raggiunga alle spalle.

«Nikolas».

Mi fermo in mezzo ad una delle tante salette di passaggio, quella dove abbiamo parlato la prima sera che lei ha cenato qui.

Alzo gli occhi verso il lampadario che pende dal soffitto, sbuffo. Mi giro. Lei si ferma ad un paio di metri da me.

«Cosa vuoi?».

Viorica schiude la boccuccia rosea, gli occhi azzurri si sgranano appena. «Volevo...».

«Lo sai, vero, che seguirmi così fuori dal salone farà fare a tutti delle congetture interessanti? Soprattutto agli studenti».

Lei si stringe le braccia intorno al corpo. «Volevo parlarti. Non mi interessa di quello che pensano gli altri».

«Ammirevole», soffio inarcando un sopracciglio, il tono piatto. «Ciao». Mi giro dalla parte opposta e punto la porta.

«Per favore». La sua mano mi arpiona un braccio e mi tira indietro, lasciandomi un momento sorpreso. Abbasso gli occhi sulle sue dita, che non riescono a fare nemmeno un giro completo intorno al mio avambraccio. Poi li sollevo su di lei, inarcando anche l'altro sopracciglio.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWo Geschichten leben. Entdecke jetzt