8 - ERBACCE E MARY SHELLEY

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Viorica


La campanella suona interrompendo le mie parole. Lancio uno sguardo all'orologio appeso sopra la lavagna e mi rendo conto che il tempo è volato.

Non mi ero accorta che fossimo già alla fine dell'ora.

«Bene, domani riprendiamo da qui», annuncio rivolgendomi alla classe, mentre raccolgono le loro cose dopo quella che è stata l'ultima lezione del pomeriggio. «Se riuscite, date un'altra occhiata al testo di pagina centoquattordici. Così poi magari ne discutiamo insieme prima di andare avanti».

In risposta ricevo parole sommesse e cenni d'assenso. Laura mi rivolge un sorriso che mi fa ben sperare, mentre raggiunge Olga e insieme si ricongiungono con un gruppetto di ragazzi sulla soglia.

Rilascio un sospiro lento. Ormai è una settimana che sono qui, e per il momento sembra procedere tutto liscio.

Raduno tutto il mio materiale e, infilata la borsa a tracolla, esco dall'aula.

Scendo le scale fino al piano terra e scorgo Karla di ritorno dall'ufficio di mio padre, seguita a ruota da lui. Lei sta finendo di scribacchiare su un'agenda mentre parlottano, e quando si gira verso papà annuisce un paio di volte.

Dopo di che si separano, mio padre si avvia ai piani superiori, Karla invece comincia a camminare nella mia direzione in mezzo ad uno scrosciare continuo di ragazzi e ragazze che escono dalle aule e invadono ogni angolo del castello. Mio padre mi vede solo quando ormai è a metà della scalinata principale e mi rivolge uno sguardo affettuoso e un cenno della mano, che io ricambio.

«Ciao».

Mi volto all'udire la voce di Karla, e me la trovo a pochi passi di distanza. «Come è andata la giornata?».

«Tutto bene, la tua?».

Lei sbuffa con una smorfia stanca. «Esasperante. Io e tuo padre siamo stati in riunione in videochiamata quasi tutta la mattina con alcuni imprenditori per ottenere dei finanziamenti che ci consentano di ristrutturare certe zone del parco che sono state trascurate per troppi anni. E ora mi tocca una sfilza infinita di telefonate per cominciare ad organizzare il ballo di Natale».

Sollevo le sopracciglia. «Ma mancano ancora quasi tre mesi, a Natale».

Karla allarga le braccia e le lascia ricadere lungo i fianchi. «Già, ma ci sono un milione di cose da incastrare e se ci riduciamo all'ultimo con la prenotazione delle luci, dell'impianto audio e del personale per l'allestimento ci ritroviamo con il culo per terra. Per non parlare del gruppo per la musica dal vivo! Merda, quante cose a cui pensare tutti gli anni...».

Ridacchio davanti alla sua schiettezza, che sto pian piano cominciando a conoscere.

«Quando si terrà?».

«La notte della vigilia. Avresti dovuto vedere quello dell'anno scorso, è stato fantastico. Quest'anno mi voglio superare, deve essere qualcosa di magico», afferma con determinazione.

Io mi emoziono solo all'idea. Adoro le feste. «Se dovessi aver bisogno di una mano, fammi sapere».

«Una mano per cosa?», pigola una vocina, e la figura esile di Dalina appare al nostro fianco. Si stringe alcuni libri al petto e ci rivolge un piccolo sorriso.

«Parlavamo del ballo di Natale. Al quale tu», Karla punta un dito affusolato contro la collega, che strabuzza gli occhioni castani dietro le lenti degli occhiali, «sei pregata di indossare un abito da sera degno di essere definito tale».

«Che cos'aveva il mio vestito dell'anno scorso che non andava?». Dalina lancia un'occhiata ai propri abiti semplici – la camicetta accollata e i pantaloni grigi – come se stesse ripensando all'abito dell'anno precedente.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now