20 - SE NE SEI CONVINTA

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Olga mi ringrazia per il libro che, dopo aver tirato fuori dalla borsa, ho dato a lei, e si allontana per andare a sentire cosa ha da dirle il suo amico. Laura fa per seguirla, ma all'ultimo la fermo.

«Laura, aspetta».

Si volta e mi guarda, mentre io mi alzo in piedi e mi metto di fronte a lei, gli stivaletti che picchiettano la pietra del sentierino e il cappotto lungo che mi sfiora le caviglie. Nascondo le mani nelle stanche per proteggerle dal freddo, e abbasso il mento per guardare negli occhi la mia studentessa, di alcuni centimetri più bassa di me.

La osservo per un po' in silenzio, poi faccio scivolare lo sguardo alle sue spalle, verso Olga, ormai lontana e impegnata in una fitta conversazione con Toni e Cornel, che li ha appena raggiunti.

«Come sta?». Non ho bisogno di specificare perché Laura capisca.

Lei lancia un'occhiata veloce all'amica, e una nota di tristezza le spegne il sorriso. «Lei dice di star bene. Ed è anche brava a fingere che sia così. Ma io la conosco, e ultimamente non è più la stessa. È più silenziosa, ogni tanto si incupisce, ma non ne parla. Non vuole farmi pesare addosso le sue preoccupazioni, però io lo so che ha tanta paura».

«Capisco». Annuisco piano, fissando un punto impreciso tra i pini che ricoprono le montagne oltre lo strapiombo, ricamati da nastri di nebbia. «Mi dispiace».

«Anche a me».

«Forse dovrebbe provare a parlarne con qualcuno, qualcuno che possa aiutarla», mormoro, e vedo le labbra di Laura incresparsi in una smorfia rassegnata.

«Ho provato a dirglielo anche io. Ma Olga... lei non è una che parla volentieri dei suoi problemi. Dice che non ce n'è bisogno, che parlarne non aiuterà suo padre a stare meglio e che le serve solo un po' di tempo», dice un po' afflitta.

E io capisco. Capisco perché anche io rispondevo come Olga, quando mi dicevano che era il caso di parlarne con uno psicologo, con uno specialista.

Anche io da ragazzina preferivo pensare di poter gestire quelle sensazioni terribili da sola, perché l'idea di confrontarmi a cuore aperto con qualcuno lo rendeva troppo reale.

Perché speravo che io e papà avremmo potuto farci forza a vicenda, e che nel sorriso della mamma avremmo sempre trovato il sollievo che cercavamo. Perché eravamo sempre stati noi tre, e quello era un problema solo nostro, un dolore che solo noi potevamo capire.

Soltanto all'università sono arrivata alla conclusione che forse un po' di sostegno mi serviva, e ho iniziato delle sedute con il consulente messo a disposizione dalla facoltà.

Non mi ha risolto chissà quali misteri insondabili, non ha liberato mia madre dal cancro che lei, inspiegabilmente, stava riuscendo a combattere più a lungo delle previsioni dei medici, ma almeno mi ha aiutato ad analizzare la mia sofferenza da punti di vista differenti. Punti di vista che né io né papà, troppo accecati dal terrore di perdere la luce delle nostre vite, eravamo mai riusciti a scorgere.

«D'accordo. Mi raccomando, stalle vicino. Anche se lei dice che non serve, anche se dice che va tutto bene, tu non lasciarla crollare».

Laura ricambia il mio sguardo con una solennità rara per una ragazza di appena sedici anni. «Non lo farò, professoressa. Non potrei mai».

«Brava. Ci vediamo più tardi a cena».

Lei mi sorride e raggiunge i suoi amici.

Io resto per un po' ad osservarli, le mani sempre in tasca e il mento affondato nel bavero alto e caldo del mio cappotto.

Avverto uno spostamento d'aria, e il vento mi porta alle narici un odore rustico e caldo, mescolato a quel sentore maschile, unico e particolare, che non riesco mai a decifrare.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now