I monti attorno a noi sembrano abbracciarci, e io guardo ogni albero ingiallito, ogni campo coltivato tutto fango e foglie secche, ogni casa di mattoni con i suoi infissi di legno e i rampicanti abbarbicati sulle fiancate con occhi immensi e una dolce nostalgia nel cuore.

Dopo dieci minuti di viaggio, imbocchiamo la via di ciottoli sconnessi lungo la quale correvo a piedi nudi da bambina. Le abitazioni e le botteghe dall'aria familiare mi accolgono come in un sogno. Alla fine della strada, dove solo poco più avanti i sassi del lastricato lasciando spazio allo sterrato che si srotola serpeggiante nell'aperta campagna, papà ferma l'auto davanti ad una casetta a due piani, con il tetto di tegole rosse, i battenti di legno un po' scrostato, delle viole del pensiero che ancora non vogliono sfiorire a decorare i davanzali e una piccola ghirlanda di pigne sulla porta.

Mi scoppia il cuore nel petto.

Sono fuori dall'auto ancor prima che lui abbia tempo di aprire la sua portiera.

Entriamo in casa e l'odore fragrante della legna nel caminetto mi avvolge subito in una nuvola di calore.

Attraverso lo stretto corridoio e sbircio nel salotto, dove vedo il fuoco scoppiettare allegro. Lì accanto, sulla poltrona della mamma, sono abbandonati un libro chiuso, una coperta e una tazza sul bracciolo.

«Eugen, siete voi?». La sua voce melodica vibra nell'aria attraverso la porta aperta della cucina, e io mi ci fiondo dentro. Papà mi segue a ruota, quasi faticando a star dietro alla mia enfasi.

«Mamma!».

La trovo in piedi vicino ai fornelli, una presina ricamata in una mano e un barattolo di fiori di campo nell'altra.

Lei strabuzza gli occhi, azzurri e grandi come i miei, e sulle sue labbra sboccia sorriso radioso. Ha un'espressione sorpresa, sebbene sapesse benissimo che stavamo arrivando.

«Amore mio», esclama mollando tutto sul ripiano della cucina e camminandomi incontro.

Apre le braccia e io mi ci tuffo dentro, sprofondando in questo profumo avvolgente di mamma che mi era tanto mancato.

«Santo cielo, mi sembra passato un secolo dall'ultima volta che ti ho abbracciata», sussurra tra i miei capelli, stringendomi con una forza davvero notevole per le sue braccia esili.

«Lo so», mormoro in risposta, lasciandomi cullare dal suo respiro.

Poi lei si scosta un po' e mi prende le guance tra le mani, strizzandole come quando ero piccola. «Dio, sei sempre più bella ogni volta che torni a casa. Mi chiedo proprio da chi tu abbia preso», borbotta fingendosi seria.

«Ehi», si fa avanti mio padre con aria di protesta. «Guarda che io sono bellissimo. Era scontato che lei venisse su così, con un padre del genere».

Io e mia madre scoppiamo a ridere insieme, e anche lui si unisce a noi. Dal modo in cui guarda la mamma, è più che evidente che non ritiene affatto di essere lui quello bello della coppia. E per quanto io abbia sempre ritenuto il mio papà l'uomo più bello del paese, mamma... beh, mamma brilla di luce propria. È di una bellezza dolce, spontanea, così naturale e unica.

Su di lei, con i suoi capelli corvini e la pelle chiarissima, gli occhi azzurri che ha donato a me sono sempre spiccati di più. I suoi lineamenti sono armoniosi, il suo sorriso sincero.

Mi è sempre sembrata bella come un angelo, e papà non ha mai smessa di guardarla con lo stesso sguardo adorante con cui la guarda anche ora.

«Stavo preparando dell'altra tisana. Su, sedetevi. La verso nelle tazze».

Io e papà ci accomodiamo intorno alla piccola tavola della cucina e mamma provvede a servirci.

«Mamma, hai bisogno che...», comincio subito, abituata come sono all'idea che il minimo sforzo possa affaticarla.

DRAGOSTE - insegnami ad amareOù les histoires vivent. Découvrez maintenant