3 - SOFFERENZA E DISTRAZIONI

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Sembra una tipetta interessante.

Quando arriviamo finalmente al terzo piano, lei sembra parecchio affaticata dalle innumerevoli rampe di scale fatte trascinandosi dietro quella valigia piccola ma dall'aria pesante. Io cammino spedito lungo il corridoio scuro sul cui lato destro si srotola una balaustra di pietra scolpita che si affaccia sulla struttura interna del castello, costituita da balconcini, archi e corridoi che si intersecano tra loro. In alto, metri e metri sopra le nostre teste, un maestoso lucernaio di vetro – rimesso a nuovo giusto l'anno scorso – torreggia con la sua architettura gotica e getta la luce smorta del pomeriggio giù fin nelle viscere della scuola.

Alla nostra sinistra, invece, sul muro si affacciano a intermittenza porte di legno massiccio.

Camminiamo in silenzio fino alla loggia di cui parlava suo padre: tre aperture a sesto acuto separate da colonnine spiralate interrompono il normale corso della balaustra, affacciandosi sul piano sottostante.

Proprio difronte alla trifora, si apre la porta di quello che sarà il nuovo appartamento della principessina.

«Eccoci qua. Spero che la sfacchinata non ti abbia provata troppo. Temo che dovrai farla tutti i giorni d'ora in avanti. Qui non abbiamo l'ascensore».

«Sì, me lo ricordo», sospira lei, appoggiando la valigia a terra con la grazia di una damina e tirando fuori la chiave che le ha fornito suo padre.

Giusto, dimenticavo che, stando ai racconti di Eugen, la figlia conosce il castello fin da quando era bambina. Da quando sua madre ha iniziato a stare male.

Chissà come è stata la sua adolescenza in questa scuola.

La osservo portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e infilare la chiave nella serratura. Rimugino un po' sull'idea di sfoderare qualche altra battuta con cui punzecchiarla ulteriormente prima di tornare a farmi gli affari miei.

Però poi, come succede ogni singolo giorno ad un certo punto, nonostante io faccia di tutto per tenere la mente occupata, i miei pensieri vagano, fluiscono incontrollati verso immagini che sono lì, silenti, ad aspettarmi, fino a raggiungere quel groviglio di ombre che mi avviluppa e mi riporta in uno stato di apatia verso il mondo esterno.

Dentro comincio a sentire i denti affilati della sofferenza soppressa che mi si conficcano nella carne, strappando e lacerando, fino a quando non ho più voglia di parlare con nessuno.

Non c'è mai un motivo scatenante. Le sensazioni arrivano e basta, senza preavviso e in maniera prepotente, distogliendomi da qualsiasi cosa io stia facendo. Per questo tutti dicono che sono scostante e difficile, e hanno ragione, anche se la cosa non mi interessa granché.

L'unica cosa che mi interessa adesso è stare per conto mio, di stuzzicare la nuova arrivata al momento non ho più voglia e la sua presenza mi sta creando solo più fastidio che altro, anche se lei non ha fatto niente.

Ingoio il boccone amaro che mi ottura la gola, mollo a terra i suoi stupidi bagagli e, mentre lei è ancora voltata e intenta ad aprire la porta, me ne vado lasciandola sola.




~ ☆ ~




L'ultima cosa che avevo voglia di fare, di sabato mattina quando non ci sono le lezioni, era una odiosissima riunione docenti.

Avrei potuto dormire, fare una corsa, finire di correggere i compiti dei miei alunni. Un sacco di cose.

Invece sono con il culo inchiodato su una sedia dell'aula insegnanti, lo sguardo perso nel paesaggio grigio fuori dalle finestre, a guardare la pioggia abbattersi ticchettante sui vetri.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now