PROLOGO

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Dragoste: "amore" in rumeno  *

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Se il tuo mondo finisse, che rumore farebbe?

Se la terra si crepasse dall'interno, di colpo, senza preavviso, e iniziasse a sgretolarsi...
Se le montagne crollassero su sé stesse, i mari implodessero, i cieli si rovesciassero e tutto prendesse fuoco...
... che rumore farebbe?

Fino a ieri, avrei risposto non lo so.
Fino a poco fa, non avrei mai potuto immaginare un frastuono simile.
Ma adesso penso che potrebbe assomigliare moltissimo al rumore che sento dentro la mia testa.
Ora posso dire con certezza che se l'universo intero si disintegrasse, produrrebbe lo stesso, devastante casino che in questo momento mi bombarda dall'interno.
Sentirei il vento urlare, il suolo gemere e piangere e implorare sotto le mie scarpe, mentre l0 calpesto alla velocità della luce.
Come adesso.

Sentirei lo stesso grido fantasma, lo stesso rombo minaccioso mentre i polmoni bruciano e i muscoli li spingo così al limite che penso finiranno per spezzarsi insieme alle ossa.
Come adesso.

Sentirei il suono di mille cannoni che mi scoppiano nel cervello e non si sa come arrivano a colpire anche il cuore.

Sentirei la mia stessa vita diventare cenere, e sarebbe doloroso.
Ma non sarebbe mai doloroso come quello che sto provando ora.

Corro, e più corro più mi sembra di non essere abbastanza veloce.
La paura mi stritola, stringe attorno alla gola e non riesco a prendere nemmeno il fiato necessario per respirare. I sanpietrini scricchiolano, il mio peso li fa stridere in modo angosciante.
Corro e mi sembra di non arrivare mai. I secondi non passano, i minuti restano immobili, sono sempre troppo distante e quell'urlo spettrale che c'è nella mia testa lo sto solo immaginando, lo so, però è così maledettamente reale.
Fa paura. Fa tanta, tanta paura.

Tutto quello che viene dopo lo ricorderò sempre in maniera troppo vivida.
Troppo concreta.
Come se qualcuno mi avesse cucito questo momento addosso.
Il modo in cui crollo in ginocchio.
Il modo in cui qualcosa dentro di me si spezza in modo irreversibile.

Mi sembra di essere sotto una pioggia di sangue, eppure il cielo è sereno. Le strade sono buie, deserte. È sempre così in questo periodo dell'anno. Il freddo dell'autunno gratta le ossa, le nuvole sono sottili ma coprono le stelle e nessuno ha voglia di stare in giro dopo una certa ora.
E l'urlo fantasma continua a riempire l'aria, ma questa volta la voce che sento assomiglia alla mia.
Urlo, il corpo rannicchiato a terra.
Urlo, la faccia rivolta a quel cielo senza stelle.
Urlo, e nessuno mi sente, perché forse non sto urlando davvero. Forse sto solo morendo dentro. E il suono che sento è un grido sinistro, senza nome, qualcosa che penetra la carne e gli organi interni e ti prosciuga della tua stessa anima.
È il suono della tua vita che abbandona il corpo, che ti manda al diavolo e non vuole più saperne niente di te, perché la colpa di quello che è successo è solo tua.
Urlo, ma non accorre nessuno.
Di questo scempio, non si accorge nessuno.
È come essere sospesi nel nulla, un limbo di buio lacerato dalle luci smorte dei lampioni del paese addormentato, dove la disgrazia che stai affrontando la devi affrontare per conto tuo, nessuno verrà a salvare quel che rimane.
Perché non c'è più niente da salvare.

Poi i fari di un'auto, le gomme che stridono, uno sportello che sbatte.
La mia voce disperata che si frantuma in tante schegge troppo piccole, che finiscono per raschiarmi la gola.
La mia voce, c'è solo la mia voce, che esplode in un pianto disumano.

C'è troppo sangue. Sui miei vestiti, sulle mie mani, sotto le mie ginocchia. Ne sento l'odore ferroso, mi fa salire i conati.
C'è troppo sangue, e la pelle cinerea, e il freddo mortale, e io mi sento avvolgere da un terrore che non avevo mai conosciuto prima, che non conoscerò mai più, non così.

Dei passi veloci, urgenti, poi una sagoma entra nel mio campo visivo.
Un'ombra lunga e densa che il lampione qui sopra mi proietta addosso. Un paio di gambe avvolte da un cappotto lungo mi si fermano accanto.
Sullo sfondo, lontano, il castello. Aggrappato alle rocce del colle come un rapace di pietra.

La sagoma accanto a me si blocca di colpo, difronte a quello che vede.
Un respiro risucchiato tra i denti.
Una sola esalazione. «Cristo... no...».
Poi ricomincia la pioggia di sangue, e io ci affogo sotto.

La mia vita finisce qui.

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now