𝟑𝟕. 𝐐𝐔𝐄𝐋𝐋𝐎 𝐂𝐇𝐄 𝐀𝐍𝐂𝐎𝐑𝐀 𝐌𝐀𝐍𝐂𝐀𝐕𝐀

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Dick si fermò su di esse più di qualche istante, più di quello che un semplice contatto di labbra come quello richiedeva, e Amber non ci mise molto a capire.

«Devi andare, vero?» intuì, la voce un sussurro appena udibile.

Lui rimase con la fronte poggiata contro la sua e la mano che gli era scivolata alla base del suo viso. «Vorrei non doverlo fare.»

Amber annuì e un debole sbuffo le sfuggì dalle labbra mentre socchiudeva gli occhi. «Tranquillo.»

Vista l'ora, in casa regnava una quiete senza eguali, e nessuno a parte loro era già in piedi. Per quel motivo senza volerlo, poggiata contro la porta di casa, Amber si era ritrovata a parlare sottovoce mentre lo salutava.

«Vai piano» disse allusiva, e lui sorrise, perché sapeva esattamente a cosa si stesse riferendo.

«Sempre» rispose con un sorriso, portandola a scuotere la testa, poi le voltò le spalle.

Amber lo guardò, mentre si allontanava sul pianerottolo in direzione dell'ascensore, con le dita che avevano preso a torturarle i palmi delle mani e le labbra strette tra i denti. Neanche si era accorta di star trattenendo il respiro, fin quando non buttò fuori il fiato, che con impeto le uscì insieme al suo nome.

«Dick!» lo fermò, facendogli voltare il capo. Le porte dell'ascensore davanti a lui si erano appena dischiuse. «Anche tu. Mi piaci anche tu.»

Gli aveva dato giusto il tempo di voltarsi, poi glielo aveva detto così, di getto senza neanche pensarci, e ora era lì, fermo a pochi metri da lei e la guardava, impassibile come se stesse ancora elaborando la cosa, e Amber avrebbe dato tutto pur di sapere i suoi pensieri.

Sperava solo di non essergli sembrata una ragazzina.

In un gesto automatico, tirò il labbro inferiore tra i denti e abbassò le palpebre, mentre attendeva una qualche reazione da parte sua. E dal momento che non arrivava iniziò a dubitare di quello che aveva appena detto.

Ma poi lui si girò, così all'improvviso, in un gesto dettato da chissà quale impulso, e in un battito di ciglia le fu vicino. Amber ebbe a mala pena il tempo di sollevare gli occhi, che lui alzò le braccia, le prese il viso tra le mani e si fiondò sulla sua bocca con una forza tale che la fece arretrare, fin quando la schiena non arrivò a toccare il muro che aveva alle spalle.

«Non vuoi proprio farmi andare via, eh?»

«Sei tu che sei tornato indietro.»

«Amber» fece Dick, lo sguardo inchiodato al suo e il fiato corto, «Se continui così giuro che ti riporto di sopra, e a quel punto non mi importerà del fatto che qualcuno possa sentirci.»

«Detto così sembra più un invito a farlo» gli fece notare lei, sollevando un sopracciglio.

«E tu non te lo stai facendo scappare» ribatté lui con lo stesso tono allusivo, rimanendo a fissarla. «Non sfidarmi.»

Con un mezzo sorriso, Amber gli poggiò le mani sulle spalle e lo spinse via. «Sparisci, Grayson.»

Lui si lasciò allontanare, sorridendo a sua volta mentre scuoteva la testa verso il basso. «Ci sentiamo più tardi?»

«Ci vediamo più tardi» lo corresse lei.

Dick annuì con un secondo di ritardo e un movimento appena accennato. «Sì, suona decisamente meglio» concordò, e lei fece spallucce.

«Adesso sparisci.»

Amber lo guardò andare via, e rimase lì fin quando le ante dell'ascensore non si chiusero dietro di lui. Poi rientrò in casa, e con estrema cautela richiuse la porta. Rimase a fissarla, senza però farlo davvero, e con lo sguardo sognante e le labbra distese in un sorriso si ritrovò inevitabilmente a pensare alle ultime ore che avevano trascorso insieme. Quello che lui le aveva detto e quello che lei gli aveva detto. Alla vicinanza, i baci, le carezze e i brividi che l'avevano fatta sentire come non si era mai sentita.
Come non pensava ci si sarebbe mai potuti sentire.

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now