XIX

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• Ellen •

La sua dolce voce mi svegliò, accarezzandomi i capelli dolcemente.
Sentivo il palmo della sua mano gelido, come se avesse appena giocato a palle di neve, ma privo di guanti.
Sentivo gli occhi pesanti, non mi andava di aprirli, non ne avevo la forza.
< Lascia... lasciami ancora cinque minuti.> borbottai, sentendo le labbra impastate.
Le coperte che fino a cinque secondi prima mi avvolgevano fino al mento non mi scaldavano più.
Il freddo mi fece rabbrividire. Indossavo una semplice maglia in seta parecchio leggera a maniche lunghe e un paio di pantaloni dello stesso materiale, che mi permettevano di non soffocare dal caldo durante la notte.
Gemetti e tentai di aprire le palpebre sbattendole un paio di volte. Mi portai le mani agli occhi e li massaggiai con i due palmi.
Odiavo essere svegliata, cosí poi...
Papà era molto rigido per quanto riguardava la sveglia, lui voleva che ogni giorno mi svegliassi massimo alle otto di mattina, non più tardi e possibilmente molto più presto, per fare colazione e prepararmi velocemente.
Perché?, beh questo non lo sapevo nemmeno io.
Papà aveva diverse regole, rigide e obbligatoriamente rispettabili, come ad esempio quella di non entrare in biblioteca prima delle undici di mattina e per questa regola sapevo anche la ragione.
Quando mio papà era piccolo, un giorno di primavera era rimasto a casa insieme a suo cugino, Harry. Sua mamma, nonché mia nonna, era uscita per una veloce commissione e nel mentre i due cugini erano in biblioteca, erano le nove e mezza di mattina.
Papà mi aveva raccontato che i muri avevano iniziato a tremare e una crepa che assomigliava vagamente ad un ramo di un albero si era formata sulla parete della biblioteca. Poco dopo, precisamente alle dieci, gli scaffali cominciarono a muoversi e subito dopo a crollare, Harry stava piangendo, mio papà ricordava di aver sentito delle parole provenire dalla sua bocca, prima che uno scaffale, colmo di libri, gli cadde addosso.
Mia nonna tornò a casa mezz'ora dopo, mio papà aveva sentito le urla di sua madre urlare il suo nome, ma lui non riusciva a parlare. La sua gola era bloccata e i suoi occhi fermi sulla sagoma del cugino ormai in fin di vita.
Mia nonna appena lo vide chiamò qualcuno, ma ormai non c'era più nulla da fare, dalla sua bocca non fuoriusciva più alcun respiro.
Okay, forse non aveva molto senso non farmi entrare in biblioteca prima delle undici, ma potevo capire che all'interno della sua mente quel giorno gli aveva lasciato un segno, come un enorme punto esclamativo all'interno di un tema di italiano, non puoi ignorarlo come se non fosse nulla.
Lo faceva per il mio bene, per far sì che lui non perdesse altri cari e lo stimavo.
Mi voltai verso sinistra e dopo un paio di tentativi riuscii a spalancare gli occhi, ma quello che vidi mi fece inorridire.
Quello non era mio padre.
Aveva la carnagione cadaverica, gli occhi completamente neri spalancati, come se avesse appena visto un fantasma e due occhiaie violacee sotto di essi.
Il mio cuore fece una capriola, mentre il mio respiro si fece incontrollabile, come il motore di un'auto da corsa.
Avevo paura, quello non era il papà che conoscevo, quello non era lui.
Scacciai un urlo, fino a sentire le mie corde vocali dolere.
Tenni le palpebre chiuse con violenza, non volevo più vedere quel viso.
Quando le riaprii, però, lui non c'era più, la sua figura era stata sostituita da una dalla pelle pallida e una lunga e mossa chioma rossa.
Kim?
I suoi occhi erano spalancati, mentre le sue dolci labbra ridotte in una sottile linea.
Sentivo ancora il battito incontrollato del mio cuore risuonarmi nelle orecchie fastidiosamente.
< Ellen! Svegliati!> Sbottò la ragazza affianco al letto. Ma era inutile, le sue parole mi rimbombavano nelle orecchie, ma non riuscivo a far fuoriuscire dalle mie labbra nemmeno un verso, una parola.
I suoi occhi completamente neri erano come una fotografia che mi copriva la visuale della stanza, riuscivo a scorgere solo quelli, perfino quando sbattevo gli occhi.
Il terrore si era già cosparso nel mio petto alla velocità di una moto da corsa, ma la mente lo percepiva solo in parte, il resto era come imbambolato al pensiero di rivedere mio papà.
Poi, fortunatamente, dopo qualche scossone da parte di Kim, la mia mente ricominciò a ragionare, mettendo insieme i pezzi del puzzle e facendomi riuscire a ricominciare a respirare regolarmente.
< Gesù, El, ma che ti è successo!?> Sbraitò, facendo diversi movimenti con le mani.
Il suo sguardo era parecchio preoccupato, mentre i suoi capelli erano particolarmente scompigliati e arruffati, formavano qualche ricciolino alla tempie e alla fine delle ciocche rosse.
<io... non lo so cos.. cos'ho fatto? Vi ho svegliato? Mi dispiace, vi giuro io... io non so che mi è preso..> farneticai io, mettendomi seduta sul morbido materasso e tastandone le lenzuola.
Kim si sedette affianco a me e prese a guardarmi, con sguardo affettuoso e comprensivo.
Cosa doveva dirmi?
La conoscevo da poco, non ero ancora riuscita a capire come tradurre lo sguardo di ognuno di quei ragazzi, ma intendevo farlo molto presto, per capire se mi nascondevano qualcosa e se soprattutto cosa provavano per me: odio? amore? indifferenza? pena?
Capirlo mi era sempre risultato elementare, fin da piccola.
< Sono le due di pomeriggio, Ellen, hai dormito per quasi quattordici ore. Io mi sono svegliata questa mattina presto e poco fa hai iniziato ad urlare qualcosa. Sono salita ed eccomi qui. Gli altri ragazzi sono rimasti di sotto, gli ho riferito di prepararti qualcosa da mangiare, prima però ti conviene farti un bagno, francamente, non sei nelle migliori condizioni.> mi disse e a sentire quelle parole spalancai gli occhi. Lei rise.
Quattordici ore?
Sinceramente non mi ricordavo nemmeno cosa avevo fatto la sera prima e questo accese la curiosità nella mia mente.
Cos'era successo?
Peter...
L'auto e i ragazzi.
La villa di papà.
il bosco.
la pioggia.
E poi nulla, era come se il mio cervello avesse resettato tutto da capo, oppure semplicemente non potevo ricordarmelo perché mi ero addormentata.
Ma come ci ero arrivata in quella stanza?
Non rammentavo di essere tornata a piedi in quella casa.
Mi portai due mani agli occhi e li massaggiai ripetutamente, sentendo un'istantaneo sollievo.
< vieni, El, ti accompagno al bagno, poi puoi fare con comodo.> Mi disse Kim, tirandomi un paio di colpetti delicati sulla gamba coperta dal lenzuolo caldo.
Io, faticosamente, mi alzai e mi avvicinai ad una cassettiera all'interno della cabina armadio, impugnai dell'intimo e presi anche una tuta nera insieme ad una felpa del medesimo colore, dotata di un cappuccio.
Afferrai anche un paio di calze pesanti in lana e il mio asciugamano personale che mi aveva dato Kim.
La ragazza dai capelli rossi mi stava aspettando appoggiata alla porta con le spalle, con un sorriso comprensivo stampato in viso.

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