XVI

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• Ellen •
" una settimana dopo"
L'acqua scorreva veloce in quel piccolo canale naturale formato dal suolo fangoso e franoso di quel campo. Delle gocce ticchettarono sui miei anfibi quando passai affianco a quel piccolo corso d'acqua.
Le mie scarpe scivolavano quando venivano a contatto con l'erba bagnata e vischiosa e cercai in tutti i modi di non cadere a terra e sporcarmi gli indumenti.
Mi strinsi alla mia leggera sciarpa in lino di un colore troppo scuro e triste.
L'aria fresca e umida mi muoveva i capelli verso la sua direzione e mi spostava la maglia leggera che indossavo.
Le foglie secche a terra di colori sul giallo e l'arancione svolazzavano sul suolo d'erba, mentre le molteplici nuvole nell'immenso cielo si muovevano lentamente verso una direzione che non potevo identificare con certezza.
Quella notte c'era stato un forte temporale e non capivo perché proprio oggi dovevamo andare verso la mia villa e quella di mio papà.
Cosa pensavano di trovare in quel posto?
Non ne era rimasto nulla.
Kim ad ogni passo mi accarezzava la schiena, capendo il dolore che stavo provando in quel momento, non volevo tornare in quel posto.
I quattro ragazzi davanti a noi distavano quasi di cinque o sei metri, erano troppi veloci ed io non avevo proprio voglia di correre per stare dietro a loro.
Volevo arrivare alla villa il più tardi possibile, per avere il tempo di pensare a tutto quello che era successo.
A tutto quelli che era successo alla casa, a mio padre e alla mia vita.
Ma non vedevo l'ora di incontrare Peter, dopo quasi una settimana in cui gli avevo mentito su tutto.
Lui era preoccupato per me, ed io ero stata molto stronza a non rassicurarlo.
Lo avevo quasi dimenticato in tutte quelle settimane, avevo pensato solo a me stessa e ai miei problemi, ma lui era il mio migliore amico e gli volevo bene, quindi avrei dovuto raccontargli tutto.
Mi voltai verso Kim, quel giorno indossava un largo maglione verde smeraldo e un paio di jeans neri che coprivano buona parte degli anfibi dalla suola alta che aveva ai piedi.
Non aveva portato nemmeno un giubbino, non aveva freddo?
Okay forse avevo esagerato io.
Avevo optato per un paio di jeans marrone scuro parecchio larghi, una felpa nera e bianca e le mie solite converse nere.
Avevo anche indossato una sciarpa e mi ero portata un pesante giubbotto dello stesso colore scuro e triste della felpa.
Non capivo come i cinque ragazzi che mi avevano accolto con loro non avessero freddo.
Come?
Avevano una pelliccia incorporata come gli animali?
< Vi volete muovere?> Chiese Mason, raggiungendoci a passo svelto, mentre gli altri tre ragazzi continuavano il loro percorso senza nemmeno voltarsi per controllarci.
I passi svelti di Mason facevano scricchiolare le foglie secche sotto i suoi piedi.
< Senti, Mason, se vuoi proprio disturbarci ti conviene tornare dai tuoi amichetti asociali.> Gli rispose Kim, mantenendo un tono autoritario e freddo.
Mi sembrava leggermente nervosa quel giorno.
Forse era successo qualcosa...
Stava bene?
Potevo fare qualcosa per aiutarla?
< Okay... cosa sta succedendo?> chiese Mason, notando che l'aria si stava scaldando.
Mi voltai verso Kim, che guardava il suo amico con indifferenza.
< Ehm...io... vi lascio... soli...> Balbettai e non ricevendo una risposta li superai, iniziando a camminare lentamente in quel tunnel formato dagli alberi autunnali e la natura.
I tre ragazzi che prima erano di fronte a me si erano spostati affianco a Mason e Kim e in quel momento ero io il
capofila.
Sentivo le voci di tutti alle mie spalle e le mie paranoie, come sempre, si fecero sentire nella mia mente.
Stavano parlando di me?
Avevo qualcosa di strano?
Non volevano più avermi in casa loro?
Si erano stancati della mia presenza?
Il mio cuore fece istantaneamente una capriola quando inciampai in un rigonfiamento del suolo sotto i miei piedi.
Probabilmente era una radice di un albero.
Cercai attorno a me qualcosa a cui aggrapparmi, ma non lo trovai.
Aspetta...
Cosa stava succedendo?
Il mio corpo era bloccato a mezz'aria, distante poco più di venti centimetri dal suolo fangoso.
Stavo volando o cosa?
Una spinta mi riportò con i piedi a terra e io feci un respiro profondo.
Un forte odore di fumo e acqua di colonia mi colmò le narici.
Mi voltai.
Il viso pallido di Aaron era poco distante dal mio.
I nostri nasi non si sfiorarono per poco.
I suoi occhi sottili e freddi osservavano ogni mio movimento.
Una boccata di fumo uscì dalle sue labbra e si dissolve proprio di fronte a me.
Che schifo.
Mi stava fumando in faccia.
< Ehm... io... grazie.> dissi titubante, completamente rapita dalle sue iridi chiare.
Lui fece un ghigno.
< Non ringraziarmi, sono abituato a salvare le ragazzine come te.> Mi rispose alzando le spalle.
Cosa aveva appena detto?
Sono abituato a salvare le ragazzine come te.
Cosa?
Spalancai gli occhi.
Stava bene quel ragazzo?
< Non chiamarmi così.> Replicai fredda, guardandolo dritto negli occhi.
< Così come?> Chiese lui, facendo il finto tonto.
Il suo sorriso da stronzo era ancora presente sul suo viso.
Mi veniva quasi voglia di tirargli uno schiaffo.
Era stato molto gentile ad aiutarmi, ma perché non aveva semplicemente accettato i miei ringraziamenti senza fare le solite scenate da: "io sono il ragazzo più bello di questa cittadina." ?
Non riuscivo a capirlo.
E non volevo farlo.
Non mi interessavano quel genere di ragazzi.
E mi ero ripromessa di stargli più alla larga possibile.
< Sai bene come.> Gli risposi.
Mi stava facendo innervosire.
Fece un passo verso di me e io istintivamente mi allontanai.
Lui sorrise.
< Non credo, ragazzina, com'è che non dovrei chiamarti?> Mi chiese un altra volta, curvando il capo e facendo muovere i suoi capelli mossi.
< Lascia stare.> gli risposi, voltandomi e continuando a camminare verso la fine del bosco.
Sentivo il suo sguardo puntato verso la mia figura e non riuscivo a non sentirmi sotto pressione.
Lo odiavo.
Disprezzavo il suo comportamento e i suoi improvvisi sbalzi d'umore.
Prima era felice e faceva battutine e poco dopo incominciava a fare lo stronzo e l'arrogante.
Ma cosa voleva da me?
Desideravo solo mi lasciasse stare.

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