III

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• Ellen •

Papà non amava le amicizie, diceva che erano tutte balle. Non si fidava di nessuno, nemmeno delle sue guardie del corpo.
Era strano, perché ogni volta che doveva svolgere un compito importante lo faceva fare alle sue guardie del corpo, che accettavano volentieri.
In passato, però, mi ricordo benissimo che lui aveva una persona che lui definiva amico, di cui lui si fidava ciecamente.
Ricordo che ogni giorno veniva in casa nostra e mi portava qualche regalo.
Si chiamava Marc Harris, se non ricordavo male.
Aveva due piccoli e severi occhi celesti e pochi capelli a chiazze grigie e nere.
La sua barba era molto lunga, con sfumature bianche. Qualche giorno la tagliava e la lasciava corta e pungente, ma quando non aveva tempo a causa del lavoro la lasciava crescere.
Ricordavo che ogni singolo giorno che mi vedeva mi sorrideva e io ricambiavo, per educazione. Ma in realtà gli sorridevo anche io perché quel tipo mi piaceva, era simpatico, amichevole e mi sembrava apposto.
A sette anni, però, si sa che non si è completamente coscienti di quello che una persona che non conosci bene possa farti, pensi che tutto attorno a te sia uno stupido gioco, come se i ladri che rapinano le banche fossero dei divertenti personaggi di un videogioco.
Infatti, quello che Marc mi fece fu una cosa che nessuno poteva aspettarsi, da un uomo gentile come lui.
Un pomeriggio di primavera si era fermato a casa nostra dopo essere tornato dal lavoro, ma mio papà sfortunatamente non era a casa.
Marc mi disse se volevo fare qualcosa, un gioco con lui.
Io accettai, perché quel giorno non avevo compiti da fare, ma qualche minuto dopo mi pentii amaramente di avergli risposto e di non averlo cacciato da quella casa.
Da quel giorno, mio papà perse completamente i rapporti che aveva con lui, dopo una violenta litigata.
E subito dopo iniziò a non fidarsi più di nessuno.
Mi è sempre sembrato strano che a lui non piacesse Peter, ma lui non odiava il mio migliore amico, mio papà voleva proteggermi, per non farmi passare quello che avevo passato.
Questo mi faceva sorridere.
Ma non lo feci.
Non alzai i lati delle labbra nemmeno di un millimetro.
Perché vederlo lì, in un cimitero, dentro ad un'orribile tomba in legno, mi faceva soffocare. Sentivo il mio cuore smettere di battere e il mio respiro bloccarsi.
Com'è successo?
Chi aveva ucciso mio papà?
Queste erano le domande più frequenti che si ripetevano nella mia mente, dalla notte in cui lo avevo visto nel suo studio, dalla notte in cui ho dovuto chiamare l'ambulanza e persino la polizia.
Ma non ho dovuto chiamare nessun suo amico, perché lui non si fidava di nessuno, forse nemmeno di me.
Durante il funerale c'erano poche persone, di cui la maggior parte non conoscevo l'esistenza.
< Mi dispiace, molto, signorina Taylor.> una delle sue guardie del corpo mi strinse la mano, sembrava quasi dispiaciuto.
Forse lo era davvero...
Mi sentivo veramente sola.
Peter era andato via dal funerale per fare una partita, obbligato da suo papà.
Lui non voleva andarci, aveva detto che necessitava di rimanere qui con me, ma io l'avevo lasciato andare, perché mi dispiaceva, non potevo fargli saltare una partita.
Mi guardai attorno.
Poco distante dalla tomba di mio papà vidi un gruppo di quattro ragazzi e una ragazza.
Quattro di quelli non sembravano interessati all'accaduto, scherzavano fra di loro. Mentre un ragazzo, molto alto, poteva essere di un metro e novanta di altezza, mi osservava serio.
Un brivido mi fece rizzare i peli.
I suoi capelli mossi e molto scuri rimanevano scompigliati sulla sua testa, mentre i suoi occhi chiari mi osservavano attentamente, quasi volesse farmi scomparire con uno sguardo.
Chi erano quei ragazzi?
Forse mio papà li conosceva...
< Signorina Taylor?, mi scusi?> una voce proveniente dalla mia destra mi fece distogliere lo sguardo dal ragazzo, facendomi voltare verso di lei.
Una donna, che dimostrava meno di cinquant'anni, mi sorrideva, comprensiva.
Aveva dei lunghi capelli biondo fragola e due piccoli occhi ambrati.
Mi mostrava con la mano destra un distintivo, ma non ne necessitava, potevo riconoscere una detective quando la vedevo.
Pistola nella cintura, sul fianco, una camicia bianca, che di solito tenevano sotto un lungo cardigan beige e dei semplici jeans che coprivano le loro gambe.
Ne avevo visti molti, uscire ed entrare da casa mia e tutti sottostavano alla mia caratteristica.
< Salve, sono la detective Brown, potrei parlarle per qualche minuto?> mi chiese con tono cortese ed educato.
Io annuii, tentando disperatamente di creare con le mie labbra un sorriso sincero.
< Certo, perché no...> dissi, asciugandomi qualche lacrime dalle mie guance.
Feci un respiro profondo, tentando di calmare il mio battito cardiaco.
< Okay, possiamo... Possiamo iniziare. > Dissi quando mi sentii pronta per rispondere alle domande.
Lei mi fece un sorriso rassicurante, che però, non mi rassicurò per nulla, sfortunatamente.
< Perfetto... Cosa... Cos'è successo quella notte?> chiese.
Io annuii.
Eravamo arrivati subito al punto, meglio, no?
Aveva iniziato dalla domanda più antipatica perchè forse sapeva che le altre sarebbero state meno...impegnative
Avrei strappato subito il cerotto.
Si notava che si sentiva in colpa nel fare quelle domande, perché forse sapeva cosa si provava e si stava dimostrando parecchio comprensiva.

Le raccontai tutto e lei si segnó qualcosa nel suo taccuino dalle pagine ingiallite.
< Lei sa chi è stato? > mi chiese.
Se avessi saputo chi era stato non sarei qui a parlarle...
Feci un finto sorriso.
< No, Detective.> le risposi calma.
Non dovevo mostrare di essere in ansia, o avrebbero pensato che sapevo qualcosa, loro erano fatti così.
Ma io non sapevo nulla, sfortunatamente.
Dopo altre domande lei mi salutò e io lasciai il cimitero, addentrandomi nel bosco che il pomeriggio del giorno in cui era morto avevo amato ma che in quel momento stavo odiando.
Le gocce di pioggia cadevano dalle foglie degli alberi e l'erba bagnata mi faceva scivolare le scarpe, provocando un rumore a dir poco fastidioso.
Quel giorno i miei capelli erano legati in due trecce che ricadevano sulle spalle, mentre avevo optato per indossare un semplice tubino a maniche lunghe che mi arrivava alle ginocchia, nero.
Avevo anche messo la collana in perle bianche che mi aveva regalato mio papà.
Magari, da lassù sarebbe stato fiero di me...
Nonostante tutto, però, mi sentivo in colpa perché non ero riuscita nemmeno a salutarlo.
Non gli avevo detto nemmeno un: "ciao papà, buon viaggio!"
Forse non aveva nemmeno fatto un buon viaggio.
Non sapevo nemmeno il motivo, ma sotto il vestito, come elastico attorno ad una coscia indossavo un porta- coltello.
Me l'aveva dato mio papà, aveva detto che quando sarei andata ad uno di quei party della scuola avrei dovuto portarlo, per sicurezza.
Ma non sapevo perché al suo funerale l'avevo portato.
Forse avevo paura che ci sarebbe stata una sparatoia.
Ma cosa avresti fatto con un semplice coltello, Ellen?
Mi passai una mano sul viso e mi inumidii le labbra con la lingua.
La polizia mi aveva consigliato di tenere sempre qualche guardia del corpo alle spalle, ma non ne avevo bisogno.
Non volevo una guardia del corpo.
Ora che con me non avevo più nessuno, non avevo più nemmeno la necessità di vivere. L'unica persona che mi faceva rimanere qui, nel mondo dei vivi, era Peter.
Il mio solo e unico migliore amico.
Quando, alle mie spalle, sentii un rumore, impugnai il mio coltello e mi voltai, puntandolo contro lo sconosciuto.
< Ei, la ragazza è violenta!> esclamò, per niente spaventato.
Riconobbi il ragazzo che mi stava osservando durante il funerale. In un momento di distrazione mi prese il coltello dalle mani e lo lanciò altrove.
Lo maledii mentalmente.
< Ma che fai?!> Sbottai, cercando con lo sguardo il mio coltello. < Di cosa hai bisogno? Sei un'altro di quei detective?> chiesi curiosa. In effetti era vestito simile ad essi, Una maglia a maniche corte nera parecchio stretta, che lasciava scoperti alcuni tatuaggi sulle braccia. Mentre sulle gambe aveva dei cargo neri che lasciavano un centimetro di pelle prima degli anfibi neri.
Non si era nemmeno degnato di vestirsi elegantemente per un funerale. Ma non gliene davo una colpa, magari era solo di passaggio ed era annoiato, così si era messo a guardare la celebrazione insieme agli amici maleducati.
Prima che potessi chiedergli qualcos'altro sentimmo degli spari provenire dal luogo dove eravamo posizionati prima. Il ragazzo mi spinse a terra e mi fece da scudo, finché gli spari cessarono.
< Devi venire con noi.> disse alzandosi. Io lo guardai confusa, mentre lui puntava lo sguardo verso il cimitero.
Chi era?
Cosa voleva da me?
< cosa?... io... io non ti conosco nemmeno... protesti volermi uccidere.> Gli risposi, titubante.
< Non era una richiesta, ragazzina. Verrai con noi.> mi disse, sicuro di sè.
Quando lui fece due passi verso il cimitero io presi l'occasione per alzarmi e iniziare a scappare, schivando rami e radici.
Non sentivo i passi del ragazzo dietro di me, ma ero sicura che sapeva che ero scappata.
Corsi ancora più veloce e mi infiltrai in un sentiero tra gli alberi fioriti.
Quando le mie gambe iniziarono a dolere, mi fermai, piegandomi in due.

☆゜·。。·゜゜·。。·゜★

EI RAGAZZX :)

Come va piccoli miei? Siete felici oggi? Anche se lo siete, vi dirò una cosa per strapparvi un sorriso.

Ora, avvicinati più al telefono, ma non troppo, senò finirai miope come me.


Aspetta qualche secondo...


Ora... mettiti in posa...





ODDIO!!!!!!!!!





Sei magnificx!


Sono sicura che Afrodite ti invidia... 💗🦋


Consiglio del giorno per la tua magnifica vita: Non farti scoraggiare da una caduta, continua a camminare, e vedrai che ne sarà valsa la pena.

AllianceWhere stories live. Discover now