Capitolo 58

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Il sole era alto da non molto, ma i suoi deboli raggi furono abbastanza forti da svegliare la maggior parte di loro. Almeno chi non era poi così stanco ed era riuscito a dormire durante la notte. In pochi furono costretti ad essere svegliati, Reiner e Beatris erano due di loro. Dopo la discussione con Jean lei aveva pianto per ore, in preda al tormento, e Reiner aveva cercato di restare sveglio per starle a fianco, anche se le ferite dei pugni del ragazzo l'avevano tramortito abbastanza da fargli sentire il bisogno di chiudere gli occhi a un certo punto. Era riuscito a resistere abbastanza da vederla infine addormentarsi, ancora scossa dai singhiozzi, stesa con la testa sulle sue gambe e il volto premuto contro la sua camicia. Per non rischiare di svegliarla, era rimasto seduto, con la schiena poggiata a un tronco d'albero lì di fianco, e in quel modo si era alla fine addormentato. Con la testa reclinata da un lato e un terribile mal di schiena ad aspettarlo la mattina dopo. Ma non fu quella scomodissima posizione a svegliarlo, quanto più un potente colpo su un piede che fece vibrare l'intera gamba fino al ginocchio. Si scosse, in preda al panico, pronto a scattare in piedi e combattere contro qualsiasi minaccia. Fu talmente violento che persino Beatris, aggrappata a lui, sobbalzò e si svegliò improvvisamente allarmata. Ed entrambi alzarono gli occhi spaventati alla persona che li aveva svegliati in quel modo così brusco.
«Per quanto ancora avete intenzione di dormire voi due?!» ringhiò Jean, guardandoli irritato.
«J-Jean?» balbettò Beatris, più confusa che mai. Quando era tornato? E perché proprio lui era andato a svegliarli? Jean increspò le sopracciglia, fissandola per qualche istante. Beatris si sarebbe aspettata di vedersi rivolgere solo odio e repulsione, ma in realtà, benché la rabbia fosse ancora in parte presente sul volto di Jean, a prevalere c'era un profondo dolore. E infine lui le porse un piatto.
«La colazione» disse semplicemente. «Sbrigatevi, tra poco partiremo» e si allontanò.
«Eh?» mormorò Beatris, ancora più confusa. Le aveva portato la colazione? Non riuscì a staccare gli occhi da Jean, che intanto tornava vicino al falò, per riempire piatti e passarli ai propri compagni vicino a lui. Il risveglio e la nottata erano state così confuse, così stordenti, che non riuscì a capire cosa stesse succedendo. Che se lo fosse solo sognato? Che non avesse realmente detto a Jean del suo coinvolgimento nella morte di Marco? Ma allora perché mostrarsi così freddo? Cosa stava succedendo?
«Immagino che a me toccherà alzarmi, sempre se me ne lascerà un po'» commentò Reiner, notando come l'unico piatto che Jean avesse portato fosse per Beatris. Lei lo guardò mentre si alzava da terra e provava ad avvicinarsi al fuoco, sperando di riuscire ad avere qualcosa anche per sé. E solo allora abbassò lo sguardo al piatto che Jean le aveva messo in mano. Sgranò per un attimo gli occhi, pervasa da un'improvvisa emozione.
Un'omelette.
Jean le aveva portato un'omelette, improvvisata sicuramente con gli avanzi della sera prima e qualche tubero delle loro scorte personali. Tremante, alzò di nuovo lo sguardo a lui e lo vide in quel momento sbattere nel piatto una porzione di uova con tale forza da distruggere il tutto, e passarlo poi a Reiner, quasi lanciandoglielo contro.
Non aveva sognato, la terribile discussione della sera prima era stata reale, ma lui... aveva deciso, forse, di perdonarla? Andare oltre?
Si alzò e gli si avvicinò, desiderosa di parlargli, cercare di capire... provare forse a chiedergli ancora perdono. Ma quando gli arrivò a fianco non riuscì a trovare la forza neanche di aprire bocca. Jean continuò a cuocere uova e chiuderle su un condimento improvvisato, preparando altre porzioni, in silenzio, senza volgerle lo sguardo. Sapeva che era lì, eppure non la guardava nemmeno, ancora frustrato. E Beatris non riuscì a trovare niente da dirgli che potesse avere un senso. Era ancora arrabbiato, era ovvio che lo fosse ed era naturale, ma nonostante questo aveva fatto quel passo verso di lei. Forse per dirle che nonostante tutto non aveva intenzione di voltarle definitivamente le spalle? Ne era grata, infinitamente grata, ma più ci pensava e più si rendeva conto di quanto fosse ingiusto e insensato. Avrebbe dovuto odiarla, era giusto che fosse così. Lei non meritava tutto quell'affetto, perché non riusciva a capirlo?
«C'è qualcos'altro che mi devi rivelare?» parlò improvvisamente Jean e Beatris sussultò come se fosse appena stata punta da uno spillo. Non riuscì a rispondere, ancora troppo confusa e paralizzata, e Jean finalmente si voltò a guardarla. «Ci sono altri segreti che non mi hai mai detto?»
Serrò appena le dita sul piatto che ancora sorreggeva, come un prezioso tesoro, e tornò a sentire la gola andare in fiamme. La minaccia del pianto che ancora tornava a premere su di lei. Deglutì, cercando di controllarsi, e negò semplicemente con la testa.
«Ormai credo che il peggio sia andato, no?» disse lui, tornando a concentrarsi sulla padella. «Non penso che ci sia qualcosa di peggio che confessare di aver sparato a Eren e di essere stata complice della morte di Marco... giusto? Non c'è altro, vero?»
«No» tremò Beatris. «Non c'è nient'altro».
«Immagino sia così» sospirò Jean e lo vide rilassare le spalle, come se si fosse appena liberato di un peso. «Non avresti altro da perdere, credo».
Lei... lo aveva perduto. Era davvero questo che le stava dicendo? Che non le restava più niente? Quell'omelette... era stata solo un'illusione? Aveva creduto che fosse un gesto di pace, ma probabilmente si era sbagliata. Lei aveva perso ogni cosa, aveva perso anche lui, cosa le restava? Che senso avrebbe avuto mentire ancora?
Abbassò lo sguardo, avvilita e ormai arresa, e si voltò, decisa ad allontanarsi. Ma Jean la fermò, richiamandola. «Tris...»
Tris.
Si sentì scuotere da capo a piedi solo per averglielo sentito pronunciare. Si voltò nuovamente a guardarlo, sorpresa, commossa. E Jean smise di guardarla con quella rabbia repressa che aveva avuto fino a quel momento, ma le rivolse invece uno sguardo pieno di tristezza. «Non mentirmi più, ok? Puoi fidarti di me, lo sai».
Lui era davvero disposto a perdonarla? Lo aveva fatto veramente?! Com'era possibile? Perché?
Lottò per non scoppiare a piangere, ma non riuscì a contenersi. Un singhiozzo le uscì smorzato dalla gola e una lacrima sfuggì al suo controllo. Strinse di nuovo il piatto con l'omelette tra le mani e sibilò con un filo di voce: «Ok».
«Siediti» le disse Jean, indicandole con un gesto del capo un punto di fianco a sé. «Mangia quell'omelette prima che si freddi».
Come mossa da dei fili, senza avere pienamente il controllo di sé, Beatris accettò l'invito e gli si sedette a fianco. Jean riprese a cucinare, in silenzio, ma solo l'averlo accanto la faceva stare bene e male allo stesso tempo. Si sentiva così in colpa, così orribile perché era davvero felice di saperlo ancora al suo fianco. Nonostante tutto. Prese la forchetta, tremante, si asciugò rapidamente una lacrima dal viso con una strofinata di polso, e prese il primo boccone. Nonostante fosse stata improvvisata e arrangiata, riuscì a riconoscere il tocco di Jean in quel semplice piatto. Ci aveva davvero messo tutto se stesso.
«È... buona...» mormorò, ancora troppo scossa per riuscire a parlare.
«Certo che lo è, l'ho cucinata io!» le rispose Jean e nonostante la sua fosse qualcosa di molto simile a una battuta, non riuscì comunque ad abbandonare lo sguardo abbattuto e serio. Chiuse l'omelette che stava preparando, la mise in un piatto e la porse a Connie, che si era avvicinato in quel momento per reclamare la sua porzione.
«Dove diamine hai trovato quelle uova?» gli chiese questo, guardando il panno dentro cui ce n'erano ancora una decina.
«Fuori dal bosco ho trovato una fattoria abbandonata. I giganti devono averla distrutta nella loro marcia, ma nel pollaio c'erano ancora queste» spiegò Jean.
«Fuori...?» mormorò Connie, confuso. Da che ne sapeva, la foresta si spandeva ancora per un bel po' dalla loro posizione. «Quanto ti sei allontanato stanotte?» chiese inarcando un sopracciglio.
«Ho camminato per un po'» rispose Jean, vago. Aveva avuto bisogno di schiarirsi le idee e si era ritrovato a vagare così a lungo che nemmeno lui si era reso conto di essersi allontanato così tanto fintanto che non si era trovato di fronte quella vecchia fattoria. Era stato imprudente, se ne rendeva conto, aveva rischiato di perdersi e soprattutto di incontrare qualche nemico, ma non ci aveva riflettuto molto, sul momento. E alla fine gli era stato utile. Quando si era trovato davanti quelle uova abbandonate, covate solo da un paio di galline sopravvissute, aveva provato il desiderio di cucinarle per Beatris come aveva fatto per tutti quei quattro anni che lei era stata in prigione. E aveva così capito che nonostante tutto non sarebbe mai riuscito a odiarla. Ma anzi, era assurdamente riuscito a comprenderla. Aveva compreso quella sua follia nel giustificare Reiner per ogni cosa, crederlo in fin dei conti buono, era riuscito a comprendere la sua fiducia nonostante tutto il male che aveva fatto, perché era esattamente così che si era sentito anche lui. Aggrappato a quella stupida speranza che, in fondo, Beatris non era mai stata cattiva davvero ma che ci fossero state cose più grandi di lei a cui non era riuscita a far fronte. Solo un'altra vittima di quel crudele mondo... come Gabi e Falco. Ecco perché si era sentita così in dovere di aiutarli, nonostante fossero gli assassini di Sasha. Si era sentita come loro.
Chissà... magari se non si fosse sentita sempre così sola e incompresa, forse non avrebbe commesso gli errori che aveva commesso. Forse se non avesse sentito che Reiner era l'unico in grado di accettarla, se avesse capito che anche lui era disposto ad avere piena fiducia in lei, a non lasciarla sola, forse avrebbe smesso di affrontare il mondo intero e trattarli tutti come nemici. Forse non avrebbe più fatto nuovamente quegli errori. Aveva capito che arrabbiarsi con lei, decidere di voltarle le spalle, sarebbe stato solo un modo per spingerla ad allontanarsi di nuovo, legata solo a Reiner, e magari un giorno avrebbe accettato persino di combatterli. Per quanto facesse male, non poteva permettere che accadesse. Non sarebbe stato quello il modo di farla tornare sulla giusta strada, avrebbe dimostrato che davvero Reiner era l'unico in grado di accettarla e questo l'avrebbe spinta a seguirlo ancora. Allontanandosi da loro, come aveva sempre fatto.
Reiner è tutto ciò che ho.
Quante volte glielo aveva sentito ripetere e quante volte si era arrabbiato perché non era assolutamente vero.
Tu hai noi!
Glielo aveva urlato a Liberio, ormai esasperato. Ma lei non ci aveva creduto, e se alla fine Jean si fosse veramente allontanato allora le avrebbe dimostrato che aveva ragione. Che lei davvero aveva solo Reiner, al mondo, in grado di accettarla e amarla incondizionatamente. Quella era la prova più difficile a cui fosse stato sottoposto, ma era esattamente quello che aveva promesso che avrebbe sempre fatto: avrebbe creduto in lei, anche quando non sarebbe stato in grado di comprenderla. Perciò era tornato indietro, con quelle uova saccheggiate a una fattoria che ormai non se ne sarebbe più fatta niente, e si era messo al lavoro, disposto a dimostrarglielo. Disposto a dimostrare che avrebbe accettato ogni cosa di lei, persino quel suo assurdo amore verso Reiner.
«Non aspettarti comunque che possa iniziare a simpatizzare per quello là» le disse di punto in bianco, dopo quell'infinita riflessione. Lanciò uno sguardo astioso a Reiner, seduto in disparte: stava finendo di mangiare la sua porzione di uova e poltiglia, che sarebbe stata qualcosa di vagamente simile a un'omelette se Jean non glielo avesse spappolato nel piatto al momento di servirglielo.
«Eh?» mormorò Beatris, confusa.
«Comunque non posso perdonarlo».
Beatris seguì lo sguardo di Jean, riuscendo a vedere Reiner, che in quel momento, forse sentendosi osservato, lanciava a sua volta un'occhiata nella loro direzione. Li guardò per qualche istante, poi tornò a finire la sua colazione, senza dar loro peso. Probabilmente intuendo cosa stesse accadendo, era deciso a lasciargli il loro spazio, nella speranza che avessero potuto riappacificarsi. Non gli importava essere odiato, ma aveva sentito Beatris piangere quasi per tutta la notte e per quanto non apprezzasse l'idea che proprio Jean, tra tutti, fosse una delle persone più importanti della sua vita, sarebbe stato disposto ad accettarlo pur di vederla serena.
Beatris abbassò lo sguardo al suo piatto ormai vuoto, avvilita. «Ma... Jean, io...»
«Lo so, è anche colpa tua» l'anticipò Jean e tornò ad abbassare lo sguardo al fuoco, per spegnerlo. Non sembrò però turbarsi nell'ammettere la sua colpevolezza ad alta voce, come se fosse riuscito ad accettarla.
«Ma... tu...» continuò a balbettare Beatris. «Non credi che anche io non potrei essere perdonata?» chiese, stringendosi nelle spalle.
«Sì, è così» e Beatris tornò ad alzare lo sguardo spaventato su di lui. Non riusciva proprio a capire: non l'aveva perdonata, eppure era così amichevole con lei. Perché?
Jean sospirò, arrendevole. «Hai sempre fatto un mare di casini, non riesci proprio a non tenerti fuori dai guai, eh? Sapevo a cosa andavo incontro, quando ho cominciato a esserti amico... mi hai quasi fatto uccidere, ricordi?»
«Io... mi dispiace» si corrucciò, addolorata.
«Sei fatta così, ne siamo consapevoli. Sei pericolosa... ma questo non ci ferma dal volerti lo stesso un gran bene. Immagino che per Mikasa sia lo stesso» disse, andando a cercare la ragazza con lo sguardo. «È per questo che ha sofferto così tanto ieri sera quando le hai detto di Eren. Non possiamo farci niente, continuerai a darci un sacco di problemi, ma siamo lo stesso pronti a starti a fianco comunque. È insensato, vero?»
«Lo è sempre stato...» mormorò Beatris, comprensiva. Era lo stesso per lei, aveva sempre saputo quanto fosse sbagliato continuare a seguire Reiner eppure non riusciva a farne a meno. Logica e amore andavano sempre in due direzioni completamente opposte, non c'era niente che potessero fare per impedirlo. «Perciò non mi hai perdonata» osservò.
«No» le rispose Jean. «Ma non ti allontanerò per questo» e le mise infine una mano sulla testa, in un gesto affettuoso. «Probabilmente sto diventando un pazzoide anche io, come te».
«Non farlo» sospirò Beatris, senza trattenersi dal sorridere lievemente. Era assurdamente sollevata: non voleva essere giustificata per ciò che aveva fatto, non voleva nemmeno essere perdonata, perché non sarebbe stato giusto. Lei aveva fatto qualcosa di imperdonabile, era pronta a portarsene la responsabilità, ma era comunque sia felice di sapere che nonostante l'enorme macchia che aveva sulla coscienza non sarebbe rimasta sola. «Tra i due quello oculato sei sempre stato tu, se impazzisci come me poi chi ci salva a tutti e due?»
Jean abbozzò un sorriso sfuggente, lievemente divertito, sicuramente più leggero, ma non per questo completamente libero dall'angoscia. «Guarda te che razza di responsabilità che mi scarichi».
Le diede una scompigliata di capelli e la lasciò infine andare, guardandola tentare di nascondere un sorriso. Lanciò poi un altro sguardo a Reiner, sentendo ancora l'odio nei suoi confronti tornare a ribollirgli in vena, ma riuscì a controllarlo. E finì di spegnere il fuoco e disfarsi del falò. «Anche se vorrei vederlo morto, sono stato io ad asciugare le tue lacrime per questi quattro anni. So quanto ti faccia male stargli lontano» commentò, nervoso. «Prometto che tenterò perlomeno di non ucciderlo».
«Credo che mi toccherà farmelo bastare» mormorò Beatris, combattuta tra l'essere sollevata o il preoccupata.
«Che significa "ti toccherà"?!» la fulminò. «Hai idea dello sforzo che faccio?!»
«Forse sì».
«Forse?!» storse il naso, sempre più contrariato. E alla fine borbottò, irritato: «Sei un'ingrata».
Ma non lo era, non lo era affatto, e lo sapevano entrambi. In quel momento l'anima di Beatris urlava disperato un grazie talmente ruggente che non aveva coraggio di tirarlo fuori a parole, per paura che la sentissero fino in capo al mondo, ma Jean riuscì comunque a percepirlo. Si scambiarono uno sguardo affettuoso, e infine lui si rialzò. «Sei pronta per provare ancora a salvare il mondo?»
Beatris sospirò, avvilita. «Odio quelle parole».
Erano sempre state la sua rovina e le riportavano alla mente la terribile serata appena passata. Affascinata da chi lottava per salvare il mondo, credendo fosse una persona migliore, si era ritrovata a commettere atrocità di cui per sempre avrebbe portato addosso il segno.
«Hai ragione» disse Jean e infine le porse una mano, per aiutarla ad alzarsi. «Sei pronta a provare a salvare i tuoi amici mentre tentano stupidamente di salvare il mondo?»
Beatris sentì qualcosa nascerle nel petto, una rinvigorita energia. Salvare i suoi amici: era sempre stata solo quella la sua missione. Tutte le volte che aveva pensato di provare a salvare il mondo, alla fine non si era lasciata alle spalle altro che una scia di sangue. Non ne era mai stata capace, aveva sempre fallito su ogni fronte, perché lei non era quel genere di persona che seguiva gli ideali. Lei era egoista, lo era sempre stata, e tutto ciò che aveva sempre e solo voluto fare era salvare i suoi amici. Alzò lo sguardo sulla mano di Jean e infine l'afferrò.
«Sì» si alzò, tirata da Jean, e tenne stretta la sua mano ancora per un po'. «Sono pronta».


«Il porto è la nostra unica speranza» spiegò Hanji, nascosta dietro una duna insieme al resto della squadra. Dietro di loro poterono sentire il rumore del mare, delle onde infrangersi sulla riva, ma non potevano raggiungerlo. Non ancora. «Gli jaegeristi ci hanno anticipato. Io e il generale Magath abbiamo dato un'occhiata, sono davvero molti e pare che tengano in ostaggio gli Azumabito».
«Gli idrovolanti?» si informò Jean.
«Sono ancora intatti. Se il loro obiettivo fosse stato impedirci di raggiungere il continente li avrebbero già distrutti, forse non sono qui per noi. Probabilmente vogliono evitare di perdere una tecnologia tanto avanzata, è anche il loro unico modo per arrivare al continente, alla fine. E gli Azumabito con i loro ingegneri sono gli unici in grado di farli funzionare a dovere, per questo non li hanno ancora uccisi».
«Qual è il piano?» chiese Beatris, finendo di allacciarsi al polso le cinghie dell'attrezzatura di movimento tridimensionale. La nuova attrezzatura, anti-uomo, di cui non aveva ancora troppa confidenza ma che aveva imparato a usare grazie agli insegnamenti di Jean prima della loro partenza per Liberio.
«Anche se fino ad ora hanno evitato di distruggere gli idrovolanti, se sapessero che siamo qui non esiterebbero a farlo pur di impedirci di raggiungere Eren» osservò Hanji.
«Strano che abbiano così paura di noi, se sono così sicuri del potere di Eren» commentò Beatris, stringendosi l'ultima fibbia.
«Forse temono il potere dei nove giganti, alla fine ne abbiamo ben tre dalla nostra parte» osservò Hanji. Beatris si controllò che tutto fosse a posto, testò l'aderenza dell'attrezzatura addosso, e infine mosse i polsi e le mani, assicurandosi di avere abbastanza mobilità. Non era ancora sicura del funzionamento di quel nuovo sistema, ma ad occhio sembrava tutto a posto. Mikasa le si avvicinò improvvisamente, e Beatris la guardò sorpresa quando lei le porse un tutore a fascia per il polso.
«La tua mano sinistra è rimasta fragile da allora, non è mai guarita del tutto. Cerca di non strafare» le disse apparentemente senza tono nella voce, ma lo sguardo afflitto le trasmise tutti i sentimenti che non riuscì a esprimere a parole in quel momento. Era ancora ferita per ciò che Beatris aveva fatto a Eren, mai si sarebbe aspettata una cosa simile da parte sua, ma era disposta a fare un passo nella sua direzione. Forse una tregua? Forse aveva ragione Jean, nel dire che comunque non l'avrebbero abbandonata? Non riuscì a comprenderlo, ma apprezzò il pensiero. Nonostante tutto, continuava a preoccuparsi per lei. Nonostante tutto, non aveva smesso di volerle bene.
Beatris accettò il tutore e lo indossò al polso sinistro, sentendo la compressione delle fasce darle più stabilità nella presa.
«Grazie» disse in un mormorio. Si aspettò di vedere Mikasa allontanarsi, tornando di fianco ad Armin, ma invece esitò di fronte a lei qualche secondo prima di riuscire a dire: «Quattro anni fa ti fermai quando provasti a salvare Reiner. Ti dissi che avresti dovuto lasciarlo morire. Immagino di non avere il diritto di arrabbiarmi con te, dopo quel giorno...»
«Ne hai, invece» mormorò Beatris, con lo sguardo rivolto a terra. «Ti ho ferita. Non importa cos'è successo in passato, non ho mai avuto intenzione di farvi del male, siete sempre stati la cosa più importante per me».
«Non volevi farlo veramente... giusto? Non hai mai voluto che Eren morisse, lo hai fatto perché non avevi altra scelta, vero?» le chiese, sentendo quella flebile speranza darle la forza necessaria a provare ad andare avanti. Beatris aveva sparato a Eren, ma non aveva mai voluto farlo davvero... non c'era altro a cui potesse aggrapparsi.
«Sì, è così. Non ho mai voluto farlo davvero» confessò Beatris e questo parve bastare. Mikasa si voltò, intenzionata a tornare di fianco ad Armin, ma prima le disse decisa: «Troveremo il modo di riportarlo indietro».
Sperava così tanto che avesse ragione. Ma era decisa a non pensarci in quel momento, non da sola perlomeno. Insieme, forse, sarebbero riusciti a inventarsi qualcosa di meglio che provare a parlare o sparare. Loro erano sempre stati in grado di vincere le loro battaglie, ma solo quando collaboravano. Ormai lo aveva capito: sarebbero dovuti andare avanti insieme, solo così ci sarebbe stata speranza. E forse fu quello lo stesso pensiero di Mikasa, perché parlò al plurale, includendo tutti. Abbozzò un sorriso e annuì, decisa a fidarsi di loro più di quanto fosse in grado di fidarsi di se stessa.
«Dovremo proteggere gli Azumabito e gli idrovolanti contemporaneamente, non abbiamo altra scelta» sentirono dire Hanji, alla fine di un qualche ragionamento.
«Non ci resta perciò che ucciderli tutti insieme» commentò Annie, prima di voltarsi a guardare il gruppo di Paradis: «Useremo sia il potere dei nostri giganti che le armi di cui disponete. Vi sta bene?»
«Ehy, aspetta un attimo...» mormorò Connie, turbato.
«Qualcosa in contrario?» chiese Annie, provocatoria.
«Se attaccassimo indiscriminatamente ci andranno di mezzo anche gli Azumabito» fece notare Mikasa e Connie esclamò: «Esatto!»
«Per te sono lontani parenti, ma per noi non sono altro che nemici che hanno attaccato la nostra patria» rispose Annie.
«Non proprio» si intromise Pieck, uscendo dalla nuca del suo gigante. «Se gli Azumabito morissero sarebbe un problema anche per noi, Annie».
«Esatto» disse Onyankopon. «Posso anche provare a pilotare gli idrovolanti da solo, forse riuscirei ad arrangiarmi, ma sarebbe impossibile per me farli alzare in volo, non ho le conoscenze per pilotarli e hanno una tecnologia tutta loro. Da quello che ho capito, devono essere portati all'hangar dove vengono controllati, gli viene fatta manutenzione e usati per un primo giro di prova, solo così possono essere poi utilizzati».
«E per fare tutto questo quanto tempo ci vorrà?» chiese Reiner.
«Dipende dagli Azumabito» sospirò Onyankopon.
«Perciò se ho capito bene» riprese Annie. «Dobbiamo guadagnare tempo proteggendo sia gli Azumabito che gli idrovolanti, per dare tempo alle navi di essere preparate. E tutto questo senza ferire gli jaegeristi, che comunque ci attaccheranno nel frattempo, giusto?»
«Non vogliamo fargli del male» mormorò Jean, corrucciato. «Erano cadetti come noi, nostri compagni ai tempi dell'addestramento».
«E quindi? Che vorreste fare?» gli chiese Annie, irritata. «In che modo possiamo guadagnare tempo senza ferire un nemico che nel frattempo ci attacca? E in mezzo a tutto questo casino proteggere anche idrovolanti e Azumabito... quindi? Dimmi Armin, come quella volta che inseguiste me, qual è adesso il piano?»
Ma Armin restò a guardarla senza rispondere, lasciandosi travolgere dall'angoscia. Non aveva un piano, non voleva far del male a nessuno e sapeva che non esisteva alcun modo di uscire tutti vivi da quella situazione.
«Non abbiamo un piano» disse Pieck. «Dobbiamo risolvere questa cosa qui e ora».
«Ma... un attimo!» quasi gridò Connie. «Noi siamo qui per salvare delle persone! Perché per riuscirci dobbiamo sterminare le persone di quest'isola? Come ci siamo trovati in questa situazione?»
«È come quella volta, durante il colpo di stato» disse Beatris, affiancando Annie e Reiner. «Non possiamo sperare di ottenere alcuna vittoria senza fare dei sacrifici. Anche allora abbiamo dovuto uccidere delle persone. Connie...» si raddrizzò sulle spalle e lo guardò con lo stesso sguardo di allora. Freddo e glaciale, quasi terrificante. Quella era la Beatris che era sempre stata disposta a versare del sangue pur di raggiungere i propri obiettivi e che da sempre li aveva un po' spaventati. «Come quel giorno, se non ve la sentite di premere quel grilletto, allora non fatelo. Le mie mani sono già sporche di sangue, non farà differenza, lasciate che me ne occupi io».
«Capisco che non possiamo costringervi a una scelta del genere» disse Annie, assurdamente comprensiva.
«Ti sta davvero bene così, Tris?» chiese Reiner, voltandosi a guardare preoccupato la ragazza al suo fianco. E lei annuì, convinta. «Ho promesso di proteggervi, lo farò anche da questo. Lasciate che sia io ad assumermi la responsabilità di questo ed evitate di restare coinvolti, restate al sicuro».
«Non serve che combattete anche voi» si voltò Reiner, guardando i quattro ragazzi di Paradis. «Restate al sicuro, con Gabi e Falco, così non dovrete prendere una scelta. Solo... vi chiedo di non interferire».
«Io non ho intenzione di restare in disparte!» si avvicinò Hanji. «Ho già ucciso degli jaegeristi, non ho paura di farlo ancora. Però il tempo a disposizione dell'umanità è agli sgoccioli, dobbiamo agire in fretta. Al largo della costa ho visto il vapore emesso dalla marcia dei giganti, considerata la loro velocità avranno già raggiunto il continente e le città a nord-est di Marley saranno già state distrutte».
«Cosa?» mormorò Pieck, sconvolta.
«Non pensavo sarebbero stati così veloci ad attraversare il mare» disse Hanji, allarmata. «Se è così, non ci vorrà molto prima che distruggano anche il resto del continente. E chissà quante persone saranno già morte a quest'ora...»
Non fece nemmeno quasi in tempo a finire che Magath attraversò il centro del gruppo, rapidamente. Spostò bruscamente Onyankopon da una parte e si scaraventò su Yelena. L'afferrò per il volto, la spinse contro la parete della duna e le ripiegò il braccio di lato, in una posizione che non era ovviamente naturale. Lamenti di paura e dolore vennero soffocati da Yelena contro la mano di Magath, pressata sulle sue guance.
«Dimmi dov'è diretto Eren Jaeger, adesso! O ti farò vedere in quanti modi il tuo braccio può ripiegarsi!»
«Magath!» lo richiamò Hanji, allarmata, e solo allora Magath tolse la mano dalla bocca di Yelena.
«Non aver paura, non voglio ucciderti» disse, ma non aveva niente di rassicurante nella voce.
«Meno male» ridacchiò nervosa Yelena. E gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime, in preda al terrore. «Ho cambiato idea! Non voglio morire prima di aver visto con i miei occhi come andrà a finire tutto questo. Se mi portaste con voi... potrei quasi cedere e dirvi dove si trova Eren» e una lacrima scivolò giù dalla sua guancia.
«Adesso dobbiamo pensare prima agli idrovolanti» disse Hanji, prendendo Magath per una spalla e trascinandolo via.
«Penseremo dopo alla tortura!» si unì Onyankopon altrettanto preoccupato. E Magath accettò di fare qualche passo indietro. Lanciò uno sguardo a Gabi, arrampicata sopra di loro, oltre la cima della duna, per tenere d'occhio la situazione mentre loro finivano di discutere. E un'ombra gli offuscò lo sguardo. Persone erano già morte, suoi concittadini, forse suoi amici, e tante altre lo avrebbero fatto. Non riusciva a restare calmo, tutto quello era terribile. Il dolore gli opprimeva il petto, sapendo che addirittura la sua stessa famiglia presto sarebbe stata sterminata, e solo allora cominciò a capire il terribile errore che da sempre avevano commesso. Si voltò verso il resto del gruppo.
«Beatris, Jean, Armin, Mikasa, Connie...» disse profondamente avvilito. «Voglio scusarmi per il mio comportamento di ieri notte. Noi... avevamo torto. Ho parlato superficialmente di colpe e giustizia. E ho sempre continuato a giustificare me stesso e le nostre ragioni, solo perché non volevo guardarmi allo specchio e riconoscere che incarnavo le ignobili azioni di Marley. Voi non avete nessuna responsabilità, è sbagliato addossarvi le colpe del passato. Pieck, Annie, Reiner...» si voltò a guardare i tre. «Non spetta a voi farvi carico di tutto l'odio del mondo. Tuttavia... noi abbiamo la responsabilità di non dimenticare questa insensata storia intrisa di sangue e trasmetterla alle prossime generazioni. Eren Jaeger vuole spazzare via ogni cosa e io non posso permetterlo. Questo inferno non finirà mai se continuiamo a fingere di distogliere lo sguardo dalle nostre azioni! Perciò, vi prego, solo per questa volta...» e si inchinò profondamente. «Vi chiedo di chiudere un occhio di fronte a questo stupido comportamento».
Restarono a guardarlo qualche istante, colpiti dal suo discorso, dalle sue sincere scuse e soprattutto dalla disperazione che in quel momento stava dimostrando. Sopraffatto dai sensi di colpa, ormai compresi, e dal terrore di essere arrivato troppo tardi. Aveva decisamente bisogno di aiuto e loro sapevano che non potevano stare semplicemente a guardare, mentre il mondo piangeva quella tragedia senza precedenti.
«Tris» mormorò Jean. «Quel giorno durante il colpo di stato, quando ti vidi per la prima volta uccidere una persona, ti sei trovata costretta a vestire i panni della cattiva perché io ho esitato. Hai accettato di caricarti quella responsabilità, hai rischiato la tua vita, solo per salvare me, che non ero stato in grado di fare niente perché paralizzato dalla paura. E lo stai facendo ancora... ti metti di fronte a noi e fai da scudo usando te stessa. Il tuo è davvero un brutto vizio! Lo sai che poi mi tocca sempre venire a raccogliere i tuoi pezzi, quando ne esci distrutta. Non hai ancora imparato niente?»
«Jean...» mormorò Beatris, pronta a difendersi da quelle accuse, ma Jean alzò lo sguardo su di lei, cupo e deciso, e la anticipò, dicendo: «Te l'ho già detto. La prossima volta sarò io a premere quel dannato grilletto!»
Non le avrebbe più permesso di agire da sola. Lui aveva promesso che le sarebbe stato sempre a fianco e lo avrebbe fatto ancora, persino in quello, disposto a macchiarsi le mani di sangue pur di non lasciarla sola, pur di non costringerla a sacrificarsi per lui. Non l'avrebbe più data vinta alla paura.
«Mi rifiuto di stare qui a guardare» si unì Armin. «Hai ragione, Bea, non possiamo sperare di ottenere nessuna vittoria senza fare dei sacrifici. Questa volta ci sporcheremo le mani anche noi!»
Beatris li guardò per un istante sorpresa, ma poco dopo sentì ogni muscolo distendersi. Si sentiva decisamente più tranquilla sapendo che non avrebbe affrontato tutto quello da sola. Quando erano insieme riuscivano sempre a uscire da ogni situazione.
«Bene» disse, facendo un passo verso Armin. «Allora, qual è il piano? O preferisci che ci pensi io a improvvisare qualcosa e vi costringa tutti a correre a sistemare i casini che combinerò?» abbozzò un sorriso divertito e vide il volto di Armin distendersi, altrettanto sereno. «Probabilmente faremo entrambe le cose, come al solito» un tuffo nel passato, quando riuscivano a ricavare un ragno dal buco solo dal momento in cui lavoravano insieme, sfruttando i piani di Armin, e la capacità di improvvisare di Beatris per risolvere gli imprevisti. Fu assurdamente piacevole. Da quanto tempo non lavoravano insieme?
«Capitano Hanji, com'è la situazione nel porto?» chiese Armin, arrivando al fianco di Beatris.
«Sono appostati sui tetti, almeno una trentina, forse di più, e non so quanti altri sono nascosti negli edifici. Proteggono gli idrovolanti, gli Azumabito saranno sicuramente dentro qualcuno di quegli edifici ma da qui mi è impossibile vedere quale» rispose Hanji.
«Per prima cosa dovremmo trovare la posizione degli Azumabito» rifletté Armin. «Ci vorrà un avanscoperta, qualcuno che si muova al loro interno senza farsi notare e ci comunichi la loro posizione appena trovata. Non possiamo permettere che li usino come ostaggi, dobbiamo liberarli prima che capiscano il nostro coinvolgimento. Attaccheranno gli idrovolanti non appena ci vedranno, perciò dovremo muoverci insieme, un gruppo che pensi agli Azumabito e un gruppo agli idrovolanti».
«Conosco alcuni punti ciechi, alle spalle degli edifici, dove nascondermi» spiegò Beatris. «Yelena li ha usati per farmi entrare di nascosto in una delle navi, quando mi portò a Marley. Posso scivolare alle loro spalle e dare un'occhiata in giro».
«Se sono così tanti sarà difficile riuscire a tenerti nascosta».
«Loro pensano che io stia con Marley, non sanno ancora della nostra alleanza. Soprattutto se tra loro c'è Floch, ha sempre pensato che fossi una nemica. Se anche mi scoprissero non penso che faranno del male agli Azumabito o distruggeranno gli idrovolanti, ma cercherebbero piuttosto di uccidermi e basta. Potrete sempre sfruttare l'effetto sorpresa».
«È troppo pericoloso!» si intromise Reiner. «Ti ritroveresti decine di jaegeristi addosso in un istante, moriresti immediatamente».
«Potresti venire con me e proteggermi col gigante corazzato» propose Beatris. «In questo modo confermerei l'attacco marleyano, se ci vedessero insieme. Potremmo attirare l'attenzione su di noi e permettere a loro intanto di salvare gli Azumabito e gli idrovolanti, rimasti scoperti».
«Mandarti da sola senza una copertura è effettivamente troppo pericoloso» confermò Armin. «Ma vorrei lo stesso evitare di iniziare a combattere, se non fosse necessario. Inoltre se cominciassimo subito a combatterci, non riusciremmo a guadagnare tempo per la preparazione degli idrovolanti. Abbiamo bisogno di distrarli per un po'. Io e Connie non eravamo presenti al momento della vostra ribellione agli jaegeristi, non sanno che ci siamo ribellati al volere di Eren, credono che ancora siamo dalla loro parte. Possiamo attirare la loro attenzione su di noi e intanto spingerli con una scusa a preparare gli idrovolanti per partire».
«Sei sicuro di poter ragionare con loro?» chiese Beatris, dubbiosa.
«Desideravano la nostra fiducia, hanno persino chiesto a Jean di unirsi al comando. E siamo pur sempre vecchi compagni, sono sicuro di poter fare qualcosa. Io e Connie andremo agli idrovolanti e cercheremo Floch. Voi restate nascosti nelle retrovie. Bea... occupati della posizione degli Azumabito, Mikasa, Jean, Hanji e Onyankopon li scorteranno verso una zona sicura, lontano dai proiettili e verso l'Hangar, non appena li avrai trovati. Lasciamo Reiner e Annie come piano d'emergenza, evitiamo di combattere se non ce ne sarà bisogno. Interverranno solo se le cose degenereranno».
«È troppo prudente e pieno di falle. Basta un solo imprevisto e tutto il piano crolla, lo sai, vero?» gli fece notare Beatris.
«È per questo che lascio a te il resto. Non posso decidere da qua come muoverci, bisognerà improvvisare a seconda della posizione dei nemici e degli Azumabito, dovrai scegliere tu il percorso migliore. Puoi... farlo?» le chiese infine, preoccupato. Le stava dando effettivamente una responsabilità troppo grande, sapeva quanto si affidasse ai suoi piani solitamente, quanta poca fiducia avesse nelle sue capacità di giudizio. Sarebbe riuscita a tappare i buchi di quel piano sul momento? Se la sentiva?
Beatris si voltò istintivamente a cercare lo sguardo di Jean, quasi avesse avuto bisogno di conferma. Non era certa di poterlo fare, ma negli anni aveva imparato a muoversi da sola, senza bisogno di essere guidata da nessuno. La domanda era: sarebbe stato corretto? La sua capacità di giudizio era offuscata, riusciva a pensare a qualcosa ma spesso erano le cose sbagliate, mentre Jean era sempre stato in grado di capire quando le sue follie erano sensate o impossibili. Quando non sapeva come muoversi, Jean era sempre riuscito a darle la spinta giusta a farlo.
Sei tu la pazzoide, fai qualcosa di pazzo!
Jean le rivolse un sorriso deciso e annuì.
«Affidarti completamente alla mia capacità di improvvisazione» sospirò Beatris. «Non è un gran piano, Armin, lasciatelo dire».
«Se tutto andrà per il meglio, riuscirò ad attirare quanti più jaegeristi verso di me e far preparare l'idrovolante nel frattempo, non ci sarà bisogno di molto sforzo. Dovrai solo infilarti in qualche finestra come tuo solito, mentre noi attireremo l'attenzione» ridacchiò Armin, nervoso.
«Mi auguro tu abbia ragione, perché ho come l'impressione che siamo entrambi un po' arrugginiti» disse e si incamminò verso la duna sopra il quale Gabi continuava ad osservare l'esterno. Ma prima di raggiungerla si voltò verso Armin e gli sorrise: «Cerca di fare un bel discorso, là fuori».
Che fosse sensato o meno, si sarebbe ancora una volta affidata completamente a lui. Ed era disposta a farlo, a tentare di far fronte agli imprevisti a modo suo, sperando non ce ne sarebbe stato bisogno. «Venite» disse e si arrampicò in cima alla duna, fino a raggiungere Gabi. Sotto di loro, qualche metro più avanti, riuscirono a vedere il porto brulicante di jaegeristi.
«Sono molto più di quello che mi aspettavo» commentò Armin, schiacciandosi a terra per restare nascosto.
«Là» disse Beatris, indicando un edificio separato dal resto, alle spalle di quelli più importanti in fila lungo la battigia. «Quel magazzino è collegato al resto, sul retro c'è una porta che spesso viene lasciata aperta per lo scarico. È da lì che sono entrata, l'altra volta. Permette l'ingresso ai principali edifici, ma è inutile cominciare a correre all'interno dei corridoi senza prima avere idea di dove si trovino gli Azumabito».
«Dovremo dividerci e cercare insieme in più punti» propose Mikasa.
«Negativo» rispose Beatris. «Più siamo a gironzolare in giro e più sarà facile notarci».
«Ha ragione» disse Armin, prima di rivolgere a Beatris uno sguardo preoccupato. «Hai detto che conosci bene alcuni punti ciechi?»
«Riesco a intravedere qualcosa. Alcuni sono liberi, ad altri posso arrivarci se la tua recita sarà degna di un premio» rispose Beatris.
«Cercherò di fare del mio meglio. Bea...» mormorò, timoroso di ciò che stava per chiederle. Ma lei sorrise, decisa. «Ho capito. Non preoccuparti».
Sarebbe dovuta andare da sola, non c'era altra soluzione.
«Aspettatemi al magazzino, vi farò avere notizie quanto prima» e senza aspettare oltre si sollevò e cominciò a scendere dalla duna, dall'altro lato, verso il porto, nascondendosi di masso in masso. Reiner reagì istintivamente, nel vederla andar via da sola, e allungò una mano verso di lei, chiamandola: «Tris!»
Provò ad alzarsi, per raggiungerla. Avevano detto poco prima che era pericoloso, avevano concordato che non sarebbe dovuta andare da sola, dove stava andando?
Ma non appena si mosse, pronto a seguirla, Jean gli afferrò il polso e lo trattenne. Reiner si voltò a guardarlo, allarmato e sorpreso, e incrociò il suo sguardo determinato e assurdamente sicuro. «Pensi davvero che dopo quattro anni sia ancora la ragazzetta imbranata che era ai tempi dell'addestramento?» l'ammonì, riuscendo a tirarlo indietro. «Tu non ci sei stato per tutto questo tempo, non hai idea di cosa sia stata capace di fare in questi anni. Sta' buono qui e pensa solo a rimpiangere di non esserci stato».
Fu impossibile per lui nascondere l'astio nei suoi confronti, fu quasi una provocazione. Reiner l'aveva abbandonata per tutto quel tempo, Jean invece era stato quello che l'aveva vista realmente crescere. Lui sapeva di cosa era capace Beatris, sapeva che non aveva più bisogno di essere rincorsa per essere salvata, a differenza di Reiner. Doveva abbandonare quella ridicola pretesa di essere l'unico in grado di proteggerla, perché per quattro infiniti anni non c'era stato per farlo e lei era sopravvissuta ugualmente. Non aveva certamente bisogno di lui. E per quanto Reiner riuscisse a cogliere le velate accuse che Jean gli rivolgeva, pungenti come delle coltellate in pieno petto, sapeva che aveva ragione. Beatris era sopravvissuta a lungo anche senza di lui, non aveva nessun diritto di sentirsi in dovere di correre a proteggerla adesso. Poteva cavarsela anche da sola. Senza di lui, come aveva imparato a fare dal momento che lui le aveva voltato le spalle.
Tornò al suo posto, avvilito, e restò semplicemente a guardarla mentre lentamente scivolava verso il porto, restando nascosta nella vegetazione. Attesero qualche istante, poi la videro fare un cenno verso di loro.
«Andiamo, Connie» disse Armin, tornando indietro, per prendere i cavalli e cominciare così la loro recita. Aspettarono ancora, fintanto che Connie e Armin non arrivarono al porto e Beatris ormai parve sparire dietro un vicolo, tra i primi edifici. Aspettarono che Armin cominciasse a chiamare Floch, attirando così l'attenzione degli jaegeristi su di lui, e infine anche il resto del gruppo, escluso Gabi, Falco e Pieck, scesero dalla duna, diretti al magazzino che Beatris gli aveva indicato.


Nda.
Ehy there!!! Puntuale come sempre :3
Quanto amate Jean, avanti, confessatelo (io fin troppo <3). Era arrabbiato e aveva tutte le ragioni per esserlo, ma quando vede le uova nel pollaio non riesce a far a meno di pensare a lei, a quanto vorrebbe ancora cucinare per lei, e questo lo porta a riflettere sul fatto che no... non riuscirebbe mai a odiarla. Nemmeno quando sente di doverlo fare. (È casuale il parallelismo sentimenti di Jean-> Tris; sentimenti di Tris ->Reiner? È casuale la mia scelta di parole che, guarda un po', sono le stesse? Il fatto che Jean dice a un certo punto che riesce a comprendere quell'insensato amore che prova lei per uno come Reiner? Boh, chissà u.u io non ve lo dirò mai).
In ogni caso... ha promesso che sarebbe stato sempre dalla sua parte, si è incazzato più volte con lei perché lei pareva non credergli, quindi quale momento migliore per dimostrarglielo? Perciò torna indietro, le prepara la solita omelette e decide non di perdonarla (per quello ci vorrà del tempo), ma di restare comunque al suo fianco. Di credere in lei e lo fa anche quando è Reiner stesso a non farlo... Reiner cerca di seguirla al porto, spaventato dall'idea che possa succederle qualcosa, ma è proprio Jean e fermarlo (e fulminarlo). Tris può farcela, lui lo sa, perché lui a differenza di Reiner c'è sempre stato. Quindi sa quanto lei sia forte, quanto sia cresciuta, la conosce meglio di lui (la cosa lo fa irritare particolarmente), perciò "resta qui e limitati a rimpiangere di non esserci stato". Colpito e affondato, Reiner... e dagli pure torto!
(No, non riesce a farlo, lo sa anche lui che ha ragione).

Inoltre, anche Mikasa fa un passo verso di lei. Tris ha sparato a Eren, la cosa l'ha ferita molto, era disperata, non voleva crederci. La loro amicizia era sul punto di crollare... ma Mikasa si ricorda di quando è stata lei a tentare di uccidere Reiner a Shiganshina. L'ha fermata, l'ha bloccata mentre i loro compagni gli hanno sparato le lance fulmine.
"Lascialo morire, Tris" è quello che le ha detto lei allora, ed è quello che Beatris sta cercando di dirgli in questo momento. Non ha nessun diritto di recriminarla per qualcosa che ha fatto anche lei. Probabilmente non basterà a mettere una pezza sopra, a farle tornare come prima, probabilmente qualcosa si è rotto definitivamente, ma al momento Mikasa è disposta a darle la mano in una tregua e riappacificarsi.

Ancora a Jean è dedicata la canzone extra del capitolo! O meglio, è lui che la dedica a Tris. Sono i suoi pensieri, subito dopo aver scoperto la verità. È sorpreso, non riesce a capire come abbia potuto arrivare così lontano, ma si chiede anche come sia riuscita a restare così forte per tutto il tempo nonostante si portasse dentro un segreto tanto grande, come sia stata capace di tenerlo nascosto così a lungo. In ogni caso, ormai lo capisce, non ha alcuna speranza di salvarsi... è un angelo caduto nell'oscurità, non sa in che modo potrebbe essere d'aiuto, ormai è una situazione disperata, senza via d'uscita. Eppure, nonostante questo, lui continuerà a porgerle la sua mano, ad aiutarla... non la lascerà cadere, stanotte, né mai.

(NB. Scusate, mi sono accorta che c'è un problema col video, non lo carica. Su youtube non trovo altri video con traduzione a schermo, solo lyrics... ad ogni modo, la canzone è Fallen Angel degli Three days grace. Vi metto la versione Lyrics in inglese, se volete la traduzione la potete trovare qui https://canzonimetal.altervista.org/fallen-angel-three-days-grace/   o banalmente cercando su google o youtube il video con traduzione xD)

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now