Capitolo 62

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«Bea» una voce eterea.
«Bea!» insistente e fastidiosa.
«Bea, avanti!» riuscì a prendere consistenza, ad assumere una tonalità che riusciva vagamente a riconoscere. «Andiamo, pigrona. Non vorrai dormire in un momento come questo».
«Sei tu che ti addormenti sempre in giro, Scemo-Eren» bofonchiò riaprendo lentamente gli occhi. Venne accecata da una luce abbagliante e dovette portarsi una mano davanti agli occhi, per proteggersi. Era tutto così confuso, così distorto. Ma in mezzo a quell'acceccante luminosità riuscì infine a intravedere una sagoma stagliarsi, proprio di fronte a lei. E pian piano prese forma. Seduto dall'altro lato del tavolo, sopra cui si era poggiata, addormentata, vide infine Eren. Piccolo, di forse neanche dieci anni. Si sollevò improvvisamente, guardandosi attorno confusa. Un tavolo, delle sedie, una cucina che ben conosceva e qualche disegno appeso al muro. Puntò lo sguardo al tavolo sopra cui si era appoggiata per dormire e vide che sotto al suo braccio c'era un disegno appena finito, con dei pastelli ancora sparsi in giro. Il disegno di Eren, con il naso da elefante.
«Sono... a casa?» mormorò, confusa.
«Bea-stupida» le disse Eren, abbozzando un sorriso denigratorio. «Adesso non riconosci più neppure casa tua?»
Era a casa? Ed era bambina... che stava succedendo? Dov'erano tutti gli altri? Reiner, Jean, Mikasa... Possibile che avesse solo sognato? Quanto aveva dormito? Eppure era sembrato così reale... ma adesso era lì, appoggiata a quel tavolo, aveva appena finito il suo disegno ed era a casa sua. A Shiganshina.
«Dove sono Rose, mamma e papà?»
«Fuori» le rispose Eren. «Vuoi vederli?» e fu stranamente dolce nella richiesta, per quanto fosse dovuta risultare strana. Come se riuscisse a capire il motivo della sua confusione. Eren si alzò dalla sedia, fece il giro e la prese per mano. La portò alla finestra, scostò la tenda e infine si voltò, indicandole con un cenno del capo di dare uno sguardo fuori. Beatris lo seguì passivamente, decisamente troppo scossa per riuscire a capire cosa stesse accadendo, e guardò oltre il vetro della finestra. Il cuore prese a batterle in petto talmente tanto forte che sembrò sul punto di scoppiare. Sua madre era lì, sulla strada, di fronte alla porta di casa. Rose, tenuta in braccio, stava salutando con un bacio suo padre che teneva una borsa in mano e con alle spalle il suo carro pronto a partire.
«Sta andando a prendere mio padre, partiranno ora per uno dei loro viaggi per portare cure e medicine a un villaggio a nord» spiegò Eren, ma Beatris parve non ascoltarlo nemmeno. Si appoggiò al vetro della finestra e guardò attentamente ogni loro movimento, ogni loro espressione. Rose si sporse dalle braccia di sua madre, allungandosi per abbracciare suo padre e lui la prese in braccio, sorridente.
Tremò e sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Infine non riuscì a trattenere un singhiozzo. Si asciugò una lacrima da una guancia, impacciatamente nella sua piccola stazza di bambina. «Scusami, Eren...» lamentò. «Io... io credevo che...»
«Che fossero morti?» l'anticipò Eren, cupo, e Beatris spalancò lo sguardo, sorpresa. Era serio, non la stava prendendo in giro. Lui sapeva che cosa lei stava credendo di aver solo sognato.
«Mi dispiace, Bea... purtroppo è così» mormorò Eren, abbassando lo sguardo. Era vero... tutto quello che aveva visto non era stato un sogno, lei non si era appena risvegliata a casa sua, destata da un lungo e infinito incubo. Tutto quello era solo frutto della sua immaginazione?
«Non hai sognato, è successo veramente. Ma... ne parliamo mentre andiamo?» cercò di sorriderle, ma non c'era niente sul suo volto se non una profonda tristezza.
«Andiamo... dove?» mormorò Beatris, ma Eren non le rispose. Continuò a stringere la sua mano e camminarono verso la porta della cucina, per uscire. L'aprì ma ciò che vide fuori di questa non furono le scale che portavano all'atrio, come le ricordava, ma si ritrovò improvvisamente all'interno di una cattedrale. Affollata di gente, alcuni che andavano in giro, silenziosi, mentre la maggior parte di loro era stesa. Chi dormiva, chi piangeva, chi mormorava parole di conforto a chi restava al suo fianco. Si guardò attorno sempre più confusa, ma riuscì comunque a riconoscerla: quella era la cattedrale di Trost che si era offerta di accogliere parte degli sfollati del Wall Maria, dopo l'abbattimento del muro.
«Guarda» le disse Eren, indicandole un punto non troppo distante davanti a loro. E vide se stessa, di allora, correre con due tozzi di pane stretti al petto. Si guardò, mentre schivava i piedi e i corpi di chi era steso a terra, fino a che non inciampò nei piedi stesi di un ragazzino seduto a terra e per poco non cadde a terra. Si guardò, mentre si voltava a rivolgergli appena lo sguardo e diceva distrattamente: «Scusa!»
Poi la sé bambina scappò via, preoccupata di raggiungere la sua meta, senza notare che il ragazzino non le aveva più tolto gli occhi di dosso da quel momento. Eren, al suo fianco, ridacchiò divertito. «Questo è stato il vostro primo incontro e tu a malapena l'hai guardato, tanto che neanche ti sei ricordata di lui quando vi siete rivisti in accademia».
Guardò come paralizzata la scena, vedendo se stessa correre da Mikasa per darle metà di uno dei tozzi di pane, mentre alle sue spalle il Reiner bambino non faceva che fissarla insistentemente.
«Per lui sembra invece essere stato amore a prima vista» continuò a ridacchiare Eren.
«Non... non lo è stato...» riuscì a mormorare ed Eren sospirò, al suo fianco. «Sì, probabilmente è così. Reiner aveva rimosso la bambina che aveva quasi schiacciato e che per un istante l'ha portato a esitare, probabilmente in questo momento si starà chiedendo dove ti avesse già vista. In realtà però dubito che la sua fosse stata solo curiosità... guarda, non ha smesso un attimo di seguirti con lo sguardo, persino quando sei andata da Rose. Accidenti, è proprio insistente, non credi?» ridacchiò, guardando Reiner che a malapena sbatteva le palpebre.
«Eren...» mormorò Beatris, abbassando lo sguardo. Cominciava a capire, cominciava a mettere ordine ai pensieri. Quelli erano ricordi, non era la realtà. Lei, la sua vera sé, nel mondo reale, era appena diventata un gigante su quel Forte. Chissà adesso cosa stava facendo, chissà in che modo stava vagando... forse stava addirittura combattendo contro Reiner, scagliata contro di lui dagli ordini che il Fondatore le stava impartendo. «Perché siamo qui?» chiese, non capendo il motivo di dover risfogliare quei momenti che, adesso, facevano solo un gran male. Quelli erano momenti che mai più avrebbe vissuto, persone che mai più avrebbe rivisto. Perché non poteva semplicemente spegnersi, senza pensare a niente, senza ricordare niente? Smettere di vivere e basta...
«Hai ragione» le disse Eren, trascinandola via per mano. «Questo posto è pieno di tristezza, andiamo da qualche altra parte».
Si voltò e ancora il mondo intorno a loro cambiò improvvisamente. Loro stessi cambiarono improvvisamente, abbandonando quella forma di bambini e diventando ragazzi di appena quindici anni. La luce si attenuò su di loro, si abbassò quasi totalmente, diventando solo una velata foschia bianca. E davanti a sé non vide altro che un lago, solcato da un cielo notturno, in mezzo a un bosco. Non un lago qualunque... anche quello riuscì a riconoscerlo. Quello era il loro lago, alle spalle del centro d'addestramento.
«Era qui che venivate spesso, vero?» chiese Eren, guardando ammaliato il posto in cui si trovavano. «È bello... da pace».
Nonostante il dolore nello scoprire la verità, Beatris non riuscì comunque a impedire a quella magica atmosfera di inebriarla. Quello era il loro posto sicuro, dove lei e Reiner si trovavano spesso per parlare, stare semplicemente in compagnia, potersi liberare di ogni peso e vivere l'uno la vicinanza dell'altro senza nient'altro. Aveva creduto che mai più l'avrebbe rivisto, dopo aver lasciato l'accademia, e un timido sorriso malinconico le sbucò in volto. Sì, era proprio un bel posto.
«La mia forma di gigante mi porterà a vivere questi momenti in eterno?» si chiese. «È crudele... ma è bellissimo allo stesso tempo».
«Forma di gigante?» mormorò Eren, confuso. Ma dopo pochi istanti tornò a incupirsi: «Oh, capisco... i tuoi ricordi si stanno un po' mescolando».
«Mescolando?» chiese Beatris, non riuscendo a capire.
«Bea, in questo momento non sei un gigante. Non ancora, almeno... ma lo sarai».
Si corrucciò, nuovamente confusa. «Non capisco...» confessò.
«Adesso stai dormendo» spiegò Eren. «Parlo della tua vera te, ovviamente. Mentre noi siamo qui e parliamo, stai dormendo beatamente appoggiata alla spalla di Reiner, sulla nave che vi sta portando a Ubidah. Ma dimenticherai di averlo fatto, e quando te ne ricorderai allora lì sarai in forma di gigante. Stai mescolando i ricordi del sogno che ti emergeranno con quelli del momento in cui ti sono stati trasmessi. I ricordi funzionano in maniera davvero molto strana, non ho ancora preso piena dimestichezza di questo potere...»
«Potere?» mormorò. «Sei tu che mi stai facendo vedere queste cose, allora?»
«Sì, tutto questo è merito mio».
«Perché lo stai facendo?»
«Perché volevo parlarti decentemente prima della fine. Non siamo mai riusciti a farlo».
«Parlare con te è sempre stato inutile» sospirò Beatris, avvilita. «Perché ora dovrebbe essere diverso?»
«Perché adesso non ti mentirò» confessò Eren e Beatris spalancò gli occhi, guardandolo sorpresa. Mentirle? Lui le aveva mentito?
«Mi dispiace, Bea... se ti avessi detto la verità fin dall'inizio tu non avresti mai sparato».
«Volevi davvero che sparassi?!» chiese Beatris, sconvolta.
«Sì. Tutto quello che è successo doveva succedere per poter arrivare alla fine a questo punto».
«A quale punto?!» quasi gridò. «Eren! Ma che ti passa per la testa?»
«Cancellerò i tuoi ricordi non appena ti sveglierai, perché dovrai essere tu a far saltare quel detonatore... e a continuare a combattermi. Sei l'unica che ha la forza di prendere una decisione del genere, Armin e Mikasa non si convinceranno mai altrimenti. Sono troppo legati a me, ma vedendo te... vedendo che proprio tu sei arrivata a tanto, arriveranno a capire che non esiste altro modo. Si fidano molto di te, anche se fatichi a crederlo».
«Non è vero...» quasi piagnucolò. «Mikasa mi odia per ciò che ho fatto».
«Non lo farà, lo sai. Ma comincerà a comprendere... e forse ad accettarlo. Avevano bisogno di qualcuno che li spronasse, qualcuno che li convincesse che non c'era altro modo. Vedere una persona così vicino a me e vicino a loro decidere di uccidermi, pur di fermarmi, li porterà a pensare... e dubitare, fino a fare al scelta giusta. Mi dispiace, ti ho caricato di così tante responsabilità... ma non sapevo di chi altri fidarmi».
«Eren... perché stai facendo tutto questo?» sibilò, quasi implorante. Eren si lasciò sfuggire un sorriso triste e avvilito. «Te lo dirò... sono qui per parlarti sinceramente, ti dirò ogni cosa. Ma prima...» si voltò a guardarla con dolcezza. «Ti va di vedere gli elefanti?»
«Cosa?» mormorò Beatris. Gli elefanti? Potevano davvero vederli?
«Vieni... ci sono così tante cose che voglio mostrarti» e riprese a tirarla per mano, allontanandosi dal lago. Non appena superarono i primi alberi, ancora lo scenario cambiò e loro stessi cambiarono di nuovo. Non più i ragazzi quindicenni che erano stati, ma adesso erano nei loro panni attuali, da adulti. E intorno a loro un enorme spazio aperto, con qualche sporadico albero, pieno di erba ingiallita. Lontano pochi metri da loro, un barrito attirò l'attenzione di Beatris... era un suono che mai aveva sentito prima. E li vide... reali, o quasi, camminavano in un piccolo branco di cinque membri con un cucciolo aggrappato col naso alla coda di uno più adulto. Gli elefanti erano proprio lì, di fronte a loro, e loro li stavano guardando insieme. Strinse impercettibilmente la mano di Eren, scossa da un'improvvisa emozione, e lui sorrise intenerito. «Sono come te li descriverà Reiner?»
«Sono...» mormorò, emozionata. «Sono davvero così grandi da riempire quella stanza. E il loro naso...» si concentrò sul cucciolo, che lo usava per restare aggrappato alla coda di quella che probabilmente era la madre. «Sono così buffi...» disse e la voce le graffiò un po' la gola, sentendo ancora una volta la minaccia del pianto investirla. Li aveva immaginati per così tanto tempo e quell'assurdo desiderio di vederli un giorno insieme ad Eren si stava davvero realizzando. In un momento come quello, quando ormai tutte le speranze sembravano essere perdute, prima della fine... loro erano insieme a guardare gli elefanti.
«Guarda» indicò Eren. «Quelle si chiamano giraffe... ti parlerà anche di loro, quando vi sveglierete, vero?»
Beatris spostò lo sguardo dagli elefanti alle giraffe e continuò a guardarle, emozionata. «Il loro collo può arrivare ad essere lungo quasi quattro metri...» mormorò, affascinata da quella loro assurda caratteristica. «Sul libro di Armin quelle non c'erano».
«No, è vero... ci sono così tante cose nel mondo che nei libri non abbiamo letto».
«Ma... questi non sono miei ricordi» osservò, confusa. Era convinta che stessero percorrendo i suoi ricordi, ma quegli animali era la prima volta che li vedeva davvero. Non potevano essere sue memorie...
«No, sono i miei» rispose Eren. «Sono riuscito a vedere così tante cose, non solo durante il mio viaggio lontano da Liberio, ma grazie al potere del Gigante Fondatore sono riuscito a vedere il mondo intero. Connettermi a ogni cosa. È questa la libertà che desideravo, poter vedere tutto ciò che il mondo avesse da offrire. Ogni singolo luogo, ogni singola creatura... ho visto tutto».
«Perciò... hai deciso di sterminare l'umanità e uccidere i tuoi stessi compagni solo per vedere il mondo?» chiese Beatris, rattristandosi improvvisamente.
«No, sarebbe stupido» ridacchiò Eren. «L'ho fatto per proteggervi».
«Uccidendoci?»
Eren sospirò, avvilito. «Ho dovuto fare dei sacrifici. Come facesti tu».
«Anche io... sono una dei tuoi sacrifici» quasi singhiozzò. Eren l'aveva sempre protetta, fin da piccola, eppure nel momento cruciale aveva deciso di uccidere anche lei. Renderla un gigante, toglierle ogni cosa, pur di arrivare al suo obiettivo. Proteggere... chi? Chi sarebbe rimasto? Armin, Mikasa e gli jeageristi sull'isola? Era felice di sapere che almeno Armin e Mikasa sarebbero sopravvissuti, ma sapere che Eren aveva valutato la sua vita come qualcosa di sacrificabile la rattristava. Ma lui invece le rispose, deciso: «No. Tu non morirai... hai promesso che saresti tornata a quel lago tra cinquant'anni, ricordi?»
«Questa è una parte che ancora non conosco...» mormorò Beatris. «Come farò a sopravvivere? Mangerò qualcuno dei giganti? Pieck? Reiner? O forse addirittura Falco? Di quale brutalità mi macchierò senza esserne consapevole?»
«Sì, è vero...» rispose Eren e abbozzò un altro dei suoi sorrisi divertiti e sarcastici. «Quando Reiner ti vedrà trasformata penserà di farsi mangiare da te, ma non vorrà lasciarti la responsabilità di combattere questa guerra. Aspetterà almeno di riuscire a uccidermi e nel frattempo cercherà di proteggerti, cedendosi a te quando le acque si saranno calmate e lui non avrà nessun altro compito da svolgere».
Beatris lasciò andare la mano di Eren e se le portò entrambe alla testa, sentendosi travolgere da una profonda disperazione. E si lasciò cadere in ginocchio, ranicchiandosi. «Non voglio...» singhiozzò. «Non voglio farlo. Non voglio mangiare Reiner, non voglio essere io a ucciderlo. Non potrei vivere in quel modo, non ce la farei mai. Ti prego... ti prego, Eren, fermami. Tu ne hai il potere, ti scongiuro... Non potrei mai andare avanti...»
«Se mi ucciderete io non potrò più farlo» rispose Eren e Beatris lo guardò disperata più che mai. In che modo sarebbe uscita da quella situazione? Doveva proteggere Eren per fare in modo che il suo potere le impedisse di fare quella follia? Ma se lo avesse fatto, lui avrebbe raso al suolo l'intera umanità e alla fine Reiner si sarebbe fatto mangiare comunque, sapendo di non avere più niente da fare. Anche se Eren l'avesse fermata, impedendole di farlo, sarebbe poi rimasta un gigante per sempre... non sarebbe più potuta tornare indietro. E sarebbero morti tutti. Per che cosa? Per permettere a Reiner di vivere al massimo altri due anni, nell'angoscia e nella disperazione? Non era un prezzo molto ragionevole, non lo avrebbe mai fatto. Ma così... avrebbe divorato Reiner.
«Uccidimi...» sibilò. «Adesso che hai il potere di farlo, uccidimi definitivamente. Ti scongiuro».
«Non lo farò. Non lo avrei mai fatto...»
«Perché mi stai facendo questo? Di che cosa mi stai punendo? Io... non riesco a capirlo. Perché devo soffrire così?»
«Bea» Eren le si inginocchiò davanti e le mise una mano sulla spalla. «Non devi farlo. Non devi più soffrire. Lo hai già fatto fin troppo e io non sono mai riuscito a trovare il modo di proteggerti come avrei dovuto. Almeno fino ad ora...»
«Che significa? Che stai dicendo? Io sono già condannata...» mormorò Beatris, sempre più confusa.
«Sì, è vero, lo eri. Ma lo impedirò» le sorrise, dolcemente. «Quanto tempo ti sarebbe restato da vivere insieme a Reiner, se non fossi diventata un gigante?»
«Due anni sono sempre meglio di niente!» disse, cercando in qualche modo di difendersi. Perché anticipare le cose? Credeva davvero che quello sarebbe stato il modo migliore di proteggerla? Ma Eren continuò a sorriderle, con dolcezza: «Ma sono peggio di cinquanta. Ci andrete a quel lago, insieme a Mikasa, Armin, Jean e Connie. Abbiamo promesso di farlo, giusto?»
«Ma.... cosa stai dicendo?» sibilò, sempre più confusa.
«Quando tutto sarà finito io sarò finalmente riuscito a liberare il mondo dalla minaccia dei giganti. Dalla radice, eliminerò completamente il potere e la maledizione dei giganti da questo mondo. Reiner sarà libero, non dovrà vivere solo due anni, ma potrà invecchiare insieme a te e tu tornerai normale. Te lo prometto».
«Aspetta... cosa?» sgranò gli occhi, sconvolta. «Come puoi riuscirci?»
«Non so bene il motivo, ma dipende tutto da Ymir, la nostra progenitrice. Se il potere dei giganti è ancora in circolazione è perché lei è intrappolata in un ordine impartitole da Re Fritz, al tempo. Non riesce a smettere di generare giganti perché lui glielo ha ordinato... liberandola da questo sparirà, riposerà in pace, e tutto questo avrà fine».
«Ymir... come... come possiamo?»
«Mikasa dovrà uccidermi. Dovrà essere lei a farlo e nessun altro, e l'unico modo per convincerla era spingere te a sparare. Cominci a capire?»
«Ma che c'entra la tua morte in tutto questo?!» quasi strillò. Non ci capiva niente, era tutto così confuso, così assurdo da farle venire rabbia.
«Io non so bene come funzioni, te l'ho già detto. Ma so che deve andare così... l'ho visto nei miei ricordi del futuro. Se Mikasa mi ucciderà, Ymir sarà libera, forse perché anche lei aveva solo bisogno di qualcuno che la convincesse a farlo, e voi così sarete salvi. Potrai smettere di soffrire».
«Non posso smettere di soffrire sapendo tutto questo! Eren... non devi morire per me!»
«Lo faccio per tutti voi. Anche Armin è destinato a morire tra qualche anno, e non voglio questo. Liberandovi dall'oppressione dei giganti Armin e Reiner potranno vivere ancora a lungo, e non ci sarà poi più motivo di odiare gli eldiani e gli abitanti di Paradis, perché non rappresenterete più alcuna minaccia. In questo modo sarete tutti salvi».
«Sei stato tu a commettere quel genocidio, come potrebbero smettere di odiare gli eldiani e Paradis dopo quello che hai fatto?! Peggiorerai la situazione!»
«No, perché sarete voi, gli eroi di Paradis, a salvare il mondo dalla minaccia di Eren Jaeger».
«Ci vuoi rendere degli eroi... sacrificandoti?» pianse, ormai al limite.
«Te l'ho detto... parlare con te, stare insieme a te quei mesi, è stato illuminante. Ho capito che era giusto ciò che facevi. Sì, Bea, adesso posso evitare di mentirti... ho cercato di imitarti. Sacrificare me stesso per proteggere gli altri è qualcosa che ho imparato da te».
«Eren... ti prego...» singhiozzò. «Non farlo. Possiamo risolvere in qualche altro modo la cosa! Possiamo fermarti, senza ucciderti».
«Per proteggermi successivamente dal mondo intero che vuole vedermi morto? Allora sarebbe stato tutto inutile».
«Non voglio farlo... non posso ucciderti, adesso che so tutto questo. Non ti permetterò mai di morire per noi».
«Per questo lo dimenticherai al risveglio» le disse Eren, con un sorriso raddolcito. «E quando te ne ricorderai sarà troppo tardi».
«Perché hai voluto dirmelo? Perché mi costringi a portarmi dentro tutto questo per il resto della mia vita?»
Eren sospirò e si lasciò cadere sull'erba ingiallita, mettendosi a sedere al suo fianco. Spostò lo sguardo da lei agli elefanti che sfilavano eleganti di fronte a loro e con gli occhi pieni di tristezza infine disse: «Perché volevo vedere gli elefanti insieme a te».
Un piccolo atto egoista, umano, ma che finalmente lo rese l'Eren che conosceva. Caricato di quella responsabilità, disposto a sacrificarsi, si era voluto concedere un ultimo momento di serenità. Desiderava andarsene sapendo di non avere alcun rimpianto, portandosi dietro qualche bel ricordo. Non poteva biasimarlo, non poteva più colpevolizzarlo. Si era caricato di una responsabilità enorme e tutto ciò che aveva desiderato, prima di andarsene, era poter sorridere un'ultima volta insieme alle persone a lui care. Un ultimo dolce addio... Per quanto facesse male, Beatris sentì che glielo doveva. Si sedette al suo fianco e con lo sguardo triste tornò a guardare gli elefanti.
«In questo momento stai parlando anche con gli altri?» gli chiese dopo un lungo silenzio.
«Sì» rispose Eren e sorrise, debolmente divertito. «Armin mi ha appena tirato un cazzotto in faccia».
«Te lo sei meritato» rispose schietta e questo fece ridacchiare Eren.
«Hai davvero intenzione di lasciare Mikasa?» gli chiese poi e Eren tornò a rabbuiarsi. «Devo farlo».
«La farai soffrire molto, lo sai?»
Eren non rispose, ma abbassò lo sguardo, avvilito. Lo sapeva, ne era consapevole, sperava che un giorno lei avesse potuto trovare la pace, smettere di piangerlo. Lo sperava per lei, ma egoisticamente non riusciva a liberarsi dal suo desiderio di continuare a essere il centro dei suoi pensieri. Quella era la sfida più grande a cui avesse mai dovuto fare fronte: scegliere tra il suo desiderio di averla a fianco per sempre e quello di salvarla e darle un mondo migliore. Scegliere tra egoismo e amore.
«Non c'è davvero altro modo?» chiese Beatris, leggendo il dolore nel suo sguardo.
«No, non c'è» rispose, ma non era qualcosa di cui evidentemente era felice. Beatris avrebbe davvero voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutarlo. Per risolvere quella situazione in maniera diversa... ma che poteva fare?
«Tanto ormai quando ricorderò tutto questo, sarà troppo tardi. Non posso fare niente per impedirtelo, vero?»
«Non lo farai comunque...» sorrise Eren, prima di contorcersi in un'espressione addirittura vagamente imbarazzata. «Sei... veramente assurda! Nessuno è mai riuscito a controllarti, neppure io, persino col potere del Fondatore. Fai sempre di testa tua e segui il tuo istinto, sei indomabile. Reiner ci aveva preso... hai una forza dentro che nemmeno tu conosci. Beh, non ancora. Ma lo capirai» e il suo sorriso si trasformò in qualcosa di più ironico e felice. Ma fu incomprensibile: sembrava che qualcosa gli frullasse per la testa, ma non fosse intenzionato a condividerlo.
«Ma di che parli?» gli chiese, lievemente irritata per quel segreto che sembrava intenzionato a tenersi dentro. Aveva promesso di essere sincero, che aveva da nascondere adesso?
«Del tuo spirito di sacrificio» le sorrise. «Sei davvero disposta a qualsiasi cosa pur di proteggere ciò che per te è importante».
«Ma non ci riesco mai... persino con te» sospirò, avvilita. «Ti perderò comunque, nonostante la mia ostinazione. Diamine, e pensare che sono quasi stata pronta a uccidere Reiner per proteggerti. Dovresti esserne onorato, hai un primato nella mia scala di importanze».
«Verrò presto sorpassato».
«Sì, forse hai ragione... sono stata pronta a spararti pur di salvare il mondo, alla fine. Probabilmente hai perso quel primato quando hai iniziato a fare lo stronzo».
«Non ci vuole molto a perdere il tuo amore, eh?» ridacchiò, divertito.
«No, non è così... mi uccide pensare a ciò che ho fatto e ciò che farò. Eren, io non voglio davvero perderti. Non costringermi a farlo, ti prego. Sei l'unico membro della famiglia che mi è rimasto, sei davvero una delle cose più importanti che ho. Come credi che riuscirò ad andare avanti da sola, adesso?»
«Non sei sola» e continuò a sorridere, divertito da chissà cosa. «Jean sarà bravissimo a prendere il mio posto, forse sarà anche migliore di me».
«Jean? Ma che stai dicendo? Credi davvero che qualcuno potrebbe prendere il tuo posto?!»
«Vedrai anche tu. Sarà perfetto, si prenderà cura di loro meglio di come avrei potuto farlo io» ridacchiò, ancora divertito, ma questo non fece altro che farla arrabbiare ancora di più. «Eren, stai scherzando, vero?! Non riesci davvero a capirlo? Siamo cresciuti insieme... tu sei sempre stato lì, in ogni momento della mia vita. Credi che qualcuno potrebbe davvero mai prendere il tuo posto? Davvero non capisci ciò di cui mi stai privando? »
«No, lo capisco, invece. Ma sono consapevole anche di ciò che ti sto donando. Per dare a te e a tutti gli altri un posto migliore, sono disposto anche a questo. Dovresti conoscermi, ormai... io sono quello che si faceva quasi ammazzare dalle credenze perché tu ti arrampicavi per prendere i biscotti. Hai sempre avuto bisogno di qualcuno che ti proteggesse» sorrise, malinconico.
«Lo stai facendo anche adesso... io non voglio più essere protetta» mormorò Beatris, raccogliendo le ginocchia al petto.
«Ma per me è inevitabile farlo comunque. Tu lo faresti, Bea? Rinunceresti a proteggere qualcuno che ami solo perché questo ti chiede di farlo?»
«Perché devi essere così dannatamente simile a me, Scemo-Eren?» disse Beatris, in risposta, ed Eren ridacchiò ancora, divertito dal suo sottile e infastidito modo di dargli ragione.
«Forse perché siamo cresciuti insieme, ma tra noi tu sei sempre stata la più ostinata. È la tua forza e te la ammiro».
«Con quest'ultima stronzata mi hai decisamente superato».
«Non me la perdonerai mai, eh?»
«No, io... sto solo temporeggiando» confessò, avvilita. «Era da tanto che non parlavamo così e non avremo più occasione di farlo. Mi sei mancato» mormorò, stringendosi in se stessa.
«Mi dispiace tanto» sospirò Eren.
«Eren...» Beatris nascose quasi del tutto il volto tra le ginocchia. «Possiamo restare un altro po' a guardare gli elefanti insieme?»
Quanto sarebbe durato quel sogno? Quando gli avrebbe dovuto dire infine addio? Aveva compreso le sue ragioni, aveva compreso che ormai non c'era niente da fare per impedire quel futuro, ma se l'obiettivo del sogno che Eren le stava facendo vivere era stato quello di spiegarle ogni cosa, significava che ormai avevano concluso... e presto sarebbe svanito. Non voleva ancora farlo. Desiderava altro tempo, solo un altro po', per prepararsi a salutarlo definitivamente.
«Va bene...» le disse Eren, voltandosi nuovamente verso i mastodontici animali che gli passeggiavano davanti. «Lascerò che ti svegli da sola, starò qui con te per tutto il tempo che ci è concesso».
«Grazie» ed Eren seppe che non era solo per quel piccolo tempo che le stava concedendo. Glielo leggeva negli occhi, anche se le faceva male: ringraziarlo per tutto era il minimo che potesse fare. Lui stava facendo tutto quello per loro, per dargli un mondo migliore, per dargli una vita lunga e felice. Per concedere a lei e Reiner di avere più che due singoli sfuggenti anni.
Sorrise, raddolcito, e restò in silenzio al suo fianco. Gli elefanti davanti a loro si fermarono davanti a una pozza d'acqua, dove cominciarono a immergersi. Con la proboscide alzavano l'acqua e se la lanciavano sulla schiena, bagnandosi. Poi uscirono e cominciarono a rovistare al suolo, spostando erba e rami secchi. Ogni tanto trovavano qualcosa di interessante che si portavano alla bocca, poi tornarono a sollevare terra e lanciarsela addosso. Chissà perché lo facevano...
«Sono davvero così buffi...» commentò Beatris, lievemente divertita. Quel naso lunghissimo, prensile, era davvero strano.
«Pensi ancora che mi somigliano?» chiese Eren, altrettanto divertito e ammaliato.
«No, affatto» gli rispose e gli rivolse un sorriso divertito. «Loro sono placidi e tranquilli, al contrario tuo».
Riuscì a farlo ridere e Beatris si concentrò per marchiare a fuoco nella sua memoria quel pacifico ultimo momento che avrebbero vissuto insieme. Se quello doveva essere il loro addio, non avrebbe mai voluto che fosse pieno di rancore e dolore. Preferiva ricordarlo così: alleggerito, sorridente.
«Sei veramente un caso disperato, Scemo-Eren, un vero piantagrane. Avremmo dovuto immaginarlo che alla fine ci avresti dato tutte queste preoccupazioni, fin da piccolo non facevi altro che trovare una scusa per prendere a botte qualcuno».
«L'ho sempre fatto in buona fede» cercò di difendersi, divertito, e Beatris rispose rapidamente: «Lo so... è per questo che non abbiamo mai smesso di volerti bene, nonostante tutto».
Neanche ora, neanche di fronte al disastro che stava combinando, neanche di fronte alla peggiore delle catastrofi mondiali che aveva causato, avrebbero smesso di volergliene. Eren sorrise debolmente, felice, e tornò a guardare gli elefanti di fronte a loro. «Guarda quello» disse, indicandole il cucciolo che ora si era staccato dalla madre. Arrancava sulle sue zampe ancora inesperte e sicuro della vicinanza della sua famiglia era andato un po' in esplorazione. Si era avvicinato a un tronco abbattuto e stava provando a scalarlo, ma era rimasto incastrato, e tentava di scivolare giù, senza riuscirci. La madre gli si avvicinò, lo afferrò con la proboscide e riuscì a spingerlo dall'altro lato, facendolo scendere. Il piccolo arrancò ancora e finì col cadere a terra, non riuscendo a reggersi, con le zampe posteriori ancora bloccate sul tronco. Ma ancora la madre lo aiutò a rialzarsi e questo riprese a correre in giro, pieno di entusiasmo, come se niente fosse appena successo.
«Quello un po' potrebbe somigliarti, è scemo come te» commentò Beatris.
«Io invece stavo pensando che lei somigliasse molto a te» le rispose Eren con un sorriso, indicando la madre elefante.
«Eh?!» grugnì Beatris, offesa nel sentirsi paragonata a un enorme animale con un evidente problema di sovrappeso e il naso da maiale. «Ma che stai...» iniziò, furiosa, ma esitò, colta da una strana sensazione. Il volto di Eren era così dolce, così intenerito, mentre la guardava. C'era qualcosa che non aveva voluto dirle, un piccolo segreto che si era tenuto nascosto, ma non aveva fatto altro che ribadire che dentro lei c'era una forza che ancora non conosceva, che qualcuno sarebbe diventato presto persino più importante di lui. Non seppe perché, non riuscì bene a razionalizzare, ma senza accorgersene si portò una mano al ventre. Il cucciolo di elefante lanciò un barrito, entusiasta, tanto allegro da sembrare quasi... una risata infantile.
«Dicendo?» concluse in un mormorio, ma il volto sorridente di Eren svanì con quella parola. E tutto ciò che riuscì a ricordare, al risveglio su quella nave, con la testa poggiata alla spalla di Reiner, furono gli elefanti, un inspiegabile felicità unita alla tristezza, e la sensazione di aver sentito un bambino ridere.


Il boato alle spalle di Reiner lo costrinse a voltarsi, nonostante fosse ancora impegnato a lottare con la creatura luminosa e concentrato nel cercare di ucciderla. Davanti a lui, Armin ed Eren avevano iniziato a combattersi in uno scontro senza precedenti. Un colossale contro un altro colossale, ogni colpo rimbombava per tutta la vallata, ma il boato della trasformazione di centinaia di giganti riuscì a sovrastare qualsiasi rumore. Si voltò, sconvolto e terrorizzato, vedendoli emergere dalla polvere e dalla luce. Tutti, si erano appena trasformati tutti, distruggendo ogni cosa, tanto imponenti e numeri che molti si ritrovarono a spingersi giù dalla scarpata e cadere nella valle dove si trovavano loro. Tremò e non riuscì a staccare gli occhi da quell'incubo. Beatris, Jean, Connie, Gabi, tutta la sua famiglia... aveva davvero perduto ogni cosa?
«No...» sibilò chiuso nella nuca del suo corazzato, sentendosi stringere la gola. «Non è possibile...» quasi singhiozzò.
I giganti che non erano caduti si lanciarono comunque nel vuoto e si scagliarono tutti verso di lui. Incontrollati, mossi dalla volontà di Eren, spinti a prendere parte a quella battaglia contro il nemico.
«Hai evocato un esercito di giganti, bastardo!» digrignò i denti e piantò bene i piedi a terra, pronto a fronteggiarli. «Non ti lascerò comunque andare!» ringhiò, stringendo più saldamente la presa sulla creatura, che ancora sembrava dimenarsi per riuscire a raggiungere Eren. Cercò di spingerla indietro, serrando le braccia intorno alla creatura, cercò di bloccarla, ma in pochi istanti venne travolto dai giganti che si scagliarono tutti su di lui. La sua corazza riuscì a proteggerlo dai morsi, ma la sua forza non era abbastanza da riuscire a sostenere la loro lotta. Non si arrese, continuò a stringere, continuò a combattere. E nei volti dei giganti che lo attaccavano si sentì morire sempre più. Riuscì a riconoscerli. Jean, Gabi, Connie... persino sua madre era lì, che spingeva, che tentava di raggiungerlo e morderlo.
«Perché?» sibilò, ormai distrutto dal dolore. E la creatura cominciò a sgusciare via dalle sue braccia sempre più deboli, quasi schiacciato dal peso dei giganti che cercavano di sovrastarlo. Un urlo sopra la sua testa, un boato, e vide Pieck trasformarsi e atterrare al suo fianco. Prese la creatura tra i denti, la trascinò via, riuscendo a intaccarla e procurarle delle ferite. Non fu abbastanza forte, altri giganti tentarono di colpirla, ma la creatura ancora indietreggiò, trascinata. Annie, anche lei trasformata, la prese per l'estremità inferiore e la tirò indietro. Persa completamente la presa sui giganti, Reiner venne spinto a terra e almeno una decina di questi si accalcarono su di lui, cercando di mordere la sua corazza, immobilizzandolo. Altri si scagliarono su Pieck e Annie, ferendo entrambe, aprendo squarci nella loro pelle. Alle loro spalle, Armin e Eren continuavano nella loro imponente battaglia, scagliandosi pugni, colpendosi, spingendosi e afferrandosi. E infine, sopra le loro teste, Falco con in groppa Mikasa e Levi si avvicinò a questi, pronto a dare supporto.
Nessuno si era tirato indietro, erano tutti pronti a combattere, a sacrificare i loro ultimi istanti. Dovevano fermarlo, dovevano fermarlo a ogni costo. Reiner cercò di spingere via alcuni dei giganti che aveva addosso, ma uno di questi lo afferrò per la mascella e riuscì a strappargliela via. Si aggrappò al terreno, scavò solchi nel tentativo di spingersi verso la creatura, tornare a combattere, aiutando le due amiche in evidente difficoltà. Ma questi non davano loro tregua. Tutti, nessuno escluso, persino la sua famiglia, persino i suoi amici... erano tutti lì, a combatterli, a cercare di ucciderli. Tranne uno. E lo vide solo in quel momento. Era qualche metro distante da loro, immobile, in ginocchio a terra, con la testa reclinata in avanti e le braccia avvolte intorno al ventre. Non aveva preso parte alla battaglia, nonostante l'istinto innato a ucciderli che la creatura aveva loro dato. Nel caos di quel campo di battaglia, lui restava lì, immobile, accasciato sulle sue stesse spalle. Da quanto tempo era lì? Che stava facendo? Eren, alle sue spalle, lanciò un urlo rabbioso mentre tirava un altro pugno ad Armin e solo allora il gigante parve scuotersi da capo a piedi, come se fosse appena rabbrividito. Alzò la testa, come risvegliato, e si voltò rapidamente verso l'esercito di giganti che li stavano combattendo permettendo solo in quel momento di vederlo in volto. E Reiner riuscì a riconoscerla.
«Tris...» sibilò, sentendo la disperazione corroderlo completamente. Non lei, tutto ma non lei... Non poteva permetterlo, non poteva accettare che anche lei facesse quella fine. Lui non aveva mai voluto altro se non proteggerla. Ma poteva ancora farlo, sapeva che c'era ancora una speranza. Non le avrebbe dato una lunga vita, le sarebbero rimasti solo tredici anni, ma in quei tredici anni avrebbe potuto fare un sacco di cose. Ed era sempre meglio che condannarla a tutto quello per l'eternità. Si sentì pervadere da una nuova forza, un nuovo ardente desiderio. Si voltò e spinse via i due giganti che aveva sulla schiena, lanciandoli a terra senza preoccuparsi troppo di ferirli.
«Aspettami» prendendo l'ennesimo gigante per il volto, glielo distrusse e lo sbatté al suolo. «Risolvo questo casino e poi ti riporterò indietro».
Non sapeva perché Beatris restasse in disparte piuttosto che provare ad attaccarlo, ma era la sua fortuna. Sarebbe rimasta lontana dal pericolo il tempo necessario, al sicuro. E gli avrebbe impedito di dover combattere anche contro di lei. Ma le sue speranze sembrarono crollare in quel momento. Beatris si alzò in piedi, sembrò scattare, pronta a correre nella sua direzione, prendere parte alla battaglia. Sembrò puntarlo, con sguardo rabbioso, per andare a combattere. Fece un paio di passi, ma si fermò nuovamente quandò sentì l'ennesimo urlo di Eren, nella sua feroce battaglia. Indietreggiò di un passo e scosse la testa, come se avesse qualcosa dentro di cui liberarsi. E tirò un ruggito verso il cielo, afferrandosi i capelli, tormentata da chissà cosa. Sembrò calmarsi poco dopo e crollò nuovamente sulle ginocchia, accasciando le braccia, tornando a poggiarle intorno al ventre. Si rannicchiò su se stessa, si strinse in quell'abbraccio disperato, e lanciò un altro ruggito, scuotendo la testa. Qualcosa di simile a una lacrima volò via nel movimento e infine piantò di nuovo un piede a terra, per rialzarsi. Fu rapida, tanto rapida che nello sporgersi in avanti per cominciare a correre dovette appoggiarsi sulle mani per non cadere di faccia a terra. Ma si rimise in piedi e iniziò a correre, furiosa, rapida... verso Eren.
«Che diamine gli prende a quello?» chiese Levi, guardando la scena dall'alto, sopra Falco.
«Un anomalo?» si chiese Mikasa, altrettanto sorpresa.
«Anomalo o meno, seguono tutti la volontà del Fondatore, è più forte di loro».
Lo guardarono raggiungere Eren e saltare, aggrappandosi alla sua gamba. Piantando le dita nella carne, aggrappandosi ai suoi stessi muscoli, cominciò a scalarlo e nel farlo alzò la testa, verso il suo obiettivo: il volto di Eren. Solo allora Mikasa e Levi riuscirono infine a vedere la faccia del gigante che aveva abbandonato il resto dei suoi simili per scagliarsi contro Eren.
«Ma... quella...» mormorò Levi, corrucciandosi, e Mikasa esclamò sorpresa: «Bea?!»
La guardarono continuare la scalata, lottando contro gli scossoni della battaglia che teneva Eren impegnato contro Armin, aggrappandosi tanto ostinatamente da strappare via pezzi di carne pur di riuscire a restare appesa. E continuò, ruggendo furiosa, ostinata.
«Tutti i giganti seguono la volontà del Fondatore...» mormorò Mikasa. «Lei riesce a sentirlo. Se si sta dirigendo verso il volto di Eren è perché lui è lì!»
«Deve trovarsi nella bocca, è l'unico punto protetto. Se fosse nella nuca si starebbe arrampicando sulla schiena, invece che il petto» osservò Levi. «Mi chiedo perché sia l'unica ad essere immune al controllo del Fondatore».
«Non è immune...» mormorò Mikasa. «Lei semplicemente non lo sta ascoltando...»
E Levi si fece sfuggire uno sbuffo divertito. «Quella ragazzetta è davvero indomabile, persino da gigante non ha perso il vizio di fare di testa sua senza obbedire agli ordini. Beh, non possiamo stare qui a guardare. Adesso sappiamo dove si trova Eren».
E avrebbero dovuto fare qualcosa. Avrebbero dovuto fermarlo. A qualsiasi costo. Mikasa strinse tra le dita la corda legata intorno a Falco che gli permetteva di restare salda sul suo torso. Non voleva uccidere Eren, non aveva mai voluto farlo, ma fermarlo era davvero la priorità. Riusciva a capirlo. Persino Beatris, che era stata disposta a perdere tutto pur di proteggerlo, era arrivata alla conclusione che ucciderlo era l'unica via. Lei gli aveva sparato, aveva fatto saltare il detonatore e ora, persino da gigante, senza alcun controllo o pensiero, mossa solo dall'istinto, continuava a incaponirsi per raggiungere quell'obiettivo. Persino priva di una coscienza propria, sapeva che quella era l'unica cosa da fare.
Lascialo morire, Beatris.
Lei avrebbe dovuto lasciarlo morire. Ora riuscì a capirlo. Riuscì ad accettarlo.
«Ci penso io!» disse e tirò fuori la sciarpa di Eren, che aveva portato con sé ma non aveva più tenuto al collo dopo il loro confronto al ristorante di Nicolò. Se la legò al collo. Lo avrebbe fatto col dolore nel petto, con l'amore nel cuore, ma lo avrebbe fatto. Perché era la cosa più giusta.
Beatris raggiunse il petto di Eren e continuò la sua ostinata scalata. Eren aveva tentato fino a quel momento di scrollarsela di dosso, senza riuscirci, e ormai troppo vicina al suo obiettivo agì disperato. Cercò di afferrarla direttamente con una mano, per lanciarla via, ma Armin fu rapido e gli bloccò il polso. Afferrò anche la seconda mano e lo spinse indietro, cercando di contrastare il suo tentativo.
«Vai, Bea!!!» urlò da dentro il suo colossale, come se lei avesse potuto sentirlo. Ma nessuno gli avrebbe tolto dalla testa che lei ci riuscì perché in quel momento, con un urlo, saltò dalla sua spalla e si aggrappò al mento di Eren.
«Falco, avvicinati!» gridò Levi e Falco si lanciò in picchiata contro il volto di Eren. Levi, ora abbastanza vicino, si lanciò fuori dal gigante del ragazzino e si arpionò alla guancia di Eren. Sparò entrambe le lance fulmine che ancora aveva a disposizione, facendogliele esplodere sulla mascella, e la bocca di Eren si schiuse leggermente da quel lato. Non abbastanza da permettere a Mikasa di lanciarsi al suo interno, ma abbastanza da permettere a Beatris di infilarci dentro le mani. Piantò i piedi nella carne di Eren e con un altro ruggito tirò verso l'alto, per aprirgli la bocca il più possibile. Scivolò sul sangue che usciva dalla bocca di Eren, aperta dalle lance di Levi, ma approfittò dell'apertura per infilarsi al suo interno. Spinse con la schiena contro i suoi denti mandibolari, pianto le mani e i piedi in quelli sotto, e fece leva, ferendosi, ma ostinata. E riuscì infine a creare un'apertura sufficientemente ampia da permettere a Mikasa di volare al suo interno. Eren cercò di sputarle via, scuotendo la testa, scacciandole con la lingua e fu abbastanza violento da riuscirci. Beatris cadde nel vuoto, Mikasa insieme a lei, ma prima che Eren fosse riuscito a richiudere la breccia della sua bocca Beatris afferrò Mikasa al suo fianco e ce la lanciò nuovamente dentro. Infine cadde, nel vuoto, da un'altezza di almeno sessanta metri. Anche sotto forma di gigante, una caduta come quella non l'avrebbe risparmiata. Armin lasciò andare la mano di Eren e si allungò per prenderla al volo. E in quel momento sentì come una tela squarciarsi dentro di sé. Ebbe appena la forza di portarsi Beatris vicino al petto, le sue gambe cedettero e lentamente crollò verso il suolo, completamente privo di forze. Impattò al suolo, ma non fu poi così devastante, fu come se fosse stato accompagnato ad appoggiarsi a terra. Il calore, il vapore lo avvolse completamente. Quando infine riuscì a riaprire gli occhi, riprendersi, scoprì di trovarsi fuori dal suo gigante. Non riuscì a vedere niente intorno a sé se non una fitta coltre di nebbia, il vapore del suo gigante e di quello di tutti gli altri che andavano svanendo. Beatris si sollevò da terra, stesa sopra il suo petto, e gridò improvvisamente presa dal panico: «Armin! Che cosa è successo? Perché sono...» si guardò le mani, studiandole come se non riuscisse a capire se fossero realmente le sue. Ma subito dopo si portò istintivamente una mano all'orecchio destro, sgranando gli occhi. «Io... riesco a sentire...» mormorò.
«Il potere dei giganti deve averti curata mentre eri nella nuca del tuo» ipotizzò Armin, notando che anche la sua gamba era tornata miracolosamente tutta intera.
«Gigante?» chiese Beatris, sempre più sconvolta. «Allora io... mi sono realmente trasformata...»
«Non riesci a ricordare niente?» chiese Armin, alzandosi a sedere.
«No, io...» balbettò, ma venne travolta da una fitta pioggia di ricordi, sensazioni ed emozioni. Tanto devastanti che la portarono a versare lacrime. «Eren mi ha parlato... lui ha detto che...» singhiozzò. «Eren ci ha salvati...»
Sentirono dei passi al loro fianco ed entrambi si voltarono a guardare chi si stesse avvicinando, scossi. Videro Mikasa camminare a testa bassa verso di loro, avvilita ma serena. Tra le braccia stringeva la testa di Eren, tagliata via dal resto del corpo, ormai morto. Ed entrambi scoppiarono in un pianto disperato. Corsero al fianco di Mikasa, si inginocchiarono al suo fianco e strinsero quella stessa testa insieme a lei.
«Scemo-Eren...» singhiozzò Beatris, immergendo il volto tra i suoi capelli.
Non riuscì a dire altro, sentendo di avere troppo nel petto da esprimere con delle banali parole. Solo dolore, profondo dolore e gratitudine.
«Anche a voi sono tornati i ricordi, vero?» mormorò Mikasa. «Di quando Eren è venuto a trovarci».
«Sì, me lo ha detto» singhiozzò Armin. «Mi ha detto che alla fine di tutto questo sarebbe riuscito a eliminare definitivamente il potere dei giganti da questo mondo».
«Mi ha detto...» singhiozzò anche Beatris. «Che saremmo potuti invecchiare insieme. Che saremmo dovuti andare tutti a quel lago, tra cinquant'anni».
Mikasa abbassò lo sguardo, sentendosi pervadere dal dolore. Avrebbe voluto lasciare loro più tempo per piangerlo, ma fu costretta a riprenderselo e rialzarsi. «Io ora vado» disse.
«Dove?» mormorò Armin, separandosi da Eren quasi forzatamente.
«Se resto qui dubito che mi permetterebbero di dare a Eren una degna sepoltura» spiegò Mikasa e Armin abbassò lo sguardo. «Hai ragione. Lascia che riposi in un posto tranquillo».
Mikasa strinse la testa di Eren al petto e cominciò infine ad allontanarsi. «A Eren piaceva sempre riposare lì» mormorò malinconica e anche se non specificò il posto lo capirono entrambi. A Shiganshina, Eren finiva sempre con l'addormentarsi su una collina, sotto a un albero che era diventato il suo preferito. Quando non riuscivano a trovarlo, sapevano sempre che si trovava lì.
«Hai ragione... è un posto perfetto» sorrise tristemente Armin. Mikasa si voltò, prima di sparire oltre il vapore, e sorrise dolcemente a Beatris. «Bea... adesso dovresti andare anche tu».
«Eh?» mormorò Beatris, non capendo dove fosse dovuta andare. Ma in quel momento riuscì a intercettare una voce, non troppo lontana, nascosta dal vapore, che urlava il suo nome. Reiner la stava cercando, abbastanza allarmato probabilmente, visto il tono con cui gridava. L'aveva vista correre verso Eren, poi l'aveva persa di vista ed era stato troppo impegnato a lottare per riuscire a seguirla. Non sapeva cosa le fosse successo, sperava, forse sapeva, che era viva... ma doveva vederla con i suoi occhi. Dopo averla vista trasformarsi in gigante aveva sentito l'angoscia ucciderlo completamente. Aveva sentito di aver perso ogni cosa. Doveva trovarla, doveva vederla.
«Tris!»
«Reiner!» gridò Beatris, alzandosi e cominciando a correre nel vapore, per seguire la sua voce. «Reiner! Reiner!» urlò, cercandolo disperatamente con lo sguardo. E infine riuscì a vederlo. In mezzo al vapore, circondato dagli eldiani riportati alla normalità, con Gabi e Falco non troppo lontani, Jean e Connie a pochi metri. Era lì. E adesso sapeva che ci sarebbe stato per molto tempo. Molto più di due singoli e sfuggenti anni.
Si guardarono per qualche istante, paralizzati, forse chiedendosi se non si trattasse solo dell'ennesimo sogno. Consapevoli sempre più che niente, adesso, avrebbe potuto separarli. Nessun mare, nessun nemico, nessuna battaglia, nessun obbligo, nessuna missione, nessuna bugia. Niente. Finalmente si erano ritrovati... alla fine di tutto.
Le sopracciglia si aggrottarono, lo sguardo si spalancò e gli angoli della bocca si torsero verso il basso, in un'espressione disperata e felice. E con le guance solcate dalle lacrime, infine, Beatris gli corse incontro e gli saltò al collo con tale foga che per poco non lo buttò a terra. Si strinsero in un abbraccio tanto serrato che si fecero quasi male, ma non allentarono la presa. Non lo avrebbero più fatto per nessuna ragione al mondo.
«Ti ho preso» singhiozzò Beatris, schiacciata contro la sua spalla. E Reiner rispose, rapido e deciso: «Anche io».
La strinse più forte, facendo sprofondare il volto tra i suoi capelli, sulla spalla, e disse in un lamento: «Ti amo anche io, Tris».
Quella stupida frase, quello stupido gioco, non aveva mai avuto altro significato. Era quello il vero senso di quelle parole, era riuscito sempre a sentirle nel petto, ogni volta che lei gliele diceva. Ogni suo "ti ho preso" era un "ti amo" nascosto, che riusciva a percepire perfettamente. Ora non avrebbe più solo aspettato di sentirgliele dire, non l'avrebbe costretta a rincorrerlo ancora. Da quel momento in poi l'avrebbe "presa" anche lui, tutte le volte. E non l'avrebbe più lasciata andare.
Sarebbero rimasti così il più a lungo possibile, ignorando gli sguardi della gente, i risolini di Gabi e Falco o le domande perplesse della famiglia Grice che non capiva perché la moglie di Zeke stesse stringendo in quel modo Reiner. Sarebbero rimasti lì per ore, se non avessero sentito il rumore di armi e l'urlo di un uomo intimargli di alzare le mani.
«Che succede?» mormorò Beatris, voltandosi a guardare chi li stesse minacciando ancora. E videro l'esercito di Marley, ciò che ne era rimasto, puntare loro contro i fucili.
«Ascolti, segretario Muller!» si fece avanti un uomo vicino ad Annie. «Non siamo più una minaccia! Eren Jaeger è morto, il potere dei giganti è svanito. Noi non siamo altro che comuni esseri umani, adesso».
«Potete provarlo?!» urlò l'uomo marleyano, Muller. «Qui ed ora!»
«Se volete esami del sangue...» iniziò l'uomo vicino ad Annie, ma Muller urlò deciso: «Qui ed ora! Per favore, provatelo... siete umani o giganti?»
Te lo chiederò un'ultima volta, cadetto Jaeger. Sei umano o gigante?
«È come quella volta a Trost...» sussurrò Beatris, sondando l'espressione di Muller e riconoscendo in essa la stessa di Woermann, della guarnigione, di allora. «È dominato dalla paura, non ascolterà ragioni».
Reiner si corrucciò, frustrato, e fece istintivamente un passo avanti, mettendosi di fronte a lei per proteggerla. Ma Beatris si voltò immediatamente, consapevole di chi sarebbe stato l'unico in grado di risolvere quella situazione. «Armin...» mormorò, chiamandolo, e si sorprese nel vedere che lui aveva già iniziato ad avanzare a passi veloci verso la prima linea. Si slacciò l'attrezzatura di dosso, si tolse tutte le armi e arrivò di fronte a Muller a braccia alzate. Proprio come quella volta, a Trost.
«Se avessimo ancora il potere dei giganti, crede che non lo useremo adesso per opporci a voi?» disse Armin. «Il fatto che restiamo impotenti di fronte alle vostre armi è questa la prova che siamo solo umani».
«Ma tu... chi sei?» chiese Muller e Armin rispose senza timore, a voce potente: «Sono Armin Arlet, un eldiano di Paradis! Sono colui che ha ucciso il Gigante Fondatore, Eren Jaeger!»
Sarebbero stati loro gli eroi. Sarebbe stato lui. Armin sarebbe stato colui che avrebbe salvato il mondo, come Eren aveva chiesto in quell'ultimo sogno d'addio.

Nda.

Ssim aveva capito (e forse anche qualcun altro, ma lei è l'unica che lo ha esternato) ed ecco qui la risposta... il sogno di Beatris, quello che fa sulla nave mentre è con Reiner, quello da cui si risveglia con quella strana sensazione di malinconia, eccovelo qui riportato. È Eren, col suo potere, che in quel momento ha voluto parlare con lei un'ultima volta. Dopo mesi, quasi un anno, che era ostile, sembrava impazzito, non riuscivano più a parlare... vi ricordate all'ospedale, a Liberio, quanto lei impazzisse perché non riusciva a comunicare con Eren. Non capiva cosa gli stesse succedendo, provava a parlargli ma lui era così freddo distaccato. E vi ricordate cosa le disse quella volta?
"Eren, pensi che riusciremo mai a vedergli gli elefanti insieme?"
"Io credo di no".
Lui non l'ha dimenticato e non ha voluto andarsene senza prima realizzare quel sogno infantile che avevano da anni. Le ha voluto parlare, questa volta apertamente, deciso a essere sincero, per compensare tutte le bugie che le ha detto all'ospedale. E l'ha voluta portare a vedere gli elefanti.
Nel frattempo, fuori, la piccola Tris come tutti gli altri è trasformata... ma è l'unica che non obbedisce agli ordini. Lei non lo ascolta, non l'ha mai fatto, è sempre stata così testarda. Nessuno è mai riuscito a domarla, nemmeno il Fondatore, e anche se si dispera perché dentro lei sente la forza del Gigante Fondatore cercare di prendere il potere mentre la sua volontà lo combatte, alla fine riesce a vincere. Si lancia contro Eren, contro il volere supremo del gigante, continua a combattere. E come gli ha detto Eren, Mikasa alla fine si decide, capisce cosa deve fare, grazie a lei.
"Lascialo morire, Bea".
È questo che Mikasa ha detto a Tris a Shiganshina, la prima volta che hanno lottato contro Reiner, ed è questo che sente di dover fare anche lei. Capisce i sentimenti di Tris, capisce cos'è giusto, e alla fine Mikasa, aiutata dai suoi amici, mette fine a tutto. Eren muore, i giganti scompaiono e Armin è l'eroe. Come successe a Trost.
Voi che conoscete il manga sapete che questa è la fine della storia, ma non scappate ancora via! C'è ancora qualcosa che devo raccontarvi :3


Nel frattempo, vi lascio alla canzone extra del capitolo. È la voce di Eren quella che sentite (no, non davvero, ma nella mia testa sì xD), che racconta la sua storia, com'è arrivato lì. Al momento cruciale, fa i conti con se stesso, con un certo orgoglio nel vedere i suoi amici andare avanti e gli dice di non fermarsi. Lui crede in loro, che possano farcela. Lui era nato per arrivare a questo, ma questo non lo abbatte, è orgoglioso, è in un certo senso felice.
Il momento del ritornello (quando ci sono più voci) è la risposta dei suoi compagni, che marciano, insieme, indipendentemente dalla provenienza, tutti con lo stesso nome, tutti guerrieri, tutti umani... e anche loro erano nati, destinati, a quello.
E in un momento di debolezza, di leggero dolore, Eren si rivolge a Tris... la guarda, parla direttamente a lei. Con dolcezza, le dice che quelle parole, quelle azioni, le ha scritte per lei, per farle sapere che non è sola e che anche lei... era nata per questo. Per domarlo.
Per salvare tutti.
Ce la farai, Tris! Tu ci salverai tutti quanti!

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now