Capitolo 54

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«Ragazzi, cosa fate voi qui?» chiese Beatris, voltandosi a guardare Armin e Mikasa.
«Solo una casualità. Dovevamo parlare con Nicolò» spiegò Mikasa e Armin sospirò: «Sta succedendo un gran casino, Bea. Eren è completamente uscito di senno».
«Sì, lo so. Non era in sé già da molto tempo... ma perché? Cosa gli è successo?»
«Non riusciamo a capirlo» rispose Armin. «Da dopo Shiganshina, dopo che sei stata arrestata e abbiamo viaggiato per arrivare al mare, ha iniziato a cambiare. Era diverso, ha smesso di sorridere e ha iniziato a sostenere che avremmo dovuto attraversare il mare per colpire i nostri nemici prima che loro avessero colpito noi. Ma non ce ne siamo mai preoccupati, alla fine. A parte questo, era sempre il solito Eren. Lui... aveva detto di tenere a noi più di chiunque altro».
«Mi ha usata» confessò Beatris e si rabbuiò. «Ha usato tutte le mie debolezze per portare avanti il suo piano: il mio desiderio di arrivare a Marley e la mia incapacità a schierarmi, per costringermi poi a tornare da voi e chiamare aiuto per riportarlo indietro. Lui... me lo aveva detto chiaramente, al tempo, ma io non potevo capirlo. Mi aveva detto che il mio compito a Marley sarebbe stato quello di fare da intermediario e poi riportarlo indietro, ma pensavo che dovessi fare da intermediario per Zeke, invece voleva che lo facessi con voi. Ha usato la mia tendenza ad andare contro le regole e fare di testa mia, per portare avanti battaglie personali, così da spingermi ad abbandonarvi e seguirlo. Il vecchio Eren non lo avrebbe mai fatto...»
Mikasa e Armin si scambiarono uno sguardo preoccupato. Aveva ragione, Eren non avrebbe mai fatto una cosa tanto meschina proprio a lei.
«Mi dispiace, Mikasa, Armin... io vi ho traditi di nuovo» sospirò Beatris, abbattuta.
«Non è mai stata tua intenzione farlo» la rassicurò Mikasa, ma la porta alle loro spalle si aprì e una voce si intromise: «Ma l'ha fatto».
Spalancarono gli occhi, sorpresi, ma soprattutto spaventati.
«Eren!» esclamò Beatris, alzandosi in piedi. «Che ci fai qui? Come... come sei entrato?»
Lui era sotto arresto, lo aveva lasciato che si trovava in cella. Sapeva che era evaso, Eren le aveva detto apertamente che lo avrebbe fatto, senza aver paura che avesse potuto fermarlo, perché sapeva che Beatris non ne avrebbe avuto il potere. E lei aveva usato il caos della sua fuga per portare fuori Gabi e Falco, era stata l'unica cosa che sentiva che aveva potuto fare. Cercare di salvare almeno loro due. Ma lui era ricercato... cosa ci faceva lì?
Eren alzò immediatamente una mano e mostrò loro il taglio che si era già fatto sul palmo. Una minaccia, un avvertimento. Non avrebbe esitato a ucciderli, se avessero fatto qualcosa di sbagliato. «Resta seduta, Beatris» le disse. «Anche voi due, mettetevi a sedere a quel tavolo» ordinò.
Due reclute del corpo di ricerca si affacciarono nella stessa stanza, presero le due ante della porta alle spalle di Eren e gliela richiusero alle spalle, lasciandoli infine soli.
«Ma... che sta succedendo?» mormorò Beatris, confusa.
«Eren ha messo su un gruppo di ribelli, pare che siano molto numerosi» spiegò Armin e rivolse a Eren uno sguardo, chiedendosi se lo avrebbe lasciato parlare. Eren non reagì, ma restò ad ascoltare. Sembrò anzi invitarlo ad andare avanti. «L'ultimo atto di ribellione di Eren non è stato visto di buon occhio dalla corte suprema, programmavano di passare il Fondatore a qualcun altro».
«Cosa?!» sussultò Beatris, guardando Armin a occhi spalancati.
«Si fanno chiamare gli jaegeristi... lavorano con Eren, vogliono impedire al corpo militare di ucciderlo e soprattutto pare che vogliano sostenere la sua idea di sterminio. Non hanno remore... hanno ucciso il Comandante Supremo Zachary».
Beatris guardò sconvolta Armin, mentre finiva di spiegare, per poi spostare lo sguardo su Eren stesso. La situazione era sempre peggiore, sembrava stessero capitombolando sempre più in profondità in un baratro di cui non riuscivano a scorgere la fine. Arrivare a uccidere e minacciare lo stesso corpo di militare... perché? Cosa gli era successo?
«È così» confermò Eren, avvicinandosi al tavolo. «In questo momento il mio gruppo sta prendendo in custodia Hanji e il resto degli uomini presenti in questo ristorante».
«No...» mormorò Beatris, sentendo il panico crescerle nel petto. Si mosse istintivamente, spostò la sedia, intenzionata a correre da loro. Non sapeva cosa avrebbe fatto, sapeva che era inutile, ma non poteva lasciarli soli. Hanji, Jean... e Falco! Falco era lì con loro. Cosa gli avrebbero fatto? Lei doveva riportarlo a casa!
«Ferma lì, Beatris» le disse Eren e le mostrò nuovamente il palmo della mano ferito. Beatris si fermò, cogliendo la minaccia, ma restò in piedi. «Davvero lo faresti, Eren?» gli chiese, sondando la sua espressione. L'avrebbe davvero uccisa?
«Vuoi mettermi alla prova?» le disse e fu assurdamente convincente. Lei conosceva il vecchio Eren, il cugino che da sempre aveva cercato di proteggere i suoi amici, il ragazzo sorridente e determinato... ma non aveva idea di chi fosse quel nuovo Eren. E lo temeva. Tremando tornò a sedersi.
«Mettete tutti i palmi delle mani sul tavolo» disse Eren, poggiando per primo le sue mani. «Non azzardatevi a fare mosse improvvise».
Riluttanti, Mikasa e Armin obbedirono. Beatris poggiò sul tavolo solo la mano sinistra, così come Gabi poggiò solo la destra, e le due continuarono a stringersi col l'altra sotto al tavolo. Forse anche più forte di prima.
«Entrambe le mani, Beatris» l'ammonì Eren.
«Andiamo, Eren... di cosa hai paura? Lo sai che non posso fare niente contro di te» abbozzò un sorriso nervoso. Gabi aveva bisogno di quella stretta, ora forse più che mai. La sentiva tremare di paura. Non voleva lasciarla.
«Fai come ho detto» le disse semplicemente Eren, senza aggiungere altro. Nervosa, Beatris portò la mano di Gabi sopra al tavolo e gliela fece poggiare sulla tovaglia. Le rivolse uno sguardo, sperando di darle forza almeno con quello, e la lasciò andare, poggiando anche lei il proprio palmo lì a fianco. Sentirono in quel momento qualcuno bussare alla porta e una voce disse dall'esterno: «Li abbiamo tutti. Noi cominciamo ad avviarci».
«Va bene» rispose Eren e sentirono passi allontanarsi nel corridoio.
«Dove li porteranno?» chiese Beatris, preoccupata.
«Li terremo in custodia, staranno bene. Adesso dobbiamo occuparci di risolvere questo conflitto interno, a modo nostro, però prima volevo parlarvi personalmente. È una fortuna che anche tu sia qui, Beatris».
«Eren!» si intromise Armin. «Che cosa ti sta passando per la testa? Anche noi volevamo parlarti. Perché hai deciso di attaccare da solo Marley? Zeke e Yelena ti stanno manipolando?»
L'espressione di Eren si fece improvvisamente più dura. Una velata rabbia nei suoi occhi, forse offeso da quell'insinuazione, e infine disse con fermezza: «No. Io sono libero. Le cose che ho fatto, le scelte che ho preso, si sono sempre trattate delle mie intenzioni».
«Perché, Eren? Abbiamo vissuto a Marley insieme per sette mesi» gli disse Beatris. «Lo hai visto anche tu! Lì non ci sono solo nemici, ma molti sono innocenti. Perché li hai uccisi così brutalmente?»
«Perché era l'unico modo».
«Ti sei davvero incontrato in segreto con Yelena all'inaugurazione della ferrovia? E le tue successive azioni erano davvero tutte dettate dalla tua volontà?» chiese Armin.
«È così».
«No!» si intromise Mikasa. «Ti stai sicuramente facendo condizionare!»
«Tu non sei mai stato questo, Eren» si unì anche Beatris. «Non avresti mai coinvolto noi, non ci avresti mai esposti al pericolo deliberatamente e non avresti mai ucciso degli innocenti. Ti sei dimenticato di quello che abbiamo provato noi a Shiganshina nove anni fa?»
«Tu ti sei sempre preso cura di noi» mormorò Mikasa, con gli occhi lucidi. «Non è per il tuo animo gentile che sei venuto in mio soccorso quando sono stata rapita e mi hai avvolto questa sciarpa?» si afferrò la sciarpa intorno al collo, per indicargliela, ma Eren la fulminò, gelido: «Ho detto mani sul tavolo» fu l'unica cosa che disse. E non rispose a nessuna di quelle affermazioni. Mikasa tremò, non per la paura ma per il dolore, e lentamente riportò i palmi delle mani sul tavolo.
«Sì, mi sono infiltrato a Liberio per incontrarmi con Zeke» disse poi Eren, solo quando i suoi compagni ebbero terminato la loro pioggia di domande e incredulità. «Un incontro intimo tra fratelli, è stato illuminante. Ho imparato molto da lui. Zeke sa molte più cose di quanto ne sappiano i marleyani. Armin...» si voltò a guardare l'amico. «Tu vai ancora a trovare il corpo di Annie, dove è custodito, giusto?»
Armin non rispose, ma rimase a guardarlo confuso, chiedendosi cosa c'entrasse ora quello e sentendosi in imbarazzo nell'ammettere ad alta voce quella sua debolezza. Ed Eren continuò, chiedendogli: «Sei sicuro che sia una tua scelta e non quella di Bertholdt?»
«Cosa?» sibilò Armin, impallidendo.
«Se una volta assimilato un gigante se ne viene pervasi dai ricordi e dalle volontà, allora significa che una parte di te è diventata Bertholdt. Un soldato nemico, innamorato di un altro soldato nemico, sta influenzando molto il tuo giudizio. In fondo, non eri così debole prima. Non hai mai temporeggiato contro il nemico, le tue soluzioni ci hanno sempre portato alla vittoria. Ma adesso, ogni volta che apri bocca, è tutto un "parliamone"... sei diventato inutile! Armin, la tua mente è controllata da Bertholdt. Sei tu quello che è controllato dal nemico, non io».
«Che stai dicendo?!» disse Beatris, alzando improvvisamente la voce. Armin, al suo fianco, era pallido e tremante, forse convinto dalle parole di Eren e ferito profondamente. «È ovvio che non sia così! Si assimilano i ricordi, non certo i sentimenti! Ragione e amore sono due cose molto distinte, non seguono la stessa logica».
«E tu lo sai molto bene, non è così, Beatris?» la fulminò. «Dopo quello che è successo a noi e alla tua famiglia, a Shiganshina, avresti dovuto odiare Reiner. La logica te lo imponeva, lui era il nemico, e invece alla fine te ne sei innamorata».
Gabi, di fianco a Beatris, alzò improvvisamente gli occhi, sorpresa. Si voltò a guardare la ragazza al suo fianco e sentì ogni cosa trovare finalmente una sua connessione. Era quello il motivo per il quale era così ostinata a voler parlare con Reiner... la sua "faccenda personale" che mai aveva voluto rivelarle e che invece Falco aveva capito subito. Era... davvero possibile? Un demone dell'isola, innamorato di un eldiano buono di Marley, e Reiner... Reiner la stava aspettando, le aveva donato quella fascia. Era tutto chiaro, adesso riusciva a comprenderlo, e comprendeva anche perché Beatris non avesse voluto dirglielo prima. Sarebbe impazzita, se lo avesse scoperto, avrebbe perso fiducia in Reiner e avrebbe considerato Beatris una manipolatrice che lo aveva ingannato. Ma questo lo avrebbe fatto prima. Adesso... adesso non era così terribile.
Né Beatris né Eren parvero notare il suo sguardo sorpreso e il ragazzo proseguì, tagliente come una lama. «Ho capito perché lo hai fatto, ho capito perché sembrava che tu fossi improvvisamente impazzita. Tu non sei innamorata di Reiner, Beatris, tu sei innamorata solo di te stessa. Sei tremendamente egoista, non hai mai fatto altro che pensare a te stessa, e se c'è una cosa che hai sempre cercato negli altri era la necessità che qualcuno si occupasse di te così da liberarti da ogni responsabilità. Sei come una bambina, capricciosa e debole, e Reiner ti ha sempre dato tutto quello che volevi. Ti accontentava in tutto, è l'unico che non ti ha mai giudicata, ti difendeva di fronte ogni cosa e arrivava persino a mettere in pericolo se stesso pur di proteggerti, persino quando eri tu stessa a metterti in pericolo per la tua stupidità. Era quello di cui avevi bisogno, qualcuno che si prendesse le tue responsabilità perché tu non sei in grado di sostenerle, non sei mai stata capace di crescere e non hai mai perso la tua indole autodistruttiva. Ti metti in pericolo deliberatamente per costringere gli altri a venire in tuo soccorso, ti piace fare la vittima e mettere alla prova i sentimenti degli altri per vedere quanto sono disposti a fare per te».
«Eren...» sibilò Armin, tremante. Riuscì a vedere l'espressione di Beatris contorcersi sempre di più, abbattuta e demolita da quelle accuse che probabilmente lei stessa considerava vere. Ma Eren lo ignorò e proseguì, lapidario: «Quando hai tradito i tuoi amici, ucciso dei compagni per lui, hai capito che nessun altro avrebbe più potuto prendere quel posto, perché nessuno avrebbe più accettato di proteggerti dopo che ti eri rivelata per ciò che eri realmente. La responsabilità delle tue azioni era troppo grande, avevi bisogno di scaricarle su qualcuno e sapevi che Reiner era l'unico che avrebbe potuto accettare di farlo. Per questo sei tanto ossessionata dal ritrovarlo, per questo continui a combattere contro il mondo intero. Sei totalmente accecata dal tuo egoismo, non ti importa niente degli altri e non ti importa di ferire chi ti ha amata davvero. Sei arrivata persino a minacciare Mikasa di ucciderla se avesse provato a fargli del male... accusi me di non essere lo stesso e hai ragione. Non sono lo stesso di allora. Io, a differenza tua, sono stato in grado di diventare adulto mentre tu sei la stessa stupida bambina che eri un tempo».
«Eren, adesso basta» intervenne Mikasa. «Che cosa stai cercando di ottenere?»
«Sto solo cercando di farvi capire che siete voi quelli che sono chiusi in una gabbia, voi non siete liberi al contrario mio. Anche tu, Mikasa... a Marley ho conosciuto la storia degli Ackerman, ho scoperto da dove arriva la tua forza. A quanto pare gli studiosi marleyani non sanno niente dei giganti, ma Zeke ha molte conoscenze e sa di una manipolazione operata dagli eldiani, durante gli anni del loro impero, sul popolo di Ymir. Ci sono stati esperimenti e il risultato è stato proprio la famiglia Ackerman, che mantiene aspetto umano ma ha la potenza di un gigante. Il clan Ackerman fu progettato per proteggere il Re di Eldia e come risultato di questa manipolazione l'istinto degli Ackerman si sblocca quando questi riconoscono il bersaglio da proteggere. In altre parole, Mikasa, tu hai sempre avuto l'istinto di proteggermi perché sono stato io a ordinartelo e tu hai solo obbedito al tuo istinto di Ackerman. Nell'istante in cui, quel giorno che venisti rapita, io ti ho ordinato di combattere, qualcosa è scattato in te e quello era proprio l'istinto degli Ackerman. In quel momento non si è sbloccata solo una grande forza, ma ti sono state tramandate per conoscenza ereditaria anche tutte le capacità di combattimento dei tuoi antenati. È accaduto tutto perché per qualche ragione ti convincesti che io ero colui che andava protetto».
«No...» sibilò Mikasa con un filo di voce. «Ti sbagli».
«Cosa te lo fa credere?» la provocò Eren.
«Non è stato per quello che ho desiderato proteggerti, ma perché eri tu...» tremò e gli occhi le si inumidirono. «È stato grazie a te, Eren. Sono riuscita a diventare forte solo grazie a te».
«Si dice che quando un Ackerman si risveglia, egli soffra poi di lancinanti mal di testa. Pare che succeda quando il vero io si ribella all'obbligo della sua famiglia, ti dice niente?»
«Io... no» gemette Mikasa, ma era una bugia. Lei aveva davvero sofferto di quei mal di testa da che ne aveva ricordo.
«Eren, adesso devi smetterla» gracchiò Beatris, ormai al limite della sopportazione. Uno a uno, li stava colpendo brutalmente tutti quanti. I suoi migliori amici, la sua stessa famiglia, con l'intenzione esplicita di far del male. Sentiva ancora la ferita fresca in petto, essere messa di fronte a quella realtà, alla possibilità che Eren avesse ragione, non avere spiegazioni per riuscire ad affermare il contrario, faceva un gran male. Eren poteva avere ragione, forse davvero lei non era altro che una bambina capricciosa che desiderava essere protetta persino da se stessa, forse davvero non era in grado di prendersi le sue responsabilità, ed era vero che Reiner aveva sempre sopperito a quel suo bisogno... ma lei lo amava. Lo sentiva davvero. Anche se non sapeva perché, anche se era insensato, anche se tutto confermava quello che Eren le aveva detto, non riusciva ad accettarlo. E non riusciva ad accettare che riservasse lo stesso trattamento anche ai suoi amici. Lei era ancora quella di un tempo, e non aveva perciò perso nemmeno l'istinto a voler proteggere chi avesse di più caro. Finché Eren avesse colpito solo lei avrebbe anche potuto accettarlo, poteva accettare di essere uccisa, ma non doveva toccare i suoi amici. Era stata pronta a puntare le armi contro i suoi compagni quando aveva visto Reiner in pericolo, non avrebbe esitato a farlo ancora, anche se questa volta si trattava di Eren, per proteggere Mikasa e Armin.
«Stare in silenzio cambierebbe le cose?» le disse Eren. «È questa la verità. Mikasa è morta in quella baita, quando aveva nove anni, lasciandosi alle spalle solo un'entità fedele ai suoi istinti».
«No...» continuò a gemere Mikasa ed Eren non ne fu minimamente impietosito. «Siete solo un clan che ha perso la propria personalità, creati solo per eseguire degli ordini. In altre parole, siete schiavi. Sai cosa odio di più a questo mondo? Chiunque non sia libero. Il gregge che segue passivamente il proprio padrone».
«Eren!» ruggì Beatris, stufa di sentirlo blaterare.
Ma Eren continuò a ignorarla e infierì, sempre di più: «Guardarli mi manda in bestia. Non ho mai sopportato vedere degli schiavi che eseguono ciecamente gli ordini del proprio padrone. Già... da quando ero bambino, Mikasa, io ti ho sempre odiata».
Il lamento di Mikasa, ormai in lacrime, fu la scintilla. Beatris scattò in piedi, non vedendoci più dalla rabbia. Lei poteva capirla, sapeva come ci si sentiva ad essere allontanati dalla persona di cui si era innamorati. Il dolore, la rabbia, la frustrazione, la disperazione... erano tutte cose che aveva sentito sulla sua stessa pelle, sapeva quanto potessero fare male, e non era intenzionata a lasciare che qualcun altro provasse quel tormento. Era troppo. Era decisamente troppo.
E se quella persona ti deludesse? Cosa faresti, Ymir?
Gli tirerei un pugno in faccia.
Caricò il pugno, puntando al volto di Eren, pronta a colpirlo con tutta la forza che aveva. Ma qualcuno l'afferrò, la tirò indietro con forza e prima che potesse raggiungere Eren o che potesse capire cosa stesse succedendo Beatris si trovò stesa sul tavolo, schiacciata e bloccata. L'impatto non era stato neanche troppo delicato, qualcuno l'aveva proprio presa e sbattuta contro il tavolo. Riaprì gli occhi, riprendendosi velocemente dal dolore al torso, e impallidì quando vide che sopra di lei, a tenerla ferma, c'era Mikasa.
«Mikasa...» mormorò, non riuscendo a capire perché l'avesse fermata. E Mikasa la guardò disperata, lasciandola immediatamente andare. Non era stata lei a decidere... non l'aveva fatto coscientemente, si era mossa per istinto. La sua indole le aveva ordinato di proteggere Eren e lei aveva eseguito, senza avere possibilità neanche di rifletterci su.
«Hai visto?» le disse Eren, ancora immobile, per niente spaventato. «Ecco cosa sei, Mikasa».
Un lamento uscì dalla gola di Mikasa e non trattenne più le lacrime. Tremando, arretrò di un passo, guardando Beatris in preda alla disperazione. Era stata davvero capace di una cosa simile? Aveva davvero attaccato la sua amica, per difendere Eren? Era vero... tutto quell'incubo era vero. I suoi sentimenti non erano reali, non le appartenevano veramente. Perché? Perché era così?
«Aaargh!» l'urlo di Armin, furioso come una bestia, attirò la loro attenzione. E non appena si voltarono a guardarlo lo videro allungato sul tavolo, lanciato verso Eren, con il pugno che si era appena impattato contro il suo naso. Fu talmente violento che videro Eren volare via dalla sedia, e il tavolo stesso, spinto da Armin, si ribaltò facendo cadere a terra Beatris. Gabi le fu subito a fianco e le mise una mano sulla spalla, preoccupata.
Le porte si spalancarono in quel momento e due soldati entrarono, armati, chiamando: «Signor Jaeger!»
«Va tutto bene» disse Eren, alzandosi in piedi. Si ripulì il sangue colato giù dal naso con una semplice strofinata di braccio e si avvicinò ad Armin, che si rialzava da terra. Nello slancio, avendo perso appiglio nel tavolo, era finito col cadere anche lui.
«Armin, non avevamo mai combattuto prima, eh?» gli disse Eren. Ed Armin, appena ce l'ebbe davanti, tentò nuovamente di colpirlo, ma l'amico fu più rapido e contrattaccando lo centrò in pieno volto.
«E vuoi sapere perché?» disse, afferrando Armin per le spalle, costringendolo a piegarsi e tirandogli una ginocchiata in pieno stomaco. Non gli permise di cadere a terra, nonostante il colpo gli avesse tolto il fiato, e gli tirò un'altra ginocchiata questa volta in pieno viso. «Perché non potresti mai battermi!» ruggì, lanciandolo infine a terra.
«Eren!» gridò Beatris.
«Ti prego... basta...» pianse Mikasa.
«Come ho già detto all'inizio, ero qui solo per parlare» continuò invece, guardando Armin steso a terra che non si muoveva se non per qualche spasmo dovuto dal dolore. Respirava a fatica, i colpi lo avevano quasi del tutto tramortito, Eren non ci era andato giù leggero. Mikasa gli fu subito vicino e cercò di aiutarlo a rialzarsi, controllando che stesse bene.
«Se mi direte dov'è Zeke, non ci sarà più bisogno di combattere» proseguì, ma nessuno rispose. Non sapevano dove fosse Zeke, era stato preso in custodia da Levi appena tornati sull'isola ed era stato portato in un posto segreto, ma anche se lo avessero saputo non glielo avrebbero mai detto. Se quei due si fossero incontrati, avrebbero attivato il piano tabula rasa, sarebbe stata la fine di quel mondo. Andavano fermati a ogni costo.
«Pare che non parlerete, dunque» osservò Eren, e si voltò verso i due soldati che erano entrati poco prima. «Prendeteli, li portiamo con noi. Anche la stupida che ha ucciso Sasha» disse, indicando Gabi con un gesto del capo. E si allontanò, lasciando il gruppo nelle mani dei soldati. Beatris, non appena vide i soldati avvicinarsi a lei, istintivamente prese Gabi per le spalle e se la strinse al petto, guardandoli minacciosa. Qualsiasi cosa avessero fatto di loro, non avrebbero dovuto azzardarsi a separarle. Aveva già perso Falco, non avrebbe perso anche Gabi. Anche in mezzo a quel caos, non aveva perso il suo obiettivo, ora più disperato che mai. Aveva promesso che li avrebbe riportati a casa, in un modo o in un altro ci sarebbe riuscita, fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto in vita sua. Non c'era motivo di accanirsi in quel modo, era solo mera disperazione, ma aveva fortemente bisogno di credere in qualcosa. Di credere in un lieto fine.
Vennero portati via, caricati su di un carro e trasportati alla base militare di Shiganshina. Per tutta la durata del viaggio, nessuno di loro riuscì a dire neanche una parola. Abbattuti, non fecero che tenere lo sguardo fisso al pavimento e farsi pervadere sempre di più dalla rabbia e dal dolore. Com'erano potuti arrivare a quello?

Arrivati a destinazione, vennero separati. Mikasa, Armin e Beatris vennero presi per essere portati nelle celle sotterranee, mentre Gabi fu presa da un'altra guardia, diretta a una cella ai piani superiori. Ma non appena Beatris fu costretta a lasciare la presa su Gabi cominciò a dimenarsi, a urlare, e ribellarsi. Provò a colpire la guardia che la teneva, provò a scappare, e nel frattempo Gabi, guardando nella sua direzione, allungò istintivamente una mano verso di lei, sperando di essere afferrata.
«Va bene, così» intervenne Eren, guardando la pietosa scena. «Beatris non fa più parte del corpo d'arme da molto tempo. Chiuderla col resto del gruppo sarebbe inutile, può tornarmi utile in un altro modo. Chiudetele insieme».
Fu l'unica volta, dopo mesi, che Beatris poté sentire un minimo di gratitudine nei confronti del cugino. Vennero portate via e chiuse insieme. E lì, infine, vennero lasciate per ore. Sedute a terra, in preda a uno sconforto sempre più grande, riuscendo a trovare un po' di pace d'animo solo nel sentire l'una la vicinanza dell'altra. Non si conoscevano così tanto, avevano iniziato quell'avventura sull'isola insieme da poco più di una settimana, ma ciò che avevano vissuto insieme era così intenso da essere bastato per un'intera vita. Anche con l'odio di Gabi che era sempre stato pronto a uscire allo scoperto. Ma Beatris non glielo aveva mai recriminato, cercava solo di calmarla quando esagerava, insieme a Falco che invece era sempre stato particolarmente fiducioso e attaccato a lei. Anche se Adele in realtà non esisteva, Falco nel profondo aveva sempre creduto che Beatris in realtà non avesse mai mentito se non nella sua reale identità. Le loro chiacchierate, i loro scambi d'opinioni, i sorrisi che riuscivano a farsi nascere a vicenda, tutte quelle cose erano sincere. E il loro legame, anche se rivestito dalla menzogna, era comunque sincero. Quei due erano sempre andati molto d'accordo e Beatris aveva sviluppato da subito un certo attaccamento al ragazzino, forse perché un Grice, forse perché desiderava ereditare il corazzato, o forse semplicemente per sintonia. Con Gabi era stato diverso, lei da quando aveva scoperto che Adele non esisteva aveva sempre disprezzato Beatris al pari di tutti gli altri demoni dell'isola. Ma era rimasta colpita dal suo tentativo di salvarla e c'era qualcosa nel suo sguardo che la portava assurdamente a fidarsi... o forse era il suo attaccamento a quella fascia e il fatto che fosse una traditrice dei demoni. Non lo sapeva, sapeva che non comprendeva cosa provasse nei confronti di quella donna, ma giorno dopo giorno, qualsiasi cosa fosse, era sempre più intenso. Le due riuscivano a capirsi al volo, i loro atteggiamenti a volte erano assurdamente simili. E ora che l'odio era svanito del tutto, non era rimasto altro che un attaccamento morboso. Beatris si era sentita carica della responsabilità di Gabi, quest'ultima sentiva che non c'era nessun altro intorno a lei di cui poteva fidarsi. E avevano bisogno di continuare ad andare avanti mano nella mano.
«Dove avranno portato Falco?» chiese Gabi d'un tratto, quando finalmente poté tornare in sé.
«Non lo so» sospirò Beatris, che ancora le teneva un braccio sulle spalle con fare protettivo. «Ma troverò il modo di andare a prenderlo».
«Perciò... è vero. Voi non c'entravate niente con l'attacco a Marley» commentò, pensierosa e avvilita.
«No, è stato Eren. Ha fatto tutto da solo, noi volevamo solo riportarlo indietro. Attaccare Marley non è mai stata nelle loro intenzioni, volevano trovare una via diplomatica, ma alla fine Eren ha combinato il disastro... assecondato da Zeke».
«Perché Zeke ci ha traditi?» mormorò Gabi, disperata.
«Probabilmente è quel genere di persona che pensa che i sacrifici siano necessari ed è disposto a scendere a compromessi. Ho conosciuto una persona, una volta, che aveva la stessa indole, ma era molto più strategica e riusciva comunque a ridurre al minimo le perdite. E soprattutto le sue scelte non erano mai sbagliate. Ma è quel genere di atteggiamento che alla fine riesce a portare le persone al proprio obiettivo... forse è per questo che io in vita mia non ho mai ottenuto niente di buono. Non sono mai riuscita ad accettare di sacrificare niente. Sono passati anni, ma alla fine mi ritrovo sempre a trascorrere le mie giornate dietro alle sbarre» sospirò infine, abbattuta.
«È... è vero quello che ha detto Eren Jaeger? Tu sei... innamorata di Reiner?» chiese titubante, imbarazzata dall'argomento. E incerta se fosse il momento migliore per parlarne. Beatris abbassò lo sguardo, rattristata, e la presa sulla sua spalla si fece meno decisa. Sembrò sul punto di lasciarla andare.
«Mi dispiace» mormorò. «Mi odi?»
Un demone dell'isola innamorata di un marleyano onorario... ai suoi occhi doveva essere qualcosa di disgustoso e offensivo. Gabi arrossì e distolse lo sguardo. Esitò a lungo, prima di rispondere flebile: «No».
Era qualcosa che faticava a credere persino lei stessa, ma era la verità. Non riusciva a odiarla, non c'era riuscita fin dall'inizio e forse proprio per questo si arrabbiava tanto con lei. La trovava incomprensibile e lei reagiva alla frustrazione in quel modo, arrabbiandosi.
«Davvero?» chiese Beatris, sorpresa. E Gabi annuì.
«Mi racconti la verità?» le chiese improvvisamente.
«Come?» mormorò Beatris, non capendo il significato di quella domanda.
«Che cos'è successo realmente qui, quattro anni fa? Le storie che ho sentito a Marley, a questo punto, immagino che siano false. Voglio sapere la verità».
«Sei sicura?» le chiese Beatris, preoccupata, e Gabi annuì ancora: «Adesso credo di essere pronta a conoscerla. Adesso posso capirla».
Beatris accennò un sorriso intenerito. Tutte le sue assurde convinzioni, l'indottrinamento di Marley, erano appena crollate definitivamente e lei aveva bisogno di sapere quale fosse la realtà, piuttosto che brancolare nel vuoto in un mondo totalmente estraneo. Si era finalmente liberata di ogni cosa, e ne era felice. «Va bene» disse. «Tanto non abbiamo altro da fare al momento, no?»
Fece un sospiro e cominciò a raccontare ogni cosa, dal principio, da quel giorno di nove anni prima quando Bertholdt, Annie e Reiner avevano sfondato le mura la prima volta e invaso Shiganshina. Raccontò della sua famiglia, della sua disperazione, della sua decisione di voler morire per fare ammenda dei suoi errori, raccontò dell'addestramento e dei giorni felici, di come lei e Reiner si erano avvicinati, e raccontò di Trost, dell'uccisione dei giganti di Hanji, della spedizione per catturare Annie, del castello Utgard, della battaglia con Reiner e lo scontro con Bertholdt, del colpo di stato dentro le mura, di come avevano scoperto la verità e infine di come erano tornati a Shiganshina, di come lei aveva quasi ucciso Reiner per poi tentare disperatamente di salvarlo e dei quattro anni passati successivamente in prigione a causa di questo. Tutto, raccontò ogni cosa, senza più mentire neanche una volta. E Gabi l'ascoltò in silenzio, con gli occhi sempre più spalancati, fino alla fine.
«Adesso capisco» mormorò la ragazzina infine, pensierosa.
«Mh?»
«Zia Karina era preoccupata, diceva che Reiner era diverso da quando era tornato dall'isola. Lui ha sempre detto che era normale, perché era passato tanto tempo ed era diventato un uomo, ma anche io l'ho visto sempre strano. Quando parlava dell'isola faceva venire il dubbio che qui esistessero realmente dei demoni... non sembrava parlarne male, qualche volta mi è venuto il dubbio che voi foste realmente malvagi».
«Sì, è vero, è cambiato...» confermò Beatris. «L'ho visto al cancello, quando siete tornati dal fronte medio-orientale. La sua espressione... era molto diversa da come me la ricordavo. Ma immagino sia normale, dopo quello che ha passato» sospirò, abbattuta. «Un tempo eravamo così felici. Perché dev'essere successo tutto questo?» si strinse nelle spalle, parve farsi sempre più piccola, sotto al peso di un dolore che continuava a tormentarla. Avrebbe mai visto la fine di quella storia? E anche se ci fosse riuscita... poi quanto tempo le sarebbe rimasto?
"Meno di due anni..."
Faceva così dannatamente male.
«Grazie» mormorò Gabi, imbarazzata per quella che sentiva essere una debolezza. «Per averlo protetto e avergli permesso di tornare a casa».
Beatris sollevò improvvisamente la testa, colpita. Era mai capitato prima che qualcuno la ringraziasse? Tutti quelli che conosceva non avevano mai fatto altro che accusarla, considerarla una traditrice, persino i suoi amici, nonostante avessero sempre cercato di giustificarla e proteggerla, non avevano mai fatto altro che vederla come una che aveva sempre commesso degli errori. Una persona che non era mai riuscita ad ottenere niente e non faceva che guai. Era mai capitato prima di allora che qualcuno la ringraziasse?
Nonostante il dolore, riuscì comunque a sentire la piccola scintilla di felicità scoppiettare nel profondo di quell'oblio. Abbastanza da farle accennare un sorriso felice. Forse non era vero che non aveva mai combinato niente di buono...
Dei passi fuori dalla loro cella attirarono la loro attenzione. Alzarono lo sguardo alla porta e poco dopo la videro aprirsi. Si irrigidirono quando videro infine entrare Eren, seguito da una guardia. Beatris si mise in ginocchio, rigida, pronta a intervenire, ma non fece niente se non aspettare e vedere cosa sarebbe successo. Certo non poteva attaccare a testa bassa, ma era comunque tesa, e pronta a qualsiasi cosa per difender Gabi.
«Ehy» disse Eren, guardando Gabi alle spalle di Beatris. «Tu sei la ragazzina che ha ucciso Sasha, vero?»
«Che... cosa vuoi?» mormorò Gabi, terrorizzata.
«Devi mandare un messaggio a Marley. Se vuoi salvare Falco, fai come ti ho detto. Manda una richiesta d'aiuto, qualsiasi cosa possa spingere chi si è infiltrato nelle mura ad agire».
Beatris si corrucciò, pensierosa e preoccupata. Qualcuno si era infiltrato nelle mura? Erano già lì? Per quanto fosse felice di poter finalmente consegnare Gabi a Marley, non era quello il modo che aveva pensato e sapeva che non era niente di positivo. Se Marley era lì, lo era solo per attaccare a sua volta... ci sarebbero state altre battaglie, altre vittime. E il rischio che il gigante Fondatore col suo incredibile potere finisse nelle mani del nemico. Era sempre peggio.
In quel momento un'altra guardia entrò in cella, una donna, e lanciò subito uno sguardo a Gabi e Beatris. Beatris sentì Gabi sussultare nel vederla, non ne capì il motivo, ma le risposte non tardarono ad arrivare. Non appena entrata, la donna pugnalò la prima guardia alla gola, uccidendola istantaneamente, e puntò la pistola alla testa di Eren.
«Non muoverti» disse. «Gabi, fai silenzio per favore» aggiunse poi sentendo un lamento uscire dalla gola della ragazzina, ora in lacrime. Ma nonostante l'avvertimento, Gabi non riuscì dal trattenersi e mugolò tremante: «Signorina Pieck».
"Pieck?" rifletté Beatris, squadrando la donna. Era lei il gigante carro. Ed era lì, in quella cella, a Paradis.
«Silenzio, ho detto» l'ammonì Pieck, richiudendo la porta alle sue spalle e continuando a tenere Eren sotto tiro. «Tu sei Eren Jaeger, giusto? Tira fuori le mani dalle tasche».
«E se non lo faccio?» rispose semplicemente Eren, per niente intimorito.
«Allora premerò questo grilletto e il tuo cervello finirà spiaccicato sul pavimento. Non avrai nemmeno il tempo di trasformarti in gigante» disse Pieck.
«E allora perché non hai già sparato?» la provocò Eren. «Se non hai intenzione di uccidermi, che sei venuta a fare? Che succede se invece tengo le mani nelle tasche?»
«Non c'è motivo di sapere che succede se tieni le mani nelle tasche, dopo che ti avrò sparato».
«Lo so» si avvicinò Eren, per niente spaventato. E poggiò la fronte sulla canna della pistola. «Ma non sparerai comunque, giusto? Non ti è permesso uccidere il gigante Fondatore. I tuoi ordini sono "recupera il Fondatore a qualunque costo", giusto? Se sparerai avrai violato un ordine militare di fondamentale importanza e a pagarne le conseguenze non sarai solo tu, ma anche la tua famiglia rimasta nel ghetto».
Pieck esitò qualche istante, colta nel vivo, ma alla fine alzò le mani in segno di resa.
«E va bene!» esclamò. «È vero, non posso spararti».
Ma questo non allentava il pericolo. Pieck era un gigante, Beatris non conosceva la sua potenza, ma era pur sempre un gigante... avrebbe potuto sconfiggere Eren? Catturarlo? Quanto era pericolosa quella donna?
"Merda" digrignò i denti. Per quanto fosse arrabbiata con Eren, era pur sempre Eren. Ed era il portatore del potere più grande che il mondo conoscesse. Se fosse finito in mani nemiche, sarebbe stato terribile. Ma se fosse rimasto vivo, se avesse sconfitto Pieck in quella cella, il suo piano di sterminio sarebbe andato avanti. Tremò dalla tensione, mentre sondava tutte le possibilità, tutte le sue vie di fuga. E alla fine agì, come sempre, seguendo il suo istinto. Si lanciò in avanti e prese il fucile che era caduto a terra dalla guardia che Pieck aveva appena accoltellato. Pieck la fulminò, preoccupata, pronta a intervenire nel caso lei avesse cercato di spararle. Ma si sorprese e spalancò gli occhi quando vide invece Beatris puntare il fucile non a lei, ma a Eren stesso.
Il ragazzo spostò lo sguardo da Pieck a Beatris e la guardò con aria di sfida, superiore.
«Che intenzioni hai?» le chiese.
Beatris strinse la presa sul fucile ma non riuscì in quel semplice modo a ritrovare la calma. Tremava come una foglia, nonostante fosse ben decisa nel prendere la mira dritta alla testa di Eren, e dai denti serrati il fiato le usciva scattoso e lamentoso. Il cuore nel petto le batteva così forte che il dolore quasi la accecava. Ma era decisa. Non c'erano altre soluzioni.
«Se adesso ti ammazzo, risolvo due problemi con un colpo solo» disse. «Tu smetterai con questa stronzata e Marley non avrà il suo premio, gli ci vorrà del tempo prima di trovare il nuovo portatore del Fondatore visto che viene tramandato casualmente in caso di morte accidentale».
«Sì, decisamente una bella trovata. Complimenti, è la prima volta che fai qualcosa di sensato» le disse Eren, per niente turbato.
Pieck guardò tesa Beatris. Chi era quella ragazza? Da che parte stava? Da come aveva parlato, non era né dalla parte di Marley né da quella di Eren. Ma in ogni caso era pericolosa: se avesse ucciso Eren, tutto sarebbe andato in malora. Irritata, rialzò la propria pistola e la puntò a Beatris, pronta a sparare, senza neanche provare a ragionarci. Quella ragazza non le serviva, poteva permettersi di spargere il suo sangue. Ma Gabi scattò in avanti, riuscendo infine a muoversi, e si mise davanti a Beatris, in traiettoria. «No, no! Aspetta! Signorina Pieck, la prego!»
«Togliti Gabi!» le disse Pieck, nervosa. «Se ammazza Eren Jaeger perderemo il Fondatore!»
«La prego! Non è nostra nemica» insisté Gabi.
«Ma che stai dicendo?! Togliti o quella pazza ammazzerà il Fondatore!»
«Non lo farà» disse Eren, fissando Beatris dritta negli occhi.
«Come?» mormorò Pieck, sciogliendo i nervi. Quella sicurezza, da dove arrivava?
Beatris continuò a mirare alla testa di Eren, il dito poggiato sul grilletto, pronta a fare fuoco. Ma non lo fece. Continuò a tremare, tanto da far cigolare il fucile che aveva tra le mani. La mira precisa, ma i denti ancora serrati. Sempre più furiosa, sempre più irritata. Perché non riusciva a premere quel maledetto grilletto?
Tu sei ancora quella stupida bambina... non riesci a prenderti le tue responsabilità. Sei solo tremendamente egoista.
Lei era egoista. Uccidere Eren avrebbe risolto i problemi di quel mondo, almeno per il momento, avrebbe guadagnato tempo prima del prossimo Fondatore e con un po' di fortuna questo sarebbe andato a qualcuno di più ragionevole di Eren. Avrebbero potuto tornare sulla via diplomatica, avrebbe evitato lo sterminio di massa, avrebbe guadagnato tempo sulle azioni del nemico. Forse l'attenzione di Marley si sarebbe addirittura spostata altrove e avrebbero per un po' lasciato in pace Paradis. Era la scelta migliore, ne era certa, ma perché non riusciva a farlo?
Sostenne lo sguardo di Eren e sapeva perfettamente cosa le stava dicendo. Lei era egoista, e il suo egoismo la portava a mettere da parte il bene del mondo per un mero interesse personale. E lei, impazzita o meno, amava ancora Eren. Nei suoi occhi, anche se oscurati, vedeva ancora il ragazzino con cui aveva passato l'infanzia. Il bambino che aveva disegnato stupidamente con quella proboscide di elefante. Non riusciva a farlo, lei aveva promesso di proteggerlo. Lei voleva proteggerlo. Anche a scapito del mondo intero. E la cosa la faceva incazzare sempre di più. Perché non riusciva a smettere di essere quella bambina egoista? Perché doveva per forza dar ragione a Eren, con quelle sue terribili accuse? Perché non riusciva a dimostrare nemmeno a se stessa che lei non era ciò che Eren aveva descritto?
E più esitava, più Eren la guardava con sfida, quasi che le stesse chiedendo di farlo, di sparare. Si stava beffando di lei, sapeva che quello dimostrava ciò che aveva detto, sapeva di avere ragione e di essere in una posizione di vantaggio. E lo odiava. Si odiava.
Digrignò i denti e alla fine, chiudendo gli occhi per la frustrazione, abbassò il fucile.
«Mh?»mormorò Pieck, sorpresa. «Non ha sparato davvero».
«Non ucciderebbe mai una persona che ama, anche se questo fosse un genocida» disse Eren, guardando Beatris con sprezzo. Una pugnalata al petto avrebbe fatto meno male di quella frase. L'accusava di aver amato tanto Reiner da proteggerlo, nonostante la sua vera identità. E lo odiava, ma lo odiava proprio perché sapeva che aveva maledettamente ragione. Non sarebbe mai riuscita a farlo. Non sarebbe mai riuscita a smettere di essere quella bambina egoista che pensava al proprio benessere prima di quello del mondo intero. Restò con lo sguardo basso, frustrata, sempre più nervosa. Ma non ebbe più la forza né di tornare a guardarlo, né di puntargli il fucile alla testa. Eren aveva vinto.
«Tornando a noi» disse questo, voltandosi a guardare Pieck, che allarmata alzò subito le mani: «Aspetta! Non voglio combattere qui con te. C'è un altro motivo per il quale non ho voluto spararti, non sono solo stati gli ordini dei miei superiori».
«E sarebbe?»
«Se tu usassi il potere del gigante Fondatore potresti davvero sconfiggere Marley. È questo il motivo» spiegò Pieck e Eren le diede tutta la sua attenzione. «Io voglio che gli eldiani sotto al controllo di Marley e del resto del mondo siano liberati. Una volta per tutte, voglio liberare la mia famiglia dal ghetto» continuò Pieck. «Sono diventata una guerriera affinché mio padre ricevesse cure mediche, ed effettivamente ora la sua vita si è allungata, ma è tormentato dall'angoscia che a me non resti molto dei miei tredici anni di vita. Prima che io muoia, con i miei ultimi mezzi, voglio mostrare un futuro luminoso alla mia famiglia e per fare ciò Marley deve essere schiacciata. Io sono pronta a collaborare con te».
«Signorina Pieck... che sta dicendo?» mormorò Gabi, pallida.
«Se tu puoi uccidere i marleyani allora farò tutto ciò che mi comandi» continuò Pieck, ignorando Gabi.
«Signorina Pieck... non è possibile» continuò Gabi, quasi alle lacrime. «Anche lei ha tradito Marley come il Signor Zeke?! Perché?! Per che cosa abbiamo combattuto fino ad ora?! Il nostro scopo era dimostrare che gli eldiani sono buoni, perché sta facendo questo?»
«Gabi» si voltò Pieck. «Ascolta: cosa siamo? Marleyani o eldiani?»
«Noi siamo... marleyani onorari» balbettò Gabi, confusa e poco convinta.
«Sbagliato!» esclamò Pieck, avvicinandosi alla ragazzina. «Noi siamo il popolo di Ymir, è questa l'innegabile verità! Non importa che nome ci diano, noi restiamo sempre umani in grado di trasformarci in giganti. Come hai potuto vedere al forte Slava, sul fronte medio-orientale, presto il nostro potere non servirà più a causa dell'avanzamento tecnologico e allora verremo tutti uccisi! Anche se dimostrerai di essere un'eldiana buona, la verità è che il giorno della nostra liberazione non verrà mai! Non ci resta altro da fare se non reclamare i nostri diritti usando il potere che ci è concesso».
«Provalo» quasi la interruppe Eren. «Se dici di voler collaborare, mostrami una prova».
«Ti dirò dove si trovano i miei compagni» rispose Pieck, voltandosi a guardarlo. «In questo momento sono appostati all'interno della città. Posso indicarti la loro posizione».
«Cosa?!» sobbalzò ancora Gabi, sempre più sconvolta. Era disposta addirittura a vendere i loro compagni?! Che stava dicendo?!
«Se saliamo sulla terrazza di questo edificio, posso indicarteli subito» proseguì Pieck.
«Va bene, allora» disse Eren e si voltò poco dopo verso Beatris. «Però prima togli il fucile a quella pazzoide. Potrebbe usarlo per scappare di qua».
Pieck si voltò verso Beatris e scansando Gabi di forza le puntò la pistola alla testa. Si avvicinò di un passo, ma non ci fu bisogno di fare niente. Beatris alzò lo sguardo rabbioso su Eren e gli lanciò contro il proprio fucile, consegnandoglielo, ma colpendolo deliberatamente sugli stinchi. Eren non fece una piega, per niente turbato dall'affronto, e si abbassò a raccogliere il fucile.
«Troverò il modo di fermarti» gli disse Beatris.
«Come hai fermato Reiner, immagino» un'altra provocazione, un'altra accusa. Tutto cominciava a farsi più chiaro: Eren non glielo aveva mai perdonato. Nonostante la sua apparente bontà, la comprensione, l'accanimento nel difenderla dalle accuse, nel profondo non aveva fatto altro che covare rabbia per lei e per ciò che aveva fatto. Non c'era niente da fare, Eren aveva iniziato a vederla come un nemico, e questo spiegava perché avesse iniziato a usarla senza preoccuparsi di ciò che lei avesse potuto provare. Lui non provava più alcun affetto nei suoi confronti, lei era diventata un nemico come tutti gli altri. Non c'era niente che avesse più potuto fare.
«Andiamo» disse Eren a Pieck, avviandosi verso la porta. «Porta la ragazzina con te».
Beatris lanciò uno sguardo allarmato a Gabi, spaventata all'idea che venissero separate, ma non si accanì come aveva fatto precedentemente. Che quella Pieck fosse dalla parte di Eren o meno, era un abitante di Marley, ed era ovvio che tra loro ci fosse qualche tipo di rapporto. Si conoscevano, erano legate in qualche modo. Lei aveva promesso di riportarla a casa... e forse quello era il momento. Pieck era la sua casa. Doveva lasciarla andare. Perciò non disse né fece niente, mentre Pieck prendeva Gabi per mano e la portava con sé fuori dalla cella. Sperava solo che alla fine non le fosse successo niente.
Gabi seguì Pieck, come le era stato ordinato, ma forse fu solo più la paura a farla muovere. Non aveva alcun potere. Non sapeva più di chi fidarsi. Persino Pieck sembrava aver voltato le spalle a loro, ai suoi compagni, alla sua gente. Di chi altro sentiva che poteva fidarsi, ora? Ma un attimo prima di uscire dalla porta della cella... lanciò uno sguardo implorante a Beatris.
E lei capì troppo tardi di aver fatto un errore.


Nda.

Ehy there! Avrei molte cose da dire, ma contemporaneamente sento di non dover aggiungere niente a ciò che già il capitolo racconta perché... diamine... qui la situazione sta degenerando (pensavate che non poteva andare peggio di così? E invece xD).
Nella vita di Beatris ci sono stati molti crolli, ma due cose erano sempre fisse e definitive: Reiner ed Eren. Il primo, però, se n'è andato molto tempo prima e per quanto lei stia lottando per ritrovarlo non riesce ancora a trovare il modo (ma, ehy! Voi il manga lo conoscete, sapete bene quali marleyani si trovano a Paradis in questo momento, vero? :P). E adesso anche l'ultima fermezza che aveva è appena crollata. Eren non solo pare aver perso la testa facendo del male a degli innocenti, ma ora ha ferito anche i suoi stessi amici. La scena del tavolo mi ha sempre devastata, ovviamente tutte le mie attenzioni sono sempre state per Mikasa, ma qui, nella mia storia, abbiamo anche una Beatris che partecipa alla demolizione. Eren, anche quando aveva saputo di ciò che era successo, era sembrato essere sempre dalla parte della cugina. Il loro legame era forte, tanto forte che lui stesso tempo addietro le aveva detto che doveva continuare ad andare avanti e che secondo lui lei non aveva sbagliato in ciò che stava facendo. Eren era uno dei pilastri centrali della sanità mentale di Beatris, per difenderlo era persino scesa in guerra con Reiner: quando si è trovata costretta a scegliere tra i due, ricordiamocelo, lei non ha potuto scegliere perché non avrebbe mai dato via Eren, nemmeno a Reiner. In un certo senso è come se avesse scelto Eren. E ora lui le si ritorce completamente contro, la ferisce volontariamente, e lei, nella disperazione di non sapere come fare, arriva persino a puntargli un fucile alla testa.
Ma non spara.
"Non lo farà". Eren ne è sicuro, perché conosce le sue debolezze. "Non ucciderebbe qualcuno che ama, neanche se questo fosse un genocida".
Un'accusa pesante quanto una montagna. Ma ha ragione, Tris sa che Eren ha ragione, e allora si arrende... per quanto provi rabbia e disperazione, abbassa l'arma, abbandona ogni forza combattiva. Si arrende. Resta in ginocchio, assiste allo scambio di Pieck ed Eren, accetta silenziosamente che vadano avanti, smette di intromettersi, di provarci, e lascia infine Gabi nelle mani di Pieck, rinunciando anche a lei. Rinunciando a tutto.
Ma all'ultimo, nello sguardo supplichevole di Gabi che non sa più di chi fidarsi (e che di fronte a quel dubbio pare chiedere aiuto proprio a Tris, come se invece lei fosse qualcuno di cui possa farlo), legge la sua richiesta di aiuto... e comprende di aver fatto un errore.
Tris è distrutta, definitivamente, sotto ogni punto di vista. Quest'ultimo colpo, quello di Eren, è stato il definitivo... ma lascerà davvero che le cose vadano come devono senza provare ancora a combattere? Rinuncerà alla richiesta di aiuto di Gabi? Rinuncerà a Falco, che ancora non sa dove sia?

Vi lascio con queste domande e la canzone extra dedicata al capitolo. Una canzone un po' particolare, perché è la voce di Eren che ce la canta... e ci racconta di ciò che realmente sta provando (mi appello a voi, lettori del manga, che ovviamente già sapete xD e quindi possiamo dire sia un po' "spoiler", anche se sapete già di cosa sto parlando).
Il dolore, è questo che Eren chiede ed è questo che da, senza mostrare amore, senza mostrare pietà. Ma, forse, il dolore è anche quello che prova lui. Non ci rinuncia però, anzi lo ricerca, perché preferisce di gran lunga quel dolore, quelle battaglie, al non provare niente... al rinunciare e restare passivo di fronte al futuro. E, mentre con la voce fa del male, dentro di lui si accumulano le sue giustificazioni. Parla a Beatris, le chiede se non sia stanca di tutto quello, le dice che la capisce, nel profondo le chiede di fidarsi... perché quando "le luci si spegneranno", quando tutto finirà, allora capirà. E un giorno, lo sa, lo ringrazierà.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now