Capitolo 34

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Beatris si sporse oltre al muro e allungò una mano. Jean gliela afferrò e aiutato da Armin, di fianco a lui, riuscì a issarsi al fianco della ragazza. Si lasciò cadere a terra, seduto, e prese un paio di ampie boccate d'aria.
«Come ti senti?» gli chiese Beatris, al suo fianco.
«Sto bene. Ho solo bisogno di recuperare un po' di energie» le rispose e in quel momento gli si avvicinò uno dei soldati del corpo di ricerca e gli allungò un otre d'acqua. Jean l'accettò volentieri e bevette lunghi sorsi, prima di guardarsi attorno.
«È tutto qui...» mormorò, abbattuto. «Solo questi sono riusciti a tornare?»
«Le perdite sono state veramente ingenti» commentò Armin. «Però è una fortuna che almeno al ritorno non abbiamo avuto nessun tipo di problema. E Reiner ha rinunciato a seguirci, dev'essere stato troppo impegnato a combattere e poi troppo stanco per proseguire... oppure...»
«Armin!» lo chiamò immediatamente Jean, lanciandogli uno sguardo truce. Un piccolo rimprovero, che Armin riuscì a comprendere solo quando abbassando lo sguardo vide il volto di Beatris. Guardava le proprie gambe in silenzio, abbattuta. No, ipotizzare apertamente che Reiner fosse morto, in un momento come quello, non era decisamente una buona idea. «Probabilmente era stremato e ha rinunciato a inseguirci, almeno per oggi. Avrà trovato un altro posto sicuro dove riposare» disse Armin, frettoloso. «Sono sicuro che lo rivedremo presto, probabilmente tornerà a concludere il lavoro. Ma per il momento concentriamoci sui feriti e sulle nostre perdite, affronteremo Reiner quando sarà il momento». Sperava che metterle davanti l'ipotesi che l'avessero incontrato di nuovo, per quanto in veste di nemico, potesse almeno riaccendere un po' la sua speranza. Invece Beatris restò immobile nella sua posizione.
Jean e Armin si scambiarono uno sguardo preoccupato, ed entrambi infine sospirarono affranti.
«Vado a vedere come sta Mikasa» disse Armin. Jean si alzò in piedi, con qualche difficoltà, ma riuscì a mettersi dritto, e disse: «Vengo anche io!» ma si fermò a guardare Beatris qualche istante, ancora immobile. «Bea» la chiamò e questo bastò a destarla. Sussultò appena, e alzò lo sguardo su Jean, improvvisamente confusa. Quanto era stata immersa nei suoi pensieri? «Tu vieni?»
Non rispose, ma semplicemente si alzò in piedi e li seguì.
«Frattura alle costole peggiorata dalla cavalcata» sentirono dire uno dei soldati inginocchiato di fronte a Mikasa, stesa su di una barella. Al suo fianco, a vegliare su di lei, c'era Eren. «Dovresti farti vedere subito da un dottore, quando rientriamo».
Beatris, alle spalle di Jean, guardò Mikasa e lentamente gli occhi le si spalancarono, spaventata. Era ferita? Quando era successo?
«Che cosa è successo?» mormorò a Jean, al suo fianco.
«È stata afferrata da uno dei giganti mentre tentava di raggiungere te e Eren, sul collo di Reiner. L'ha stritolata per bene, ma sono riuscito a salvarla per tempo. Sarebbe potuta andare peggio... Non preoccuparti per lei» aggiunse, poi. «È forte, lo sai, si riprenderà presto».
«Ero talmente impegnata a scontrarmi con Bertholdt che non ho visto niente di ciò che succedeva intorno a me» mormorò pensierosa, poi un ricordo le balzò alla memoria. Erwin era senza un braccio, quando era intervenuto per salvare Eren. Si voltò di colpo, cercandolo con lo sguardo, e lo trovò non troppo distante, appeso alla spalla di uno dei suoi sottoposti.
«Comandante!» esclamò, correndogli incontro.
«Beatris» mormorò lui, con un filo di voce. Si sforzò di rivolgerle un sorriso, ma sul suo volto sempre più pallido sembrò in realtà più una smorfia. «Ottimo lavoro, hai mantenuto fede alla parola...» non concluse e si accasciò al fianco del sottoposto che lo sorreggeva.
«Comandante Erwin!» gridò questo, piegandosi su di un lato per reggerlo. Un altro dei soldati si lanciò al suo fianco, per aiutarlo, e insieme lo appoggiarono lentamente a terra. «Sta perdendo conoscenza! Ha perso troppo sangue!»
In pochi istanti fu accerchiato. Lo adagiarono su di una barella, cercarono di coprirlo per proteggerlo dal freddo della notte che ormai era calata, provarono a rianimarlo, a sentirgli il battito, a chiudere la ferita con qualcosa di meglio che fosse una semplice corda a fermare il sangue. Tutti si impegnarono per prendersi cura di lui il meglio possibile, e Beatris venne fatta allontanare per lasciare loro spazio di manovra. Indietreggiò, guardandosi attorno sconvolta, come se si rendesse conto solo in quel momento delle tragiche condizioni in cui erano. Feriti ovunque, alcuni già cadaveri, e il resto si apprestava a dare cure e organizzare una carovana dall'altro lato del muro per raggiungere la prima città più vicina. Beatris tornò lentamente vicino a Mikasa e gli altri, cercando con lo sguardo tutti i volti che le erano familiari. Sasha e Connie erano presenti, sorprendentemente anche Christa, anche se non era nelle sue condizioni migliori. Molti erano lì, più o meno indenni, ma non tutti.
«Dove sono Ymir e il signor Hannes?» chiese, una volta raggiunti i suoi compagni. E un'ombra oscurò i loro volti.
«Ymir è tornata indietro, dopo aver lasciato Christa a noi, ed è andata ad aiutare Reiner» spiegò Armin. Non l'aveva vista. Quando era successo? Possibile che fosse talmente concentrata su Reiner da non vedere Ymir? «Alla fine ha scelto da che parte stare».
Lei? La ragazza che non si schierava da nessuna parte se non se stessa? Davvero Ymir aveva scelto alla fine di schierarsi? Quella situazione era così disperata, così fuori dalla loro portata, che era riuscita a piegare persino un'anima forte e ribelle come quella di Ymir. Ripensare alle sue parole, in quel momento, al suo suggerimento... era così triste. Persino lei era crollata, alla fine.
«Hannes...» mormorò Eren, corrucciandosi. Esitò, lo vide trattenere un singulto, prima di dire: «Hannes è morto per cercare di proteggere me e Mikasa».
Il colpo fu tale che Beatris crollò a terra, in ginocchio. Hannes... quante volte l'aveva sgridata per le sue marachelle? Beatris aveva sempre avuto il vizio di finire nei guai, ne combinava una al giorno, e Hannes non faceva che ripescarla e rimproverarla, prima di spedirla a casa. Oppure aspettava che intervenisse Eren, che fallisse nel tentativo di aiutarla, finendo nei pasticci insieme a lei, e che alla fine arrivasse Mikasa a sistemare ogni cosa. Hannes... li aveva visti crescere, ridendo con una bottiglia in mano. Dei loro ricordi di Shiganshina, lui era l'ultimo superstite. E ora era sparito anche quello, spazzato via dalla brutalità del gigante corazzato. Dalla brutalità di Reiner che non aveva voluto risparmiarsi nemmeno contro di lei.
«Reiner...» mormorò, pallida in volto. «Ci ha lanciato addosso dei giganti. Perché?»
«Probabilmente non era interessato alla vostra incolumità» ipotizzò Jean. «Forse era talmente disperato che ha fatto la prima stronzata che gli è passata per la testa».
«Abbiamo rischiato di morire...» continuò Beatris, in un fiume di pensieri. Ma poi ne colse uno, il più assurdo di tutti. «Come ci siamo salvati?» chiese, alzando improvvisamente lo sguardo su Armin, convinta che lui avesse potuto avere le risposte a ogni cosa. «Perché i giganti non ci hanno più attaccati?»
«È successo dopo che Eren ha fatto quell'urlo» mormorò Armin, pensieroso. «Hanno cambiato improvvisamente faccia e si sono scagliati contro il gigante che Eren aveva di fronte, quello che aveva ucciso Hannes. Poi contro Reiner, quando ha tentato di inseguirlo» si portò una mano al mento. Era ovvio che avesse qualcosa per la testa, e non esitò a condividerlo: «Annie ha fatto una cosa simile, quando si è trovata con le spalle al muro. Ha urlato e i giganti hanno cambiato improvvisamente espressione e obiettivo. Te lo ricordi, Jean?»
«Già, hanno iniziato a correre dentro al bosco e ci hanno ignorati completamente».
«Forse è un potere innato di voi giganti trasformati. Forse avete il potere di controllare gli altri giganti con un urlo» ipotizzò Armin e Beatris spalancò improvvisamente gli occhi.
Perché avete cercato di prendere Eren? Perché proprio Eren?
Ora riuscì a capirlo.
«No» mormorò. «Non è qualcosa che sanno fare tutti. È esattamente quello che vogliono loro... è un potere che ha solo Eren».
«Che significa? Come lo sai?» chiese Jean.
«Reiner mi aveva detto che cercavano il Gigante Fondatore, un umano in grado di trasformarsi in gigante che aveva un potere immenso. E quel potere era proprio quello di...» manipolare le menti degli eldiani, manipolare i giganti. Sbiancò, colta da troppe informazioni tutte insieme, troppi elementi che coincidevano.
Connie ha detto che il suo villaggio è stato distrutto. Non trovi strano, Ymir, che i giganti abbiano distrutto il suo villaggio ma non abbiano ucciso nessuno? Dice che non c'era traccia di cadaveri, né di sangue...
Crollò a terra, cadde seduta e istintivamente si portò una mano alla testa.
«Non è possibile...»
«Ehy!» Jean si inginocchiò al suo fianco, preoccupato. «Che ti prende?»
Quando Connie, al castello Utgard, aveva parlato del suo villaggio e aveva provato ad accennare la sua preoccupazione per un gigante in particolare che somigliava molto a sua madre, Reiner l'aveva rimproverato abbastanza severo. Gli aveva detto che erano sciocchezze, che stava impazzendo, e Ymir si era messa a ridere, deridendolo. Ymir era intervenuta per placare la confusione di Connie... proprio Ymir, che probabilmente veniva da Marley come loro.
«Ho capito...» sibilò e alzò lo sguardo terrorizzato su Armin. «Ho capito perché ci sono giganti dentro le mura».
Reiner e Ymir non avevano fatto altro che proteggere quel segreto, in quel castello, cercando di allontanare Connie dalla verità. Ed era una terribile verità. Tanto spaventosa da toglierle la forza nelle gambe.
«Devo parlare subito con Hanji» mormorò, sentendo il panico strozzarla.
«Che significa? Che cosa hai capito? Bea, dillo anche a noi!» incalzò Eren, teso come una corda di violino. Doveva saperlo, qualsiasi fosse la verità a cui Beatris era appena arrivata doveva saperlo anche lui, perché lo riguardava personalmente. Perché riguardava tutti.
«Ho capito che...» deglutì. Solo il pensarlo la mandava fuori di testa, dirlo ad alta voce l'avrebbe fatta impazzire. Ma ci provò comunque: «Quei giganti... il gigante che somigliava alla madre di Connie» tremò. «Era veramente sua madre».
«Ma che stai dicendo?!» si corrucciò Eren, confuso più di prima.
«Ehy, Bea, hai per caso battuto la testa mentre salivi sul muro?» le chiese Jean, guardandola storto.
«Noi... noi siamo eldiani. Siamo tutti eldiani» disse Beatris, ignorando le domande dei suoi compagni. Puntò lo sguardo ad Armin, l'unico che sapeva avrebbe potuto comprenderla meglio di chiunque altro. E infatti era anche l'unico che non la guardava come se fosse impazzita. Rassicurata dal suo sguardo comprensivo e altrettanto sconvolto, aprì infine completamente la diga dei suoi pensieri: «È così che ci ha chiamati. Demoni dal sangue impuro... siamo tutti in grado di trasformarci in gigante, anche se non so come funzioni. Non credo che abbiano fatto un'iniezione a tutti quelli del suo villaggio. E poi, in quel caso, sarebbero stati giganti intelligenti, come loro. No, non credo sia andata così. Non lo so come sia successo... ma ormai è innegabile. Noi possiamo diventare giganti. I giganti... loro sono...» tremò e non riuscì a dirlo ad alta voce. Loro erano umani. Avevano combattuto per anni, avevano ucciso e si erano fatti uccidere da esseri umani. Non mostri, non creature. Sawney e Bean... loro erano umani. Un lamento le uscì dalla gola e tornò a stringersi le dita tra i capelli. Aveva collaborato, aveva ideato un piano per uccidere due esseri umani. E Reiner lo sapeva, l'aveva sempre saputo, e nonostante tutto l'aveva fatto. Come per Marco.
«No, non può essere» disse, negando con la testa. «Quando abbiamo aperto le nuche di Sawney e Bean, durante i nostri esperimenti, noi non abbiamo trovato niente. Però, è vero, c'erano tracce di organi umani...» e tremò ancora, incapace di proseguire.
«Hai detto che Reiner cercava il potere del Gigante Fondatore» le disse Armin. «Perché ha un potere immenso. E il potere dell'urlo di Eren sei sicura che sia solo suo e di nessun altro... perciò... Eren ha quel potere? Ecco perché Reiner voleva prenderlo? Quel potere... serve a manipolare i giganti, e quindi anche le persone in grado di trasformarsi in giganti? Serve a manipolare noi?»
Beatris alzò di nuovo gli occhi su Armin e tremante non poté fare a meno di annuire.
«Ma questo come si collega al villaggio di Connie? Eren non è di certo stato...»
«Non lo so. Ma questo spiegherebbe l'atteggiamento di Ymir e Reiner quando Connie ha detto che il gigante che avevano trovato somigliava a sua madre» rispose Beatris. «E spiegherebbe da dove sono arrivati quei giganti, se non c'è alcuna breccia nelle mura. Forse il Gigante Fondatore non è l'unico ad avere quel potere... forse ce ne sono altri. Forse... quella scimmia...» mormorò travolta da altri pensieri.
«Scimmia?» mormorò Jean, non capendo.
«C'era un gigante strano fuori dal castello, quando siamo stati presi d'assedio ieri notte. E...» sussultò appena, trovando un altro collegamento. «Quei giganti si muovevano di notte! Era qualcosa di assurdo! Non può che essere stata opera di quella scimmia! Era strana, non sembrava come gli altri, ha iniziato a lanciarci pietre addosso. E Reiner e Bertholdt hanno fatto una faccia strana quando l'hanno visto, non sembravano tanto spaventati... quanto sorpresi. Lui... era uno di loro! Quella scimmia con lo stesso potere di Eren, era sicuramente uno di loro!»
«Dov'è finita poi quella scimmia? Quando siamo arrivati noi non c'era» chiese Armin e Beatris negò con la testa. «Non ne ho idea. L'abbiamo persa di vista, eravamo troppo impegnati a difenderci dall'attacco».
«E Annie, allora? Anche lei aveva il potere dell'urlo...» rifletté Armin.
«Non lo so...» mormorò ancora Beatris, negando con la testa. C'erano ancora così tante cose che non riusciva a capire. «Inoltre Reiner ha parlato di Re Fondatore e Eren certo non ha sangue reale in corpo. Quindi... tutto questo non ha alcun senso. Io non ci capisco più niente...»
«Inoltre dobbiamo ancora capire in che modo è implicata Historia in tutto questo» aggiunse Armin pensieroso, e Beatris si corrucciò, confusa, prima di chiedere: «Historia?»
«Historia Reiss» disse Armin, annuendo. «È il vero nome di Christa».
Aspetta Ymir, io devo ancora dirti qual è il mio vero nome.
Ora riuscì a capire quella frase di Christa, quando al castello Utgard aveva provato a raggiungere Ymir, mentre stava per venir divorata.
«Reiss...» mormorò. «Ma non è il nome...?»
Armin annuì e la interruppe. «È il nome di un nobile all'interno del Wall Sina. Pare sia una figlia illegittima, ma la sua famiglia è implicata in qualche modo al culto delle mura, che pare nascondano qualcosa. Tu non eri con noi Beatris, ma quando abbiamo catturato Annie a Stohess abbiamo scoperto che all'interno delle mura ci sono dei giganti. Proprio dentro alla roccia, dentro al muro. E i membri del culto delle mura sembrano sapere qualcosa a proposito. Abbiamo preso in custodia il pastore Nick, al momento, ma non ci ha detto molto se non di cercare la famiglia Reiss e Historia».
«Giganti... dentro le mura?» sibilò, sempre più terrorizzata, e Armin annuì in risposta. «Aspetta! Annie?! Quindi voi... alla fine l'avete presa...» mormorò ancora Beatris, spaesata.
«Allora è vero che tu lo sapevi» sospirò Eren.
«Io...» mormorò Beatris e abbassò lo sguardo, sentendo nuovamente i sensi di colpa affossarla. «L'ho capito solo quando l'ho vista, alla foresta degli alberi giganti. Sapevo che era dalla parte di Reiner, che in qualche modo era implicata, ma non sapevo che fosse il gigante femmina né quali piani avesse quel giorno. Ho capito tutto solo quando l'ho vista arrivare e il modo in cui si comportava. Voi come siete riusciti a capirlo?»
«Alcuni piccoli segnali» rispose Armin e brevemente le raccontò ogni cosa, delle loro ipotesi, di come avevano pensato che lei fosse una traditrice, e dell'implicazione di Reiner.
«In realtà non avevamo alcuna certezza, ma era l'unica strada che sentivamo potevamo percorrere» concluse Armin. «Abbiamo teso una trappola ad Annie, mentre tu e gli altri eravate sotto osservazione, e siamo riusciti a catturarla. Ma si è chiusa all'interno di un cristallo che non riusciamo a rompere in nessun modo, e ora è sotto custodia. Non avremo informazioni da lei, almeno per il momento. Il che è un vero peccato... ci avrebbe fatto veramente comodo a sciogliere tutti i nodi, adesso» sospirò e con quell'ultima frase un pesante silenzio cadde tra loro, ognuno bloccato nel proprio girone infernale di pensieri, dubbi e timori. C'erano davvero troppe cose che ancora dovevano capire, e nessuno che fosse in grado di fornire loro risposte.
«I giganti dentro il Wall Rose...» mormorò Jean, rompendo improvvisamente il silenzio. «Erano perciò gli abitanti del villaggio di Connie?»
E d'istinto Beatris si voltò, cercando Connie alle sue spalle. Lo trovò, qualche metro lontano da loro si stava occupando di Christa, che non sembrava stare molto bene. Tornò a tremare, sempre più oppressa da tutto quello. La famiglia di Connie, i suoi amici, erano quei giganti. E loro li avevano sterminati tutti.
«Che gran bella merda» sibilò Jean e si lasciò cadere seduto anche lui, vicino a Beatris. Era turbato, come tutti, ed era facile comprenderlo. «E nonostante tutto siamo ancora così distanti dalla verità».
«Reiner e Bertholdt dicevano solo che volevano salvare il mondo, liberandolo dalla minaccia del Gigante Fondatore prima che questo avesse potuto causare una strage» mormorò Beatris.
«Beh a questo punto potrei anche comprenderlo...» disse Jean e si lasciò scappare una risata amara. «Se il pericolo è di essere trasformati tutti... posso capire perché abbia voluto eliminarlo».
«Che stai dicendo?! Eren non farebbe mai una cosa simile!» ringhiò Mikasa, pronta come sempre a schierarsi dalla parte di Eren.
«No, certo che no» disse Jean. «In fondo, oggi Eren con il suo potere ci ha salvati tutti, giusto?»
«Saremmo morti, se quei giganti non ci avessero ignorato improvvisamente» disse Beatris, voltandosi a guardare Jean.
«Probabilmente c'è ancora molto da capire» disse Armin. «E forse alcuni dei nostri collegamenti non sono nemmeno corretti, ci sono troppe incongruenze e troppe incognite. Ma è comunque un passo avanti... almeno possiamo dire che il sacrificio di tutte queste persone non è stato vano» sospirò, guardandosi attorno.
«Eren» Jean alzò lo sguardo su di lui. «Ci ritroviamo ancora a dover scommettere su di te. Puoi davvero assicurarci che ne vale davvero la pena? Per quanto ne sappiamo, potresti essere una bomba pronta a esplodere. Tutti i nostri sacrifici, tutte queste persone... puoi assicurarci che sono davvero morte per permetterci di avanzare verso la vittoria dell'umanità?»
Eren fece scorrere lo sguardo su ciascuno dei suoi compagni, in silenzio. Lo guardavano dubbiosi, timorosi, ma anche pieni di speranza e fiducia. Contavano su di lui, e lui sapeva che se ci fosse riuscito, avrebbe davvero potuto fare qualcosa di concreto per vincere quella guerra contro i giganti. Strinse i pugni, deciso. «Sì» disse, infine. «Manipolerò i giganti, riuscirò a farlo, e non solo impedirò che possano uccidere ancora ma sconfiggeremo Reiner con questo potere. Gliela farò pagare cara per ciò che ha fatto! Ci riuscirò, riuscirò a portare l'umanità alla vittoria e richiudere la breccia nel Wall Maria. Bea...» puntò lo sguardo a lei, ora più deciso che mai. «Noi torneremo a Shiganshina, te lo prometto».
E lo sguardo di Beatris tornò a illuminarsi di una flebile speranza. Tornare a Shiganshina... era qualcosa di tanto banale, tanto innocente, che sentì essere l'unica cosa a cui potersi aggrappare in quel momento. Lo voleva fare. Lo voleva fare davvero.

Era passata già una settimana da quando si erano scontrati con Reiner e Bertholdt, fuori dalle mura. Era passata già una settimana, e non era più successo niente. Proprio un bel niente. Beatris sospirò, annoiata, e alzò lo sguardo al cielo. C'era qualche nuvola di troppo, ma era un bel modo per farsi compagnia. Trovare in queste delle forme era il passatempo migliore che avesse trovato in quei sette giorni infiniti. Sospirò e ne puntò una.
«Un cervo» mormorò. «È sicuramente un cervo».
«Se lo fosse davvero potremmo provare a prenderlo e farlo arrosto» la voce improvvisa di Jean, alla sua destra, la fece sussultare decisamente fin troppo. Lo guardò terrorizzata e in un istante si alzò. Gattonò via dall'angolo in cui si era rintanata, sul retro di quel casolare dove avevano passato i loro ultimi sette giorni, e cercò di alzarsi per fuggire.
«Ehy!» gridò Jean. «Dove credi di andare?!» e le corse dietro, inseguendola per tutto il perimetro della casa.
«Sparisci sempre e non dai mai una mano! Tris, maledetta! Torna qua e aiutaci a scaricare il carro!» ruggì, continuando a correrle dietro.
«Insomma, voi due!» ringhiò Connie, vedendoli sbucare dal lato sinistro della casa. «Volete smettere di giocare come due bambini e ci date una mano?!»
«Jean è impazzito! Vuole uccidermi!» urlò Beatris, correndo incontro a Connie e Sasha. Si rintanò dietro le spalle di quest'ultima e fulminò Jean da oltre la sua spalla. «È posseduto dal demonio» ringhiò come un animale.
«Ma che cazzo stai dicendo?!» ruggì Jean, fulminandola.
«Ehy!» Armin si affacciò fuori dalla porta e fece loro un cenno con la mano. «Che state aspettando? Avete bisogno di aiuto?»
Mikasa uscì dietro di lui, non disse una parola, ma si avvicinò al carro pieno di sacchi e casse. Ne prese una e iniziò a portarla dentro la casa.
«Mikasa!» si allarmò Beatris. «Non devi sforzarti! Non sei ancora guarita!» e le corse dietro.
«Sto bene, tranquilla» rispose Mikasa, apatica come al solito.
«No, non stai bene! Sono passati solo sette giorni, non puoi stare già bene» le disse Beatris e le si mise davanti. «Dalla a me» si allungò e cominciò a tirarle via la cassa dalle mani. «Al mio polso c'è voluto un mese per riprendersi e ancora mi da qualche problema. Sarò costretta a portare il tutore a vita, è ovvio che le tue costole abbiano bisogno di altrettanto tempo».
«Bea... è pesante» l'avvertì Mikasa, senza lasciarle il peso totale della cassa.
«Tranquilla, ce la faccio. Dai, vatti a riposare, dalla a me! Ci pensiamo noi qua».
«Adesso ti sta bene sgobbare e darci una mano?!» urlò Jean, furioso. Si allungò sul carro, prese un sacco e se lo caricò sulle spalle.
«Sta' zitto, faccia da cavallo!» lo rimproverò Beatris e tirò ancora la cassa di Mikasa, per cercare di togliergliela dalle mani. «Dai, fidati. Lasciala a me e vatti a riposare».
«Non ho bisogno di riposare» le rispose Mikasa.
«Ma devi! Avanti, lasciami fare» e infine Mikasa si arrese alla sua insistenza e le lasciò il peso totale della cassa. L'espressione di Beatris mutò improvvisamente, sconvolta e terrorizzata. La videro incurvare la schiena e piegare le ginocchia sotto al peso eccessivo della cassa, e tremante per lo sforzo si voltò verso l'ingresso di casa.
«Ma... che diamine c'è dentro?» sibilò, arrancando.
«Patate. Ne abbiamo fatto scorta» le rispose Jean.
«Ultimamente i prezzi sono rincarati molto, dovremmo fare attenzione a non sprecarle» sospirò Armin. «O moriremo di fame».
«Hai capito, ragazza patata?» urlò Jean, voltando la testa per cercare Sasha. «Se ti becco a sgraffignarle ti faccio a pezzetti!»
«Ancora quel nomignolo?!» sussultò Sasha e sospirò sconsolata. «Credevo che ve ne foste dimenticati, ormai».
«Nessuno del nostro corso potrebbe mai dimenticarlo» le disse Armin e in quel momento un fracasso attirò la loro attenzione.
«Il polso...» digrignò i denti Beatris, afferrandosi la mano dolorante. L'aveva sforzato troppo, quella cassa era decisamente troppo pesante per lei, alla fine aveva ceduto. E le era caduta di mano. La cassa si ruppe e decine di patate volarono e si sparpagliarono per tutto il cortile, sotto lo sguardo sconvolto e terrorizzato dei suoi compagni.
Jean lanciò un urlo disperato. «Le hai fatte cadere tutte!»
«Mi sono fatta male! Un po' di compassione?!» ruggì lei, puntandogli la mano indolenzita davanti alla faccia.
«Sei un idiota! Mikasa te l'aveva detto che era troppo pesante per te!»
«Ma non ti dispiace nemmeno un po' per me?!»
«Adesso ci metteremo ore per riuscire a raccoglierle tutte...» e lanciò un altro urlo, prima di aggiungere: «Speriamo non si siano ammaccate! Sei un imbecille senza precedenti!»
«Jean» piagnucolò Beatris come una bambina. Si portò le mani al volto, come a volersi asciugare le lacrime, e si lasciò cadere a terra, in ginocchio. «Sei sempre così cattivo con me» finse di piangere, capricciosa e lamentosa. Ma Jean continuò a fissarla furioso, per niente intenerito. «Piantala! Non mi impietosisci, questi giochetti con me non abboccano! Io non sono mica Reiner!»
E l'aria parve congelarsi. Persino Beatris smise di piagnucolare, interrompendosi improvvisamente. Restò a fissare Jean qualche secondo, paralizzata, infine abbassò lo sguardo. Un pesante macigno parve piombarle sulle spalle. Mikasa, ancora ferma sulla porta, si voltò a fulminare Jean con lo sguardo più assassino che avesse mai potuto sfoderare. Ma Jean non la notò neanche, concentrato piuttosto sul volto ora avvilito di Beatris.
Era vero... Reiner finiva sempre con il lasciarsi impietosire. Anche se fingeva palesemente, solo per attirare un po' l'attenzione, anche se lui lo sapeva che lo faceva solo per ottenere qualcosa, alla fine cedeva sempre. Come tutte le volte che lei fingeva di essere troppo stanca dopo i suoi allenamenti e lui cedeva alle sue richieste, portandola a colazione sulle spalle. Era sempre stato tanto buono con lei, forse anche troppo. E lei, anche se adesso era sola, non aveva perso il vizio di cercare il conforto e le attenzioni degli altri fingendosi una bambina. Avrebbe dovuto smettere, doveva cancellare ogni cosa di quei momenti, doveva cancellare ogni cosa di Reiner. Aveva cominciato a farlo, a lottare con i ricordi, ma a volte era così difficile. Non era ancora nemmeno riuscita a liberarsi della fascia che gli aveva donato... e anche in quel momento, nascosta sotto la camicia, ce l'aveva stretta al braccio sinistro. Era un errore. Doveva cancellarlo.
«Hai ragione» disse improvvisamente fin troppo serena e si alzò in piedi. Si chinò a raccogliere le prime patate che aveva vicino ai piedi e si voltò, pronta a continuare, ma prima volse a Jean un sorriso. Era armonioso, angelico, uno dei suoi soliti sorrisi privi di qualsiasi turbamento... uno dei suoi soliti sorrisi falsi e forzati, necessari solo a far credere a chi aveva attorno che stesse bene. La conoscevano, ormai avevano imparato a riconoscerli, ma lei continuava a usarli ogni volta che poteva come fosse stata l'unica arma che avesse a disposizione. «Dovrei cercare di aiutarvi di più, scusatemi» ridacchiò, ma non fu una risata sincera.
«Tris» mormorò Jean, facendo un passo verso di lei.
«Va bene! Va bene!» sospirò, ancora divertita. «Le raccolgo tutte io. Ho fatto io il danno, è giusto che risolva. Non preoccupatevi, continuate con lo scarico».
«Aspetta... io...»
«Jean» si voltò a guardarlo, con le braccia ormai piene di patate. «Va tutto bene, davvero» ancora si sforzò di sembrare sincera, e per un istante lo sembrò davvero. Ma non lo era, non lo era affatto.
«Non fa più tanto male» disse, guardandosi il polso chiuso nel tutore. Ma parlava davvero di quello? «Devo solo imparare a convivere con questa situazione» parlava davvero del suo polso e basta? Beatris sospirò e si avvicinò all'ingresso di casa. «Accetterò di essere la più debole, prima o poi. Non posso essere come Mikasa, prima o poi ce la farò a capirlo. Oh! Vi va uno sformato per stasera? Posso cucinare io! Così mi renderò utile senza per forza dover fare lavori pesanti» ed entrò in casa, superando lo sguardo preoccupato di Mikasa. Quest'ultima la guardò entrare, avvicinarsi alla cucina e cominciare a mettere a posto le patate che aveva raccolto. Poi tornò a fulminare Jean con istinto quasi omicida e lui questa volta non poté non notarla. Rabbrividì e si irrigidì, improvvisamente terrorizzato. Infine Mikasa sparì dentro casa, seguendo Beatris. Armin sospirò e si avvicinò al carro per prendere una tanica di latte. Connie e Sasha ripresero a scaricare i rifornimenti, ma da quel momento non ci fu altro che il silenzio a far loro compagnia. Fino a quando non sentirono le urla di Eren provenire da dentro casa.
«Ma non ti sei pulita le scarpe! Bea-Stupida, avevo appena pulito per terra! Dove hai intenzione di lasciare quelle patate piene di terra?! Non osare sporcare in giro!»
«Scemo-Eren e dove dovrei lasciarle, eh?! Nella tua testaccia vuota?!»
Tutto sembrava essere tornato normale, ma il peso sul loro petto non li lasciò comunque andare almeno fino a sera. Neanche di fronte allo sformato di patate cucinato da Beatris e Historia.

Stavano per mettersi a tavola per la cena, quando sentirono la porta del casolare aprirsi. Si irrigidirono, tesi e terrorizzati, come se il nemico avesse appena deciso di andare e ucciderli tutti. Invece si trattò di Levi... e questo fu anche peggio.
Levi si guardò attorno corrucciato, si avvicinò al tavolo e passò una mano sul legno. Si studiò le dita con estrema attenzione, esaminandone ogni singolo millimetro, poi prese un fazzoletto e se le pulì.
«Eppure di tempo per dare una pulita a questo porcile ne avete avuto parecchio» decretò, severo. Eren sospirò avvilito. Ci aveva messo così tanto impegno per cercare di raggiungere i canoni di pulizia del loro capitano, ma era stato tutto inutile.
«Non fa niente, parleremo dopo di quanto siete incompetenti nelle pulizie e stabiliremo delle nuove regole» disse, prendendo una sedia e accomodandosi a tavola. In quel momento, dietro di lui, entrarono anche Hanji e Moblit. Avevano il volto scuro, per niente sereni, ma tentarono lo stesso di salutare il più amichevolmente possibile.
«Capitano Hanji!» esclamò Beatris, felice di vederla. Dopo lo scontro con Reiner e la loro chiacchierata notturna sul muro, non appena erano tornati in città, era corsa a cercarla per informarla di tutte le teorie e le informazioni che insieme ad Armin avevano estrapolato. Hanji ne aveva fatto tesoro, ma era corsa via immediatamente, per andare ad esaminare di persona il gigante che si pensava fosse la madre di Connie. Lui era andato insieme a lei quel primo giorno, poi era tornato, ma Hanji non l'avevano più vista, troppo impegnata nel suo lavoro. E intanto loro avevano trovato rifugio in quel casolare abbandonato, lontano dalla civiltà. Una precauzione necessaria. Il corpo di gendarmeria non aveva smesso di puntare a Eren, poco gli importava degli avvenimenti fuori dalle mura, il processo andava fatto. Avevano concesso a Erwin solo qualche giorno, per riprendersi dalle ferite e rendersi presentabile di fronte al Re, ma presto quelli della gendarmeria sarebbero tornati a riscattare il loro premio. La missione esterna alle mura, quando si erano scontrati la prima volta con Annie, era fallita e come da accordi Eren avrebbe dovuto tornare a processo. Poi c'era stata la strage di Stohess... per riuscire a prendere Annie avevano fatto innumerevoli vittime, e questo non aveva fatto che peggiorare la loro situazione. Erano considerati pericolosi, tutte le attività del corpo di ricerca erano state sospese, Erwin tenuto sotto osservazione e sapevano che avrebbero fatto di tutto per riuscire a ottenere Eren, ora più che mai. Ma date le nuove circostanze, a maggior ragione, Erwin non era intenzionato a lasciarlo andare. Perciò aveva trovato per loro un buon nascondiglio, in quel casolare sperduto nel nulla, e lì aveva ordinato di restare nascosti fino a nuovo ordine. Lui, insieme alla nuova formazione della squadra Levi: ciò che restava dei cadetti del 104° arruolati al corpo di ricerca. Non sapevano bene perché Levi avesse richiesto una formazione come quella, composta interamente da reclute, ma non si fecero troppe domande, in fondo. Erano invischiati in quella storia più di chiunque altro, anche se inesperti e sicuramente meno competenti della vecchia squadra Levi, ma probabilmente non erano le capacità a interessare al capitano, tanto quanto la loro utilità. Nessuno di loro si era lamentato: era un grande onore lavorare per Levi in persona, e questo poi permetteva loro di restare insieme.
Era una bella consolazione, visto ciò che avevano dovuto passare. Ed erano stati felici di vedere che anche Beatris era stata coinvolta, anche se lei continuava a non essere troppo entusiasta all'idea di lasciare Hanji. Si trovava decisamente meglio insieme a lei, che con Levi. Levi la terrorizzava.
«Ciao Beatris» salutò la sua ex caposquadra. «Ti trovo bene».
«Mi sto riprendendo» mormorò, abbassando lo sguardo imbarazzata. Non era a suo agio nel parlare di ciò che era successo durante lo scontro con Reiner e mai lo sarebbe stato, forse. «Stavamo per metterci a cena, volete accomodarvi con noi?» le chiese poi, cortese.
«Mangeremo dopo» le rispose Levi. E Beatris un po' ci restò male... si era impegnata molto per quello sformato. Freddo non sarebbe stato sicuramente la stessa cosa. «Sedetevi, dobbiamo parlare di un po' di cose» ordinò il capitano e anche se con lo stomaco già aperto, con l'odore di patate che solleticava i loro palati, obbedirono senza troppe esitazioni.
Levi aspettò che Hanji e Moblit si accomodassero su una poltrona lì di fianco, e infine iniziò a parlare: «Sono successe un bel po' di cose, ultimamente, ma il punto è che il nostro obiettivo iniziale non è cambiato. Dobbiamo richiudere la breccia del Wall Maria. E dobbiamo farlo con una certa urgenza. Le condizioni dei cittadini sono sempre peggiori, non c'è cibo per tutti, il rincaro dei prezzi è un segnale. Inoltre, ampliandoci al Wall Maria, saremmo più vicini alla verità oltre le mura, organizzare spedizioni in esterno sarebbe più semplice e questo ci permetterebbe anche di raggiungere Shiganshina e scoprire cosa teneva nascosto il padre di Eren dentro quella cantina. Non abbiamo che vantaggi, ma dobbiamo prima di tutto risolvere questo problema. Armin...» si voltò a cercare il ragazzo. «Avevi detto che c'era un modo per chiudere le mura il più velocemente possibile. Spiegati meglio, adesso».
«Sì, ecco...» mormorò Armin e cercò subito dopo di raddrizzarsi, per trovare il coraggio di esprimere la sua opinione senza sentirsi completamente idiota. Come sempre gli succedeva. «È un'idea che mi è venuta dopo aver visto i giganti nascosti all'interno delle mura. Dopo che abbiamo visto che Annie era capace di cristallizzarsi e dopo che il capitano Hanji ha scoperto che la composizione di quel cristallo e delle mura era la stessa, ho intuito che le mura stesse non fossero allora altro che giganti cristallizzati».
«Tutte le mura?» mormorò Beatris, spalancando gli occhi. Armin annuì: «È ciò che ci ha fatto capire il pastore Nick. Tutte le mura sono fatte di giganti cristallizzati».
E Beatris si lasciò sfuggire un lamento terrorizzato dal fondo della gola. Tutte le mura erano giganti... era una follia. Erano circondati da giganti colossali e nessuno aveva mai scoperto niente?! Levi le lanciò un'occhiataccia, ammonendola per il suo palese turbamento, e lei tremò ancora più vistosamente. Ma si raddrizzò, anche in maniera innaturale, e si sforzò di restare in silenzio.
«Annie e Eren sembrano condividere alcune capacità, hanno tutti e due il potere dell'urlo. Anche la corazza di Reiner sembrava essere fatta dello stesso materiale, a vista. Vien da pensare che possano usare le stesse abilità e che quindi anche Eren sia in grado di cristallizzarsi. Potremmo perciò usare lui per richiudere la breccia. Questo ci risparmierebbe decine di viaggi per il trasporto di materiale, perdite minori e un'esecuzione del lavoro ottimale. Potremmo risolvere la cosa in una notte sola, muovendoci quando i giganti dormono. A cavallo ci basterebbe una notte per arrivare a Shiganshina... se tutto questo fosse concretizzabile, allora il piano per la conquista del Wall Maria potrebbe essere svolto in meno di ventiquattro ore».
«È... è un davvero un bel vantaggio!» esclamò Beatris, spalancando gli occhi.
«Già...» sospirò Armin, meno entusiasta di lei. «Ma si basa sull'ipotesi che Eren riesca a usare quel potere».
E nel completo silenzio, tutti gli sguardi ora si spostarono su Eren. Dubbiosi, speranzosi, fiduciosi... c'erano così tanti sentimenti tutti insieme che la pressione su di lui divenne quasi insostenibile. «Sì» mormorò infine. «Ho capito. Lo farò» decretò, preoccupato ma deciso.
«Hai sentito, Hanji?» si voltò Levi. «Vuole farlo. Perciò adesso sta a te organizzare gli esperimenti per studiare il suo potere».
«Sì, ovviamente è sotto la mia piena responsabilità» commentò Hanji, ma nonostante la determinazione, qualcosa le turbò lo sguardo. E non sfuggì agli occhi attenti di Levi. «Che ti prende?»
Hanji sospirò e si accasciò sulla poltrona. «Al momento la polizia centrale sta pattugliando tutte le mura. Stanno impiegando una quantità innumerevole di personale solo per potersi riprendere Eren. La sicurezza nella capitale è ridotta all'osso, c'è troppo poco personale, di questo passo ci saranno mobilitazioni e ritorsioni per le scarse condizioni di vita sempre più disastrose. E non c'è molto che possono fare per placare le rivolte, non sembra nemmeno che vogliano farlo, considerando Eren di maggiore importanza che la qualità della vita dei loro cittadini. Certo, al momento la conquista del Wall Maria è la nostra priorità assoluta, ma non riesco a ignorare la cosa. Voglio creare un mondo dove tutti possano sentirsi al sicuro, un mondo dove le persone non siano costrette a combattersi l'un l'altro. Ma non voglio nemmeno perdere tempo prezioso. Dovremo fare degli esperimenti sulla sua capacità di indurimento, inoltre c'è la questione dell'urlo... c'è la possibilità che Eren possa controllare gli altri giganti, dovremo approfondire anche quella questione. Di lavoro ce n'è davvero un'infinità... ma non riesco a starmene con le mani in mano, mentre la popolazione cade in preda alla follia. Stanno succedendo troppe cose in città. Penso dovremmo tenere Eren qui, mantenere un profilo basso, almeno per un altro po'».
«Eh?!» esclamò Eren, sporgendosi sulla sedia nella direzione di Hanji. «E perché? Perché perdere tempo?»
«Perché la situazione è più complicata di quanto pensavamo».
«Hanji, spiegati meglio» le disse Levi, senza mezzi termini.
Hanji sospirò ancora e abbassò lo sguardo, nascondendo così un dolore che le fu impossibile trattenere. E infine confessò: «Il pastore Nick è morto».
«Il cultista delle mura? Quello che ci aveva dato informazioni sui giganti?» chiese Beatris, voltandosi a guardare Armin. Era stato lui il primo a parlargliene. Armin semplicemente annuì, senza aggiungere altre informazioni, e Hanji proseguì: «È successo questa mattina nei sotterranei della caserma militare a Trost. Abbiamo trovato il suo cadavere... la causa della sua morte è ancora sconosciuta, ma non ci sono dubbi che sia stato brutalmente ucciso».
«Ucciso?!» sussultò Beatris. «E da chi?!»
Hanji strinse i pugni sulle ginocchia, sfogando con quel banale gesto una rabbia incontenibile. E rispose: «Dalla polizia centrale. Lo hanno torturato a morte... gli hanno strappato unghie e denti, prima di ucciderlo. Lo avevo temuto, all'inizio, sospettavo che i cultisti delle mura non avrebbero lasciato correre la sua fuga di informazioni, che avrebbero fatto qualcosa per chiudergli la bocca quando avessero scoperto che aveva collaborato con noi, per questo l'avevo tenuto in caserma, sotto protezione. Ma mai mi sarei immaginata il coinvolgimento della polizia centrale» un lamento frustrato le uscì dalla gola e si tese, se possibile, ancora di più. «Sono stata ingenua. Il pastore Nick è morto a causa mia».
«Non poteva immaginarlo...» mormorò Beatris, rattristata. Lei più di chiunque altro sapeva cosa significava avere dei morti sulla coscienza, provare empatia per il dolore di Hanji era stato spaventosamente facile. Per un attimo era tornata a sentire le urla di Marco nella sua testa.
«Avrei dovuto!» esclamò Hanji, voltandosi a guardarla con rabbia. Certo, non rivolta a lei, ma pur sempre rabbia. «La polizia centrale è sempre stata sospetta, fin dall'inizio, ma ho tenuto gli occhi chiusi. Il loro attaccamento a Eren, la pressione che hanno fatto per ottenere la sua custodia, era sicuramente sospetta!»
«Avevano valide motivazioni, non era difficile credere che la loro fosse solo paura dell'ignoto» provò a insistere Beatris e abbassò lo sguardo, improvvisamente rattristata. «Capitano Hanji, mi creda, è già abbastanza doloroso sopportare la responsabilità di morti che ha causato lei per certo. Non si addossi anche quelle di cui non aveva colpe, non ne sopravviverebbe».
Ancora una volta il silenzio cadde sulla stanza. E fu pesante, tanto da comprimere loro le budella. Beatris aveva collaborato col nemico, per quanto ingenuamente, per quanto mossa da buone intenzioni, lei era stata causa di molte di quelle vittime. Non potevano dimenticarlo.
«Tanto per essere chiari» parlò Levi, dopo qualche secondo. «A tal proposito... Beatris, comprendi la tua posizione, vero?»
«Sì, capitano Levi» mormorò lei.
«Hai dato un grande contributo alla causa, nella nostra ultima battaglia, e hai fornito informazioni fondamentali per l'avanzamento della nostra missione. Erwin ne terrà sicuramente di conto, ma non possiamo trascurare il tuo atto di infedeltà. Il tuo stupido gesto è costato la vita a molte persone...»
«Un attimo, capitano Levi!» sussultò Jean e si sporse sul tavolo, improvvisamente nervoso. «Credevo che fossimo d'accordo sul fatto che la sua fosse stata solo ingenuità! È stata ingannata, non ha alcun tipo di colpa».
«Se lasciassimo correre tutti i crimini commessi per stupidità, questo paese sarebbe un covo di delinquenti. Un vero merdaio...»
«Ma...» insisté Jean, ma Beatris intervenne con un duro: «Jean! So di aver fatto un gran casino e, credimi, di errori ne ho commessi anche io. Quando ho dato a Reiner informazioni su Sawney e Bean sapevo quello che volevano fare. Mi ha intortata con i discorsi sulla salvezza dell'umanità, sulla loro presunta pericolosità, ma questo non cambia le cose. Sono colpevole, è innegabile».
«Tris...» mormorò Jean, addolorato. E tornò ad accasciarsi sulla sedia.
«Capitano Hanji... credo che non esisterà mai modo adatto per farle capire quanto mi dispiace» mormorò Beatris.
«Se non fosse stato per il tuo ultimo contributo e per le informazioni importanti che hai fornito, a quest'ora staresti già marcendo dietro le sbarre» le disse Levi, duro. «Ma non possiamo permettere che la polizia centrale ci tolga queste informazioni ora che siamo a un passo dalla verità, abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto, e Erwin è convinto che tu possa ancora esserci utile, come l'ultima volta. Perciò fino a quando non risolveremo questo casino, sarai sotto la mia supervisione. Discuteremo della pena una volta che le acque si saranno calmate».
«Lo comprendo» annuì ancora Beatris, con lo sguardo rivolto alle proprie ginocchia. Reiner aveva cercato, negli ultimi attimi prima di andarsene, di liberarla dalle accuse, proteggerla ancora una volta accollandosi tutte le responsabilità, ma fare il suo gioco avrebbe voluto dire dargli un vantaggio. Beatris aveva scelto di non esitare più, di combattere, di combatterlo... e tutto ciò che aveva per poterlo fare erano quelle informazioni. La verità, anche se distorta e non completa, era dovuta venire a galla per dare all'armata ricognitiva armi adeguate per combattere la sua minaccia. E poi mai avrebbe accettato di farsi proteggere ancora, non da lui, non dal suo nemico. Era una questione di orgoglio... e di salvezza. Se si fosse adagiata troppo a quel suo ultimo dono, sarebbe morta dalla disperazione per aver perduto l'unica cosa in grado di darle una stabilità. Doveva trovare da sola la propria forza, doveva plasmare da sola il proprio destino, doveva prendere completamente le distanze da Reiner... e imparare a proteggersi da sola.
«Bene» disse Levi. «Tornando a noi... la polizia centrale deve aver torturato il pastore Nick per avere informazioni su Eren e Historia. Questo complica sicuramente le cose, adesso sappiamo che abbiamo nemici anche all'interno delle mura. Probabilmente se hanno tentato un gesto tanto estremo, non esiteranno a venire a cercarci con o senza processo».
«Non sappiamo più di chi fidarci, ormai» commentò Moblit. «Abbiamo fatto attenzione a non essere seguiti, mentre venivamo qui, ma non sappiamo quanto effettivamente questo posto possa essere sicuro. Se ci pensiamo, i compagni di Reiner e dei "nemici fuori dalle mura" facevano parte proprio della polizia centrale».
«In altre parole» intervenne Hanji. «Ciò che dobbiamo temere è una pugnalata alle spalle, mentre guardiamo oltre le mura».
«Perciò ci stai dicendo di stare qui ad aspettare, bevendo tè e mangiando sformati di patate, mentre intorno a noi si sta scatenando l'inferno? È davvero questo che vuoi dirci, Hanji?» le chiese Levi, contrariato.
«È solo momentaneo, il tempo di risolvere le questioni all'interno delle mura!»
«Momentaneo?» si corrucciò Levi. «Credi davvero che i nostri nemici prima o poi lasceranno perdere? Se ci limitiamo a restare qui ad aspettare, prima o poi troveranno questo posto e ci troveremo con le spalle al muro. Non abbiamo tempo, è esattamente l'opposto: abbiamo fretta. Hanji, di solito sei sveglia, ma la tua capacità di giudizio pare essere stata schiacciata dai sensi di colpa per la morte del pastore Nick. Dimmi una cosa, quante unghie gli hanno strappato?»
«Eh?» mormorò Hanji, turbata. «Quante? Perché vuoi saperlo?»
«Rispondi».
«Io... non lo so... non l'ho guardato bene» mormorò Hanji. Ricordare il cadavere del pastore Nick non le faceva bene per niente, era decisamente turbata. Levi aveva ragione, si stava facendo schiacciare dai sensi di colpa e cominciava a non avere più fiducia in niente, nemmeno in se stessa. Stava cominciando a esitare... paralizzata dalla paura. Era una sensazione che Beatris conosceva fin troppo bene e sapeva quanto poteva essere disastroso.
«Da come ricordo io il pastore Nick» disse Levi. «Penso di saperlo: gliele avranno tolte tutte. Uno che parla facilmente cede già dopo la prima unghia, ma lui era un osso duro, non credo che abbia parlato. E se davvero è così, dunque ancora non sanno che stiamo monitorando la famiglia Reiss, quindi forse abbiamo ancora un vantaggio su di loro. Perciò, da come la vedo io, abbiamo due alternative davanti: aspettare di essere pugnalati alle spalle, o uccidere i nostri nemici prima che lo facciano loro. Dimmi, Hanji... cosa credi che sia meglio fare? Partire per Shiganshina prima o dopo la pugnalata?»
Hanji si corrucciò, pensierosa. Levi aveva ragione, lo sapeva, e questo gli riaccese un minimo di speranza. La determinazione corse dentro di lei, mossa anche dal desiderio di vendicare la morte del pastore Nick. Si voltò a guardare Levi con decisione, e infine decretò: «Entrambe le cose. Faremo entrambe le cose contemporaneamente! Lavoreremo agli esperimenti su Eren e nel frattempo tenteremo di fermare l'avanzata della polizia centrale. Non lasceremo incustodite nessuna delle due alternative».
«Queste sono parole che direbbe Erwin» commentò Levi e questo sembrò essergli di conforto. Le capacità di Erwin erano eccezionali, le sue decisioni lo portavano sempre ad ottenere qualcosa, che fosse azzardato o meno. E Hanji, tra tutti, era quella che gli si avvicinava di più. Sapeva di aver riposto la sua fiducia nelle persone migliori che potessero esserci al mondo. Non avrebbero perso, con quelle armi dalla loro parte.


Nda.

Ehy there! Come state? Beatris non molto bene, come potete vedere xD La verità sta iniziando a venire totalmente a galla, quello che Reiner le ha raccontato è solo la punta dell'iceberg e loro stanno cercando con quello che possono di scavare a fondo, completare il puzzle. Ma, come da manga, per un po' dovranno mettere da parte la questione per occuparsi dei problemi dentro le mura. Questo però non è abbastanza da far dimenticare ogni cosa...
Beatris cerca di sorridere, di dare a tutti il suo solito falso sorriso da "sto bene, ma non è vero", ma è impossibile nasconderlo (soprattutto se Jean ci mette del suo con delle gaffe che poteva pure evitarsi, povera stella xD). Ormai i suoi amici la conoscono bene, sanno cosa sta provando, e anche se Reiner è ufficialmente il nemico, anche se lei stessa lo ha combattuto, tutto questo non basta a eliminare la solitudine e il dolore di essere stata "ingannata" (come credono) e abbandonata. E, come se non bastasse, nemmeno il suo atto di tradimento può essere dimenticato. Tutto è stato messo in pausa, adesso penseranno a risolvere la questione con la polizia centrale, ma che cosa accadrà una volta che torneranno "alla normalità"? Quali saranno le conseguenze delle azioni di Beatris e della sua confessione?
Lei non se lo chiede nemmeno più. Dietro quei sorrisi tutto ciò che si nasconde, oltre che il dolore, è una profonda arrendevolezza. Dice a Levi di sapere ciò che ha fatto ed è pronta a ogni tipo di conseguenza. È sola, triste, abbattuta... arrendevole. Reiner era la sua forza e ora che lui non c'è più... che ne sarà di lei?

E visto il morale "radioso" di Beatris in questo momento potevo non darvi una canzone altrettanto straziante per concludere questo capitolo? Ve la lanciò qui, come na bomba, e scappo via xD senza manco darvi i fazzoletti... Adieu!

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinOnde histórias criam vida. Descubra agora