Capitolo 4

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Pioveva a dirotto ormai da ore. L'acqua che cadeva dal cielo era talmente fitta che Beatris faticava a vedere persino dove mettesse i piedi e ogni tre passi sprofondava in una pozza di fango, rischiando di cadere. Nonostante i cappucci e la giacca, era fradicia da capo a piedi e i vestiti appesantiti dall'umidità non facilitavano la sua corsa estenuante. A bocca spalancata cercava di prendere quanta più aria possibile, ma non era mai abbastanza e puntualmente la pioggia le finiva in gola, rischiando persino di soffocarla. Piegata in avanti, schiacciata dal peso dello zaino pieno zeppo di roba, arrancava e ansimava, correndo su per un pendio scivoloso e ripido. Davanti a lei, almeno una decina di metri più avanti, i suoi compagni riuscivano a tenere il passo più facilmente, seguendo l'istruttore che a cavallo apriva loro la strada. Annaspò ancora, chinandosi sempre più sotto al peso dello zaino e della fatica. Le gambe le facevano male come mai prima di allora, sentiva che le spalle erano sul punto di staccarsi dal corpo, e non riusciva a pensare ad altro che a quanto facesse male.
Scivolò nell'ennesima pozza e cadde a terra, schiacciata dallo zaino e dal suo senso di inadeguatezza. Era l'ultima dello squadrone, lontana almeno una decina di metri e non faceva che allontanarsi. Ed era stata l'unica tra tutti a cedere in quel modo.
«Bea!» Armin, davanti a lei di qualche passo, si fermò e tornò immediatamente indietro. La prese per un braccio e cercò di farla rialzare. «Non fermarti! Resteremo indietro!»
«Non ce la faccio più» ansimò Beatris, abbandonata nel fango. «Tutto questo... è impossibile. Come fate voi a resistere?»
«Tieni duro, avanti!» disse Armin, cercando di tirarla. «Se restiamo qui perderemo il resto della squadra».
«Vai con loro» mormorò Beatris, decisa ad arrendersi. Non ce l'avrebbe fatta a muovere un solo passo in più, non in quelle condizioni. Era fradicia, tremava dal freddo, e con la pioggia il suo equipaggiamento era diventato più pesante che mai. Sentiva dolori persino in posti che non credeva fossero in grado di far male.
«Non ti lascio qui da sola, scordatelo!» insisté Armin. Beatris alzò la testa, dando uno sguardo alla loro squadra. Erano veramente lontani, adesso, e più aspettava più rischiavano di restare soli in quel posto sperduto. Dopo avrebbero fatto il doppio della fatica per riuscire a ritrovare la strada per il centro d'addestramento, rischiavano di perdersi e restare in quella foresta, in quelle condizioni, troppo a lungo. E Armin era deciso a non lasciarla sola...
A causa sua anche lui avrebbe rischiato la vita. Si corrucciò e piantò un piede a terra, spingendosi in avanti e aggrappandosi ad Armin per rialzarsi. Lentamente, riprese ad avanzare, spingendo i propri muscoli al limite. Armin la tenne ben stretta per la manica e continuò a tirarla, per cercare di trascinarla il più avanti possibile, ma ad ogni passo minacciava di cadere di nuovo a terra, troppo stanca, troppo appesantita. Ormai a occhi socchiusi respirava così affannosamente che sentiva la testa girare.
«Credo di star per svenire» confessò in un mormorio.
«Avanti! Cerca di respirare in maniera controllata, cerca di sforzarti! Siamo già a metà del percorso, possiamo farcela» disse, sperando di esserle d'aiuto con una carica d'ottimismo. Non erano così vicini alla meta, ma almeno erano a metà. Potevano farcela! Ma Beatris spalancò gli occhi e si voltò improvvisamente verso di lui, gridando sconvolta: «Siamo solo a metà?!»
La distrazione le costò cara. Non vide un sasso più sporgente degli altri proprio sotto ai suoi piedi e, fradicio di pioggia e fango, finì col scivolarci sopra. Cadde di lato, verso Armin, e gridò dallo spavento. Allungò le mani in avanti, cercò il primo appiglio disponibile e disgrazia volle che fosse proprio l'amico, che ancora le stava a fianco. Lo trascinò giù insieme a lei e finirono entrambi in ginocchio, nel fango. Ormai disperata, scoppiò a piangere come una bambina.
«È inutile! Non ce la farò mai, faccio proprio schifo!» gridò.
«Ahi...» lamentò Armin, cercando di rimettersi in piedi. Si voltò preoccupato verso Beatris, pronto a incoraggiarla ancora, cercare di calmarla, ma vide in quel momento Reiner arrivare al loro fianco. Prese Beatris da sotto le braccia e la rimise in piedi. Bastò la sorpresa di sentirsi sollevare da terra di peso a farle smettere di urlare e piangere, confusa su cosa stesse accadendo. Reiner non diede alcuna spiegazione, ma prese lo zaino di Beatris dalle sue spalle, togliendoglielo prima che avesse potuto anche solo dire qualcosa. E avanzò di qualche passo.
«Armin!» disse, voltandosi appena. «State dietro di me!»
«Ma...» mormorò Beatris, dispiaciuta nel vedere che c'era chi ancora si ostinava ad aiutarla, anche a scapito di se stesso. Quell'addestramento era davvero impossibile, sfiancante al limite delle possibilità umane. Anche se Reiner sicuramente era più forte, portare addirittura due zaini lo avrebbe devastato. E la colpa era ancora una volta la sua... con la sua debolezza, con la sua incapacità, non faceva che creare problemi a tutti quelli che aveva attorno. Armin la prese per mano e riprese a correre, trascinandola lungo il percorso.
«Andiamo Bea!» disse.
Correre senza il peso dello zaino sulle spalle era sicuramente più facile, perlomeno riuscì a restare in piedi e proseguire, anche se continuava a restare in fondo alla colonna. E così facendo rallentò anche Armin, che cercava di sostenere lei, e Reiner che era deciso ad aprire loro la strada, non lasciarli soli.
«Se l'istruttore ti vedesse... finiresti nei guai» mormorò lei, arrancando alle spalle di Reiner.
«Non preoccuparti, preferisco una punizione piuttosto che sapervi sperduti tra i boschi. Pensa solo a correre».
Una punizione... si sarebbe preso un'altra punizione a causa sua. Non voleva, ma correre con quello zaino sulle spalle era troppo per lei. Non riusciva neanche a stare in piedi. Era così debole, rispetto al resto dei suoi compagni, mentre Reiner, al contrario, riusciva a tenere il passo persino con due zaini sulle spalle invece che uno solo. Come riusciva a essere così forte? Come riuscivano tutti a essere più forti di lei? E perché c'era sempre chi doveva subire le conseguenze della sua debolezza? Non era giusto. Si era arruolata per un motivo ben preciso, se avesse continuato così non sarebbe mai arrivata da nessuna parte. Doveva diventare più forte. Doveva trovare una soluzione...
Arrivarono finalmente alla fine del percorso e Reiner le diede indietro il suo zaino un attimo prima che l'istruttore li vedesse. Era palesemente stremato, respirava affannosamente e Beatris era convinta che ciò che gli bagnava il volto non fosse solo pioggia.
«Grazie...» mormorò, avvilita.
«L'addestramento non è un gioco, non è da prendere sotto gamba» l'ammonì Reiner. «Se credi di non essere in grado, allora dovresti mollare e basta».
Beatris si strinse nelle spalle, sentendo quelle accuse premere come massi sulla sua già indebolita coscienza. Gli aveva dato davvero un sacco di problemi, eppure nonostante fosse stata un palese peso per lui e per Armin, era stato comunque disposto ad aiutarla. Era davvero una persona di buon cuore, non poteva essere altrimenti, e la gratitudine per il suo sacrificio peggiorarono ancora di più il suo senso di colpa. Forse avrebbe davvero dovuto mollare...
«Ma...» proseguì Reiner, sgranchendosi la schiena indolenzita. «Se credi invece che questa sia la tua strada e sei convinta di voler arrivare in fondo, allora non fermarti. Indipendentemente da dove arriverai, da come ti ridurrai, tu continua ad andare avanti. Mettersi a piangere e lamentarsi di fare schifo non ti aiuterà in nessun modo. Cerca sempre di proseguire, ok?»
E Beatris alzò gli occhi su di lui, sentendosi improvvisamente più leggera. Non aveva cercato di rimproverarla, le aveva solo messo davanti la realtà e spinta a prendere una decisione, a prendere consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare. Arrivare in fondo all'addestramento era davvero ciò che voleva, potersi arruolare nel corpo di ricerca insieme ai suoi amici era tutto ciò a cui anelava. Reiner non l'aveva rimproverata, l'aveva aiutata... ancora una volta. Lei non avrebbe dovuto fermarsi mai più. Doveva muoversi. Anche a costo di andare in pezzi, doveva muoversi.
«Ok...» mormorò, colpita dalle parole di Reiner. E lo guardò allontanarsi, per raggiungere il resto della squadra che ora entrava dentro una baita per concedersi finalmente riposo e calore.
«Andiamo» le disse Armin. «Dobbiamo riposare anche noi».
E la guidò all'interno della baita, dove ad attenderli c'erano un camino acceso e un pasto caldo.
La sera stessa tornarono al centro d'addestramento, ma Shadis era assolutamente deciso a non dar loro tregua. La mattina dopo li aspettò nel cortile con l'attrezzatura d'addestramento per il movimento tridimensionale. Erano ancora nella fase di allenamento per l'equilibrio, ma di lì a una settimana ci sarebbe stata la verifica finale, ed erano in pochi a non aver ancora preso destrezza con l'attrezzatura. La maggior parte di loro riusciva a restare perfettamente in equilibrio, sospeso per aria, senza il minimo sforzo. Beatris guardò la struttura in ferro a cui sarebbe stata legata da lì a pochi minuti come il peggior mostro che avesse mai dovuto affrontare. Era ancora indolenzita per il giorno prima e questo non l'avrebbe aiutata, ma non aveva fatto che ripensare alle parole di Reiner. Piangersi addosso e dire che faceva schifo non l'avrebbe aiutata in nessun modo, lei doveva andare avanti. Continuare a muoversi. Si avvicinò all'impalcatura a lei destinata e si concentrò scrupolosamente sull'allacciamento, che ormai lasciavano che facessero da soli, per imparare a conoscere al meglio la propria imbracatura. Diede l'ok all'istruttore e infine questo la sollevò da terra, tenendola alzata almeno un paio di metri sopra al suolo. Si corrucciò, si concentrò e sforzò ogni muscolo possibile, anche se dolorante. Ciondolò per un po', sentendosi cadere ora in avanti ora indietro, ma cercò sempre di riequilibrare il peso e tentare di restare dritta. Ma più si sforzava nel ridistribuire il peso, più sembrava sbagliare e darne sempre troppo da un lato o dall'altro, e le oscillazioni aumentarono invece che diminuire. Infine guardò il mondo ribaltarsi davanti ai suoi occhi. Cadde in avanti, lanciando un urlo terrorizzato, e finì col penzolare come un salame a testa in giù.
«Merda» digrignò i denti, frustrata. Si diede un paio di spinte con le gambe, cercò di rialzarsi e tornare dritta, ma questo non causò altro se non ulteriori oscillazioni che la fecero ciondolare avanti e indietro come su un'altalena. Non riuscì più a trattenersi e lanciò un urlo nervoso, troppo accecata dalla rabbia. Perché non ci riusciva? Perché doveva essere così negata veramente in ogni cosa?! Sgambettò, con i piedi per aria, furiosa.
«Fatemi scendere da questa macchina infernale!» ruggì, non trovando modo di rimettersi dritta da sola. Con un sospiro rassegnato l'istruttore si avvicinò a lei, pronto a tirarla giù, ma ormai era rimasta troppo tempo con la testa penzoloni verso il basso. Beatris sentì il sangue confluire al cervello fin troppo e lo stomaco cominciare a rovesciarsi. Si sentì sempre peggio, mentre aspettava di essere rimessa a terra, e infine si accasciò lasciando cadere le braccia verso terra e le gambe distese.
«Sto per vomitare...» confessò, pallida. Quando infine toccò terra, restò distesa lì dov'era, moribonda.
«Andiamo Moreau, ti porto in infermeria» le disse l'istruttore, avvicinandosi per prenderla e costringerla ad alzarsi. Beatris piantò le mani a terra e si sollevò di colpo, puntando lo sguardo all'istruttore davanti a lei. «No! Sto bene! Posso riprovarci!» gridò, determinata, ma il movimento improvviso fu fatale per il suo stomaco già disastrato. Divenne verde improvvisamente e prima che potesse anche solo accorgersene stava già rimettendo la colazione, dritta sulle scarpe dell'istruttore che aveva davanti.
«Oh no...» sibilò, riaprendo gli occhi e accorgendosi del disastro. «Gliele pulisco subito! Mi dispiace!» disse, in preda al panico. Si tolse la giacca dalle spalle e la usò come un fazzoletto, per pulire le scarpe dell'istruttore, ma questo l'afferrò immediatamente per i capelli e la sollevò da terra. «Ma che stai facendo?!» le ruggì contro. Non seppe mai se a farlo incazzare di più fosse stato il suo fallimento, la vomitata o l'aver usato la propria divisa per pulirlo. Forse una combinazione di tutte le cose, ma qualsiasi fosse il motivo, neanche dieci minuti dopo si trovò nell'ufficio di Shadis. A testa china, la vergogna sul volto, la rabbia nel cuore, Beatris ascoltò il comandante urlare e brontolare per i successivi venti minuti. E infine Shadis la mandò via, piena di rammarico e di sensi di colpa. Perché non riusciva proprio a non essere così debole? Era decisa ad andare avanti, il discorso del giorno di prima di Reiner glielo aveva fatto capire, l'aveva riempita di determinazione, eppure niente andava per il verso giusto. E come se non fosse stato abbastanza, ora aveva un ultimatum sulla testa. Shadis l'aveva redarguita: se non fosse riuscita a superare l'esame della settimana dopo, con l'attrezzatura per il mantenimento dell'equilibrio in aria, sarebbe stata cacciata fuori dall'esercito. Con o senza la sua volontà.
Restò pensierosa per tutto il resto della mattinata, seduta su un lettino in infermeria dove le era stato ordinato di restare, per cercare di riprendersi. Fino a che non fu ora di pranzo e le venne dato il via libera. Entrò nella sala comune, dove i suoi compagni erano già impegnati a mangiare e rifocillarsi. Mosse gli occhi su ciascuno di loro e trovò, in chi riuscì a vederla, solo denigrazione o compassione. Era terribile, sempre peggio. Doveva assolutamente risolvere quel problema e c'era solo una cosa a cui riusciva a pensare.
Reiner era seduto al proprio tavolo, concentrato sul proprio piatto, quando con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi al suo fianco. Si voltò a guardarla e sobbalzò, dapprima terrorizzato, quando vide Beatris sbucare solo con gli occhi da sotto al suo tavolo. Inginocchiata di fianco a lui, lo fissava quasi con ostilità e non diceva niente. Sembrava un mostriciattolo sbucato da sotto al letto di un bambino, faceva quasi venire i brividi.
«Che stai facendo?» le chiese, turbato.
«Come fai a essere così forte?» gli chiese Beatris, decisa.
«Eh?» mormorò, confuso.
«Qual è il tuo segreto? Ce l'hai nel sangue? Ti viene naturale? Sei nato così?» insisté.
«Non... ho nessun segreto» rispose, sempre più confuso. «Mi sono solo allenato molto».
E solo allora Beatris si alzò in piedi. Quasi sbatté le mani sul tavolo e si sporse verso di lui, improvvisamente animata da un nuovo fuoco. «Perciò esiste un modo per diventare più forti?! Tu lo conosci!»
«Certo che esiste ma non credo sia un segreto».
«Tu mi devi un favore per averti salvato dalla zoccolata di April!» gli disse improvvisamente, puntandogli un dito contro, minacciosa. «Perciò insegnami!»
«Mi stai ricattando?» storse il naso, lievemente irritato. «E poi mi sembra di essermi già sdebitato abbastanza, ieri nel bosco».
Beatris fece un lungo sospiro, arrendevole, e si spostò dal bordo del tavolo, mettendosi a sedere sulla panca al fianco di Reiner. «Hai ragione, non dovrei crearti altri problemi. Ma... non so davvero a chi altro provare a rivolgermi» confessò, avvilita.
«Non hai degli amici?» le chiese, retoricamente. Armin, Mikasa e Eren erano ovviamente molto legati a lei, l'avrebbero aiutata volentieri.
«Armin non è messo molto meglio rispetto a me, Eren mi urlerebbe contro e basta e per Mikasa sarebbe impossibile spiegarmi come fare. A lei viene naturale, non lo fa seguendo una logica, mi direbbe solo di continuare a provarci. Ma è ovvio, ormai, che io stia sbagliando qualcosa... tu invece sei arrivato a tanto perché ti sei allenato, sai come si fa, e...» arrossì lievemente, imbarazzata per quanto stava per dire. «E sei sempre molto gentile con tutti, anche con me, mentre gli altri non fanno che prendermi in giro».
«Hai vomitato sulle scarpe di un istruttore, sfiderei chiunque a non prenderti in giro» disse Reiner, tornando a mangiare il suo pasto. Beatris si voltò verso di lui e si portò le mani davanti al volto, unite in forma di preghiera. «Te lo chiedo per favore, Reiner! Giuro che non ti infastidirò, sarò disciplinata e ascolterò tutto quello che mi dirai! Ti prego, aiutami».
Reiner sondò per qualche istante la sua espressione contrita. Stretta in se stessa, con gli occhi serrati e la mani unite davanti alla sua faccia. Era davvero disperata e per qualche ragione sentiva che avrebbe davvero voluto fare qualcosa per rispondere a quella sua sincera e sviscerata richiesta.
«Perché vuoi diplomarti all'accademia?» le chiese, tornando a mangiare.
«Eh?» mormorò Beatris, abbandonando la sua postura. «Perché me lo chiedi?»
«Voglio capire fin dove arriva la tua determinazione. Quanto sei disposta a sacrificare».
«Io...» mormorò, distogliendo lo sguardo e puntandolo al tavolo. Si portò le mani sulle gambe e tornò a stringersi in se stessa. «Credo tutto. Sono disposta a sacrificare tutto» rispose. «Dopo Shiganshina non mi è rimasto niente se non Armin, Mikasa e Eren. Non voglio perdere anche loro...»
Non le era rimasto niente? E quella sorellina che aveva visto alla cattedrale?
«Non... hai una famiglia da cui tornare?» azzardò, senza scendere troppo nei dettagli. Sarebbe stato imbarazzante anche per lui confessare che l'aveva osservata così a lungo, quella volta, preferì non farglielo capire.
«Sono loro la mia famiglia» rispose Beatris e gli sembrò una risposta più che convincente. Non aveva che loro, era davvero disposta a tutto pur di non perderli, anche ridursi a essere lo zimbello dell'intero corpo cadetti. Anche arrivare a implorare aiuto così esplicitamente.
Reiner sospirò, vinto. «Dopo l'allenamento del pomeriggio, prima di cena, dovremmo avere un paio d'ore libere. Ti aspetto al terzo cortile».
«Evviva!» Beatris esplose improvvisamente di gioia. Si lanciò addosso a Reiner, avvolgendogli le braccia intorno al busto, e lo strinse in un goffo abbraccio. «Grazie Reiner!» esclamò, felice come una bambina. Lo lasciò pochi istanti dopo, senza accorgersi dell'improvvisa paralisi in cui Reiner sembrava essere appena caduto. Con la bocca ancora aperta, il cucchiaio a pochi centimetri dal suo volto, gli occhi sgranati, non si muoveva di un solo centimetro. Lei si alzò e si allontanò con un rapido: «A dopo, allora!» lasciandolo solo nel suo mondo improvvisamente gelido e caldo allo stesso tempo. Era stata la cosa più dolce che gli fosse mai successa in tutta la sua vita. Mai prima di allora qualcuno lo aveva apprezzato tanto, mai prima di allora qualcuno gli aveva rivolto così tanta stima e... era mai successo che qualcuno che non fosse sua madre lo abbracciasse? Beatris se n'era andata già da un paio di minuti abbondanti eppure riusciva ancora a sentire il calore delle sue braccia intorno al petto.
"È un demone... è solo un dannato demone... nient'altro che un demone" si ripeté, ma si accorse presto che lo faceva solo per autoconvincersene. Sentiva il cuore pulsargli in petto più forte del normale e uno strano calore prendere sempre più possesso del suo volto. Stava per caso... arrossendo? Per una cosa come quella?!
Posò finalmente il cucchiaio nel suo piatto, con la zuppa lasciata a metà, e lentamente la spinse di qualche centimetro lontano.
«Non ho più fame...» mormorò tra sé e sé, irritato. Se non si fosse trovato in mezzo a tutto il resto dei suoi compagni probabilmente avrebbe ceduto a quell'improvviso desiderio che adesso aveva di ribaltare completamente il tavolo. E cominciare a tirargli testate solo per togliersi dalla mente simili stupidaggini.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora