Capitolo 36

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Le urla arrivarono persino a loro, nonostante fossero al piano superiore, lontani dalla stanza di tortura. Si irrigidirono e si pietrificarono, turbati. Era la prima volta che sentivano qualcosa di tanto straziante, persino chi veniva divorato dai giganti sembrava patire meno. Ma forse fu solo la loro impressione, forse era più l'idea di essere loro la causa di quel tormento a rendere il tutto più macabro. Erano riusciti a portare Reebs dalla loro parte e avevano così catturato due uomini della gendarmeria invischiati nella cattura di Eren. Li avevano poi portati in un castello abbandonato, dove si erano accampati per un po', e nelle segrete ora li stavano torturando per estrapolare loro informazioni riguardo i giganti nelle mura, il coinvolgimento del culto delle mura, Eren e Historia... a cui erano stranamente interessati. Avevano iniziato qualcosa di più grande, qualcosa per cui non erano affatto pronti e forse mai lo sarebbero stati. Loro avevano sempre cercato di salvare le vite umane, non di ucciderle, non di ferirle... tutti loro, tranne Beatris. Quelle urla risuonavano della stessa frequenza di quelle di Marco e di Petra e Oruo. Le risvegliavano i ricordi, e non era piacevole per niente, solo che ormai... ci era abituata.
«Dio mio» sospirò Jean. «Hanno cominciato».
Beatris riuscì distintamente a vedere una goccia di sudore freddo colargli giù da una tempia. Era sconvolto, pallido, non stava bene per niente.
«Cosa volete?!» riuscirono a distinguere queste parole, tra le urla indistinte e i pianti. E sentirono anche Hanji, rispondere furiosa: «Taci!», prima che tornasse tutto a essere un indistinto agglomerato di lamenti e angoscia.
Beatris sospirò, cercando di riprendere il controllo delle sue funzioni vitali. Il cuore in petto le faceva un male cane, sentiva la bocca dello stomaco stritolarsi così tanto da farle venir voglia di vomitare. E ancora Jean si fece scappare un lamento dalla gola. «Mi sono arruolato nell'armata per combattere i giganti e ora non so neanche chi sia il vero nemico. Perché dobbiamo ricorrere a questi mezzi?»
«Stiamo organizzando un colpo di stato» rispose Eren, straordinariamente freddo e pacato. «Dubito che questo sarà il peggio che dovremmo fare, d'ora in avanti».
«Immagino che questo ci renderà tutti dei traditori» lamentò Sasha, tremante sulla sedia. «Che cosa ci succederà se falliamo?»
«Non è ovvio?» le disse Jean, portandosi una mano al volto. «Ci impiccheranno, probabilmente».
«Stiamo tentando di sovvertire un sistema che ha funzionato da oltre cent'anni» rifletté Armin, appoggiato al tavolo che aveva di fronte con le braccia e il mento chino in avanti, a sfiorare quasi il legno, in una sorta di protezione tra i propri avambracci. «Non ci sono precedenti... ma perché non tentiamo semplicemente di portare il popolo dalla nostra? Possiamo sfruttare la confusione generale generata dai recenti attacchi. Se riuscissimo ad agitare le masse incolpando il governo degli ultimi assalti potrebbe funzionare. Certo, questo porterebbe il governo a puntare la proprie armi contro i cittadini e ci saranno sicuramente delle vittime. Ma se pensate all'umanità in generale, questo è solo un prezzo da pagare. Se riuscissimo a creare una specie di incidente simbolico, potremmo addossare tutta la colpa al governo e alla polizia militare, e allora la legione apparirebbe come la salvatrice e nel popolo nascerebbe l'impressione che solo noi siamo degni di fiducia. In fondo la gente comune è facile da manipolare... non sono molto svegli».
Ci fu un lungo e intenso silenzio e solo allora Armin alzò gli occhi sui suoi compagni, turbato. Vide che aveva tutti gli occhi addosso, sconvolti, forse addirittura disgustati. Nessuno avrebbe mai pensato che uno come Armin, così leale e dall'apparenza innocente, avesse potuto fare di questi ragionamenti così freddi, calcolatori e meschini. Si ritirò in un imbarazzato sorriso e balbettò, timoroso: «Scherzavo».
«Armin!» ringhiò Jean, turbato. «Ti è dato di volta il cervello?»
«Non funzionerebbe» disse Beatris, con una placida calma. Armin spostò su di lei lo sguardo, dall'altro capo del tavolo, e si accorse che tra tutti era l'unica che non lo aveva guardato in quel modo così impietrito. Era ovviamente giù di morale, ma non sconvolta, sembrava quasi serena. Era normale, lei aveva già impiastricciato fin troppo le sue mani, aveva già commesso quel tipo di crimine: sacrificare persone, per un bene considerato superiore. Non la turbava, anzi sembrò addirittura rassicurata dal discorso di Armin. Forse non era poi così disumano pensare quel genere di cose. Si sentì meno sola, più giustificata e compresa. Armin, ancora una volta, era quello che più si avvicinava al suo modo di pensare, e questo la rasserenava un po'. Ma tutto questo, lui e il resto dei suoi compagni, non potevano saperlo. Perciò spostarono lo sguardo allucinato da Armin a lei, senza cambiare espressione, sconvolti che lei potesse dargli corda e non l'avesse trovato macabro.
«C'è già stato un incidente, anche se non era stato organizzato e non era simbolico» proseguì Beatris, ignorando lo sguardo dei suoi compagni. «La distruzione di Trost non è stata dimenticata e non lo sarà per molto tempo. Noi della legione siamo riusciti a riprenderci la città, è di dominio pubblico che Eren sia un gigante e che è stato lui a chiudere la breccia. Ma nonostante questo quella gente ci incolpa per quanto successo, come se avessimo potuto prevederlo e impedirlo fin dal principio. Quando si tratta di giganti la responsabilità ricade totalmente su di noi, come se non fossimo anche noi umani che hanno semplici capacità umane. Hai visto quella gente a Trost, ieri, no? Se la prendevano con noi perché la loro città era in rovina, nonostante fossimo stati noi a ridar loro una città in cui tornare. Nessuno riconosce i nostri sforzi, la legione non ha affatto tutta questa gran fiducia da parte del popolo. Non ci seguirebbero mai, rischiamo anzi di peggiorare la nostra già delicata situazione. Come hai detto tu, Armin, non sono molto svegli: pensano che eliminando la legione esplorativa allora elimineranno anche il problema dei giganti, non riescono a capire che siamo noi quelli che li combattono e non quelli che li portano dentro le nostre mura. Questi mezzi, per quanto disumani, pare che siano necessari. Dobbiamo solo avere fiducia nei nostri superiori».
«Bea...» mormorò Connie, rabbrividendo. «Gli stai davvero dando corda? Che razza di discorsi sono questi?»
«Per anni la legione ha combattuto la minaccia dei giganti con i pochi mezzi che aveva, cercando di sacrificare il meno possibile, e guardate adesso in che situazione ci troviamo. Non abbiamo mai fatto alcun progresso e abbiamo solo avuto perdite» disse Beatris, alzando gli occhi su Connie. «È ovvio che non sia abbastanza. E ora che ci troviamo di fronte a delle minacce ancora maggiori, questo atteggiamento di autoconservazione disperato sarà ancora più inutile e deleterio. Non si può sperare di fare dei progressi in un mondo come questo, se non si è disposti a fare dei sacrifici».
Jean si lasciò sfuggire un lamento e sospirando alzò gli occhi al soffitto. «Tu e Armin ve la intendete spaventosamente. Ora capisco perché siete amici, fate gli stessi inquietanti discorsi».
Armin abbassò lo sguardo, prima di spiegare con un tono che sembrava quasi dispiaciuto: «È la stessa cosa che ho detto anche io, nella foresta degli alberi giganti, quando con Jean abbiamo discusso degli ordini del comandante Erwin dopo che ci era stato detto di aspettare e tenere a bada i giganti, mentre loro cercavano di catturare Annie. Non si può sperare di ottenere delle vittorie, in guerra, se non si è disposti a fare sacrifici. Per questo penso che il comandante Erwin sia il più adatto a gestire la legione, in giorni come questi».
«Sì, lo penso anche io» annuì Beatris. «Il Comandante Erwin ha capito che questo è l'atteggiamento giusto da tenere, è il genere di persona che è disposto a fare sacrifici enormi pur di arrivare al proprio obiettivo».
«Come fate a dire che sia l'atteggiamento giusto? Per il momento non abbiamo ottenuto un granché se non quello di essere sotto accusa e ricercati» commentò Connie, ancora contrariato.
Ci vuole pazienza e ostinazione, prima o poi i risultati arriveranno» rispose Beatris. «E comunque è sempre meglio che cedere Eren alla polizia militare, farci chiudere definitivamente i battenti e impedirci così di uscire ancora per andare a cercare la verità. Inoltre non credo che saremmo stati liberi, se avessimo collaborato da subito... per come stanno andando le cose sono certa che avrebbero comunque trovato il pretesto per arrestarci tutti, con o senza la nostra collaborazione. Non credete?»
«Non lo so... non riesco a capire cosa sia meglio o peggio. Sento solo quelle dannate urla» disse Jean e si portò le mani alle orecchie, tappandosele furiosamente. Beatris tornò ad abbassare lo sguardo. Le sentiva anche lei, ma riusciva a ignorarle, al contrario dei suoi compagni. L'aveva sempre fatto, aveva imparato a ignorare il dolore, a ignorare le grida nella sua testa. Quelle di Marco erano ormai solo un sottofondo indistinto, che a malapena riusciva a cogliere.
«Comunque...» sospirò Armin, poggiando il mento sulle proprie braccia. «Ormai ci siamo dentro. Ormai siamo criminali e se vogliamo uscirne non possiamo che portare avanti questa cosa. Probabilmente ci ritroveremo a dover uccidere della gente... non siamo più delle brave persone».
«Forse» mormorò Beatris. «Lo stiamo facendo per una buona causa, per il bene dell'umanità, la progressione verso la nostra vittoria. Ma sinceramente non so se sia giusto o sbagliato... Armin, secondo te questo ci giustifica?»
Reiner aveva ucciso così tante persone e l'aveva fatto per portare avanti un nobile obiettivo. Lui voleva salvare il mondo, era una buona causa, se quello che le aveva raccontato era vero. E lei aveva pensato che fosse giustificato, che fosse nella ragione, nonostante i mezzi a dir poco brutali. Lei l'aveva considerato comunque una brava persona, nonostante tutto, lei aveva continuato ad amarlo. Aveva sbagliato? Aveva sbagliato nel vederlo in quel modo? Nel credere in lui fino alla fine? Se Armin glielo avesse detto... se Armin le avesse detto che niente giustificava un genocidio, allora forse ci avrebbe anche potuto credere. Forse sarebbe riuscita a mettersi l'anima in pace, capendo di aver sbagliato, capendo che Reiner non era altro che un bastardo. Ma Armin non rispose, si limitò ad abbassare gli occhi, afflitto, e non disse niente. Lasciando così Beatris ancora nel suo mare di dubbi e tormenti.
Nel silenzio le urla di Sannes, l'uomo della gendarmeria che in quel momento stava venendo torturato da Hanji e Levi, risuonavano con ancora più potenza. Ed era terribile.
Connie si alzò, improvvisamente. «Io me ne vado di sopra a dormire. Magari lassù non sentirò più queste grida e riuscirò a dimenticarmene».
Era ingenuo. Le avrebbe sentite per tutta la notte e per i giorni avvenire, Beatris lo sapeva, non le avrebbe mai più dimenticate. Connie avrebbe solo dovuto imparare a non ascoltarle. Lo guardò, mentre si allontanava. Sasha e Jean lo imitarono poco dopo e salirono al piano di sopra.
«Eren» disse Mikasa, poco dopo. «Dovresti andare a riposare anche tu. Ormai è tardi».
«È inutile stare qui ad aspettare» annuì Beatris. «Probabilmente andranno avanti tutta la notte».
«Già» sospirò Armin e si alzò, poco dopo. «Io e Mikasa dobbiamo prendere il nostro posto per il turno di guardia. Gli uomini di Hanji ci stanno aspettando fuori, facciamo riposare anche loro».
Mikasa cominciò ad avviarsi insieme al compagno, ma prima di uscire si voltò un'ultima volta, chiedendo: «Andate a dormire, per favore» e uscì definitivamente, lasciando Eren e Beatris da soli. Restarono in silenzio, immobili, per qualche altro minuto, senza trovare la forza di dire niente. Quella situazione, tutto quello, andava ben oltre a ciò che avessero mai potuto immaginare. Erano passati solo cinque anni da quando erano dei normali bambini che giocavano per le strade di Shiganshina, solo cinque anni da quando avevano lasciato la loro normalità, eppure adesso sembrava passata un'intera vita. Erano successe così tante cose, così assurde e fuori da ogni immaginazione. Mai si sarebbero immaginati, cinque anni prima, che si sarebbero trovati un giorno a torturare e uccidere degli esseri umani, che si sarebbero trovati in un mondo così grande e terrificante. Sarebbero mai riusciti a tornare a Shiganshina? Sarebbero mai riusciti a tornare a quei tempi spensierati, un giorno?
Beatris sospirò e si alzò. «Mikasa ha ragione» disse. «Andiamo a dormire, Eren. Se i capitani Hanji e Levi riusciranno a scoprire qualcosa, domani avremo un bel po' di lavoro da fare».
«Bea» la chiamò improvvisamente Eren, fermandola. «Io non credo che tu abbia sbagliato. Siamo chiamati a fare delle scelte, non possiamo tirarci indietro, dobbiamo solo decidere se arrenderci e farci trascinare dalla corrente, o combattere fino alla fine. Hai fatto quello che credevi più giusto, quando hai deciso di credere alle parole di Reiner». Beatris si voltò a guardarlo, sorpresa. La risposta che anelava, il bisogno di sicurezze, forse erano proprio lì? Eren era riuscito a leggerle dentro, forse perché la conosceva meglio di chiunque altro, e non era disposto a lasciarla sola. Era qualcosa che la terrorizzava e la rassicurava allo stesso tempo. Lui era riuscito a cogliere tutte le sue colpe... e comprenderle, perdonarle, addirittura giustificarle. «Anche Mikasa e Armin la pensano così, anche se non lo dicono apertamente. Non devi avere paura, non lasciarti trascinare via. Non sei quel genere di persona. Tu sei sempre riuscita a uscire da ogni situazione nel modo più impossibile e ostinato, lo farai ancora».
Eren si alzò e la raggiunse. Le mise una mano sulla spalla, guardandola dritta negli occhi. «Continua a combattere» le disse, determinato.
Erano stati giorni vuoti, non aveva trovato la forza di fare niente se non lasciarsi trascinare dagli eventi senza sapere dove sarebbe arrivata. Aveva seguito passivamente gli ordini, fatto quello che le chiedevano di fare, decisa ad abbandonarsi. Ad arrendersi. A paralizzarsi di fronte all'ennesima paura. Ed Eren lo aveva visto, lo aveva visto fin troppo bene.
«Ti sbagli, Eren» mormorò. «Io sono proprio quel genere di persona».
Era nella sua indole paralizzarsi e aspettare che le cose passassero da sole, senza fare niente per impedirglielo. Non ne aveva la forza, non era mai stata così forte da impedire agli eventi di caderle addosso.
«No, invece, non lo sei» insisté Eren. «Ti è sempre mancata la sicurezza in te stessa, non hai mai creduto nelle tue capacità, ma noi lo facciamo. Noi tutti crediamo nella tua forza. Jean è un idiota, pensa che tu ti sia fatta abbindolare come una stupida, non ti conosce e non capisce che in realtà tu non hai mai smesso di muoverti verso un obiettivo preciso. Non devi fermarti adesso, solo perchè credi di essere sola. Non lo sei. E puoi ancora farcela. Come sei riuscita a uscire dalla presa del gigante, a Trost, come sei riuscita a uscire dalla sua gola, puoi ancora fallo. Puoi fare qualcosa di folle e sconsiderato. Non smettere di combattere ora».
«È...» mormorò Beatris. «È troppo difficile».
«Sì, probabilmente lo è. Ma questo ti fermerà davvero? Vuoi davvero fermarti?»
Si sarebbe veramente paralizzata di nuovo, per l'ennesima volta? Aveva giurato che non sarebbe più stata immobile, che si sarebbe mossa a qualsiasi costo, che non si sarebbe più fatta schiacciare. Non doveva paralizzarsi... lo stava facendo di nuovo, non doveva. Era stato il suo stare immobile a rovinarle la vita, era sempre stata colpa di quella paralisi.
«Bea» Eren strinse per un istante la presa sulla sua spalla. «Devi ritrovare la tua forza».
Ritrovare la sua forza...
Sei tu la mia forza, Reiner.
Doveva ritrovare Reiner. Non sapeva a quale scopo, non sapeva se per combatterlo o tentare ancora di portare avanti quella sua ostinata illusione di salvare tutti, di risolvere ogni cosa. Ma doveva ritrovarlo. Reiner era lontano, per questo si era sentita così svuotata improvvisamente. Aveva lottato, aveva provato a dare un senso a tutto quello. Aveva provato ad accettare di stare dalla parte di Eren, si era fatta trascinare dagli eventi che l'avevano costretta a quella posizione. Ma lei non voleva stare lì. Lei non voleva stare nemmeno dalla parte di Reiner. Lei voleva stare dov'era sempre stata, a metà, cercando di salvare entrambi. Non era mai stata in grado di fare grandi piani, di vedere oltre le idee, prevedere le conseguenze delle sue azioni. Cercare di farlo, pensare a cosa sarebbe stato giusto e cosa l'avesse portata dove non era servito a niente se non a paralizzarla di nuovo. Reiner l'aveva travolta come un fiume, l'aveva trascinata indietro, costringendola a seguire la strada che lui aveva deciso. E lei ci si era abbandonata. Ma doveva combattere ancora, doveva ritrovare la sua forza... doveva ritrovare lui. Poi, cosa sarebbe successo, lo avrebbe affrontato a tempo debito. Era quello il suo modo di agire.
Eren lasciò la presa sulla sua spalla e si avviò su per le scale, pronto ad andare a dormire. Beatris lo seguì in un primo momento con lo sguardo: era certa che il discorso di Eren non avesse avuto quelle intenzioni, certo non le avrebbe mai detto di cercare di tornare da Reiner, lui lo odiava e mirava solo a distruggerlo. Ma aveva poca importanza. Questo, per quanto folle, le avrebbe permesso di riprendere a muoversi. Più si allontanava da lui, più accettava di vederlo sparire, e più perdeva la sua forza. La sua ostinazione. E si stava ancora una volta paralizzando. Il suo obiettivo, adesso, era chiaro e le stava dando nuovo vigore. Lottare contro la corrente degli eventi, per arrivare dove lei aveva sempre desiderato arrivare, era ciò che avrebbe dovuto fare. Lasciarsi trascinare non aveva fatto altro che svuotarla e basta. Avrebbe lottato. Avrebbe lottato ancora contro tutto quello.
Doveva farlo... o sarebbe morta, schiacciata da qualcosa di decisamente troppo grande per lei.
Fece un sospiro, cercò di raccogliere le forze, e infine seguì Eren. Si stese sul sacco a pelo, si coprì e cercò di prendere sonno. Ma qualcosa aveva iniziato a bruciare dentro di lei. Si infilò una mano sotto alla maglietta, andò ancora una volta a cercare la fascia di Reiner legata al bicipite e la strinse. Se la portò vicino al viso e chiuse gli occhi. Riuscì assurdamente a rilassarla. Era solo un pezzo di stoffa... ma era l'unica cosa in grado di portarla ancora da lui, almeno col pensiero. Riusciva sentirlo al suo fianco. Riusciva a sentire il suo abbraccio. Riusciva a sentire la sua promessa.
Reiner, io riuscirò sempre a prenderti.
E io ti aspetterò.
Sentì i muscoli distendersi, sentì la testa quietarsi, ritrovare la pace. E lentamente, con le dita artigliate a quella fascia, riuscì persino ad addormentarsi.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now